Bataille, mistico nietzscheano dell’eterno ritorno

Dialoghi FilosoficiQuasi tutta la filosofia francese ha sempre tentato di leggere Nietzsche in parallelo con Sade, non soltanto lungo l’asse Freud-Marx. La volontà di potenza ed il superuomo si correlano molto bene con il trasgressivo soggettivismo – ratiocentrico o psicotico/onirico – del libertino francese. Meno bene di quanto avviene con l’Eterno Ritorno, che apparentemente costituisce una vera e propria soluzione di continuità nel pensiero nietzcheano. Almeno fino a Bataille: quest’ultimo costruisce la sua lettura nietzscheana proprio su quello che è stato un elemento di difficile armonizzazione con il resto del pensiero del filosofo tedesco.

Bataille, mistico nietzscheano dell’eterno ritorno

di Antonio D’Alonzo

Georges Bataille provò sempre un grande interesse per le forme di erotismo estremo, fino ad avvicinarsi alla “Via della mano sinistra”. Negli anni ‘30 progettò la formazione di una società neopagana imperniata sulla celebrazione di sacrifici umani. Fu persino designata una prima vittima sacrificale, ma l’inizio del secondo conflitto mondiale annullò il progetto. In certi periodi della sua vita, Bataille, con la sua ricerca esasperata di imprese oltraggiose e con la persistente teorizzazione della trasgressione assurta a stile di vita, si avvicinò all’estrema destra. L’assimilazione giovanile di una certa critica di stampo marxista dell’ideologia borghese, contribuì a rettificarne il pensiero: sebbene anche la sua adesione all’idea rivoluzionaria dovesse fondarsi non tanto sulla società senza classi, ma su un mondo libertino in cui poter godere senza remore delle sensazioni estreme.

In questo Bataille, come Foucault, si mostrò pronto nel recepire il messaggio sadiano in termini di critica della cultura. I postrutturalisti utilizzarono il pensiero del divino marchese in funzione della liberazione del rimosso e del negativo contro le sublimazioni sociali, mentre i critici marxisti vi lessero l’edificazione della ragione materialistica nell’età dei Lumi.

Quasi tutta la filosofia francese ha sempre tentato di leggere Nietzsche in parallelo con Sade, non soltanto lungo l’asse Freud-Marx. La volontà di potenza ed il superuomo si correlano molto bene con il trasgressivo soggettivismo – ratiocentrico o psicotico/onirico – del libertino francese. Meno bene di quanto avviene con l’Eterno Ritorno, che apparentemente costituisce una vera e propria soluzione di continuità nel pensiero nietzcheano. Almeno fino a Bataille: quest’ultimo costruisce la sua lettura nietzscheana proprio su quello che è stato un elemento di difficile armonizzazione con il resto del pensiero del filosofo tedesco.

La prima opera filosofica di Bataille è L’expérience intérieure, che insieme agli altri due volumi Le coupable e Sur Nietzsche formano quello che egli stesso definì-parodiando San Tommaso, una «summa atheologica», una mistica senza Dio. L’opera più importante di Bataille è, però, La part maudite, nella quale il pensatore francese si occupa del problema della produzione e del dispendio dell’energia, individuale e collettiva. Secondo Bataille, l’uomo dispone di un’energia eccedente alla sua crescita ontogenetica. Questa «parte maledetta» deve essere scaricata attraverso la nutrizione, la riproduzione, la morte. È possibile organizzare delle feste e dei baccanali, durante i quali si ha il dispendio (dépense) della parte maledetta. In questo frangente l’individuo acquista sovranità sul processo catartico. Viceversa, nei cataclismi civili e nelle guerre, l’uomo si trasforma in soggetto passivo ed il dispendio acquista sovranità su di lui, essendo regolato da processi ordinati estrinsecamente per regolare la catarsi del sistema sociale. È così possibile correlare il wille zur macht («volontà di potenza») nietzscheano con la parte maledetta batailleana. L’eccesso del dispendio è la rilettura della concezione energetistica del mondo nietzscheana, intesa come perenne lotta delle volontà di potenza. Inoltre, la sovranità attiva che l’uomo acquisisce con la festa, richiama le pagine della Nascita della Tragedia, dove i baccanali diventano il momento catartico per eccellenza in cui l’uomo rientra nel Tutto e può guardare attraverso l’abisso del fondo primordiale. Nella parte maledetta, Bataille vede la negazione della possibilità hegeliana di ridurre totalmente, il pensabile all’esistenza: in quanto eccesso energetico – la volontà di potenza – si configura come scarto e iato irriducibile. L’Alles ist kraft nietzscheano proietta Bataille verso una mistica dell’Altro, un’eterologia, che incomincia principalmente con l’opera sul filosofo tedesco.

