
Dagli scritti di Alice A. Bailey e del Maestro D. K.
La morte è un atto di intuizione trasmesso dall'anima alla personalità e quindi reso conforme al volere divino da parte di quello individuale.
Adesso passiamo a considerare non più soltanto l'uomo ordinario o poco progredito, ma l'azione cosciente che l'anima esercita sulla forma.
Nel primo caso, essa non ha parte molto attiva nel processo di morte: il suo contributo si limita a decidere il termine dell'incarnazione, in vista del prossimo ritorno al mondo fisico. I «semi della morte» sono inerenti alla forma e si dimostrano come malattia o senilità (tecnicamente intesa), ma l'anima persegue i propri interessi sul suo piano finché l'evoluzione non giunge alla situazione in cui l'integrazione e lo stesso rapporto tra l'anima e la forma siano così reali che l'anima si identifica profondamente con la sua espressione manifesta. Si può dire che allora l'anima è, per la prima volta, veramente incarnata, veramente «discesa in manifestazione» con tutta la sua natura. Questa è una verità poco compresa e poco nota.
Infatti per le prime incarnazioni e per la gran parte del ciclo dell'esperienza vitale l'anima ha scarso interesse per quel che accade. La redenzione della sostanza di cui sono fatte tutte le forme segue il suo corso naturale, e la forza che all'inizio governa è il «karma della materia»; le succede poi il karma generato dalla fusione fra anima e forma, nel quale la prima ha (all'inizio) scarsissima responsabilità. Ciò che avviene nel suo triplice involucro è necessariamente effetto delle tendenze inerenti alla sostanza. Ma con il susseguirsi delle incarnazioni la qualità egoica entrostante gradualmente evoca la coscienza, e tramite la coscienza si è condotti all'uso della discriminazione. A mano a mano che la mente assume il potere, la coscienza stessa si desta appieno. Il primo sintomo ne è il senso della responsabilità, il quale a poco a poco induce l'anima a identificarsi sempre meglio con il suo veicolo, il triplice uomo inferiore. Allora i corpi si affinano; i semi di morte e di malattia sono meno virulenti; cresce la percezione interiore dell'anima e viene l'ora in cui il discepolo-iniziato, quando muore, è per suo volere spirituale o per necessità di karma di gruppo, nazionale o planetario.
Quando chi muore è uomo di scarso livello, la battaglia fra l'elementale fisico e l'anima è la cosa più notevole: in occultismo si chiama «trapasso Lemure»; se è un uomo comune, focalizzato nell'emotivo, il conflitto è fra l'elementale astrale e l'anima, e lo si chiama «trapasso Atlantideo»; per i discepoli la lotta si fa più mentale e sovente s'accende fra la volontà-di-servire e di attuare un frammento del Piano da una parte e la volontà-di-tornare all'Ashram in piena forza, dall'altra. Per gli iniziati non esiste alcun conflitto: l'astrazione è cosciente e deliberata. Strano a dirsi, se un contrasto si verifica, è fra le due forze che restano nella personalità, cioè fra l'elementale fisico e il mentale. Non esiste infatti un elementale astrale nell'assetto di un iniziato di alto ordine: il desiderio è stato completamente superato, per quanto riguarda la sua natura individuale.
Altra questione che voglio trattare è in rapporto con il perpetuo conflitto in atto tra le dualità del corpo denso ed eterico. L'elementale fisico (nome per indicare la vita integrata di questo corpo) e l'anima che cerca di astrarre e dissolvere tutte le energie dell'involucro eterico, si combattono con violenza, e questo stato di cose è penoso e dura molte volte a lungo; è denotato dal «coma», più o meno protratto, che è caratteristica frequente della morte. Quest'ultimo, per l'esoterista, è di due specie: il «coma della lotta», che precede la vera morte; e quello «del ristabilimento», quando l'anima, ritratto il filo della coscienza ma non quello della vita, consente all'elementale fisico di riprendere potere sull'organismo, per ristabilire la buona salute. La scienza moderna per il momento non li distingue, ma in avvenire, quando la visione eterica, o chiaroveggenza, sarà più comune, sarà possibile accertare di quale coma si tratti, escludendo con ciò sia la speranza che la disperazione. Amici e parenti del morente in stato di coma sapranno con certezza se assistono alla grande, ultima astrazione dall'esistenza fisica, o ad un processo di riparazione. In questo secondo caso, l'anima mantiene la presa sull'organismo denso mediante i centri, ma temporaneamente si astiene dal distribuire energia, se non al centro del cuore, della milza, e ai due minori dei polmoni: questi restano vivificati in modo normale, o poco meno, e bastano a conservare il controllo. Se l'anima vuole veramente la morte, per prima cosa astrae energia dalla milza, poi dai due centri minori, e per ultimo dal cuore e l'uomo muore.
