Se l’immaginario può essere pensato come un arché sottratto alla dimensione del tempo, il logos non può prescindere dalla filogenesi e dalla storicità dell’esperienza. Il pensiero deve sforzarsi di pensare criticamente il proprio tempo. Possiamo anche ammettere una facoltà trascendente alla ragione speculativa, di solito denominata come nous o intelletto. Ma la possibilità di accertare la plausibilità di tale dimensione ontologica concerne piuttosto quello che rimane della mistica, non interessa più la disciplina che designiamo comunemente con il nome di «filosofia». Questa cesura da alcuni è considerata una grave lacuna e da altri come un’inevitabile e fausta conseguenza del processo d’emancipazione antropologico promosso dalle scienze umane.
In altre parole, se l’immaginario può essere pensato come un arché sottratto alla dimensione del tempo, il logos non può prescindere dalla filogenesi e dalla storicità dell’esperienza. Il pensiero deve sforzarsi di pensare criticamente il proprio tempo. Possiamo anche ammettere una facoltà trascendente alla ragione speculativa, di solito denominata come nous o intelletto. Ma la possibilità di accertare la plausibilità di tale dimensione ontologica concerne piuttosto quello che rimane della mistica, non interessa più la disciplina che designiamo comunemente con il nome di «filosofia». Questa cesura da alcuni è considerata una grave lacuna e da altri come un’inevitabile e fausta conseguenza del processo d’emancipazione antropologico promosso dalle scienze umane. In tutti i casi, questo è lo stato attuale dell’arte. Ricordiamo, come nel dopoguerra sia stata teorizzata la fine della filosofia. In particolare:
La consapevolezza dell’impossibilità di un sapere universale e metafisico, insieme alla necessità di elaborare un pensiero consono allo spirito del tempo e alla nuova condizione «postmoderna» o «postfilosofica», mise in discussione la sopravvivenza dello stesso insegnamento filosofico nelle scuole secondarie. La filosofia appariva come una disciplina superata ed anacronistica, equiparabile ad altre dottrine che hanno segnato il passo rispetto ai nuovi ambiti di ricerca. Si pensava che anche la filosofia metafisicizzante dovesse trapassare nell’antropologia, nella psicologia, nella sociologia. La discussione sulla fine della filosofia è andata avanti per un certo periodo, soprattutto in Francia, finché non si è convenuto sulla necessità di mantenere in vita la vecchia disciplina che si era sviluppata all’interno della cultura occidentale. Nuove correnti di pensiero di tipo «continentale» ed «analitico» hanno introdotto una nuova era nella storia del pensiero occidentale: l’«ermeneutica», il «poststrutturalismo», il «decostruzionismo», il «postmodernismo», la «teoria critica», la «nuova epistemologia», la «filosofia della mente», il «pratical reasoning», la «nuova retorica», la filosofia «pratica», ecc. Contemporaneamente, si è deciso di mantenere anche il vecchio termine «filosofia» per richiamare un’idea stessa di continuità tra la speculazione dei Greci e l’era della Tecnica. Opzione che personalmente non condivido, in quanto penso che un qualunque prefisso «post-» avrebbe richiamato in modo efficace quelle soluzioni di continuità e quelle differenze epistemologiche che caratterizzano il pensiero contemporaneo, rispetto a quello antico o medievale. Al contrario, negli anni sessanta si è preferito compiere una scelta diversa, mettendo l’accento sulla continuità, piuttosto che sulla trasformazione e sulla frattura. Naturalmente, nel pensiero razionale non si deve ricorrere a principi apodittici o ad irrigidimenti dogmatici: le professioni di fede devono restare fuori del logos. Il pensiero filosofico o «postfilosofico» è un seminario di discussione permanente. Non esistono corone che non possono essere deposte. Dopo questa breve introduzione, mi dedicherò ad approfondire soprattutto l’ermeneutica filosofica, corrente nata in seno all’heideggerismo ed elaborata da Gadamer. L’ermeneutica non è una vera e propria disciplina o metodologia, come del resto non lo sono le altre correnti. È più esatto dire che vi è un gruppo di pensatori – i cui interessi e campi di ricerca sono eterogenei – che condividono alcune premesse. Precisamente:
