Il termine via sembra riferirsi ad un metodo, un percorso o sentiero di evoluzione e auto-realizzazione. Varie vie mistiche e religiose hanno usato questo termine nonostante la loro distanza culturale. A volte troviamo la parola cammino come sinonimo di legge, quando vuole essere d’esortazione e monito al suo compimento in relazione all’ordine etico e spirituale.
La Via, la Verità, la VitaIl termine via sembra riferirsi ad un metodo, un percorso o sentiero di evoluzione e auto-realizzazione. Varie vie mistiche e religiose hanno usato questo termine nonostante la loro distanza culturale. A volte troviamo la parola cammino come sinonimo di legge, quando vuole essere d’esortazione e monito al suo compimento in relazione all’ordine etico e spirituale. La via come metodo di risveglio della coscienza, fu ben sintetizzato nella celebre affermazione del Cristo: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno va dal Padre se non attraverso me.” (Giovanni XIV, 6). In greco il cammino o via si dice “odo”, suffisso di “meta” che unito al prefisso, crea la parola metodo, col significato di “andare più in là”; letteralmente si traduce con “arrivare” a buon fine. Alcune chiese usano l’espressione “verso salvazione”, dove la parola salvazione equivale a restaurazione, restituzione, reintegrazione, auto realizzazione, alludendo al risveglio della coscienza dell’essere umano come requisito per realizzare l’Unità attraverso l’esperienza. Allora, la via indica azione. Il misticismo del cristianesimo primitivo diede enfasi al sentiero, o come dice la Bibbia, la strada, con significati che andavano oltre la semplice espressione. Nella Bibbia troviamo certe allusioni che lasciano pensare che la strada era una scuola o il gruppo mistico formato da San Paolo. Si dice che questo gruppo fu perseguitato nonostante operasse nel più stretto riserbo. Negli Atti di Paolo alludendo ad un incidente tra Paolo e il governatore Felix, è detto: “Se trovaste qualcuno durante il tragitto, sia uomo o donna, portateli a Gerusalemme”, e nello stesso libro leggiamo: “… Ed allora lungo la strada ci fu una grande commozione”. Un altro riferimento lo troviamo in Matteo VII, 13, dove si distingue tra due strade opposte così dice: “Entrate dalla porta stretta; perché larga è la porta, spaziosa è la strada che porta alla perdizione. Sono molti quelli che entrano attraversandola; più è stretta la porta, più si stringe la strada che porta alla Vita. Sono pochi quelli che la trovano”. Nell’Antico Testamento c’è anche più di un riferimento alla via o strada. Prendiamo il Salmo 19 che comincia così: “Felici quelli che vanno per la via perfetta, quelli che procedono nella legge di Dio”. Questo e tutti gli altri versetti di questo salmo, si riferiscono al termine strada alludendo al termine legge, lasciando capire che colui che osserva la legge si trova sulla buon strada. Anche Maimonide sulla strada commenta: “Il termine halak (camminare), è anche una delle parole che denotano movimento degli esseri viventi, Giacobbe cominciò a camminare lungo la via per incontrare gli angeli di Dio (Gn. II, 1). Quindi il verbo andare/camminare, fu impiegato per indicare il movimento di corpi meno densi: Ed il fuoco camminò sulla terra, (Ez. IX, 23). Lo stesso verbo (andare, camminare) si impiegò per indicare l’espansione e la manifestazione di alcune cose incorporee, a volte significa la manifestazione di qualcosa di spirituale, ed altre, l’assenza di protezione divina che si allontana alla maniera di un essere vivo che cammina. Più tardi, l’espressione camminare fu applicata al comportamento riguardante solo la vita interna, senza il bisogno del movimento corporale, come nei seguenti passi della Scrittura: E tu camminerai nelle sue