L'insieme di questi due mutamenti scatena un violento conflitto, sul Sentiero della Prova, e aumenta sino all'inizio della Via del Discepolo. La potenza della personalità che da dominante viene soggiogata, induce intense reazioni karmiche. Nell'esperienza del discepolo eventi e circostanze si succedono e si moltiplicano con velocità impetuosa. Il suo ambiente è improntato alle più elevate qualità nei tre mondi; oscilla fra gli estremi; paga con rapidità crescente i debiti karmici e il prezzo degli errori commessi.
Per tutto questo periodo le incarnazioni si succedono, e il processo consueto della morte si ripete, fra l'una e l'altra. Ma le tre morti fisica, astrale e mentale sono sperimentate con consapevolezza sempre maggiore, poiché la mente inferiore si sviluppa; l'uomo non esce più inconsapevole, assopito, dai suoi veicoli eterico, astrale e mentale, ma ciascuno di tali trapassi gli è noto al pari della morte fisica.
Viene, al fine, il tempo che il discepolo muore di sua volontà e in perfetta coscienza, poiché sa come spogliarsi dei vari involucri. L'anima rafforza il suo controllo, ed egli decide la morte con atto di volontà egoica, sapendo esattamente quello che fa.
L'uomo assai progredito presagisce sovente il tempo della morte; ciò dipende dal contatto con l'ego e dalla coscienza della sua volontà. Talvolta la sua previsione riguarda anche le modalità del trapasso, e fino all'ultimo istante l'auto-determinazione perdura. L'iniziato va ben oltre. La comprensione intelligente delle leggi dell'astrazione gli consentono di lasciare il corpo fisico in piena coscienza di veglia, per vivere nell'astrale. Ciò implica la capacità di serbare la continuità di coscienza, senza interruzioni fra la consapevolezza fisica e lo stato «post-mortem». Egli sa di essere esattamente quello di prima, sebbene privo dello strumento dei contatti fisici. Rimane consapevole dei sentimenti e dei pensieri di coloro che ama, anche se non è in grado di percepirne il veicolo fisico denso. Può comunicare con loro a livello astrale o per telepatia mentale, se il rapporto lo consente, e gli sono precluse soltanto, necessariamente, quelle trasmissioni che comportano l'uso dei cinque sensi. Ma bisogna rammentare che il rapporto astrale e mentale può essere più intimo e sensibile di prima, poiché non intralciato dal corpo fisico. Due condizioni, tuttavia, vi si oppongono: il dolore intenso e le violente perturbazioni emotive dei rimasti, e nel caso dell'uomo comune la sua propria ignoranza e lo sbigottimento che prova di fronte a condizioni nuove per lui, anche se in realtà ben antiche, se solo se ne rendesse conto. Quando gli uomini avranno superato la paura della morte e compreso il mondo di là, senza isterismo né allucinazioni non più basandosi sulle descrizioni (spesso poco intelligenti) del medium comune, che è dominato dalla forma-pensiero costruita da lui stesso e da chi interviene alle sedute, il processo letale potrà essere posto sotto rigoroso controllo. Si curerà in modo particolare lo stato dei rimasti, per evitare la rottura dei rapporti e inutili dispendi di energia.
