Gli antichi descrissero assai diligentemente sotto la presenza di Pan la natura, lasciandone incerta l’origine. Taluni asseriscono sia nato da Mercurio, altri gli attribuiscono una natura di gran lunga diversa: dicono infatti che tutti i Proci ebbero rapporti con Penelope e che da questa unione promiscua sia nato come figlio comune Pan.
L’immagine di Pan così è descritta dall’antichità: dotato di corna che arrivavano fino al cielo, ispido e villoso per tutto il corpo, con la barba particolarmente lunga. Biforme per aspetto: umano nella parte superiore, ferino per il resto terminante in piedi di capra. Portava poi, come simboli del potere, nella sinistra uno zufolo di sette canne unite, nella destra una verga da pastori, cioè un legno curvo e arrotondato all’estremità superiore; era ricoperto da una clamide di pelle di pantera. Venivano a lui attribuite le seguenti proprietà o poteri: dio dei cacciatori, dei pastori, di tutti gli agricoltori; protettore dei monti, era anche nunzio degli dèi accanto a Mercurio. Era anche ritenuto signore e guida delle ninfe che solevano intorno a lui tripudiare e intrecciare perpetue danze; lo accompagnavano i Satiri e, più vecchi di questi i Sileni. Aveva anche il potere di infondere terrori, soprattutto vani e superstiziosi, che son chiamati panici. Di lui non molte imprese si ricordano: questa soprattutto: che provocò Cupido a tenzone rimanendone vinto. Avvolse e trattenne con reti il gigante Tifone; e per di più narrano che, allorché Cerere, triste per il ratto di Proserpina, si era rifugiata nei boschi indignata e tutti gli dèi si adoperavano a cercarla e per varie direzioni s’erano sperduti, solamente Pan toccò per una grande fortuna di incontrarla mentre cacciava, e di indicarla. Osò pure lottare in un certame musicale con Apollo e fu da Mida dichiarato vincitore: per questo giudizio Mida ebbe le orecchie d’asino, ma in silenzio le tenne e di nascosto. Nessun amore di Pan è ricordato, o, di sfuggita molto pochi, cosa che può sembrare strana tra una turba di dèi così amatori. Gli è attribuita solo una passione per Eco considerata come sua moglie e pure per una ninfa di nome Siringa della quale si innamorò alla follia, per l’ira e la vendetta di Cupido, che non si era fatto scrupolo a sfidare. Non ebbe neppure alcuna prole (cosa del pari stupefacente, essendo gli dèi, soprattutto maschi, prolificissimi) se si eccettua una figlia, una giovine ancella di nome Iambe, che soleva dilettare gli ospiti con ridicole novellucce e che da alcuni era giudicata figlia sua e della moglie Eco. Favola stupenda se mai ve ne furono, e gravida di misteri e di arcani della natura e, per così dire, turgida. Pan (come dice il nome stesso) simboleggia l’Universalità delle cose o la Natura. Dell’origine di questa si ha sotto ogni rispetto una doppia ipotesi; infatti può così: o è nata da Mercurio cioè dalla parola di Dio (cosa che le Sacre Scritture pongono fuori discussione, e assicurano i filosofi ritenuti più divini) o dai semi confusi delle cose. Coloro infatti che posero un solo principio alle cose, o lo riferiscono a Dio o, ammettendo un principio materiale, lo considerarono potenzialmente vario; così che ogni controversia di tal fatta si riconduce a questo dilemma che il mondo sia originato da Mercurio o da tutti i Proci. E cantava come attraverso lo spazio vuoto si raccolsero La terza generazione di Pan è tale che i Greci sembrano di aver subito l’influsso dei misteri ebraici o attraverso mediazione egizia o in qualche altro modo. Essa si riferisce infatti allo stato del mondo non secondo i suoi meri natali, ma dopo la caduta di Adamo reso colpevole ed esposto alla morte e alla corruzione. Tale stato fu prodotto di Dio e del peccato e resta ancora. Pertanto questa triplice tradizione della nascita di Pan potrebbe anche essere accettata per vera, se distinta appropriatamente secondo fatti e tempi. Infatti questo Pan che noi intuiamo e contempliamo e veneriamo più dell’occorrenza ha scaturigine dal Verbo divino coll’interposizione della confusa materia (che per essa era stata creata da Dio) e la partecipazione della prevaricazione e corruzione. La natura e il destino delle cose sono affermate e giudicate sorelle, appunto perché le catene delle cause naturali trascinano