Gli uomini del nostro tempo sembrano avere enorme difficoltà a trasfondere anima e amore nella vita di tutti i giorni. È allora necessario che vengano riattivate e stimolate facoltà nascoste e rimosse a causa di pregiudizi e malintesi. Ci riferiamo all’intelligenza del cuore, la quale conduce a ricercare la conoscenza simbolica del mondo, a sviluppare la capacità di scorgere negli eventi naturali, interni ed esterni, l’impronta della mano di Dio.
S tratterà qui dell’importanza della cosiddetta “Intelligenza del cuore” nel cammino cristiano e del ruolo della preghiera profonda. L’intelligenza del cuoreGli uomini del nostro tempo sembrano avere enorme difficoltà a trasfondere anima e amore nella vita di tutti i giorni. È allora necessario che vengano riattivate e stimolate facoltà nascoste e rimosse a causa di pregiudizi e malintesi. Ci riferiamo all’intelligenza del cuore, la quale conduce a ricercare la conoscenza simbolica del mondo, a sviluppare la capacità di scorgere negli eventi naturali, interni ed esterni, l’impronta della mano di Dio. [1] Tale conoscenza simbolica si può realizzare attraverso la trasfigurazione del corpo, vivendo cioè il corpo come metafora dei principi che lo hanno formato, riportandolo alle sue origini luminose, per mezzo di un’esperienza concreta del mistero che si nasconde anche nel ritmo del nostro respiro, nel battito del nostro cuore, nell’origine dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. Per giungere ai principi formatori con i quali Dio ha creato il mondo, è necessaria una inversione, “perché l’impronta di tali principi, che è il mondo, ce li rivela rovesciati”. [2] A questa inversione speculare, necessaria per giungere alle realtà trascendenti, fa riferimento anche san Paolo, che giudica il servizio sacerdotale “un’ombra delle realtà celesti” (Eb 8,5). A proposito del rapporto dell’uomo con i misteri, l’apostolo afferma: “ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia” (1Cor 13,12). Infine, riferendosi alla caduta del velo che nasconde la realtà del Mistero ai nostri cuori scrive: “e tutti noi, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (1Cor 3,18). Allo stesso tempo la conoscenza simbolica richiede una difficile battaglia interiore, nella quale tutte le nostre energie siano tese a riconoscere e superare la dispersione e la frammentazione attraverso il potere unificante dei simboli. Due gravi pericoli ci minacciano lungo questa strada: da un lato uno spiritualismo luciferico, [3] che si perde nella propria spinta ascendente e rifiuta orgogliosamente la discesa nella materia. Chi concepisce il proprio percorso spirituale come altezzoso rifiuto di tutto ciò che è concreto e materiale, come fuga dello spirito dalla materia, non fa che costruire l’abisso in cui dovrà poi precipitare. L’altro pericolo è quello della lettera senza lo spirito, delle morali e dei precetti applicati in modo meccanico, non vivificati da un percorso interiore. Questo secondo pericolo, di natura satanica, conduce l’uomo a una discesa nella materia, al sonno della coscienza, alla negazione di ogni trascendenza. In un suo intervento sul simbolismo della croce, [4] padre Vannucci indica in Cristo il principio unificante, che può neutralizzare sia il potere distruttivo della forza ascendente di tipo luciferico che quello discendente della forza satanica, tesa alla dispersione e alla dissipazione delle energie dell’uomo: “Cristo ha introdotto nell’asse verticale, in cui opera la spinta luciferica, la forza discendente dell’incarnazione e nell’asse orizzontale, diabolico, la spinta verticale della resurrezione della carne.” [5] Le affermazioni su riportate ci consentono di giungere direttamente a uno dei punti centrali del cammino dell’iniziazione cristiana: attraverso l’interiorizzazione dell’esperienza religiosa ci viene data la forza necessaria per integrare le due spinte di cui abbiamo parlato, quella ascendente e quella discendente. A questo proposito un particolare rilievo va dato al simbolismo mariano. Maria è, infatti, la Ianua Coeli, la porta misteriosa che, per opera dello Spirito Santo, può trasfigurare la terra che vincola l’uomo