Giuda e il “discepolo amato”
Nella Cena
In nessun passo del Nuovo Testamento i due personaggi occupano la scena insieme; non si accompagnano mai l’uno all’altro; sono compresenti alla Cena solo letteralmente.
Nella “Cena” laddove si dice che Gesù offrì un boccone a Giuda [in Luca, Giuda è assente e domina la figura del “traditore” Simone; è assente anche in Marco che, in ordine al tradimento, si mantiene sui generis], la sovrapposizione funziona. Il gesto era infatti possibile solo se la persona era molto vicina a Gesù, tanto, ad esempio, da potergli poggiare la testa sulla spalla come viene detto per il discepolo amato.
A sua volta Matteo attesta, in ordine alla prossimità, che Giuda era tanto vicino da poter intingere dal piatto davanti al Maestro.
Il termine anakeimenos “disteso”, riferito al discepolo amato, indicherebbe lo star distesi intorno alla mensa secondo l’uso ellenico, cosa improbabile senza triclinio. Ma il termine può anche esprimere un atteggiamento del discepolo: egli aspetta di essere servito, per sottolineare così l’insegnamento di Gesù che si fa “servo” e gli offre il boccone di pane.
Il verbo “giacere” non collima con l’espressione “nel seno di Gesù”; e per di più l’immagine che se ne ricava poteva ingenerare letture malevoli, o scandalose. Si traduca allora:
Chi è “unico fra i discepoli” se ne stava seduto (per essere servito). Nel suo piatto egli desiderava l’essenza di Gesù. Gesù fece un segno ed allora Pietro gli disse «dicci chi è colui di cui stai parlando». Allora, mentre Pietro parla, Giuda riceve il boccone, e così i due traditori sulla scena restano isolati. Oppure, Gesù sta istituendo proprio alla presenza di Pietro, il sacerdozio eucaristico.
Il racconto prosegue: senza mai fare nomi, proprio il discepolo amato “poggiandosi sul petto di Gesù”, gli domandò del traditore: Signore chi è? Ma attenzione: una identica domanda (“Sono forse io, Maestro?”) Matteo (26,25) la pone proprio sulle labbra di Giuda.
Nella “Passione”
Nel cortile di casa del Sommo sacerdote (Gv.18,15) è presente un “innominato”. Questo anonimo discepolo (allos matetes) che sta con Simone e che era conosciuto, a detta dell’evangelista, dal Sommo Sacerdote e dalla servitù, altri non poteva essere che Giuda. Se si argomenta dal racconto dei sinottici, egli solo aveva trattato con i sacerdoti, era in combutta con loro e ne conosceva la dimora.
Si può sempre pensare ad un Giovanni pescatore, che portando il pesce per le cene del sinedrio era diventato amico della custode.
Sotto la croce (dove è presente il discepolo amato) l’unico che poteva circolare, sicuro di non essere molestato dalle guardie, era solamente Giuda.
Gli evangelisti tacciono sul comportamento delle guardie verso il gruppo attorno a Maria, e non accreditano all’apostolo Giovanni un pentimento postumo; egli era in fuga con tutti gli altri.
La scena, con la presenza di Giuda, assume tutt’altro significato. Rappresenta nella comunità (Maria), il sacerdote che dovrà offrire a Dio il sacrificio del mistico Agnello; e l’assenza di Pietro e degli altri attesta l’indipendenza della funzione eucaristica.
Nel punto più alto della sua passione, mentre si trasferisce nella dimensione dell’anima, Gesù affida la propria Madre al “discepolo che ama”. Questa solennità esige una riflessione profonda, che porta a scoprire in questo passo una ordinazione sacerdotale e quindi il riferimento a Giuda quale erede della titolarità del sacerdozio.
Gesù, con le mani inchiodate, non poteva aggiungere il gesto alle parole, ma indicando se stesso morente, mentre il corpo stava raggiungendo la pienezza divina (“Padre nelle tue mani affido il mio Spirito”) disse alla madre (Teotokos), che sarebbe diventato suo figlio anche il sacerdote che avrebbe continuato ciò che egli stava attuando.