Sur Nietzsche [1] è un testo complesso e di non facile lettura. La struttura del saggio, frammentaria e dispersiva, ricorda molto lo stile aforismatico del Nietzsche del periodo di Basilea. Il saggio è una sorta di diario che racconta gli anni di Bataille nella Parigi dei primi anni quaranta, durante l’occupazione nazista. Bataille racconta le speranze e le delusioni, fino al festoso preludio della liberazione americana. Nel diario compare una misteriosa donna K., con cui Bataille ha una relazione e di cui si serve come strumento, per una serie di viaggi introspettivi di avvicinamento allo stadio supremo della chance come possibilità di esperienza-limite. Nell’attesa spasmodica della liberazione dall’occupazione, Bataille incastra aforismi nietzscheani e dialoghi improvvisati con interlocutori enigmatici, in una pluralità di piani narrativi che ricorda molto la tecnica dei flussi di coscienza joyceani. Il quadro che ne viene fuori è bizzarro ma interessante: forse è uno dei primi tentativi di stile postmoderno. Bataille nella prima parte definisce Nietzsche come filosofo del male. Più degli altri filosofi francesi, Bataille ha l’abitudine di non argomentare sufficientemente le sue idee. Egli si limita a dire che il male è antitetico alla costrizione, cioè alla morale imposta. Bataille avvicina l’immoralismo di Nietzsche a quello di William Blake: per quest’ultimo l’energia viene solo dal corpo, che è eterno diletto e si contrappone al bene come espressione di decadenza della ragione. Ma nello stesso tempo è qui presente la solita lettura sadiana di Nietzsche: la liberazione del negativo, la critica alla morale dell’epoca. Come ho scritto, l’eccesso di energia, la parte maledetta di Bataille, è correlabile con la volontà di potenza. La liberazione incontrollata della volontà di potenza – la parte maledetta – sarebbe un male e procurerebbe dei disastri sociali: di qui la necessità del dispendio, come economia generale dell’energia eccedente. Bataille decide che la via privilegiata attraverso cui avverrà la sua interpretazione di Nietzsche non passerà tanto attraverso il wille zur macht, quanto attraverso l’idea del ritorno. Infatti, in Sur Nietzsche, si affretta a svalutare la volontà di potenza:

«la “volontà di potenza”, considerata come un termine, sarebbe ritornare indietro. Seguendola, ritornerei alla frammentazione servile. Mi prefiggerei di nuovo un dovere e il bene che è la potenza voluta mi dominerebbe»[2].

Per Bataille la volontà di potenza è legata alla pesantezza, al vassallaggio della «Kraft durch Freude». Quest’ultimo termine usato dal pensatore francese è uno slogan nazista, segno evidente che Bataille si rende conto che porre troppo l’accento sul wille zur macht significa cadere in una pericolosa ambiguità; del resto, non si deve dimenticare che egli sta scrivendo in una Parigi occupata. Viceversa, porre l’accento sull’eterno ritorno significa sottolineare la danza e il riso di Zarathustra, la leggerezza rarefatta, l’assenza di uno scopo, il rifiuto di ogni progetto, ovvero la più convincente antitesi di tutte le ideologie nazista:

«Di ciò non si dubiti nemmeno un attimo: non si è capita una sola parola dell’opera di Nietzsche prima di aver vissuto questa smagliante dissoluzione nella totalità»[3].

Il progetto di Bataille è determinato da un intento primario: la messa in questione della sovranità del soggetto. Bataille è stato il primo a parlare di eterologie, di un sapere che non deve essere ricondotto al già-noto, ma deve aprirsi come spazio in cui gioca l’esperienza del non-sapere, del limite, dell’incommensurabile. Bataille vede l’eterno ritorno come dissoluzione dell’identità verso l’Altro. Il filo di Arianna che Nietzsche vagamente ricerca nei «biglietti della pazzia» è una totale assenza di finalità, una rinuncia prestabilita a qualsiasi progettualità esistenziale. Per Bataille è questa la volontà di deserto e il pathos della solitudine di Nietzsche: la possibilità di vivere l’attimo sconnesso dallo scopo. Il superuomo, che Bataille ribattezza qui «uomo-totale», è colui che vive l’attimo non come prometeica determinazione pragmatica, ma come pura ed evanescente assenza di motivazione: il superuomo di Bataille è simile all’Ulrich dell’Uomo senza qualità di Musil.