Vi ricordo che la volontà e il proposito dell'anima, cioè la determinazione di essere e di agire, utilizza il sutratma, la corrente vitale, quale mezzo di espressione formale. Quando penetra nel corpo tale corrente si biforca, e si «fissa», per così dire, in due punti distinti. Ciò simboleggia il fatto che Atma, lo Spirito, si differenzia in due riflessi: anima e corpo. La coscienza, o l'anima, ciò che fa dell'uomo un'entità razionale e pensante, si «ormeggia» con uno dei due aspetti del filo, o sutratma, in un punto del cervello presso la ghiandola pineale. La vita invece, che anima ogni atomo del corpo ed è il principio coesivo e integratore, penetra nel cuore, e vi si ancora. L'uomo spirituale domina l'organismo intero da questi due punti. In tal modo è possibile l'esistenza fisica ed oggettiva, quale temporanea modalità espressiva. L'anima, in quanto assisa nel cervello, fa dell'uomo un essere raziocinante e intelligente, auto-consapevole capace di auto-governo conscio, in varia misura nel mondo in cui vive, secondo il grado evolutivo e il conseguente sviluppo del proprio apparato. Quest'ultimo è triplice: i nadi e i sette centri di forza, il sistema nervoso, anch'esso tripartito cerebro-spinale, simpatico, periferico e il sistema endocrino, da considerare come l'esternazione più densa delle altre due partizioni.
L'anima, in quanto assisa nel cuore, è la vita, l'auto-determinazione, il nucleo centrale di energia positiva che tiene al loro posto tutti gli atomi del corpo e li subordina alla propria «volontà-di-essere». Questo principio vitale usa come veicolo di espressione e agente direttivo la corrente sanguigna, e l'intimo rapporto esistente fra questa e il sistema endocrino pone in contatto i due aspetti dell'attività egoica, e ne risulta l'uomo come essere vivente, conscio, governato dall'anima, di cui adempie il volere in tutte le attività quotidiane.
La morte è dunque, in senso laterale, il ritrarsi dalla testa e dal cuore di quelle due correnti di energia, con conseguente perdita di coscienza e disgregazione del corpo. Essa differisce dal sonno solo in quanto entrambe le correnti si staccano: nel sonno si disormeggia solo quella che è fissata nel cervello, e perciò si perde coscienza, o meglio questa si polarizza altrove. L'attenzione non è più allora rivolta al fisico e al tangibile, ma ad altra modalità dell'essere, e si accentra in un altro apparato. Alla morte, ripeto, entrambe le correnti si ritraggono o si riuniscono in una sola; l'energia vitale non circola più portata dal sangue, il cuore cessa di battere, il cervello di registrare, e subentra il silenzio: la casa è vuota. Ogni attività è sospesa, tranne quella, sorprendente e immediata, che è prerogativa della materia stessa e che si manifesta come decomposizione.
Quando invece il discepolo o l'iniziato si immedesima con l'anima e costruisce l'antahkarana con il principio vitale, trascende quella legge universale, e prende o elimina il corpo a volontà, per comando del volere spirituale o per i fini perseguiti dalla Gerarchia o da Shamballa.
Per quanto riguarda la morte, essa è, in ultima analisi, dipendente dall'anima, la cui volontà è obbedita, in modo conscio o inconsapevole, quando decide la morte; ciò ha molte implicazioni che sarebbe bene meditare.
...basti dire che le tre principali malattie di cui si è detto mietono vittime anche fra loro, specie per liberare l'anima dai suoi veicoli. Anche se non è evidente, in tal caso esse sono però controllate da quest'ultima, che delibera il trapasso, il quale non è, allora, dovuto alla potenza del morbo.
I processi d'astrazione (come potete vedere) sono connessi con l'aspetto vita; sono messi in moto da un atto della volontà spirituale e costituiscono «il principio di resurrezione che si cela nell'opera del Distruttore», come dice un antico detto esoterico. La manifestazione più bassa di questo principio si vede nel processo di ciò che chiamiamo Morte, che in realtà è un mezzo d'astrazione del principio vita, saturo di coscienza, dalla forma o dai tre corpi nei tre mondi.
Emerge così la grande sintesi, e distruzione, morte e dissoluzione in realtà non sono altro che processi di vita. L'astrazione indica processo, progresso e sviluppo.
Due grandi pensieri chiariscono il tema della morte. Primo, il dualismo onnipresente nella manifestazione. Ciascuna delle dualità ha la propria espressione, le sue leggi, i suoi fini. Ma nel tempo e nello spazio si mescolano a beneficio dell'intero, e appaiono come unità. Spirito-materia, vita-apparenza, energia-forza: ciascuna proviene dalla sua sorgente, è in rapporto con l'altra, ha uno scopo temporaneo, e assieme generano quella corrente perpetua, quel ciclico flusso e riflusso della vita manifesta.