strade, Deum XXVIII 9; Venite e camminiamo nella luce del Signore. Is. II, 5″. Discorsi su DioSeguiranno ora dei discorsi su Dio da differenti punti di vista dovuti alle età della vita e al differente grado d’esperienza. Dall’età infantile a quella della ragione, per la caratterizzazione data da un linguaggio, come quello ermetico al quale siamo abituati, o che provengono da un’esperienza mistica. Visioni diverse di Dio che né determinano una differenziazione nelle definizioni, che appartengono ai limiti umani e non certamente divini. Dio per i bambiniNon possiamo immaginare come un bambino piccolo immagina o interpreta Dio, la sua giovane mente non si è ancora formata una realtà di Dio. Mentre gli adulti pensano che il bambino è una creatura di Dio, il bambino non si pone il quesito che Dio è. Non sa che esiste, perché per lui non esiste. Con il passare degli anni il bambino comincia a concepire Dio così come gli adulti, genitori o educatori, glieLo descrivono. L’idea di Dio che l’adulto trasmette al bambino viene semplificata nel concetto di bene e male, questo è quello che generalmente viene fatto imparare. In questo modo il Dio che indichiamo non ha niente a che vedere col Dio dell’esperienza mistica. La religione contribuisce fortemente all’idea di Dio che viene insegnata. In un recente passato l’immagine prevalente era quella di un Dio da temere, un Dio che puniva (ed ancora assai radicata nell’immaginario popolare); ora comincia ad emergere l’idea di conoscere ed amare Dio, in modo che se ne abbia coscienza almeno per educazione, se non per realizzazione . Il Dio della ragioneIn tutti i casi in cui i mistici nominano Dio, usano ripetere “Dio del mio cuore, Dio della mia comprensione”, lasciando così libertà assoluta ad ognuno di comprendere e realizzare interiormente l’idea di Dio e di manifestarlo nella propria vita, così come lo si sente e lo si intende. Se a cento persone chiedessimo “chi è Dio”, ascolteremmo probabilmente cento risposte diverse. Ci si può domandare allora: può Dio essere di tante forme come tante menti lo pensano? La capacità d’intendere e comprendere l’idea di Dio cambia crescendo: oggi non riconosceremmo quella che avevamo da bambini. A mutare quindi non è la realtà di Dio ma colui che vuole indagarla e allora la frase “Dio del mio cuore, Dio della mia comprensione” tiene conto saggiamente di questo continuo cambiamento. Ora focalizzeremo diversamente il tema della realizzazione di Dio per vedere se arriviamo a percepirlo in coscienza. Dobbiamo accertare i modelli di riferimento della nostra mente scoprendo i paradigmi che determinano il modo nel quale vediamo e accettiamo un’idea. Il dizionario della lingua italiana definisce il termine paradigma come “schemi formali nei quali si organizzano le parole nominali e verbali con le loro rispettive riflessioni”. Vuole dire che un paradigma è un esempio o modello che abbiamo assunto e per mezzo del quale realizziamo le idee, cioè, realizziamo nella nostra mente temi astratti; potremmo anche concepirli come schemi mentali attraverso i quali interpretiamo la realtà. La parola paradigma proviene dal greco e significa modello. La scienza e tutte le discipline che si basano su asserzioni o che stabiliscono un modello per spiegare teorie utilizzano paradigmi, ma questi, quando si esauriscono o si imbattono con idee che non si incastrano con quelle promulgate, cambiano radicalmente. Una volta stabilito un modello, un paradigma, tutte le percezioni si incastrano nella stessa “stanza” mentale e raramente abbiamo la possibilità di analizzarle da un altro punto di vista. Reiterando sempre un modello chiudiamo il passaggio a nuove percezioni, perché assumiamo prevalentemente la realtà delle proiezioni del