Tuttavia Bataille si affretta a distinguere fra il mondo dei fini e quello del non-senso, teorizzando per il suo uomo totale la possibilità di una terza alternativa che prescinda dai due mondi e contemporaneamente le presupponga entrambi. L’azione pura sconnessa dai fini, porterebbe alla trascendenza dell’azione sull’uomo totale che sarebbe così interamente risolto e dissolto in una praxis solipsistica e avulsa da qualsiasi scopo. Viceversa, l’uomo totale non può trascendere l’azione, sottomettendola ad un fine o ad uno scopo, pena una ricaduta nell’utilitarismo del Just-in-time che rifiuta qualsiasi applicazione immediata. L’uomo totale ha così, per Bataille, una terza possibilità: circoscrivere l’azione ad un principio di libertà, purché sia un principio razionale. La ragione deve limitare l’energia, la parte maledetta, secondo l’istanza di principi libertari e ragionevoli.

In ogni tipo di trasgressione codificata possiamo individuare gli stratagemmi per circoscrivere e controllare i margini esterni del sistema sociale. Alla resistenza sono concesse delle piccole nicchie, comunque sotto il rigoroso controllo della ragione che ne sorveglia l’evoluzione. Ma Bataille non si avvede del pericolo insito nella trasgressione conformistica e scorge in questo principio di libertà razionale, l’equivalente della possibilità di raggiungere un’azione, che non si pone come finalità eterogenea. È convinto di aver raggiunto Zarathustra, nella sua danza, nel suo riso. L’uomo totale può avvicinarsi al superuomo solo affrancandosi da ogni perchè, da ogni scopo: l’immanenza, cioè l’agire liberato, è l’avvento del regno del riso.

Più avanti, Bataille introduce i termini del «culmine» e del «declino», da intendere rispettivamente come esuberanza ed esaurimento consequenziale. Il culmine – il wille zur macht, la parte maledetta – è paragonato al castello di Kafka, in quanto come quest’ultimo è inaccessibile. Il culmine può essere raggiunto soltanto involontariamente, evenienzalmente: la dissolutezza stessa, sempre secondo Bataille, una volta che diventa un obiettivo di vita, cessa di essere tale. Per arrivare veramente al culmine della dissolutezza si deve restare innocenti, puri. È presente in queste pagine un chiaro richiamo ai Tantra, che d’altronde Bataille conosce bene. Tutto il pensiero di Bataille sembra orientarsi verso una mistica negativa, una teologia senza il Dio cristiano. Verso una dissoluzione dell’identità nell’assenza, nel non-sapere.

«Il culmine non è “ciò che bisogna raggiungere”; il declino non è “ciò che bisogna eliminare”. Come il culmine alla fine non è che l’inaccessibile, il declino è fin dall’inizio l’inevitabile»[4].

Ma se il culmine, la catarsi dell’energia eccedente, può essere raggiunta individualmente e non socialmente solo se abbandoniamo la ricerca di uno scopo, di un motivo determinato, non resta che aprire il nostro quotidiano al tempo del gioco. Per Bataille si può distruggere la trascendenza – l’identità, l’Io – solo con il riso. La risata e la danza di Zarathustra non sono però espressione della volontà di gioco ma apertura al gioco:

«La risposta che ci vien data al desiderio è vera soltanto se non afferrata»[5].

La chance può solo accadere, non può essere ricercata. La chance, come l’ereignis heideggeriano, è lo spazio in cui l’uomo, evenenzialmente, può venire a trovarsi. In Bataille vi è volontà di chance, solo nel senso che, quando la possibilità accade si deve mettere in gioco la vita stessa per realizzarla, o più esattamente – dato il carattere casuale della chance – per viverla. Questo mettere in gioco sé stessi, fino a correre il rischio di perdere il bene più prezioso – la vita – è ciò che si deve intendere per esperienza-limite. L’esperienza-limite è stata quindi aperta non dallo slancio di una volontà titanica, ma da una chance, da un evento casuale. Bataille si affretta a dirci che il vero seguace di Zarathustra, ovvero l’uomo totale, non è colui che vive pericolosamente, ma colui che ha non ha più niente da fare o da realizzare nella sua esistenza. Si è con Zarathustra solo se non si ha più fede in ciò che si compie. È la Liberazione, il Satori dello Zen: si mette totalmente in gioco l’identità, l’Io, in una possibilità che si apre improvvisamente, nella sua casualità, all’interno del nostro quotidiano. Non si persegue più la volontà di chance quando si rischia per qualcosa che non è evenenziale ma finalistico, per esempio una concatenazione di obiettivi parziali per un grande progetto. Ecco perchè l’uomo totale di Bataille somiglia all’Ulrich musiliano nel suo non persistere negli intenti: anche se mette in gioco la sua vita, non si sa mai dove sarà l’attimo successivo. Mette in gioco se stesso in ciò che accade cercando di raggiungere l’impossibile nella casualità della chance, non riesce però a vivere il quotidiano, inteso come impegno giornaliero e progressivo:

«Non aver nessuna esigenza finita. Non ammettere limiti in alcun senso»[6].