Dal rapporto fra Padre Spirito e Madre Materia nasce il figlio, che durante l'infanzia vive nell'aura della madre, con cui si identifica, ma dalla quale continuamente cerca di fuggire. Giunto a maturità, il suo problema si aggrava, l'attrazione del Padre lentamente spodesta la possessività della madre, finché, finalmente, la presa di questa sul figlio (l'anima) si allenta. Allora questi, il Cristo bambino, liberato dalla custodia e dalle mani materne, conosce il Padre. Sono simboli.
Secondo: l'incarnazione, la vita entro la forma e la restituzione (per azione del principio di morte) di materia alla materia e di anima all'anima, sono processi regolati dalla grande Legge di Attrazione universale. Pensate che un giorno la morte, prevista e benvista, sarà descritta da questa semplice frase:«È giunta l'ora che l'attrazione dell'anima esige che io lasci il corpo e lo renda là donde venne». Pensate quale mutamento nella coscienza umana, quando la morte sarà considerata il semplice e volontario abbandono della forma, temporaneamente assunta per due fini ben precisi:
a. |
Padroneggiare i tre mondi. |
b. |
Consentire alla sostanza della forma «rubata, presa in prestito o posseduta a buon diritto» secondo lo stadio evolutivo di elevarsi a maggiore perfezione per impulso impressole dalla vita, tramite l'anima.
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Sono concetti di notevole significato, già espressi prima d'ora, ma trascurati perché ritenuti solo simbolici, capaci di confortare, ma nient'altro che semplici desideri. Ve li offro, invece, come veri, di inevitabile applicazione pratica, come tecniche e processi consueti quanto una qualsiasi di quelle attività (ritmiche e periodiche) che si presentano nella vita: alzarsi e coricarsi, mangiare e bere, e così via.
È importante rilevare che la Morte è regolata dalla Legge fondamentale di Attrazione, che è espressione dell'amore, secondo attributo divino. Ciò non vale per le morti improvvise, che sono regolate dal primo aspetto, il distruttore. Allora la condizione è diversa: l'evento può essere provocato non da necessità karmiche individuali, ma da ragioni di gruppo e molto oscure tanto che per ora non vale la pena parlarne. Il lettore non sa abbastanza cosa sia il karma e le sue implicazioni, e ignora i rapporti e gli obblighi stabiliti in vite passate. Se dicessi, ad esempio, che «l'anima può lasciare aperta la porta alle forze letali, che possono introdursi senza appiglio all'interno, per espiare più rapidamente», capireste quanto sia oscuro l'argomento.
Qui mi limito a considerare la morte naturale, per effetto di malattia o di vecchiaia, cioè per volontà dell'anima che, al termine di un ciclo prestabilito di esistenza, usa i mezzi normali per conseguire i suoi fini. Allora la morte è «naturale», e il genere umano deve comprenderlo, con pazienza e speranza maggiori.
L'anima, al termine di una vita, in modo deliberato, esercita tale attrazione da travolgere quella inerente alla materia: ecco una chiara definizione della morte. Quando non esiste contatto cosciente con l'anima, come per la maggior parte degli uomini oggi, la morte giunge inattesa, o accolta con tristezza. Eppure è una vera e propria attrazione dell'anima. Questo è il primo grande concetto spirituale da proclamare per combattere la paura di morire. La morte è regolata dalla Legge di Attrazione, per cui il corpo vitale si estrae dal denso in modo scientifico e progressivo, e l'anima interrompe ogni contatto con i tre mondi.
La Legge di Attrazione spezza le forme e ne restituisce i componenti alla fonte primordiale, prima di ricominciare a costruirle. Sul sentiero evolutivo gli effetti di questa legge sono ben noti, non solo per la distruzione dei veicoli eliminati, ma anche per il frantumarsi delle forme assunte dai grandi ideali... Tutto è destinato ad infrangersi, per imperio di questa Legge.
Oggi all'uomo comune essa appare in tutta la sua forza, nel mondo fisico. È possibile seguirne il nesso dal piano «atmico» (spirituale) al fisico ove compare come Legge del Sacrificio e della Morte ma i suoi effetti sono evidenti in tutti i cinque livelli. Essa distrugge l'ultimo involucro che avvolge l'anima perfetta.