modello acquisito. Questo crea una realtà ingannevole, e per questo motivo, agli studenti di misticismo viene insegnato che se vogliono imparare qualcosa di nuovo, prima devono disimparare. Detto in altro modo, per realizzare nuove idee, prima dovremo distruggere il paradigma o modello con il quale analizziamo le cose. È come se un proiettore dirigesse la sua fonte di luce su uno schermo bianco sul quale appaiono le immagini del film. Eliminare il modello stabilito equivarrebbe a proiettare sullo schermo solo la luce del proiettore, senza immagini. Da quanto esposto fin qui, possiamo osservare che tutto il tema del cambiamento della percezione è in rapporto con la coscienza, perciò dobbiamo mettere a fuoco anche questo concetto. Ci sono distinte definizioni enciclopediche della coscienza, che dipendono dalla corrente filosofica e/o psicologica. Una di esse dice che consapevolezza è la “auto-coscienza della propria esistenza e delle sue modificazioni”. Ma se abbiamo un modello educativo stabilito o paradigma dell’auto-coscienza come possiamo raggiungere la vera auto-coscienza? Se percepiamo sempre dallo stesso punto di vista a cui ci obbliga il modello educativo, sarà difficile sapere realmente chi siamo. Nell’esempio del proiettore e dello schermo, noi proiettiamo un film già conosciuto in precedenza, in modo che la nostra coscienza dell’io, o auto-coscienza, non potrà rilevarlo come nuovo. Un’altra definizione sembra voler evitare il problema definendo la coscienza come “l’aspetto soggettivo ed incomunicabile dell’attività psichica”. Per la psicologia, la coscienza è un auto-conoscimento riflesso di quanto abbiamo fatto, in modo che l’atto di conoscenza rimane limitato ai nostri temi mentali senza prendere in considerazione l’io più intimo ed universale, cosa che risolse Kant distinguendo tra coscienza psicologica e coscienza trascendentale, mentre Hegel arriva ad una coscienza metafisica che abbraccia la realtà tutta. Nel rosacrucianesimo, la coscienza è una funzione della Forza Vitale, pertanto, è un tema dell’anima e non solo del corpo, della mente e dei suoi aspetti psicologici. Pertanto, la coscienza è universale, cioè, non risiede esclusivamente nel cervello. Per tutto ciò, quando ci riferiamo alla coscienza affrontiamo problemi del linguaggio e dei paradigmi o modelli stabiliti. Ciò premesso, da un lato diciamo che la coscienza è universale che è ovunque ed è sempre. Dall’altro ci contraddiciamo dicendo che la coscienza è mutevole. Se abbiamo detto che Dio non è la stessa cosa per noi nelle differenti tappe della nostra vita, è perché assumiamo un cambiamento di coscienza. Qui sta la trappola, quando ci riferiamo alle nostre percezioni ci sembra che la cosa cambi, ma quando ci riferiamo alla “cosa in sé”, prescindendo dalla nostra messa a fuoco, ciò che «è» ne rappresenta l’essenza; pertanto, non gli si possono attribuire cambiamenti, classificazioni, né elementi comparativi. Pertanto possiamo dire che Dio è coscienza, che, filtrata dal nostro modello sarà mutevole, ma eliminando il paradigma stabilito, Dio è Coscienza, e rimane tale attraverso i tempi, senza principio, né fine e senza cambiamenti. Ora parliamo del modello abituale e diciamo che la coscienza è cangiante. Ci renderemo conto che quando leggiamo un paragrafo della Bibbia, riflettendovi e rileggendolo a distanza di tempo, il senso del testo è cambiato. Le parole sono le stesse, ma non il senso che gli diamo. Questo ci fa percepire cambiamenti nella coscienza, ma la Coscienza, con la C maiuscola, non è cambiata; è successo che con un semplice esercizio abbiamo destato la coscienza. Attribuiamo il cambiamento all’oggetto quando invece siamo noi oggetto del cambiamento. C’è un’altra questione da tener