È arduo riflettere ponderatamente sul lascito dell’illuminismo. La filosofia dei Lumi è tuttora al centro del dibattito intellettuale in Francia ed altrove; ma, come per altre questioni, la qualità dei giudizi soggettivi è determinata da singole posizioni ideologiche, piuttosto che da disamine storico-culturali.
Tutti noi – occidentali contemporanei – siamo figli dei Lumi. Il nostro modo di pensare riflette l’analiticità della speculazione greca, ma la vera laicità moderna – considerata come emancipazione dalle sovrastrutture religiose – è una conquista illuministica.
Anzitutto, credo, che sia sbagliato formulare giudizi perentori e lapidari. Tutti noi – occidentali contemporanei – siamo figli dei Lumi. Il nostro modo di pensare riflette l’analiticità della speculazione greca, ma la vera laicità moderna – considerata come emancipazione dalle sovrastrutture religiose – è una conquista illuministica. La tolleranza religiosa ed etnica, quando è presente, la dobbiamo all’illuminismo. Se oggi, non decapitiamo più in piazza le teste degli infedeli, è perché dietro la nostra storia vi sono Kant e Voltaire. Se oggi esiste un pensiero postfemminista ed esiste un soggetto politico femminile, lo dobbiamo ai Lumi. Il pensiero e le scienze umane sono figli dell’illuminismo. Disconoscere questi meriti, mi sembra incorrere in un atto di disonestà intellettuale. Anche l’illuminismo, tuttavia, presenta aspetti ambivalenti: è verso questi che s’indirizza il mio pensiero. Senza nessuna critica pregiudiziale sulla base di articoli di fede o di assunti tradizionali, prodromi di posizioni dogmatiche e settarie. La critica dei Lumi, a mio avviso, per essere efficace deve concernere soprattutto l’uso distorto, deformante e totalitario, che è stato fatto di alcuni concetti, di per sé progressisti e libertari. Anzi, possiamo dire, come ricorda una delle nobili verità del buddhismo, che è l’abuso stesso di un piacere o di un’idea a condurre alla sofferenza. Questione che non concerne, ovviamente, il fine, la libertà, ma i mezzi atti ad assicurare lo scopo. Così si deve distinguere la ragione critica, dalla sua Ombra, la ragione strumentale, figlia dell’illuminismo e dello scientismo. Mentre la ragione critica è la facoltà atta a produrre argomentazioni logiche, che pone sopra di sé istanze in grado di trascenderla (la morale, la spiritualità, ecc.), la ragione strumentale rifiuta qualsiasi principio normativo. Pone come unici valori il profitto e l’incremento di potere. Mentre la ragione critica assume postulati da indagare, la ragione strumentale tratta i postulati come principi apodittici, già dimostrati. Come conseguenza, la ragione strumentale è sostanzialmente irriflessiva – si ricorderà la celebre sentenza di Heidegger sulla scienza che non è capace di pensare – si preoccupa soltanto di ricercare il tornaconto personale. Con queste premesse, qualunque etica diventa un ingombrante orpello da travolgere sulla via della volontà di dominio. La ragione strumentale è la massima espressione del nichilismo contemporaneo e rovesciando l’assunto baconiano dell’asservimento della natura all’uomo, finisce per instaurare il dominio dell’uomo sull’uomo. L’essere umano non è più trattato come fine, come voleva Kant, ma come mezzo. Ed è allora un filo rosso ad unire – come ci ricordano Adorno ed Horkheimer in Dialettica dell’Illuminismo – gli idéologues ai Kapò di Auschwitz, ad Hiroshima. Ma non è soltanto la volontà di genocidio ad essere la figlia informe e degenere della ratio illuministica. Anche la lugubre industria culturale è un sottoprodotto o un prodotto deviato della filosofia dei Lumi. Sennonché, per affrontare quest’ultimo argomento, dovrei introdurre un altro genere di considerazioni che non posso – per motivi di spazio – presentare in questa sede e che concernono la rottura epistemologica tra il paradigma modernista e l’episteme postmodernista. Ritornando alle nostre considerazioni, la ragione illuministica – di là dalla sua strumentalizzazione, essa è anche l’organo del pensiero laico e scientifico – è a sua volta il prodotto della dicotomia che si è instaurata dall’epoca dei Greci, la rimozione di tutto quello che non concerne il pensiero razionale. La ragione illuministica è uno dei due corni del dilemma della mente umana, ma per l’appunto il corno vincitore. La mente umana, formata da due emisferi cerebrali, è strutturata per il pensiero mitico e per il pensiero razionale. Dalla grecità in poi – scriverei da Platone, se non fosse che ultimamente sto rivedendo questa concezione – il pensiero mitico, simbolico, la fantasia creatrice, ecc., è stato rimosso e ostracizzato dal predominio di quello razionale, che con la ragione strumentale trova la massima espressione, il campione dell’era tecnocratica. Se come sostiene Philippe Sollers, l’illuminismo in realtà è davanti e non dietro a noi, se la vera età dei Lumi deve ancora essere realizzata, diventa importante perseguire un tipo di pensiero che reintegri entrambe le funzioni della mente umana. Una filosofia della mente fondata sulla correlazione tra il pensiero razionale ed il pensiero mitico. Entrambi pensati come complementari e non come meramente contrapposti. Un’ermeneutica della reintegrazione spirituale e psichica che assumerebbe i caratteri di un vero e nuovo illuminismo. |