Si considera la vita come Osservatore, non come chi sperimenta nei tre mondi (fisico, emotivo, mentale)...se si è discepolo o iniziato si è sempre meno consapevole delle attività e reazioni personali, poiché certi aspetti della natura inferiore sono ormai così purificati e regolati che scendono sotto la soglia della coscienza, nell'istinto; non se ne ha notizia, come nulla si sa del respiro quando si dorme. È una grande verità, poco conosciuta. È in rapporto al processo della morte, e può essere considerata come una sua definizione; è la chiave per capire la frase «riserva di vita», che è assai misteriosa. Morte, in realtà, è non aver coscienza di una certa attività vitale. La riserva di vita è il luogo della morte, e questa è la prima lezione per il discepolo...
Per quanto potete ora comprendere, ciò concerne soprattutto la volontà creativa, in quanto:
1. |
Inizia la manifestazione, e condiziona ciò che è creato. |
2. |
Determina il compimento finale. |
3. |
Vince la morte, o le differenze.
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Tutti gli iniziati devono esprimere e lo fanno volontà dinamica e creativa, proposito concetrato e quello sforzo prolungato che permette il compimento. Vi ricordo che proprio lo sforzo prolungato è il seme della sintesi, la causa della vittoria e finisce per aver ragione della morte. Quest'ultima è il deterioramento che si produce nel tempo e nello spazio, dovuto alla tendenza, propria di materia-spirito, di isolarsi quando è manifesta (per quanto riguarda la coscienza). Lo sforzo prolungato del Logos mantiene manifeste tutte le forme, preserva anche la vita quale fattore integrante nell'edificio della forma, e può astrarre o ritrarre la coscienza vitale intatta al termine del ciclo della creazione.
Abbiamo sin qui trattato la morte del corpo fisico (evento molto familiare) nonché dell'astrale e del mentale cioé di quegli aggregati di energie qualitative che non sono usualmente riconosciuti ma che la psicologia ormai ammette e che supponiamo si debbano disintegrare a seguito del decesso fisico. Vi è mai occorso di pensare, però, che la fase principale di tutto questo processo, per quanto riguarda l'uomo, è la morte della personalità? Non parlo in termini astratti, come fanno gli esoteristi quando descrivono come denegare le qualità del sé personale. Essi, infatti, parlano di «sopprimere» questa o quella caratteristica, di «uccidere» il sé minore, eccetera. Io intendo, invece, la distruzione letterale, la dissipazione finale della personalità, ben nota e beneamata.
La sua vita, ve lo rammento, passa per tre stadi:
1. |
Lenta e graduale costruzione. Per molti cicli di incarnazione, l'uomo non è una personalità, è solo un membro della moltitudine umana. |
2. |
Durante quella fase, l'anima in pratica non è coscientemente identificata con la personalità. Quel suo aspetto che è racchiuso fra gli involucri, per lunghissimo tempo è dominato dalla loro vita, e si fa sentire solo come «voce della coscienza». Ma, col trascorrere del tempo, la vita attiva e intelligente dell'uomo gradualmente viene stimolata e coordinata dall'energia irradiata dai petali conoscitivi del loto egoico, o dalla natura percettiva intelligente dell'anima dimorante nel suo proprio mondo. Ne deriva l'integrarsi dei tre veicoli in un'unità vivente. L'uomo è allora una personalità.
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3. |
La vita personale dell'individuo così coordinato persiste per gran numero di incarnazioni, e anche essa è divisibile in tre fasi: |
a. |
Vitalità aggressiva e prepotente, egoista e molto individualista, condizionata da uno dei sette raggi. |
b. |
Periodo di transizione, distinto da un conflitto in atto fra personalità e anima. Quest'ultima vuole liberarsi dalla vita formale, eppure in ultima analisi la personalità dipende dal principio vitale trasmessole dall'anima. In altri termini, la lotta è fra il raggio dell'una e il raggio dell'altra, ed è quindi una guerra fra due concetrazioni energetiche. Ciò termina all'atto della terza iniziazione. |
c. |
Vittoria dell'anima, morte e distruzione della personalità. Il dissolvimento inizia quando questa, che è il Guardiano della Soglia, sta al cospetto dell'Angelo della Presenza. La luce dell'Angelo solare estingue quella della materia. |
Eliminazione della Forma-pensiero della Personalità
Due fattori bisogna rammentare mentre si esamina molto brevemente questo argomento.
