Ipnosi / La Storia, la Teoria ed il Metodo – 2

PsicologiaAnalogie per l’ipnosi
1. Le analogie in psicologia. — 2. Il sonnambulo. — 3. L’attore. — 4. Lo spettatore. — 5. Il corteggiatore e l’innamorato. — 6. Il malato immaginario.

In psicologia e in psichiatria, come in genere nelle scienze, vengono spesso usate metafore e analogie per spiegare taluni fenomeni: così come si parla di «corrente elettrica», si parla di «esaurimento» nervoso, di «energia psichica», «di esplosione» della aggressività, di «attrazione » interpersonale, ecc.

Ipnosi / La Storia, la Teoria ed il Metodo – 2

di Guglielmo Gullotta

«Tutto ciò che è incomprensibile non per questo cessa di esistere». – Blasie Pascal

Capitolo II / Analogie per l’ipnosi

Sommario : 1. Le analogie in psicologia.2. Il sonnambulo.3. L’attore.4. Lo spettatore.5. Il corteggiatore e l’innamorato.6. Il malato immaginario.

1 – Le analogie in psicologia

In psicologia e in psichiatria, come in genere nelle scienze, vengono spesso usate metafore e analogie per spiegare taluni fenomeni: così come si parla di «corrente elettrica», si parla di «esaurimento» nervoso, di «energia psichica» (1), «di esplosione» della aggressività, di «attrazione » interpersonale, ecc.

Si manifesta così talvolta il pericolo che queste metafore vengano reificate, nel senso che a forza di usare queste analogie ci si dimentica che sono soltanto delle finzioni utili per concettualizzare taluni fenomeni, e si cominci a ritenere veramente che i nervi si esauriscano, che sfogare l’aggressività diminuisca la tensione, ecc. Anche lo studio dell’ipnosi è ricco di usi di metafore poi reificatesi, basti pensare per esempio alla teoria del «magnetismo» animale di Mesmer, che pure dominò la scena per qualche tempo. Attualmente le analogie che si riscontrano maggiormente sono quelle del sonnambulismo, della recitazione, del coinvolgimento nella lettura, in uno spettacolo o in una rappresentazione scenica. Esaminiamole partitamente.

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(1) Cfr. per es. REY J., La psicoanalisi e la metafora, in PAGANINI A., Psicoanalisi come filosofia del linguaggio, Longanesi, Milano, 1976, 182. (torna al testo)

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2 – Il sonnambulo

La metafora classica nello studio dell’ipnosi consiste nel rapportare la condotta dell’ipnotizzato a quella del sonnambulo. Essa è solitamente reificata al punto che quando ci si riferisce allo stato sonnambolico come uno degli stadi più avanzati della trance, taluni ritengono che effettivamente l’ipnotizzato presenti la stessa situazio ne fisiopsichica del sonnambulo.

Barber (2) ha mostrato come gli studi sul sonnambulismo hanno provato che il sonnambulo, contrariamente all’ipnotizzato, durante l’episodio di sonnambulismo presenta un elettroencefalogramma che dimostra che egli rimane add ormentato, inoltre ha movimenti rigidi e stentati, una notevole inconsapevolezza di ciò che lo circonda, un livello di attività motorie estremamente basso e uno sguardo fisso e attonito; difficilmente risponde a qualcuno che gli parla e per attirare la sua attenzione è necessario parlare in continuazione per interrompere i suoi movimenti; quando poi risponde ha la tendenza a mormorare o a parlare in maniera vaga e distaccata; difficilmente inoltre quando gli si ordina di svegliarsi egli obbedisce, per svegliarlo occorrono persistenti manovre; come per esempio scuoterlo, chiamarlo più volte, ecc. Il mattino poi, quando si sveglia, o, se viene svegliato durante l’episodio di sonnambulismo, non da mai segni di ricordare l’episodio stesso.

3 – L’attore

Poiché, come ved remo meglio più avanti talune reazioni che l’ipnotizzato dichiara di non esperire si riscontrano oggettivamente, per esempio la persona a cui è stato detto in ipnosi che non udirà, si dichiara sorda e si comporta come se lo fosse, ma test appropriati dimos trano che in realtà ci sente. Taluni autori (3) hanno ritenuto che l’ipnotizzato si comporta come chi «fa la parte della persona ipnotizzata e che prova ciò che gli è stato suggerito» (role enactment).