Recuperando questa triangolazione si evidenzia una coincidenza tra il Primogenito morente (Figlio) e gli altri fratelli che lo imiteranno (figlio) e che tutto ciò si attuerà attraverso la mediazione della Chiesa, Madre eucaristica.
In questo contesto scarne parole del Cristo, centrate sul termine genesiaco “Donna”, non degradano alla sola manifestazione di umana preoccupazione per il futuro di sua madre. Trovare un altro apostolo sotto la croce a cui affidare quel compito, sarebbe stato molto improbabile, considerando che, percosso il pastore, le pecore si erano disperse. Ed Egli lo sapeva.
Se si rispettano contesto e parole, e se quell’anonimo discepolo diventa l’immagine del sacerdote eucaristico che, avanti alla Croce del suo Maestro, ha preso ormai coscienza dell’impegno ad un totale servizio, allora, la dichiarazione di Gesù diventa un’ordinazione ed uno statuto. Costituisce nella funzione, e determina con chiarezza le relazioni fra il sacerdote e la Chiesa Madre.
La Chiesa Madre è matrice di sacerdozio. “Fallo tu” aveva detto Gesù a Cana; e allora la Madre ordinò Presbiteri eucaristici quei Diaconi che si dichiararono disposti a versare la propria esistenza (acqua) nella morte (le idrie erano tombe), per risorgere come “acqua ardente”. E ciò facendo provocarono lo stupore di chi per primo aveva ricevuto l’incarico di presiedere la “Cena” ed aveva fatto mancare il vino (Architriclinio come Eletto).
Il sacerdote viene qui costituito servo e custode della Chiesa. Egli è l’uomo del “boccone”, è il nuovo “Maestro della tavola”; che ha compreso di poter realizzare il proprio servizio solo se si farà sacrificatore e vittima; se imiterà quel Cristo Agnello di Dio che gli sta morendo davanti.
Nella Resurrezione
Nel racconto della resurrezione è presente ancora una volta la formula “on efilei o Iesous” (Gv 20,2) quasi ad indicare (con la variante “fileo”) l’inizio della nuova fase eucaristica.
Se allora la passione fu partecipata solamente dal sacerdote, ora la resurrezione deve diventare patrimonio di tutti. È necessario dunque che siano presenti, colui che ha offerto il sacrificio (discepolo), e Pietro quale sintesi di tutta la comunità ecclesiale. Ed allora, stando insieme a Pietro (chiamato Simone), il discepolo riceve la notizia dell’evento sbalorditivo da Maria Maddalena. Questa donna viene presentata comunemente come una prostituta, mentre in realtà è una porné. Il termine, usato nel Pentateuco e ne Profeti, equivale ad idolatra quindi a gentile.
Il discepolo corre insieme a Pietro. Il vangelo dice che ad entrare per primo nel sepolcro di Gesù è Pietro e, solo dopo, anche il discepolo. Questa sequenza profetizza come gli “eletti” (Giuda) sono vicini all’evento della Resurrezione, ma non vi aderiscono subito. Dice anche che la Comunità (Pietro), per poter avere una propria esperienza della Resurrezione, deve diventare essa stessa il sepolcro di Cristo: Pietro che entra nel sepolcro è egli stesso, quale segno di unità della Chiesa, il sepolcro del Cristo.
I gentili, anche se conosceranno più tardi questo evento, precederanno gli eletti nella fede perché saranno subito partecipi della dimensione animica (Sepolcro vuoto). Perciò saranno loro a costituire la Chiesa (che, non lo si ripete mai abbastanza, nasce greca) nella quale accoglieranno l’eletto convertito, il Saulo diventato Paolo, in una parola il Giuda diventato sacerdote eucaristico.