al mondo e alla morte e introdurlo al cospetto di Dio. Ogni essere umano porta con sé, nel profondo dell’anima, uno spazio puro e incorrotto, che entra in risonanza come un diapason se viene sfiorato dall’archetipo della Vergine Maria. Ogni uomo nasconde, nel centro del cuore, un calice che ha il potere di ricevere in sé una “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4, 14), la parola delle Scritture, rendendo fertile quella parte di Terra Vergine che portiamo dentro di noi. [6] La morte profana è un fuoco disperso e smembrato, è il risultato ultimo della ciclicità e dell’amore verso un esterno che si nutre, infine, delle energie destinate alla nostra evoluzione interiore. Questo è l’esito della perdita del Paradiso Terrestre, l’azione del frutto offerto da Eva ad Adamo, che spezzò l’unità tra il dentro e il fuori dell’Uomo. La morte iniziatica, invece, è una trasmigrazione di energie verso il Centro, [7] è una reintegrazione in cui l’Amore, attivato dalla preghiera e dalla contemplazione, è a-mors, cioè senza morte, diretto verso Maria, la porta del cielo e della sapienza. [8] La Vergine Maria, calice destinato ad accogliere il Cristo sulla terra, viene spesso accostata al santo Graal, il calice con cui Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue e l’acqua che sgorgavano dal costato di Gesù crocifisso. Secondo la leggenda il Graal fu intagliato all’inizio dei tempi in uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero, quando questi si ribellò a Dio. [9] Questa coppa mistica, ci riporta allo stesso universo di significati simbolici che abbiamo fin qui esaminato. Il Graal, infatti, rappresenta all’interno dell’uomo lo spazio sacro del cuore destinato ad accogliere il Verbo, il calice invisibile che custodisce il senso interiore della Tradizione Cristiana. All’esterno rappresenta la Chiesa in quanto custode nel mondo della stessa Tradizione, dell’aspetto iniziatico della Rivelazione, in quanto Gerusalemme Terrena che può condurci a quella Celeste. La via cristiana conduce chi la professa a dover unire e integrare questi due luoghi dello spirito, lo spazio sacro del cuore e il Tempio inteso come Centro Spirituale. Narrava ancora la leggenda che la coppa del Graal scomparve dalla terra e che i cavalieri della Tavola Rotonda si proposero come mèta suprema di ritrovarla. Questo pellegrinaggio verso la Terra Santa, questo vagare nel labirinto del mondo alla ricerca del Centro e della Parola Perduta, è destinato al fallimento se il viaggio non diventa anche un cammino interiore. Anche gli alchimisti parlavano di una Terra Vergine, resa feconda da un seme spirituale e destinata a partorire la loro Pietra, una Terra Vergine che spesso essi identificavano con il Sale della Sapienza. La vittoria sulle resistenze interiori e la fraternità universaleL’esperienza cristiana ci conduce a un confronto profondo con la nostra condizione umana e quindi ad affrontare il nodo della dispersione e del male. Chi vuole progredire nel proprio cammino deve riconoscere e combattere le forze che, dentro e fuori di lui, lavorano per separare ciò che dovrebbe essere unito. Di natura sia sottile che materiale, sia invisibile che visibile, esse sono al servizio della frammentazione dell’essere, nonché della disgregazione, scissione e dissipazione delle nostre energie. La divisione che tali forze negative realizzano è proprio quel diaballein in cui si esprime l’azione del diavolo, a cui si contrappone il synballein, il riunire ciò che è disperso, caratteristico dei simboli, la cui intelligenza è spesso stata attribuita dai Padri della chiesa all’intervento di messaggeri angelici. Le forze di ordine spirituale rivolte al male agiscono servendosi delle disarmonie e utilizzano gli esseri umani come veicoli, spesso inconsapevoli, per realizzare i loro disegni. La natura dei simboli viene da esse rovesciata e rivolta ad aumentare la confusione e rendere sempre più numerosi e oscuri i “dialetti” con i quali gli uomini si rivolgono al loro Creatore. [10] Il nostro cammino cristiano deve quindi cominciare dai conflitti interni ed esterni, dalla incapacità di amare e di abbandonare