le nascite, gli sviluppi, le morti, le depressioni e le preminenze, le disgrazie e le sfortune e i destini di tutto ciò che può accadere. Le corna poi si riferiscono al mondo. Poiché corna di tal genere sono al fondo più larghe e al vertice più acute, questo fatto indica come la natura sia tale e quale a una piramide; gli individui sono infiniti e si raccolgono in specie pur esse molteplici, le specie a loro volta si raccolgono in generi anch’essi, ascendendo, si contraggono in enti più generali sì che al fine la natura sembra volersi fondere nell’unità. Neppure è sorprendente il fatto che le corna di Pan arrivino al cielo; dato che i vertici della natura, cioè le idee universali, in qualche modo si avvicinano a Dio. Il passaggio dalla metafisica alla teologia naturale è perciò chiaro e tangibile. In modo assai vero ed elegante è rappresentato come irsuto il corpo della natura, a causa dei raggi delle cose che sono come i crini o velli della natura, e quasi tutte le cose sono più o meno irraggianti; come molto bene si osserva nella facoltà della vista né diversamente in ogni virtù ed operazione a distanza; perché si può dire senza errore che qualunque cosa operi a distanza emetta raggi; più di tutto è notevole la barba di Pan, perché i raggi dei corpi celesti operano e penetrano soprattutto da lontano. Anche il sole, quando la parte superiore è velata da una nube e i raggi erompono da quella inferiore, sembra avere la barba. Ottimamente è definito biforme il corpo della natura per la differenza dei corpi superiori ed inferiori. I primi infatti, per la bellezza e l’euritmia e costanza del moto che li fa essere i regolatori della terra e dei corpi terrestri, ben a ragione sono rappresentati nella parte umana; i secondi invece, per la perturbazioni e gli incomposti movimenti e per il fatto di essere governati dai corpi celesti, possono essere raffigurati dall’aspetto di un animale bruto. La medesima descrizione del corpo riguarda la partecipazione delle specie. Infatti nessuna natura può sembrare semplice, ma si dimostra sempre formata e contesta di due parti. L’uomo ha non poco dell’animale; il bruto non poco della pianta; la pianta non poco del corpo inanimato: e tutto è biforme e composto di una specie inferiore e di una superiore. Acutissima è poi l’allegoria dei piedi di capra, per via del moto ascensionale dei corpi terrestri verso le regioni aeree e celesti. La capra è difatti un animale arrampicatore e ama stare arroccata sulle rupi e sospendersi sui precipizi, cosa che anche fanno mirabilmente le cose gravitanti verso il mondo inferiore, come appare manifestissimo nelle nubi e nelle meteore.
L’ufficio di Pan in nessun altro modo avrebbe potuto essere spiegato e chiarito tanto evidentemente quanto con l’epiteto di re dei cacciatori. Ogni azione naturale, ogni moto e processo non è altro che una caccia. Scienze ed arti vanno a caccia delle proprie opere, le umane azioni perseguono i loro fini, e tutte le cose della natura vanno in cerca di preda, loro nutrimento, o di piaceri, loro svago, e inoltre nei modi più esperti e sottili. La torva leonessa segue il lupo, il lupo insegue la capretta, Pan è anche il dio dei campagnoli in genere, perché simili uomini vivono di più secondo natura, poiché nelle città e nelle corti la natura è corrotta dall’eccessiva raffinatezza, come dice quel vero detto del poeta: Una minima parte della fanciulla è se stessa. – Ovidio Si dice che Pan sia soprattutto protettore dei monti perché la natura si spande maggiormente sui monti e sulle alture e di più si apre agli occhi e alla contemplazione. Quanto al fatto che Pan sia secondo nunzio degli dèi, oltre Mercurio, questa è una allegoria chiaramente divina, essendo dopo il Verbo di Dio, la stessa immagine del mondo indizio della divina potenza e sapienza. Cosa che pure il divino poeta cantò: I cieli narrano la gloria di Dio, Le ninfe ricreano Pan, cioè le anime; infatti le delizie del mondo sono le anime dei viventi e Pan a ragione è definito loro capo, perché esse seguono come guida la loro particolare natura e intorno ad essa, con infinita varietà, cioè ciascuna a suo modo, saltano e intrecciano danze, senza mai cessare il movimento. In loro compagnia stanno sempre Satiri e Sileni, cioè vecchiaia e gioventù; di