Ho seguito con piacere le considerazioni su questo tema perché l’esposizione evitava ogni interpretazione, imperativa, estremistica ed assolutista.
Comprendo le teorie del vegetarianismo (vedi Scopo della dieta vegetariana), come comprendo che cozzino con i dettami culturali di antiche abitudini. Ma quello che vedo, è la sua correlazione ad altri argomenti che convergono verso uno stesso principio: quello del rispetto umano.
Il rispetto verso sé stessi, verso gli altri, verso la natura, verso il pianeta è una colonna della civiltà. È una dote dell’intelletto e non delle emozioni come il buonismo, la pietà, la condiscendenza.
Il rispetto, e la seguente considerazione per la dignità dell’altro, riflettono lo spirito della civiltà, che nasce dal valore dell’essere e non dalle disponibilità tecnologiche, strategiche ed economiche.
L’alimentazione è una necessità legata allo sfruttamento delle risorse naturali. Ed il termine "sfruttare" esprime di per sé un concetto che, seppur necessario, suona poco positivo. Soprattutto, quando la necessità di nutrirsi per sopravvivere cessa, per diventare piacere della gola e gusto per la tavola.
L’alimentazione, dunque, è uno dei tanti modi d’intraprendere rapporti sociali (amore e guerra inclusi). Rapporti che si effettuano con ed attraverso se stessi, per ed attraverso gli altri.
Ma gli altri non siamo solo noi, umani, con le nostre risorse di vitalità, ricchezza, forza e sentimenti: anch’essi vessati e sfruttati oltre ogni limite.
Esiste un’altra visione dell’idea di "altri", che nasce da una sensibilità maggiore, che concepisce una visione globale dell’ecosistema. Un’idea che considera i diritti vitali di ogni "espressione (della stessa) di vita". Non escludendo, opportunisticamente, la dignità di questa o di quella forma.
Il principio del rispetto, nella più alta accezione, riconosce dignità d’esistenza ad ogni forma di vita, sancendone il diritto di vivere con interezza, l’esistenza da cui dipende la sua evoluzione naturale.
Giunti alla percezione intellettuale di questo principio, riesce poi difficile distinguere tra la dignità dei diversi frammenti di vita di uno stesso ecosistema. Perché, sono puramente convenzionali i diversi gradi di dignità, che compongono la "graduatoria di merito" tra le differenti "apparenze": attraverso cui (senza scomodare Dio) si esprime la Natura naturante e la Natura naturata.
Allora, com’è stato già detto, non rimane che fare i conti con se stessi, con la visione estetica della propria morale (cos’è bello, cos’è giusto: secondo me?).
Posto in una prospettiva etica e non di fede, l’alimentazione diviene un aspetto psicologico e filosofico di primo piano. E non possiamo che augurarci che presto finisca per attecchire più nelle menti che negli stomaci della gente comune. Oltre cui, resta da vedere anche la reazione dell’esoterista nostrano, sempre in bilico tra le vistosità delle abitudini esteriori e le teorie sopraffini dell’insegnamento iniziatico.