Per cogliere l’aspetto precisamente analogico bisogna tenere presente che l’attore, anche fortemente coinvolto come vuole la scuola di Stanislavski, ha una piena consapevolezza di non essere il personaggio cui da vita, tanto che il suo talento consiste proprio nel mostrarsi il personaggio che rappresenta, mentre consapevolmente per lui e per il pubblico egli non è quel personaggio, cosicché la sua abilità deriva dalla credibilità e dalla verosimiglianza del suo apparire.

L’ipnotizzato invece si autoinganna al punto di credere, per esempio, nel fenomeno della trans-identificazione, di essere Amleto e nel voler far creder e di esserlo, negando ostinatamente una qualsiasi altra identità, nonostante le prove contrarie. Potrebbe comunque sostenersi per dare valore di realtà a questa metafora drammaturgica che la «sua parte» consiste proprio nel recitare la parte di colui che non ammette di essere quello che è realmente, ma colui che pretende, da ipnotizzato, di essere.

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(2) Barbert T., Spanost N, Chaves J., Hypnotism Immagination and Human Potentialities, Pergamon, New York, 1974. (torna al testo)

(3) Sarbin T., Coe W., Hypnosis, Hold-Rinehart-Winstoru New York, 1972. (torna al testo)

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4 – Lo spettatore

Shor (4) discutendo recentemente la propria teoria della ipnosi, ha formulato una analogia fra l’ipnotizzato e colui che è immerso nella lettura di un libro. Per Shor, così come l’ipnotizzato, anche colui che legge crea le proprie fantasie per i propri fini, per soddisfare determinate esigenze che gli sono personali. La fantasia non è suscitata nella mente dalle parole del libro, che rappresentano un semplice stimolo. D’altronde questi non è addormentato, può controllare la propria volontà, la propria mente, non è un automa che obbedisce a ciò che lo scrittore gli presenta.

Barber (5) estende questa metafora paragonando l’esperienza dell’ipnotizzato alla gamma delle esperienze che esperisce lo spettatore di una rappresentazione scenica.

Questi pensa con le sensazioni che gli vengono suggerite dalla scena. Nella misura in cui è coinvolto nell’azione poi, non ha pensieri negativi, del tipo «si tratta semplicemente di uno spettacolo», questi «sono soltanto attori»… Però ha delle reazioni che sono in accordo con l’intenzione dello scrittore del dramma, che voleva rendere felice o triste lo spettatore, così come il soggetto ipnotizzato risponde alle suggestioni che gli vengono comunicate dall’ipnotista.

Le comunicazioni derivanti dallo spettacolo, osserva Barber «sono dirette ad ottenere particolari tipi di pensieri, emozioni o esperienze, sentirsi eccitato, fortemente turbato, partecipare, ridere o gridare, sentirsi felici o tristi. Quelle impartite dall’ipnotista sono invece dirette ad ottenere diversi tipi di pensieri, emozioni, o esperienze; le sensazioni che un braccio sia leggero o stia alzandosi, sentirsi bambino, avere una fervida immaginazione o avere allucinazioni, ecc. Quando una persona sta ricevendo suggestioni in stato ipnotico essa prova, dunque, esperienze differenti da quelle che può ricevere guardando una rappresentazione scenica, non perché si trova in uno “stato” diverso (trance ipnotica) ma perché sta ricevendo diverse comunicazioni».

Certo, anche se Barber non vi accenna, la metafora è più calzante se avviciniamo la condizione psicologica dell’individuo ipnotizzato a chi sia coinvolto, in particolare, in una rappresentazione cinematografica (6). Il cinema è infatti uno strumento particolare i cui effetti psicologici sono differenti da quelli prodotti da un libro o da una rappresentazione teatrale. Mentre infatti le vicende di un romanzo sono per il lettore una realtà immaginata, il teatro una realtà rappresentata, il cinema è una realtà presentata.

Nella lettura di un libro il lettore è, seppur avvinto dalla vicenda, sempre presente a se stesso, pronto a distaccarsi dall’azione per lo squillo del telefono, o per un qualsiasi altro stimolo della sua realtà; e a teatro lo spettatore non perde mai completamente la consapevolezza che tutto quanto avviene, per quanto avvincente, soltanto scenicamente, in palcoscenico; al cinema invece lo schermo non è visto come tale ma diventa realtà effettiva, come se fosse una finestra dalla quale si vedono gli avvenimenti.