presente, il fatto che noi non abbiamo una presa di coscienza diretta ma attraverso intermediari. Ciò che indichiamo con coscienza è frutto dell’interpretazione che attribuiamo ad una gamma di vibrazioni che giunge a noi. La realtà fisica è ciò che percepiamo ed interpretiamo attraverso i sensi. Nella realtà soggettiva intervengono i mediatori che sono le nostre facoltà mentali, che interpretano prevalentemente secondo paradigmi o modelli stabiliti nei quali incorre l’educazione, le credenze, la nostra comprensione, etc. La nostra coscienza genera allora una proiezione dei concetti presi in esame, in modo che quando si domanda, ad esempio “che cosa è Dio?”, rispondiamo con la nostra proiezione preventivamente stabilita. Uno dei modelli accettati è quello che induce a pensare che la coscienza risieda nel cervello, magari per il fatto che ad esso rispondono terminazioni nervose ed i sensi fisici; ma se passate ripetute volte il vostro dito indice su una superficie, facendo molta attenzione sul dito, potrete sentire e pensare che la coscienza si trova nella punta del dito. In questo modo se gli occhi stessero sulla schiena, potremmo dire che la coscienza visuale si trova lì e non nel cervello. Se avete poi, la capacità di staccarvi dal piano fisico e mentale durante le vostre meditazioni, vi accorgerete che eravate coscienti, non con la coscienza della carta d’identità, bensì con quella impersonale che abbraccia tutto. Un’altro fenomeno, che dimostra quanto la coscienza non sia esclusiva del cervello è la proiezione psichica. Lo sanno anche quelli che dopo un incidente hanno visto il loro corpo giacere inerte. Con che cosa si sono visti? Si sono visti con la coscienza che li pervade completamente; le loro facoltà fisiche non sono attive, ma essi si percepiscono come se stessero osservando il loro corpo dall’alto. La verità è che spesso la terminologia è impropria quando si parla di coscienza, come quando perdendo i sensi, diciamo che siamo rimasti incoscienti, ma non è così, perché la coscienza non si perde mai. Una persona incosciente significa che ha perso la percezione dei sensi fisici, ma continua a percepire con un altro livello di coscienza. La coscienza è una, ma per capirci creiamo dipartimenti in funzione ai modelli stabiliti. Se diciamo freddo, caldo, duro, soave, amaro, rumoroso, rosso, etc., stiamo indicando una serie di vibrazioni che interpretiamo e chiamiamo coscienza oggettiva. Se diciamo felicità, tristezza, tempo, ragione, difficile, allegria, etc., stiamo alludendo ad un’altra gamma di vibrazioni che indichiamo come coscienza soggettiva. Se dicessimo, Dio, l’Essere, il Cosmo, il Maestro Interno, l’Io profondo, etc. dove collocheremmo questa classe di vibrazioni? Normalmente tenderemmo ad interpretare questi aspetti con schemi e modelli che rispondono alla coscienza soggettiva; ne deriverebbe un’interpretazione personale e non una rappresentazione oggettiva. In altri termini parleremmo della nostra idea di Dio, di Essere, di Cosmo, etc., rimanendo distanti dalla verità oggettiva. La coscienza per dipartimenti mi fa pensare ad una multisala dove girano contemporaneamente quattro film. Uno può entrare in una sala o in un’altra, ma non può stare in due sale contemporaneamente. Se la sala A la chiamiamo coscienza oggettiva, la B soggettiva, la C subcoscienza e la D coscienza cosmica, ci sembrerebbe che esistano distinte coscienze, benché la coscienza sia una. La coscienza è come la luce che esce da un proiettore, le immagini sono l’interpretazione dei nostri atti coscienti. Ma nella nostra mente abbiamo un vocabolario e dei modelli stabiliti che ci spiegano quello che succede in relazione con le immagini delle sale A e B, mentre questi paradigmi ed il loro