Negli anni sessanta si era diffusa l’interpretazione di Freud, assieme a Marx e a Nietzsche, come “maestro del sospetto”. La testimonianza dei tre pensatori incoraggiava la prima stagione dello strutturalismo francese, teso ad affermare come dietro ad ogni sovrastruttura (la coscienza, il capitale, la morale cristiana) si nascondesse l’autentica struttura del reale (l’inconscio, lo sfruttamento del proletariato, la volontà di potenza).
Negli anni sessanta si era diffusa l’interpretazione di Freud, assieme a Marx e a Nietzsche, come “maestro del sospetto”. La testimonianza dei tre pensatori incoraggiava la prima stagione dello strutturalismo francese, teso ad affermare come dietro ad ogni sovrastruttura (la coscienza, il capitale, la morale cristiana) si nascondesse l’autentica struttura del reale (l’inconscio, lo sfruttamento del proletariato, la volontà di potenza). Il pensiero freudiano – oltre a produrre una serie di volumi peculiarmente incentrati sulla teoria e sulla pratica della psicoanalisi – trovava fervide applicazioni e spunti anche nel campo della critica della cultura, in particolare con Totem e Tabù e con Il disagio della civiltà. In quest’ ultimo, il maestro viennese sosteneva come dietro la formazione della Kultur (termine che i tedeschi riconducono a “civiltà” di contro a Zivilisation , insieme di norme e comportamenti sociali) si nascondano due pulsioni primordiali – eros e thanatos – sublimate dalla coscienza e dall’educazione sociale. In pratica, la sublimazione della pulsione sessuale impone il corteggiamento amoroso ed il matrimonio, anziché il ratto e la violenza. La sublimazione della pulsione di morte impone l’utilizzo del diverbio verbale e della mediazione politica, anziché l’aggressione fisica del nemico. Ogni tanto, secondo Freud , i meccanismi censori della morale collettiva si allentavano ed eros e thanatos tornavano a far sentire il loro peso riaffiorando dalle tenebre del rimosso. Da qui, i fenomeni della guerra e della violenza privata. Un altro antropologo famoso dei nostri tempi, R. Girard ha sostenuto qualcosa di speculare alla posizione freudiana. Alla base della civiltà giudeo-cristiana si troverebbe la liberazione apotropaica del male e delle colpe sociali attraverso il meccanismo dello scapegoat, il capro espiatorio. Un caprone veniva condotto in giro per la città e su di esso venivano mimicamente riversate le colpe comunitarie, per essere infine lapidato o abbandonato nel deserto. Il meccanismo della trasmissione del male in una vittima innocente era praticato anche dagli indoeuropei: ad esempio, presso gli ellenici esisteva il rito del pharmakoi, dove ad incarnare il male collettivo erano di solito due prigionieri, abbandonati alla deriva su un’imbarcazione in mezzo al mare e destinati a morte sicura. Con il pensiero di Freud e con lo strutturalismo francese che prese le mosse, non soltanto dal maestro viennese, ma anche dall’antropologia strutturale di Lévi Strauss (ma si devono, tuttavia, ricordare come incipit della corrente, gli studi linguistici di De Saussure) emergeva un nuovo modo di considerare la realtà. Anzi, per la verità, un modo vecchio, vecchissimo. Si trattava dell’antica ontologia dualistica: la tomba corporale e l’anima (orfismo e pitagorismo), la copia ed il modello (Platone), mammona e fides (cristianesimo), la materia e l’anabasi (gnosticismo ed ermetismo), corpo e anima (Descartes), ecc. Nella cultura ufficiale arrivò presto il poststrutturalismo francese a mettere la parola fine al dualismo ontologico. Nella tradizione indiana il dualismo ha prodotto dei sistemi speculativi importanti come lo yoga ed il sânkhya. Tuttavia, questi sistemi sono stati plasmati ed assimilati dall’impostazione monista del pensiero brahmanico , che proprio per integrare la dualità nell’identità, ha prodotto l’Advaita Vedanta, la metafisica della “non-dualità”. Nel buddhismo mahayana si predice come l’attraversamento dell’altra riva del fiume conduce alla scomparsa delle due sponde: non esiste un nirvana contrapposto al samsara. Il velo di Maya non risiede nell’esistenza di un mondo autentico da contrapporre ad un mondo illusorio, ma deve essere ricercato nell’illusione stessa della dualità. Nel mahayana il velo stesso, dunque, coincide con la dicotomia tra mondo vero e mondo fenomenico: parafrasando Nietzsche nel farsi favola del mondo “vero”… |