le false certezze dell’Ego, dall’ignoranza della corrispondenza tra ciò che siamo veramente e ciò che accade intorno a noi. Soffermiamoci ora sulle tre vie mediante le quali la dispersione agisce e si manifesta in noi. Analizzare quest’aspetto significa, infatti, riferire all’esperienza quotidiana e concreta le nostre riflessioni sulla condizione umana e sui problemi che affliggono il tempo in cui viviamo. – La prima via della dispersione consiste nel negare valore al percorso interiore. Di conseguenza le istanze profonde vengono plasmate da modelli esterni precostituiti che ci conducono a rimuovere il nostro autentico sentire. – La seconda via della dispersione passa attraverso il predominio dei fantasmi interiori sul principio di realtà: questa via conduce a negare peso e realtà agli eventi esterni e a ridisegnarli secondo le proprie speranze e i propri incubi. È un pericolo che non ha affatto una natura opposta rispetto alla via del predominio dell’apparire che prevale sull’essere. Al contrario ognuna delle due vie, una volta intrapresa, finisce con il potenziare l’altra. Il medesimo squilibrio fa sì che sia talvolta l’interno a inghiottire l’esterno e talvolta l’esterno a dominare sull’interno. – La terza via della dispersione si manifesta attraverso la scissione tra corpo e spirito. [11] Mentre il corpo, mortale, riconduce ogni uomo ai confini del suo essere, alla sua unicità e individualità, al suo patrimonio genetico e ai condizionamenti ereditati dagli antenati e dall’ambiente, è invece possibile riconoscere la presenza dello Spirito in noi solo sentendo profondamente di condividerne i doni con tutti gli uomini che abitano la terra, indipendentemente dal loro grado di consapevolezza. A seconda che il nostro senso d’identità in quanto esseri umani riposi più sul corpo o sullo spirito, tenderemo a coltivare e praticare due diversi generi di fratellanza. Chi si riconosce più nella realtà corporea, tenderà a privilegiare le relazioni che riconducono a una comune origine degli esseri umani e quindi i legami di sangue e di parentela, il rapporto con il luogo di origine, con la terra e con la madre. Non per nulla, secondo la Bibbia, discendiamo tutti dalla stirpe di Caino, l’agricoltore che si era legato alla terra e offriva al Signore i frutti del suo lavoro con sacrifici incruenti. Il secondo tipo di fratellanza è nello spirito e privilegia la meta sull’origine, il futuro sul passato, la comune visione come vincolo fondamentale che può unire gli uomini tra loro. È la fratellanza in cui si riconoscono i viandanti e i pellegrini che condividono lo stesso cammino e ci riconduce piuttosto alla figura biblica di Abele, pastore e nomade, che offriva sacrifici cruenti al Signore, immolando i primogeniti del suo gregge. [12] Caino invece, non facendo scorrere il sangue delle vittime nell’offerta, non lo sacrificava, cioè non lo rendeva sacro. In tal modo non univa l’elemento corporeo con quello spirituale. [13] Egli era destinato ad uccidere infine suo fratello Abele. Ciascuno dei due tipi di fratellanza conduce a pericolose unilateralità, se non viene integrato con l’altro. La fratellanza nel corpo e nella generazione [14] contiene in sé il rischio della totale svalutazione dei valori morali relativi al bene comune di tutti gli uomini. Si privilegia l’avere sull’essere e il passato sul futuro e si assiste all’inflazione del complesso materno, potenziato da una spinta satanica verso il basso. La fratellanza nello spirito (che spesso è solo illusoria pretesa) può invece condurre alla rigidità ideologica e dottrinaria, all’aridità e all’insensibilità, all’assenza di umiltà e di misericordia, a una selettività settaria, ispirata dalla spinta luciferica verso l’alto. La comunità cristiana, attraverso l’attualizzazione del sacrificio del Cristo, è chiamata a integrare tra loro i due generi di fratellanza: se il Verbo non si incarna e non risuona qui e ora per mezzo della preghiera, del sacrificio e dell’offerta, gli uomini non vivranno in un autentico spirito di fratellanza. D’altra parte, se l’esperienza non si trasfigura e non diviene universale attraverso i simboli, essa non