Ne deriva così che qualsiasi azione vista al cinema ci appare sempre come più reale che se fosse descritta in un libro o rappresentata in un teatro; da qui d’altronde dipende la maggiore possibilità di raggiungere la sfera emotiva dello spettatore e, probabilmente, tutta la fortuna che il cinema ha come forma di spettacolo.

Questa impressione di realtà, con i conseguenti riflessi emotivi, non è però totale, naturalmente, neppure al cinema. Se una madre spettatrice si immedesimasse nella scena rappresentante un bambino fucilato da dei soldati «cattivi», probabilmente si commuoverebbe e forse verserebbe qualche lacrima, ma il suo modo di piangere sarebbe diverso da quello che si verificherebbe se realmente un bambino venisse ucciso davanti ai suoi occhi. Non vi è disperazione nelle lacrime al cinema: c’è solo una leggera commozione che dipende dalla immedesimazione dello spettatore nella scena.

Qualche cosa dentro di lui dice però sempre che egli in realtà è estraneo all’azione. Quindi per quanto il cinema sia, emotivamente parlando, la più attivante tra tutte le forme d’arte, certamente però i suoi effetti sono sempre limitati.

La differenza dalla condizione di coinvolgimento relazionale determinata dall’ipnosi deriva dal fatto che, mentre nella scena filmica in ogni momento ci è possibile ritrarci da essa prendendo consapevolezza che siamo soltanto al cinema, «che la realtà vera – come dice Musatti – dove si svolge la nostra vita è un’altra», nella ipnosi da un certo momento in poi ciò appare più complicato.

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(4) SHOR R. E., The Three -Factor Theory of Hypnosis as Applied to the Book Reading Fantasy and to the Concept of Suggestion, in Int. J. din. Exp. Hypn., 1970, 89. (torna al testo)

(5) BARBER T. X., op. cit. (torna al testo)

(6) Cfr. Musatti C, Cinema e psicoanalisi, e i processi psichici attivati dal cinema, in Musatti C, Psicoanalisi e vita contemporanea, Boringhieri, Torino, 1960, 144 e 198. (torna al testo)

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5 – Il corteggiatore e l’innamorato

Poiché a me interessa l’aspetto relazionale la metafora c ui più spesso faccio riferimento è quella dell’innamoramento a seguito della corte, o della simpatia che sorge, a seguito della condotta di qualcuno che fa di tutto per essere simpatico ad un altro. È chiaro che mi riferisco ad una semplice analogia e no n ad una «teoria » della situazione ipnotica, così come è per taluni ipnotisti di impostazione psicoanalitica, che definiscono l’ipnosi come «transfert» cioè come corrente emozionale per lo più individuata tra l’analizzato e lo psicoanalista.

A mio giudizio la teoria che sostiene che l’ipnosi è una forma di transfert commette proprio l’errore di utilizzare una metafora e di dimenticarsi, via via, che era soltanto una metafora: Freud nota che l’ipnotizzato ha la stessa dedizione verso l’ipnotista che l’innamorato ha verso la persona amata (7). E questa è la prima analogia.

Poi sostiene che la relazione emozionale che l’analizzato prova per l’analista, cioè il transfert, ha come prototipo ciò che il bambino prova nei confronti dei genitori. E questa è la seconda analogia.

Infine assimila l’affettività dell’analizzato a quella del bambino e a quella dell’ipnotizzato e chiama quest’ultima come la prima transfert. E questa è la terza analogia: da ciò deduce che l’ipnosi è transfert.

Ma se il transfert ha una accezione tanto vasta, è chiaro che rappresenta un concetto di difficile utilizzazione dato che se vogliamo teorizzare, anziché usare semplicemente delle analogie, dobbiamo usare termini che denotino ciò che il fenomeno ha di specifico più che ciò che ha di generico e che servano a distinguere l’ipnosi da ciò che ipnosi non è.

Torniamo all’analogia tra l’ipnotizzatore ed il corteggiatore.

Chi vuol fare innamorare qualcuno tende a instaurare nell’altro motivazioni, aspettative, atteggiamenti e sentimenti a lui favorevoli. A questo scopo istituisce una strategia comportamentale e di comunicazione più o meno elaborata. Se la sua iniziativa ha successo, l’altro sarà coinvolto in questo rapporto al punto che i comportamenti del primo avranno per lui una forte risonanza emotiva. Sulla base di questa metafora possiamo renderci conto di come siano mal poste tante domande che solitamente ci si pongono sulla ipnosi.

1) Qual è la tecnica più adatta per ipnotizzare?

2) Quanto tempo ci vuole per ipnotizzare qualcuno?