linguaggio non ci servono per spiegare quello che succede nei film delle sale C e D. La cosa più probabile è che i film di queste due ultime sale non contengano immagini, ma interpretiamo la corrente di luce, o di coscienza, con le immagini della sala B previamente stabiliti. A questo scopo è utile la meditazione, perché rappresenta il metodo per riuscire a percepire la luce e cambiare le immagini mentali, affinché gradualmente la differenza tra quelle proiettate e quelle percepite si annulli, al punto che corrispondano. Per avere un’altra realtà o per lo meno un’altra interpretazione di Dio, bisognerebbe accedere a percezioni più sottili. Poiché la coscienza è una funzione della Forza Vitale della Vita, e la sua corrente è globale, per cambiare i modelli stabiliti, dobbiamo zittire il corpo e la mente ed entrare in meditazione, o detto in altro modo, in comunione con l’Essere, cioè, avere una nuova concezione della coscienza. Destare la coscienza aumentandone le percezioni, c’introdurrà in nuovi concetti e farà sì che la nostra mente cambi i modelli unificando vasti campi di osservazione; nuovi concetti che risulteranno semplici e naturali. Si arriva così ad essere coscienti della coscienza. “Illuminare” un concetto, nel senso di prenderne coscienza o l’idea di una coscienza illuminata, acquisisce allora un nuovo significato. Anche le frasi bibliche “Sia fatta Luce” o “Luce, Amore, Vita” esprimono una coscienza profonda dell’Essere e degli aspetti energetici che quei tre termini indicano. Se come abbiamo visto, tutto è coscienza, potremmo rispondere alla domanda: “chi è Dio?” dicendo che è la nostra esperienza di auto-coscienza trascendente, ma, lasciando aperto l’interrogativo, perché la cosa più probabile è che le reiterate meditazioni ci forniranno nuovi elementi e nuove esperienze, grazie ad un affinamento della percezione, tale da modificare e raffinare i nostri modelli. Abbiamo esperienza di avere cambiato il nostro modello rispetto a Dio? Praticamente la risposta di tutta l’umanità sarebbe di sì. Quando nella nostra educazione religiosa ricevuta a scuola o a casa, ci dicevano che Dio è buono, saggio, poderoso, creatore del cielo e della terra, etc., ci stavano creando un modello che accettavamo senza ostacoli, ma, col passare del tempo, quel dio antropomorfico cedette il passo ad un’altra concezione. Quando nostra nonna ci diceva “che” Dio ti punisce, immaginavamo un dio persecutore che sapeva tutto e che ci spiava per punire i nostri errori. Nel momento in cui comprendiamo la legge del karma, superiamo questa concezione e comprendiamo che il premio o la punizione è un effetto di una causa originata da noi stessi ed è indipendente da Dio (benché ci sia ancora gente che non ha compreso la legge del karma non fa altro che sostituire le osservazioni cambiando unicamente la terminologia, ma non l’idea; dicono: “genererai karma”, invece di “Dio ti punisce”). Oggi l’astrofisica inizia a dire che l’universo si crea, si distrugge e torna a crearsi indipendentemente, in un cambiamento perenne di un dio creatore. Anche Maimonide, il maggiore filosofo ebreo, diceva che per sapere qualcosa di Dio era meglio il metodo della negazione che quello dell’affermazione. Egli è molto legato all’idea di lasciare l’interrogazione aperta, perché non è la stessa cosa dire: Dio è il creatore, Dio è Onnipotente, Dio è buono e saggio, etc.; egli preferisce domandarsi: se Dio non è una persona, non è un angelo, non è la terra, non è il cielo, allora che cos’è? Lasciando aperta la domanda, ogni giorno sapremo qualcosa in più di Dio. Ma la mente umana sembra non voler rimanere vuota, ci rifiutiamo di non sapere. Pertanto qualunque idea compiuta soddisfa momentaneamente la necessità umana di