acquisirà mai il potere di unire ciò che è diviso. Solo chi ha in sé la capacità di trasformare in oro la propria esperienza quotidiana, può poi metterla a disposizione della comunità. La via del cristiano si realizza quindi attraverso una profonda rivoluzione dell’idea di fratellanza universale. Se Cristo discende veramente nel profondo del nostro essere, se Egli si incarna in noi, allora tutti gli esseri del creato troveranno una risonanza nel nostro cuore, perché “in principio era il Verbo, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto” (Gv 1,1-3). La nostra comprensione del mondo diverrà, infatti, capacità di riprodurre nell’anima il legame invisibile di amore che avvince ogni creatura al suo Creatore il quale è allo stesso tempo origine e meta di tutti gli esseri. Questo è il senso profondo delle parole di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato” (Gv 13, 34) e: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre”. (Gv 16, 25-28). La Preghiera profondaLa preghiera profonda è una delle vie che il cristiano può percorrere per edificare il proprio tempio interiore. Profonda è l’aggettivo che connota il carattere introspettivo e contemplativo che assume la preghiera, man mano che si interiorizza e si radica nelle profondità del nostro essere, nei dinamismi del corpo e della psiche, fin verso il centro spirituale della nostra persona. Non si tratta tanto di orazione intesa come elevatio o ascensio mentis ad Deum, quanto di entrare in questa dimensione dell’essere che chiamiamo preghiera con tutti noi stessi, raggiungendo quell’apertura del cuore e della coscienza che permette ai contenuti della fede di risuonare nell’intimo. Sarà allora possibile percepire l’insegnamento di Cristo in modo vivo e significativo, radicandolo in tal modo nella propria vita. In questo modo arriveremo a una tale confidenza con Dio che diverrà possibile per noi pregare anche rivolgendogli l’invocazione più profonda che sia data a un uomo: Sia fatta la Tua volontà. Di solito l’incontro di preghiera profonda inizia prendendo le mosse dalla preghiera vocale, dalla liturgia, dalla lettura della Parola rivelata, dall’attenzione ai segni e simboli che ci circondano, o da un canto breve e ripetuto sul ritmo del respiro, mentre il corpo assume una posizione comoda e rilassata. La preghiera diventa allora, a poco a poco, una vera e propria meditazione, non discorsiva e non oggettiva, che ci pone in comunione con Dio in silenzio e si risolve in attenzione amorosa del cuore. Possiamo dire che la preghiera profonda è essenzialmente esercizio di silenzio davanti a Dio, non più invocato ma sentito presente nel cuore. Poiché l’esperienza meditativa, anche in campo spirituale e religioso, passa attraverso i nostri dinamismi interiori che sono comuni a tutti, è chiaro che la preghiera profonda produce una riduzione dei processi fisiologici normali, conducendo a un rilassamento e a una maggiore apertura della coscienza e delle capacità intuitive. In sintesi, la pratica meditativa suscita una sincronizzazione dei due emisferi cerebrali, quello destro (intuizione – interiorità) e quello sinistro (razionalità – attività); incrementa le onde alfache vengono prodotte nello stato di concentrazione e rilassamento. La sinergia psicofisica che si viene determinando, ridesta la sensibilità interiore e nello stesso tempo conduce a uno stato generale di distensione, così che le funzioni del parasimpatico si sostituiscono a quelle del simpatico. Questo fenomeno naturale però non è assolutamente lo scopo ultimo di chi si mette a pregare. Si può dire, invece, che quest’insieme di condizioni conduce ed educa all’interiorità, al silenzio, all’ascolto profondo e a una apertura di coscienza che si riscontra poi nella vita quotidiana, la quale si svolgerà secondo ritmi più interiori che esteriori, più armonici e meno aggressivi anche nel rapporto con gli altri. Consente altresì l’accesso al proprio centro interiore e l’apertura a un diverso livello di conoscenza. Chi pratica la preghiera profonda ha come modello la vergine Maria, donna che ha fatto dell’interiorizzazione della Parola di Dio, il Verbo fatto