tutte le cose c’è infatti un’età ilare e giocosa e un’età stanca e assetata, ma le tendenze di entrambe le età, a chi veramente le contempli (come a Democrito), forse sembrano ridicole e deformi alla stregua di un qualche Satiro o Sileno. Sui terrori panici si pone una teoria molto saggia: la natura produce in tutti i viventi paura e timore, sentimenti conservatori della vita e dell’essenza sua, negatori e rinnegatori delle cattive disposizioni da evitare. Tuttavia la medesima natura non è in grado di mantenere l’equilibrio, ma mescola sempre ai timori salutari quelli vani ed inutili, tanto che tutte le cose, se fosse dato vederci entro, sono pienissime di terrori panici; e specialmente l’uomo che è tutto coartato dalla superstizione (nient’altro che terror panico), soprattutto in tempi dubbi duri o avversi. Per quello che riguarda l’audacia di Pan e la lotta per provocazione con Cupido, essa si riferisce alla materia che non è priva dell’inclinazione e dell’appetito alla dissoluzione del mondo e al ritorno a quell’antico Caos; ma una pur valida concordia delle cose (simboleggiata da Amore e Cupido) raffrena la sua malizia e violenza e la riconduce all’ordine. Pertanto con buona sorte degli uomini e delle cose avviene che Pan abbia fatto prova negativa di sé in quella lotta e se ne vada battuto. Lo stesso significa l’episodio di Tifone impigliato nelle reti, perché ogni qualvolta insorgono vasti sommovimenti della materia (che è simboleggiata da Tifone), o che si ingrossino i mari, o le nubi, o si ingrossi la terra od altro, sempre la natura raffrena e avvolge gli arbitrii e le esuberanze dei corpi con una rete inestricabile, e li vince con una catena di tenacia adamantina. Riguardo al fatto che si attribuisce a questo dio il ritrovamento di Cecere e per di più durante la caccia, mentre tutti gli altri dèi l’avevano cercata attivamente ma invano, ciò contiene un monito importante ed accorto: ossia che non ci si deve attendere la scoperta delle cose utili alla vita e alla coltivazione, quale quella delle messi, dalle filosofie astratte, che sono come le divinità maggiori, per quanto esse vi si applichino con tutte le forze, ma soltanto da Pan, cioè dalla sagace esperienza e dalla conoscenza universale delle cose mondane, che talora può essere trovata per caso, come durante una caccia. La gara musicale e il suo esito, mostrano una salutare dottrina, capace di ricondurre entro i limiti della moderazione l’eccessiva fiducia nella ragione e nel giudizio umano pieno di sicumera. C’è difatti una duplice armonia simile alla musica: quella della divina provvidenza e quella della ragione umana. All’umano giudizio, cioè alle orecchie dei mortali, il governo del mondo e delle cose, gli imperscrutabili disegni divini risuonano strani e per così dire dissonanti, e questa ignoranza è giustamente rappresentata dalle orecchie asinine che pur esse crescono di nascosto e segretamente, e dal volgo non è notata od intuita siffatta deformità. Infine non è per nulla sorprendente che nessun amore sia attribuito a Pan all’infuori del matrimonio con Eco: il mondo gode da sé e in sé di ogni cosa; chi ama vuol godere di qualcosa, mentre nell’abbondanza non v’è posto per il desiderio. Pertanto il mondo non può avere alcun amore né desiderio di possesso essendo contento di sé; se non di discorsi. Questi sono rappresentati dalla voce di Eco, o, se più raffinati, da Siringa. Tra i discorsi o voci è assunta bene la sola Eco come moglie del mondo; essa è infatti la vera filosofia che assai fedelmente rende le voci del mondo e viene scritta quasi sotto sua dettatura, e altro non è se non la sua immagine riflessa che non aggiunge qualcosa di proprio ma solo riflette e rimodula. Il fatto che non generi prole, si riferisce all’autosufficienza e alla perfezione del mondo. Questi genera per parti, ma come potrebbe generare per intero, dato che non v’è corpo fuori di esso? Riguardo a quella giovinetta sua figlia putativa, è senza dubbio una integrazione sapiente alla favola. Attraverso di essa sono rappresentate quelle vane dottrine che vagano qua e là in ogni tempo e riempiono tutto e tutti, di fatto infruttuose, quasi ancelle nel loro genere, talora divertenti nella loro garrula verbosità, spesso moleste ed importune. |