 

Nel prosieguo del suo testo, Bataille identifica la volontà di chance con l’amor fati nietzscheano. Si sofferma anche a contrapporre la volontà di chance e la temporalità a Dio e al tutto: se si vuole la chance non si può desiderare, sempre secondo Bataille, Dio. Verso la fine del suo libro, Bataille sottolinea ancora la quasi identità della sua idea della chance con quella dell’eterno ritorno nietzscheano. In entrambi i casi la condizione essenziale dell’amor fati è l’assenza di uno sforzo, il vivere l’attimo come leggerezza e nonsenso:

«Se non esiste più un grande meccanismo in nome del quale si possa parlare: come tendere l’azione, come domandar di agire, che fare?»[7].

La risposta se la da Bataille stesso, quando dice di volere unicamente la chance, sia come scopo che come mezzo in sé. Bataille definisce teopatico questo stato di immanenza in cui si risolve completamente l’identità nella chance, aggiungendo anche che questo culmine è ciò che trasforma l’essere in tempo – qui è evidente il richiamo al famoso passo di Nietzsche sul culmine della contemplazione – ovvero lo apre all’immanenza, in una non differenziazione dell’essere dall’oggetto possibile. È davvero impossibile non avvedersi di questa apertura mistica nel pensiero del francese, il quale usa termini come teopatia e parla di stati di indifferenziazione con l’essere, che sembrano essere usciti più dagli scritti di un Meister Eckhart che di un nietzscheano. Per Bataille, Nietzsche è soprattutto il profeta di una volontà ossimoricamente assente di finalità, totalmente priva di una qualsiasi direzione utilitaristica: già il termine volontà di potenza è equivoco. Vi è volontà di potenza solo perchè si richiede una catarsi dell’energia eccedente, solo perchè la parte maledetta si spengerà nel dispendio. Ma per Bataille la soggettività si esaurisce in un’azione liberata dagli scopi, che proprio per questo non si ferma all’essente, alla datità, ma va oltre verso il possibile. A nostro avviso il Possibile di Bataille è il Trascendens del pensiero mistico: infatti, si rinuncia al progetto dell’esserci, che è ciò che getta l’autenticità della dimensione esistentiva, per limitarsi ad abitare lo spazio del Possibile. In Heidegger la dimensione esistenzialistica si evolve in un movimento spiraliforme centrifugo che porta a focalizzare l’attenzione non più sull’esserci, ma sull’ereignis, sull’av-vento. Non vi è nel suo pensiero una reale svolta, tra un primo e un secondo Heidegger: i due momenti si rimandano presupponendosi a vicenda. Heidegger prima tratta dell’esserci dell’uomo, poi dell’ereignis, ovvero la radura in cui si aprono le possibilità, ma anche la progettualità dell’uomo. In Bataille, viceversa, è assente qualsiasi parvenza di progettualità: anzi, la chance accade proprio perchè non si ricerca più niente nella vita. In altre parole, perchè si annulla l’io e l’identità. La peculiarità del misticismo di Bataille risiede nella sua negatività, nel suo rifiuto della trascendenza, nella sua assoluta immanenza, che si determina come un panteismo ateo:

«Lo stato di immanenza implica una completa esposizione al gioco, tale che soltanto un evento indipendente dalla volontà possa disporre di un essere così a fondo […] il gioco è la ricerca, di sorte in sorte, degli infiniti possibili» [8].

Bataille, da buon nietzscheano, identifica questo stato di immanenza come un essere al di là del bene e del male, alla libertà dei sensi ed al rifiuto dell’ascesi: è la via del tantrismo dove si usa l’energia del corpo per raggiungere la mokśa, la liberazione finale. La sua originalità consiste nel tentativo di coniugare un nietzscheanesimo, finalmente denazificato, con una mistica negativa d’ispirazione orientale. Solo l’essere riuscito a concepire questa lettura nell’ora della disfatta, in una Parigi occupata, gli vale più di plauso.

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Note

1. G.Bataille, Su Nietzsche (trad. italiana di Sur Nietzsche ), Cappelli, Bologna 1980 (torna al testo)

2. Id, p. 31. (torna al testo)

3. Id, p. 32. (torna al testo)

4. Id, p. 63. (torna al testo)

5. Id, p. 89. (torna al testo)

6. Id, p. 121. (torna al testo)

7. Id, p. 153. (torna al testo)

8. Id, p. 161. (torna al testo)

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