carne, la sua stessa vita e ha permesso in tal modo che le energie della grazia prendessero forma e corpo in lei. Mediante tale tipo di preghiera si riscopre inoltre quella dimensione mistica e spirituale che è così ricca nella nostra tradizione occidentale, non meno che nelle grandi tradizioni dell’Oriente. L’interesse crescente per la preghiera profonda nasce da molteplici fattori, fra cui la conoscenza più o meno sperimentata delle forme di meditazione di alcune religioni orientali e il risveglio in molti, anche cristiani, del bisogno di raccoglimento spirituale e di intimo contatto con il mistero divino. Altro fattore da tenere presente è la riscoperta dell’importanza del corpo nella preghiera, nel tentativo di guidare l’intera sensibilità verso la pacificazione, l’integrazione armonica e l’interiorizzazione dei sensi. L’interesse nei confronti di questo tipo di preghiera si deve anche al ruolo recettivo che l’uomo è chiamato ad assumere nel rapporto con Dio, per poter essere fatto partecipe del Mistero divino. La preghiera profonda insomma comporta una precisa visione dell’uomo e delle sue dimensioni. Ora è ben noto che l’antropologia occidentale è segnata dalla visione dualistica corpo-anima, materia-spirito. Di qui il sospetto verso la carne come occasione di peccato e la conseguente ascesi intesa come mortificazione delle passioni e in definitiva come liberazione dal corpo. La preghiera, secondo questa visione del tutto unilaterale, appartiene alla sfera dello spirito e di conseguenza il ruolo del corpo e della psiche nell’orazione, sarebbe del tutto estrinseco e secondario, addirittura di disturbo. Questa però non è la visione biblica dell’uomo, che al contrario è ben concreta e unitaria. Alla luce dell’antropologia biblica può essere opportunamente valutato l’apporto delle grandi discipline meditative dell’Asia, che danno singolare rilievo al corpo in tutte le sue dimensioni, anche le più sottili. Infine, l’attenzione per questo tipo di preghiera è anche connessa alle applicazioni della psicologia del profondo alla dimensione spirituale dell’uomo. La preghiera profonda costituisce, quindi, un vero e proprio cammino per l’uomo del nostro tempo. __________ Note1 – Cf G. M. Vannucci, La conoscenza simbolica, Fraternità del 6-’94, conferenza del 4-2-1982. (Sono ispirate a tale conferenza anche alcune delle considerazioni che seguono). Cf anche l’apocrifo Atti di Giovanni: “Sono una lampada per chi ha la vista, sono uno specchio per chi mi considera …” e l’apocrifo Atti di Pietro: “Se non fate le cose di destra come di sinistra e di sinistra come di destra, e il di sopra sotto e il didietro davanti, non conoscerete il regno dei cieli.” (^ torna al testo) 2 – Secondo Vannucci, l’ascesi consiste proprio in questa trasfigurazione del corpo. Cf G. M. Vannucci, La conoscenza simbolica, op. cit. (^ torna al testo) 3 – Cf G. Vannucci, Lucifero, Satana, Cristo, in Fraternità 12, Marzo 1977. (^ torna al testo) 4 – Id., in Fraternità, Giugno 1994, pp. 55-75. (Da una lezione all’Eremo delle Stinche del 20/1/1982). (^ torna al testo) 5 – Cf G. Vannucci, Lucifero…, in Fraternità 12, Marzo 1977. (^ torna al testo) 6 – Cf a questo proposito A. Gentili, Se non diventerete come donne, Ancora, Milano 1991, pp. 43-68 e 87-116. Gentili, tra gli altri, cita Sant’Ambrogio: “Quando un’anima si converte viene chiamata Maria” … “è diventata un’anima che spiritualmente genera Cristo” (De Virginitate 4,20 PL 16,271) e S. Giovanni Crisostomo, che sostiene che ogni anima porta con sé, in un grembo materno, il Cristo (Giovanni Crisostomo, De Caeco et Zachaeo, 4; PG 59,605). (^ torna al testo) 7 – Il simbolo del Centro è presente in molte tradizioni. In quelle a carattere esoterico si sostiene che dal Centro si sia irradiata la Luce ed sia stata pronunciata la Parola Creatrice, perdutasi poi nei meandri della molteplicità prodotta dal peccato. La vera vita consisterà allora nel ritornare al Centro primordiale mediante la via iniziatica, nella quale l’uomo ritrova l’unità perduta. Anche nelle spiritualità orientali e nelle loro tecniche di concentrazione è presente il simbolo del Centro, al quale fanno riferimento le esortazioni dei mistici al raccoglimento e alla ricerca di Dio in fondo all’anima. “Il centro dell’anima è Dio” Cf Giovanni Della Croce, Fiamma viva d’amore, B, I, 3, in Opere, Post. Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1975. Cf M. Meslin, L’esperienza umana del divino, cit., pp. 218-226, R. Guenon, Iniziazione e realizzazione spirituale, Ed. Studi Tradizionali, Torino 1967, e, dello stesso autore, L’esoterismo cristiano, Arktos, Carmagnola 1989, e Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1992. (^ torna al testo) 8 – A. Gentili, Se non diventerete come donne, op. cit., pp. 56-57, sostiene che l’uomo può ricomporre la frattura tra l’interno e l’esterno proprio attraverso l’incontro con un femminile che incarni la Sapienza. Infatti “l’uomo agisce … la donna vive”. Nell’Opposizione esterno-interno la donna è allora lo specchio che può condurre l’uomo verso il proprio interno, quindi all’incontro con Dio. (^ torna al testo) 9 – Si narrava anche che quello stesso calice fosse stato dato da Dio a Seth, figlio di Adamo, dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre. In seguito sarebbe stato usato da Gesù per l’ultima cena e per istituire il sacramento dell’eucarestia. Wolfram von Eschenbach lo chiamava Lapsit Exillis (cioè la pietra esiliata, da exilium, o caduta dai cieli, da ex coelis), lo stesso nome che veniva dato alla Pietra dagli Alchimisti. Cf Guenon, Considerazioni sull’esoterismo Cristiano e Charbonneau-Lassay, Il Santo Graal, Rimini 1995.La tradizione della ricerca del santo Graal, sviluppatasi in occidente tra il XII e il XIII sec., testimonia la profonda esigenza simbolica del credente che il sobrio sacramentalismo eucaristico non riesce ad appagare del tutto. Nella ricerca del Graal, infatti, si ravviva lo sforzo del cristiano di partecipare alla salvezza acquisita attraverso la redenzione di Cristo. Colui che ha ricevuto il Battesimo deve di nuovo mettersi in cammino per partecipare alla pienezza del mistero ricevuto. Nella suddetta tradizione, vi è pure un altro simbolo da considerare, quello del cammino e delle tappe; una serie di prove che preparano all’iniziazione per accedere alla visione del Santo Graal. Cf C.A. Bernard, Teologia simbolica, cit., p. 215 e cf R. Guenon, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1976, pp. 25-45. (^ torna al testo) 10 – Si rifletta qui sull’episodio biblico della Torre di Babele (Gn, 11,1-9), nel quale opera il simbolismo della torre innalzata per scalare e conquistare il cielo. (^ torna al testo) 11 – La suddivisione tripartita che ravvisa nell’uomo la presenza del corpo, della psiche e dello spirito, è familare al pensiero classico e stoico e molto probabilmente è da quest’ultimo che san Paolo la riprende (1 Ts 5,23). Cf H. De Lubac, Antropologia tripartita, in Mistica e Mistero cristiano, Jaka Book, Milano 1979, pp. 59-117. Sul ruolo della psiche come mediatrice tra corpo e spirito cf l’excursus, L’uomo e i suoi corpi in A. Gentili, A. Camici, Padre Nostro, Ancora, Milano 1994, pp. 80-85. Per il tema della dispersione cf J. Needleman, L’Anima smarrita, Cens, Liscate – Milano 1988. (^ torna al testo) 12 – Dice la Bibbia che il Signore gradiva di più i sacrifici offerti da Abele (Gn 4,4, 4,5). (^ torna al testo) 13 – Sin dalla più remota antichità il sacrificio (da Sacrum facere, rendere sacro), aveva il senso di rendere Dio partecipe dei momenti fondamentali dell’esistenza umana, riscattandoli dalla loro dimensione profana (il pasto e il cibo, le partenze e i viaggi, i patti, le alleanze e le transazioni, l’inizio di ogni impresa importante). Per alcuni commentatori (cf Bibbia Tob, Lv 17,14, nota c) nel sacrificio cruento, in cui scorreva il sangue, sede della vita (Gn 9,4.5, Lv 17,14 Dt 12,23), il contatto del sangue con l’altare o con il propiziatorio (Es 25,17) comportava il ristabilirsi di una comunione vitale tra il Dio Vivente e l’Uomo. Per Caino e Abele, cf anche Ilario Di Poitiers, Trattato sui Misteri, Borla, Roma 1984, pp. 53-56. (^ torna al testo) 14 – Cf (Mt 12,46-49) : “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” … (^ torna al testo) |