credere di sapere qualcosa. Per il momento, diciamo che Dio è coscienza, e come coscienza è Luce, Vita ed Amore. Quindi cerchiamo la realizzazione più intima di Dio e di questi attributi della coscienza; ed essendo questa una funzione della Forza Vitale della Vita, diciamo che Dio è la nostra anima universale. A qualcuno potrà sembrare irriverente dire che questa Forza Vitale è Dio stesso, ma un giorno la loro meditazione, sperimentando la coscienza dell’Essere, confermerà tutto ciò. Il Dio Madre nell’esoterismo giudaico-cristianoNella Chiesa si parla della Madre di Dio, che sembra contraddire che l’idea più grande, più alta, il “summun bonum” sia Dio. Tuttavia, se invece di Madre di Dio, diciamo Dio Madre, stiamo usando un’espressione che non classifica ma che attribuisce qualità a Dio. Nelle righe seguenti vedremo come quella Madre, cioè, il Dio Madre, discende dal cielo simbolico alla terra nell’uomo carnale. Perciò ci baseremo su postulati della mistica ebraica, perché la sua religione non menziona, come nella mistica, un Dio di natura femminile. Questo costituirà la prima parte di questo discorso. Nella seconda parte utilizzeremo il misticismo cristiano di San Giovanni della Croce che ci racconta il viaggio della Madre nell’uomo carnale fino a Dio del cielo. Tutto il ragionamento è prodotto con la presa di coscienza dell’esilio e della necessità di reintegrazione che ci obbliga a dire: «Svegliami Madre, dal mio sonno!» Nella cabala, le tre lettere madri ebraiche: aleph, mem e shin, si riferiscono alle tre lettere del nome di Dio: E H V. Nello Zohar queste tre lettere del nome di Dio si intendono in questo modo: E, è il Padre; H, è la Madre; V, è il Figlio. La cabala dice anche che il sacro nome di Dio di quattro lettere (YHVH), si completa col nome umano di Abramo e ricorda il passaggio del Genesi nel quale racconta che Abram e Saray erano vecchi e non avevano avuto discendenza fino a che Dio include un’acca nel nome di Abramo e cambia l’E di Saray con un’acca. In questo modo si ottiene il tetragramaton o nome sacro di quattro lettere. Gli originali del nome sono Y H V, che come Padre, Madre e Figlio, formano la Sacra Trinità, senza la quale niente di quanto creato esisterebbe, a parte questo triangolo superno. La lettera madre Mem si ubica nella sephira Binah, rappresenta l’acqua, la vergine, la Madre celeste. Ma Padre, Madre, Figlio, sono tre aspetti di un solo Dio. Nel Martinismo tradizionale, si dice anche che tutto il creato parte da Binah, cioè, dall’acqua o dalla Madre. In realtà, i giorni della creazione che narra il Genesi cominciano nella quarta sephira dell’Albero della Vita, cioè, nascono dalla Prima Trinità. Nel misticismo ebraico come nel cristiano si impiega la Vergine o Madre come mediatrice tra l’uomo e Dio. È l’intermediaria per raggiungere l’unione mistica. Ma ora questa mediatrice è posizionata nella sephira chiamata Malkuth, la decima dell’albero e non la terza. In modo che abbiamo una Madre Celeste dalla quale parte la creazione ed una Madre mediatrice per ascendere nella coscienza. Non è che vi siano due Madri, ma è la Madre Celeste ch’è discesa fino all’uomo per aiutarlo nella sua risalita. Questa Madre mediatrice ha molti nomi: regno, gemella, fidanzata, donzella, sposa, matrona, shej’inah, possiamo chiamarla anche l’anima dell’uomo. Una parabola dello Zohar ci fa capire che se vogliamo arrivare a Dio, dobbiamo passare in primo luogo dalla Regina. Dice: “Concorda con la dignità del Re che la Matrona dichiari per Lui la guerra e riceva petizioni per Lui?”