Dopo la Resurrezione
Nel tempo che segue la resurrezione “ekeinos on egapa o Iesous” (quello che Gesù amava) si presenta come chi possiede una maggiore capacità di discernimento religioso, come “Giuda” che illustra gli eletti “che sanno”. Egli (Gv. 21,7) è infatti colui che identifica per primo il personaggio apparso miracolosamente sulla spiaggia: è il Signore dice; e Pietro allora, accolta questa rivelazione, si cinge (della sua anima e non certo della tunica di stoffa che lo avrebbe intralciato) e si getta nel mare simbolo delle Genti.
Nella stessa scena (Gv. 21,20) viene chiarito che questo discepolo è lo stesso che si appoggiò al petto di Gesù e gli chiese “Chi ti consegna?”. Un richiamo per riportare tutto nella Cena e identificare così il personaggio.
Una frase sostanzialmente identica è attribuita, nel vangelo di Matteo, proprio a Giuda.
La storia dell’anonimo personaggio si chiude con un passo altrettanto misterioso che sembra scivolare via come qualcosa di marginale e rappresenta invece il sigillo finale sullo statuto consolare della Chiesa allora costituita.
Pietro (che questa volta non è chiamato Simone), ricevuto il mandato di “pascere gli agnelli”, investito cioè del potere pastorale per il quale egli è garante dell’unità delle molte chiese (case) edificate dai sacerdoti eucaristici, patisce la tentazione della supremazia e dell’esclusività.
Somigliandosi a Cesare, che nelle sue mani regge l’unità del mondo, pensa che nessuno dovrà limitare il suo potere o fargli ombra. C’è un nuovo popolo ed un nuovo capo, e tanto basta. Se nella Famiglia di Dio c’è lui come capo, come garante di unità, che senso ha un’altra funzione autonoma all’interno della Chiesa che ha il compito di edificarle? In che modo questo secondo soggetto dovrà mediarsi con lui ?
In questo passo la tentazione profetizzata è terribile: svuotare di senso l’eucarestia come Madre della Chiesa, trasformandola in comunità, in istituzione governata da un potere regale.
Torna così ad aleggiare sulla scena il fantasma del “popolo eletto”, governato solo da un Sommo Sacerdote e da un Sinedrio, perché sia dimenticato l’Agnello pasquale, unico indice di Vita e di libertà. Una profezia che la Bibbia aveva anticipato. Infatti, nei suoi libri il popolo non celebra mai la pasqua come fonte e ragione della propria speciale relazione con Dio.
È in questa ottica drammatica che si ripete la domanda fatta da Gesù: «Pietro, mi ami tu più di costoro?».
Oppresso da questa tentazione, Pietro entra in crisi. Ha capito di non essere solo, ha visto vicino al Maestro anche il discepolo amato. E non dimentica che l’altro discepolo è stato investito di compiti che a lui non sono stati affidati: “consegnare Gesù”, e “custodirne la Madre”, cioè la matrice della Chiesa. Preoccupato della presenza dell’altro ne chiede ragione a Gesù: «E di lui?» come a dire: tu mi hai costituito capo, ed ora devi precisarmi il ruolo di questo discepolo che ami.
Se si compita “outos d’eti”, la richiesta di Pietro diventa ancora più pressante: «Ancora lui?!» cioè, perchè costui viene ad interferire sul mio primato?
Gesù non accetta la provocazione di Pietro e non stabilisce gradazioni di potere e subordinazioni gerarchiche; ma mira all’esercizio congiunto delle due funzioni: quella dell’unità che porta a perfezione e quella dell’eucarestia che costruisce il materiale vivo dell’unità.
Egli ha già chiarito tutto dando un “nome” a Simone e riservando a Giuda l’anonimato.
Perciò, a seguire la versione corrente, gli risponde: «Se voglio che lui rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Ricompitato: E an’Auton telo menein. Eos ercomai, T. i pros se, intende: «voglio che egli resti costituito sull’Ardente. Egli fino al mio ritorno (è) per te la Perfezione».
E si coglie così un chiaro risvolto eucaristico in quel “Auton” derivato da “auo” ardere, che rimanda alle specie consacrate (ardenti di Spirito), perfezione di unità per la Chiesa (pros se).