3) Tutti possono ipnotizzare?

4) Tutti possono essere ipnotizzati?

5) L’ipnosi è uno stato fisiologico o uno stato psicologico?

6) Si può ipnotizzare qualcuno senza la sua volontà?

7) Si può ipnotizzare qualcuno contro la sua volontà?

8) Si possono commettere dei crimini sulla persona ipnotizzata o fargliene commettere?

1) Così come per fare la corte, non esiste una tecnica più adatta ma dipende da caso a caso, da situazione a situazione, da individuo a individuo, talvolta è più opportuna una tattica di un’altra.

2) Così come in amore nell’ipnosi talvolta c’è il colpo di fulmine, e in pochi momenti il soggetto è nella cosiddetta trance, altre volte, in un caso capitato a Erickson, certamente il più bravo ipnotista che sia mai esistito, ci sono volute duecento ore per raggiungere una trance leggera.

3) Esistono certamente persone più capaci nel fare la corte, più abili nella manipolazione interpersonale, ma come chiunque in astratto può suscitare nell’altro emozioni che chiamiamo amore, così è per l’ipnotista, che può avere più o meno talento.

4) Analogamente poi, così come in amore, tutti sono suscettibili di esperire la trance, anche se alcuni, soprattutto per la maggiore capacità immaginifica, sono più portati di altri, in taluni periodi lo sono più che in altri, con certe persone possono esserlo più che con altre.

5) L’amore non sappiamo cosa è, così non sappiamo cosa sia l’ipnosi; il fondamento dell’emozione amorosa, come d’altra parte di ogni emozione, certamente è di tipo biologico, lo stesso corredo cromosomico interviene nel processo, probabilmente ci sono alterazioni metaboliche, ormonali… ma chi si sentirà di sostenere che l’amore sia soltanto questo? Certamente anche l’ipnosi non è soltanto questo, ma è soprattutto altro.

6) Così come è possibile fare innamorare qualcuno senza la sua iniziale volontà, con delle manipolazioni interpersonali che chiamiamo «fare la corte», è possibile ipnotizzare qualcuno senza che in partenza questi abbia un atteggiamento positivo in questo senso.

7) Contro la volontà è certamente più difficile. Di solito questo rappresenta atteggiamenti, aspettative e motivazioni che ostano avverso il risultato che si vuole ottenere. Nulla impedisce però che in particolari condizioni anche questo sia possibile con accorgimenti strategici particolari.

8) Così come una persona molto innamorata, l’ipnotizzato può essere coinvolto al punto da diventare vittima o esecutore di atti criminosi. Come si vede nessuna risposta è univoca, perché non è esatta la formulazione delle domande.

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(7) FREUD S., Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in Opere, Boringhieri, Torino, 1977, 257. (torna al testo)

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6 – Il malato immaginario

Se poi spostiamo l’accento dal rapporto interpersonale alla condizione soggettiva dell’ipnotizzato, l’analogia che mi appare più pregnante è quella del malato immaginario.

Questi soggettivamente prova le sofferenze e i dolori della malattia che pretende di avere (anche se talvolta la sintomatologia tradisce la sua matrice immaginaria per la diversità da quella reale). Ed è ovviamente banale dire che il paziente «mente » o che simula solo per la mancanza di riscontro oggettivo della causa della sua sofferenza.

L’ipnotista, tramite le manovre dell’induzione riesce a creare uno stato analogo per cui l’immaginazione diventa realtà soggettiva. Così dunque, come nel malato immaginario, l’ipnotista può fare in modo che il soggetto si senta come se fosse cieco, sordo, allucinato, anestetico, sonnambulo, anche se i riscontri obiettivi mostrano che in realtà l’ipnotizzato ci vede, ci sente, non ha allucinazioni, non è anestetico, ed è sveglio.

D’altronde il ruolo dell’immaginazione sulle risposte dell’organismo non è poi così sconosciuto. L’immaginare un amplesso, da talvolta delle risposte che appaiono analoghe a quelle che si provano quando il partner è presente, e l’immaginare un pranzetto ben preparato quando si ha appetito provoca un aumento di salivazione. Resta da dire che l’ipnotizzato appare da un lato avere una logica tutta particolare, la cosiddetta logica della trance e che l’esperienza soggettiva dell’ipnotizzato è talvolta così inaspettatamente drammatica che il fenomeno, al di là delle analogie finora presentate, abbisogna di ulteriori approfondimenti.

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