In questa prospettiva l’idea di «Tradizione» è pensata più come una trasmissione cognitiva, che come una dottrina primordiale ed incorruttibile, monade metafisica che si mantiene nella sua inalterabile purezza cristallina dinanzi alla relatività dei singoli adattamenti storico-contingenti.
La nozione di trasmissione cognitiva – mutuata dalle scienze religiose e recentemente rielaborata dal grande storico delle religioni rumeno Ioan P. Culianu – presenta l’inconfutabile vantaggio di sottrarre l’intuizione di un nucleo strutturale, afferente all’attitudine antropologica verso la recezione del sacro, a qualunque impostazione dogmatica ed autoritaria.
In questa prospettiva l’idea di «Tradizione» è pensata più come una trasmissione cognitiva, che come una dottrina primordiale ed incorruttibile, monade metafisica che si mantiene nella sua inalterabile purezza cristallina dinanzi alla relatività dei singoli adattamenti storico-contingenti. La nozione di trasmissione cognitiva – mutuata dalle scienze religiose e recentemente rielaborata dal grande storico delle religioni rumeno Ioan P. Culianu – presenta l’inconfutabile vantaggio di sottrarre l’intuizione di un nucleo strutturale, afferente all’attitudine antropologica verso la recezione del sacro, a qualunque impostazione dogmatica ed autoritaria. Per spiegare la Tradizione non c’è bisogno di ricorrere a rivelazioni soprannaturali estatiche, mistiche o iniziatiche. La Tradizione esiste perché l’immaginario non può non essere religioso, abitato da archetipi e da strutture isomorfe che garantiscono la persistenza del mito nella continuità ermeneutica ed esistenziale dell’homo religiosus. Non è in questione la positività della tradizione iniziatica, non si tratta di mettere in discussione la possibilità di un percorso di perfezionamento spirituale. Si tratta di considerare la tradizione iniziatica, da sempre, iscritta in una struttura allargata che comprende l’immaginario di tutto l’uomo religioso e non soltanto del mistico o dell’esoterista. Il sacro che si trasmette nell’immaginario interessa tutta l’antropologia religiosa, comprende anche le fedi exoteriche ed il folklore: la mistica e le correnti esoteriche rientrano in questa grande Tradizione allargata che influenza non soltanto gli eletti, ma anche i semplici fedeli ed i sedicenti atei. La «morte di Dio» non significa tanto l’avvento di un’epoca di emancipazione secolarizzata in cui l’uomo sia finalmente in grado di camminare senza più stampelle teologiche, quanto che il mondo svuotato dagli dei fuggiti fa risuonare l’appello del sacro, l’anelito antropologico verso la dimensione soprannaturale, alla ricerca di nuovi idoli in cui manifestarsi. Si pensi ad esempio all’atteggiamento di culto animistico delle ultime generazioni verso la telefonia ed il cyberspazio: l’Assenza del Divino si differisce e si ritrae nel «mondo sdivinizzato della tecnica» (S. Givone, Storia del nulla, Laterza , Roma-Bari, 1995). Che la nostra epoca sia l’era dell’eclissi del sacro, del trionfo nichilistico della tecnoscenza, è una sciocchezza. Ad essere tramontato non è tanto il Divino, quanto le grandi religioni istituzionali. Dall’avvento del cristianesimo in poi, gli dei non sono mai stati così vicini all’uomo quanto oggi. L’esoterismo ha ricevuto una grande spinta propulsiva dalla modernità, a partire dagli albori dell’umanesimo rinascimentale e proseguendo con la rivoluzione industriale. Si pensi alla diffusione del channeling nella Londra ottocentesca, oscurata dai fumi delle ciminiere e dal clamore meccanico delle prime macchine industriali. Lo stesso consenso per le religioni tradizionali si erode piuttosto nelle autorità e nelle gerarchie sacerdotali e non verso le comunità ed i gruppi ristretti che predicano un ritorno all’autentica fede delle origini, o che propongono risposte alternative alla sfida della modernità. Movimenti religiosi sorti in seno alle chiese storiche, i cui membri dimostrano un approccio più diretto e quotidiano alla fede, guidati da leader carismatici che, a volte, possono esercitare un’influenza maggiore sui fedeli delle stesse gerarchie sacerdotali. Ma a diffondersi non sono soltanto i gruppi sorti in seno alle religioni monoteistiche, ma anche un tipo di spiritualità «eclettico-solitaria», propugnatrice di un sincretismo à la carte, dove è il singolo stesso a decidere liberamente cosa accettare e cosa respingere. Si forma così, secondo la formula della sociologa Françoise Champion, quella «nebulosa mistico-esoterica» che caratterizza il nostro tempo, fortemente improntato al recupero degli dei pagani o alla scoperta delle filosofie orientali. È chiaro che oggi ad essere «agonizzanti» sono soprattutto le chiese monoteistiche, intese come detentrici esclusive dell’ermeneutica religiosa. In questa nuova temperie culturale – che la chiesa cattolica cerca in tutti i modi di contrastare – si declina un’altra articolazione dell’ homo religiosus, che deve essere studiata dalle scienze umane e pensata dalla filosofia. I tentativi di radicare l’identità su di un humus tradizionale etnico-tradizionale (il «perché non possiamo non dirci cristiani») si configurano piuttosto come tentativi di contrastare la globalizzazione ed il multiculturalismo destinati allo scacco finale. Resistenze e reazioni volte a trasformarsi in relitti ideologici: ci saranno sempre più buddhisti o induisti in Italia e cristiani in India. È il momentum che propugna il superamento delle identità neocon a favore del multiculturalismo o – in alternativa – il ritiro dal Mondo. Pensare questa nuova temperie richiede un nuovo approccio teorico aperto al Tutto e non più asserragliato all’interno della sola filosofia cristiana e della tradizione giudaico-cristiana. Una nuova «teoria» il cui antesignano e caposcuola non può che essere Zolla. Questo nuovo approccio, necessariamente comparativo, si radica in un’alogica che attinge deliberatamente non soltanto al lógos, ma anche alla rêverie, all’onirico, al mito, alla letteratura fantastica. Una «cartografia dell’immaginario» che si basa sul principio del «terzo ammesso», sulla rottura della logica binaria, che fonda le sue disamine su una temporalità simmetrica e non storico-progressiva, su di una concezione spaziale omogenea e non separabile. È ridondante nella ripetizione di costellazioni simboliche, mitiche, narrative: una struttura sincronica che ruota attorno ad un tema centrale. È un modo di pensare che offre un’alogica alternativa rispetto a quella del principio di non-contraddizione e del terzo escluso, del sillogismo e della descrizione evenemenziale. Un approccio che non esclude il lógos – tutt’altro! – ma solo il logocentrismo. Un nuovo abbraccio tra lógos e mýthos. |