1. |
Stiamo considerando unicamente un'idea della mente dell'anima, e l'illusione che ha condizionato l'intero ciclo dell'incarnazione, così imprigionando l'anima nella forma. Per essa, la personalità significa: |
a. |
La propria capacità di identificarsi con la forma; l'anima se ne accorge quando la personalità raggiunge una certa misura di vera e propria integrità. |
b. |
Occasione di un processo iniziatico. |
2. |
L'eliminazione della forma-pensiero della personalità, consumata alla terza iniziazione, è una iniziazione maggiore per l'anima vivente nel suo mondo. Ecco perché la terza è considerata la prima iniziazione maggiore: le due che la precedono hanno poco effetto sull'anima, in quanto agiscono solo sul «frammento» incarnato. |
Queste verità sono poco note e sinora scarsamente segnalate nei testi che trattano questi argomenti. Sinora ci si è limitati a insistere sulle iniziazioni per quanto riguardano il discepolo, nei tre mondi. Ma io le intendo esplicitamente in quanto agenti sull'anima, che adombra il proprio riflesso. Ciò che ho detto ha quindi poco senso per il lettore comune.
L'atteggiamento mentale del sé personale, che si considera essere il Guardiano della Soglia, è stata descritta, in maniera inadeguata, come completamente obliterata dalla luce dell'anima; la gloria della Presenza, trsmutata dall'Angelo, è tale che la personalità sparisce con tutte le sue esigenze e aspirazioni. Non resta che il guscio, l'involucro, lo strumento mediante cui la luce solare si riversa in soccorso dell'umanità. C'è del vero in tutto ciò, ma si tratta in ultima analisi di un tentativo per dire in parole l'effetto trasmutante e trasfigurante della terza iniziazione, il che è impossibile.
Immensamente più difficile ancora è raffigurare, come cerco di fare, l'atteggiamento e le reazioni dell'anima, l'unico sé, il Maestro nel cuore, allorché riconosce la portentosa verità della propria libertà essenziale, e realizza, una volta per sempre, di essere ormai del tutto incapace di rispondere alle vibrazioni dei tre mondi inferiori, trasmesse da quello strumento di contatto che è la forma personale. Quest'ultima, da quel momento, non è più in grado di farlo.
Ciò compreso e ammesso, l'anima, ormai libera, si rende conto che tale condizione impone dei doveri:
1. |
Servire nei tre mondi, così familiari e completamente trascesi. |
2. |
Emettere amore, librato su chi è rimasto a cercare la liberazione. |
3. |
Riconoscere il triangolo essenziale che ora campeggia al centro della sua vita mentale. L'anima vibra fra i due vertici o i due opposti, e si comporta come centro di invocazione ed evocazione.
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Queste realizzazioni non possono essere registrate nella mente o nel cervello della personalità illuminata.

