
Dagli scritti di Alice A. Bailey e del Maestro D. K.
Il miglior concetto che ci si possa fare della morte è considerarla come un'esperienza che ci libera dall'illusione della forma...
I Tibetani parlano del processo della morte come dell'«entrare nella chiara luce fredda». Probabilmente il miglior concetto che ci si possa fare della morte è considerarla come un'esperienza che ci libera dall'illusione della forma; ciò ci permette di comprendere chiaramente che quando parliamo della morte ci riferiamo ad un processo relativo alla natura materiale, il corpo, con le sue facoltà psichiche ed i suoi processi mentali.
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L'errore dell'uomo sta, oggi, nell'atteggiamento di fronte alla morte, per cui interpreta come catastrofe la scomparsa della vita dalla percezione visiva e il disintegrarsi della forma.
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La distruzione della forma in battaglia (che fa tanta paura a molti di voi) ha poca importanza per coloro che sanno che la reincarnazione è una legge fondamentale della natura e che la morte non esiste. Oggi le forze della morte circolano, ma è la morte della libertà di parola, la morte della libertà nell'attività umana, la morte della verità e dei valori spirituali superiori. Questi sono i fattori vitali della vita dell'umanità; la morte della forma fisica è un fattore trascurabile rispetto a quelli, e vi si rimedia facilmente con il processo di rinascita e nuova opportunità.
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Si è propensi a credere che la morte sia la fine, mentre, per quanto riguarda il termine, i valori di cui trattiamo sono persistenti, non ammettono interferenze – che del resto sarebbero impossibili – e hanno in sé i semi dell'immortalità. Pensateci, e sappiate che tutto ciò che ha vero valore spirituale è duraturo, senza tempo, immortale ed eterno. Muore solo ciò che è privo di valore, e per quanto concerne l'umanità muoiono gli elementi pertinenti alla forma o che da questa traggono importanza. Ma i valori che si reggono su un principio e non sull'apparenza hanno in sé quel principio immortale che guida l'uomo «dalla porta della nascita, attraverso le porte della percezione, fino alla porta del proposito», come dice l'Antico Commentario.
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Morte e limitazione sono sinonimi. Quando la coscienza è accentrata nella forma e si identifica del tutto con il principio di limitazione, vede come morte la liberazione dalla vita formale; ma, per evoluzione, essa di continuo sposta la focalizzazione e diviene consapevole di ciò che non è forma, e del regno del trascendente o dell'astratto, o meglio di ciò che è astratto dalla forma e focalizzato in sé. Per inciso, ciò definisce la meditazione come scopo e conseguimento. Si medita veramente quando si usa la mente, riflesso della volontà, nei suoi tre aspetti: per aprire l'ingresso nel mondo dell'anima, per influire sulla vita personale e infine per imporre e ottenere la piena espressione del proposito egoico.
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La morte stessa è parte della grande illusione ed esiste soltanto a causa dei veli addensati attorno a noi.
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La Paura della morte, del futuro, del dolore, dell'insuccesso, e altre, minori, cui l'umanità soccombe, e la Depressione, sono, per l'uomo di quest'epoca, il Guardiano della Soglia. Sono sintomo di una reazione senziente ai fattori psicologici, e non si possono curare con altri fattori dello stesso genere, come il coraggio. Ma, tramite la mente, si possono vincere con l'onniscenza dell'anima – non con l'onnipotenza. Queste parole contengono un cenno occulto.
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La preparazione per questo regno, è compito del discepolato, e costituisce l'ardua disciplina della quintuplice via dell'iniziazione. Il lavoro del discepolo consiste nel fondare il regno e la caratteristica fondamentale dei suoi cittadini è l'immortalità. Essi sono membri della Razza Immortale, e l'ultimo nemico che debbono superare è la morte; essi agiscono coscientemente dentro e fuori del corpo e non se ne preoccupano; essi hanno la vita eterna perché hanno in loro ciò che non può morire, essendo della stessa natura di Dio. 