1. Ogni processo conoscitivo si realizza attraverso dinamiche circolari, dove il pre-giudizio, lungi dal costituire una mera forma di chiusura ed ignoranza, acquista spessore gnoseologico in qualità di struttura dell’intuizione. Il pre-giudizio è una componente pre-tematica, prospettica, opinativa che apre lo spazio dell’intuizione. La comprensione stessa è spesso anticipata nel pre-giudizio soggettivo. In altre parole, molte volte i giudizi che formuliamo a livello inconscio si rivelano attendibili perché articolano l’orizzonte dell’interpretazione. 2. L’autorità e la tradizione non devono essere ridotte a survivals della superstizione e dell’anacronismo, ma, al contrario, ad elementi costitutivi dello stesso orizzonte prodotto dalla continuità storica. Non ha senso respingere per principio l’autorità del Padre, poiché un fondamento culturale non si stratifica per caso e non deve essere ignorato per partito preso. La tradizione deve essere ascoltata e, soltanto in un secondo tempo, eventualmente oltrepassata. 3. La storicità della ragione non può essere messa tra parentesi per calarsi empaticamente nel passato, come teorizzato dallo storicismo. Aprirsi al dialogo con Platone, significa essere consapevoli della distanza temporale che ci separa dal mondo greco; ma proprio per questo evitare d’incorrere nell’errore di produrre forzature storiche ed anacronismi, compiendo letture unilaterali ed ideologiche (es: la vulgata che identifica Platone come un nemico della democrazia, ecc.). Soltanto dalla consapevolezza della distanza che intercorre tra noi e Platone è possibile aprirci allo spazio della comprensione e realizzare la fusione degli orizzonti temporali. Soltanto comprendendo che il testo è il prodotto del pensiero di un filosofo ateniese del IV secolo a.C. – dal quale siamo separati da più di duemila anni di storia – si rende possibile l’apertura dello spazio dialogico. È proprio la consapevolezza della differenza storica e culturale che attualizza e rende contemporaneo il pensiero di Platone. Riconoscendolo nella sua specificità ci apriamo al suo pensiero. 4. L’elogio della phrònesis, della saggezza, e non soltanto della gnósis della conoscenza. La phrònesis è una forma di conoscenza che si apre nello spazio dialogico della domanda e della risposta, in cui non si ricade in un sapere oggettivante-dottrinale, o cumulativo-descrittivo; ma, alla maniera dei dialoghi platonici, si evincono le conclusioni dalla singolarità delle specifiche situazioni (superamento di stereotipi del tipo “Tutti i X sono Y”: “Tutti gli stranieri sono barbari”. Attraverso la struttura dialogica si com-prende che vi sono stranieri colti e raffinati). 5. L’esperienza della comprensione si apre nel linguaggio. Il linguaggio costituisce la struttura fondamentale che apre l’esperienza del Mondo. Certamente, vi sono istanze che trascendono la mera razionalità discorsiva, come l’intelletto noetico o l’immaginario. Ma la comprensione come spazio di conoscenza con-divisa, anche nel caso dell’intelletto noetico o dell’immaginario, si apre nel linguaggio. Non possiamo comprendere l’immaginario se non rendendolo linguaggio; lacaniamente, lasciando che l’Es parli e decifrandone il linguaggio. Accettando queste premesse teoretiche si ottiene la possibilità di aprire uno spazio dialogico con gli autori del passato. Superando i limiti dello storicismo cumulativo, secondo il quale possiamo capire un autore, prevalentemente, attraverso l’inquadramento del suo pensiero in quello successivo o antecedente, Platone attraverso Aristotele o, al contrario, Aristotele come evoluzione di Platone, ecc. Non si tratta più soltanto di subordinare o rivendicare la priorità di un’opera, quanto di lasciare parlare il testo. Vantaggio inequivocabile nei confronti di tutti quegli autori decifrati attraverso la bussola dello storicismo o (anche peggio) attraverso le lenti dottrinali della metafisica. __________ Significato dell’immagine – L’illusione ottica contenuta nell’immagine propone un calice e due volti a confronto, che nel nostro caso è di tipo dialettico. L’illusione è di per sé rappresentativa della relatività nell’approccio della ragione ad ogni soggetto concettuale indagato. E questo è particolarmente vero per un’area tematica dedicata all’ermeneutica. |