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Se ne può percepire l'incerta visione delle possibilità teoriche, ma la coscienza non è più quella del discepolo che presta servizio nei tre mondi, impiegando la mente, le emozioni e lo stesso corpo fisico per attuare gli intenti ed eseguire i decreti della Gerarchia. Essa si è dileguata con la morte della coscienza personale. Ora la coscienza è quella propria dell'anima, che non avverte separazioni, che agisce per intuizione, che è spiritualmente posseduta dai piani del Regno di Dio ed è perfettamente insensibile al fascino o all'imperio della materia e della forma; ma risponde alla sostanza-energia in cui è immersa, e la sua corrispondenza superiore vive ancora su livelli del piano fisico cosmico: buddhico, atmico, monadico e logoico. |
Che deve dunque prodursi perché l'anima viva in pienezza, sì da includere i tre mondi nella sua consapevolezza e nel suo campo di servizio? Per illustrarvi alquanto ciò che essa deve compiere dopo la terza iniziazione non ho altro mezzo che riassumerlo in questo modo:
Primo. |
L'anima è ora capace di creare, poiché il terzo aspetto sviluppato e domato con l'esperienza raccolta nei tre mondi a seguito dell'incarnazione lungamente ripetuta è in stato di attività perfetta. In termini tecnici: le energie dei petali della conoscenza e dell'amore sono ora così ben fuse e amalgamate che i due petali interni, che racchiudono il gioiello nel loto, non lo schermano più. Parlo per simboli. Per conseguenza, la morte, o l'eliminazione, della personalità è il primo atto nel dramma della sua creazione cosciente, e la prima forma che costruisce è un sostituto del sé personale. Ora, però, esso è uno strumento sprovvisto di vita, volontà, ambizione, pensiero suoi propri. È un involucro di sostanza, attivato dalla vita dell'anima e nello stesso tempo capace di rispondere e di reagire «in modo adatto» al periodo storico, alla razza umana, all'ambiente in cui essa intende operare. Meditate su questa frase e sulle parole «in modo adatto». |
Secondo. |
L'anima si appresta alla quarta iniziazione, che è monadica per essenza e distrugge come sapete il corpo causale, e stabilisce pertanto il rapporto diretto fra la monade nel suo mondo e la personalità di nuova formazione, tramite l'antahkarana. |
È la prima volta, che nel succedersi dell'insegnamento occulto, che si enunciano queste due attività, anche se vari accenni, in precedenza, vi abbiano alluso.
Si è detto, infatti, che il Maestro usa un «mayavirupa» per entrare in contatto con i tre mondi, da Lui costruito e scelto in modo deliberato per i Suoi fini. Si tratta di un vero e proprio sostituto della personalità, ed è possibile crearlo solo quando il sé minore (sviluppato e formato durante il ripetersi delle incarnazioni) è stato alfine eliminato. Preferisco questa ultima parola anziché dire «distrutto». Infatti, quando esso si dissolve, la struttura resta: scompare solo la vita separativa.
Se riflettete con chiarezza su questa proposizione, vedrete che ora è possibile un'integrazione perfetta. La vita personale è stata riassorbita; resta la forma personale, ma senza vera vita sua propria; può dunque ricevere energie e forze necessarie all'iniziato o al Maestro per promuovere la salvezza del genere umano. Fareste bene a studiare le tre «parvenze» del Cristo narrate nel Vangelo:
1. |
La parvenza trasfigurata. L'episodio del monte della Trasfigurazione descrive simbolicamente l'anima radiante e i tre corpi della personalità, ormai vacanti, e accenna alla futura costruzione di un veicolo di manifestazione. Dice infatti S.Pietro : «Signore, rizziamo tre tende» o tabernacoli. |
2. |
Il Suo stare come la stessa verità (silenziosa e presente) al cospetto di Pilato ripudiato dagli uomini ma riconosciuto dalla Gerarchia.
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3. |
Le Sue radiose apparizioni dopo la resurrezione: |
a. |
Alla donna presso il sepolcro simbolo del Suo contatto con l'Umanità. |
b. |
Ai due discepoli sulla via di Emmaus simbolo del rapporto con la Gerarchia. |
c. |
Ai dodici discepoli nella camera al piano superiore simbolo del contatto con il Concilio del Signore del Mondo a Shamballa. |
Vedete dunque, la natura pratica dei risultati prima descritti. Il discepolo che abbia eliminato (sia in senso tecnico che mistico) la presa del sé personale è ora «libero nell'Ashram», come si dice; si muove come vuole fra i suoi fratelli discepoli e iniziati. Non ha vibrazione o qualità che turbi il ritmo dell'Ashram; nulla in lui può richiedere l'«intervento a placare» del Maestro, come sovente avviene nelle prime fasi del discepolato; nulla può ostacolare contatti e influssi di ordine superiore finallora a lui preclusi per le intrusioni del sé personale.
Ecco dunque perché chi ha compiuta la costruzione dell'antahkarana ha stabilito un contatto (che nell'uomo ordinario non esiste) fra Monade, Sorgente della Vita, e personalità, che ne esterna la vita. È la Monade allora, e non l'anima, che dirige i cicli dell'espressione esterna, e l'iniziato muore quando vuole e secondo il suo programma o le necessità dell'opera sua. Si tratta, beninteso, di iniziati di ordine elevato. 