. Lo Zohar continua dicendo che Dio considera questa Matrona di alto valore e stima che per onorarla… “gli darò pieno controllo sul palazzo e su tutta la mia casa”. In modo che tutte le nostre lotte col drago, la nostra separazione dall’Unità, il nostro sonno illusorio, etc., si eliminano lasciando che ella stabilisca il suo governo. Così facendo un giorno riusciremo nell’Unione mistica: che l’anima dell’uomo si senta una con Dio. Tutto deve passare per la mediatrice, per la Matrona, che sembra addormentata, ma in realtà il sonno è il nostro che unito all’egocentrismo non ci consente di sentire i suoi sussurri e consigli. San Giovanni della Croce considerato come il più grande mistico del cristianesimo in Fiamma di Amore Viva, descrive poeticamente l’unione dell’anima dell’uomo con Dio. Lo fa attraverso quattro canzoni che dopo l’anno 1584, a richiesta della Sig. Ana di Peñalosa. Ella chiese al mistico un commento chiarificatore sulla canzone dallo stesso nome. In dette spiegazioni, San Giovanni si svagò e godette dei diletti dell’anima, la matrona, nella sua intima unione con Dio. Fiamma d’Amore Viva O fiamma d’amor viva, O cauterio soave! O lampade di fuoco, Quanto dolce e amoroso Egli racconta l’unione mistica con un esempio molto efficace: “quando il vetro pulito e puro viene investito dalla luce, sempre più luce continua ad assorbire, e più luce in esso si concentra, tanto più si rischiara; al punto da sembrare solo luce, e tutto quello che dalla luce può ricevere come luce lo fa sembrare. Così, l’anima, come fiamma d’amore ferisce nel suo più profondo centro…”. Quando l’anima dell’uomo si risveglia del tutto, la sua luce è la stessa luce dello Spirito Santo. Quando la luce dell’anima è la stessa luce di quella dello Spirito Santo, si parla di unione mistica, o di unione dello sposo e della sposa, o il fanciullo e la fanciulla o il matrimonio dell’agnello. Sembra che la frase taoista “vedi e leviga il tuo specchio” o entra nel tuo sanctum od “oratorio”, prendono ora una nuova dimensione. Questo va inteso come l’azione che l’uomo esercita attraverso il risveglio della propria coscienza che è poi consentire alla Regina di governare la nostra vita al fine di giungere a vivere l’Unità. È il nostro viaggio verso Dio attraverso la Regina quello che ci farà consapevoli della Sacra Trinità: nostro Padre, nostra Madre e nostro Figlio. San Giovanni continua “È, dunque, da notare che l’amore è l’inclinazione dell’anima, la forza e la virtù che ci fa raggiungere Dio, perché mediante l’amore l’anima si unisce a Dio; e così, quanto più amore avrai, più profondamente entrerai in Dio e più ti concentrerai in Lui. Possiamo allora dire che i gradi d’amore che l’anima può sperimentare, determinano la profondità dell’unione con Dio, perché l’amore più è forte e più unisce. Ecco perché il Figlio di Dio disse di andare nella casa di suo Padre (Gn, 14, 2)” Gli ebrei, sia i mistici come i religiosi, passano i sei giorni della settimana costruendo il tempio, lavorano sui loro aspetti umani affinché ogni giorno la Matrona sia sempre più presente. Ma il settimo giorno non costruiscono più il tempio, ma tentano di essere il tempio. È la festa ebraica più importante, è il Sabbat. È il giorno in cui per lo meno si cerca di essere in comunione, tentando di essere totalmente con la shej’inah, con l’anima. Ci sono ancora ebrei che escono in processione il venerdì pomeriggio, prima di mettersi al sole, nella vigilia del Sabbat, cantano inni alla Fidanzata, alla shej’inah, e salmi emozionanti che possiamo riassumere nell’espressione: “vediamo, andiamo alla ricerca della fidanzata, riceviamo il sabato”. Questo è il nostro lavoro di tutti i giorni, costruirci e ricostruirci come uomini nuovi per essere preparati all’arrivo della Fidanzata, della Regina o Matrona che è quella che ci riporterà nel seno del Padre, dal quale crediamo di essere usciti, cosa che è successa solo in coscienza. |