Le Sirene o il piacere

Miti e SimboliLa favola delle Sirene viene riferita, ma in modo assai superficiale ai dannosi allettamenti del piacere. Ci sembra che la sapienza degli antichi sia come uva non ben spremuta dalla quale, benché qualche cosa sia tratta, tuttavia le cose più importanti restano e sono trascurate.

Le Sirene o il piacere

di Francesco Bacone – (tratto dagli Scritti Filosofici – Ed. UTET – a cura di Paolo Rossi)

La favola delle Sirene viene riferita, ma in modo assai superficiale ai dannosi allettamenti del piacere. Ci sembra che la sapienza degli antichi sia come uva non ben spremuta dalla quale, benché qualche cosa sia tratta, tuttavia le cose più importanti restano e sono trascurate. Si narra che le sirene fossero figlie di Acheloo e di Tersicore, una delle Muse. Costoro in un primo tempo erano alate, ma, vinte in una gara temerariamente intrapresa con le Muse, furono condannate a perderle. Con le penne strappate, le Muse si fecero delle corone così che, da quel tempo le Muse procedettero con il capo alato, ad eccezione della sola madre delle Sirene.

La dimora delle sirene era in certe amene isole: costoro, quando da un posto di osservazione vedevano delle navi avvicinarsi, prima trattenevano i naviganti col canto, poi li attiravano e, presili, li uccidevano. La loro melodia non era monotona, ma esse la variavano in modi estremamente consoni a chi volevano sedurre. Tale era poi il pericolo, che le loro isole, anche a chi guardava di lontano, biancheggiavano per le ossa dei cadaveri insepolti. A questo male fu trovato un rimedio duplice per specie e modo: uno da parte di Ulisse, l’altro da Orfeo. Ulisse ordinò ai suoi compagni di turarsi con cera le orecchie; egli, volendo esperimentare il fatto e nel contempo scacciare il pericolo, volle essere legato all’albero della nave proibendo con minacce che gli altri, anche pregati, lo sciogliessero. Orfeo invece, trascurati siffatti vincoli, con voce spiegata, cantando sulla lira le lodi degli dèi, rintuzzò le voci delle sirene e fu fuori di ogni pericolo.

La favola riguarda i costumi e la parabola non è certo oscura né inelegante. I piaceri provengono dalla quantità ed affluenza dei beni e dalla gioia ed esultanza dell’animo. Ai suoi primi allettamenti il piacere come alato soleva rapire i mortali. In seguito la dottrina e la cultura ottennero almeno questo: che l’animo umano si raccogliesse e meditasse sulle conseguenze delle sue azioni. Pertanto al piacere furono sottratte le ali. Questo accrebbe il decoro e l’onore delle Muse. Infatti, dopo che apparve chiaramente per l’esempio di certuni che la filosofia poteva indurre al disprezzo dei piaceri, subito essa apparve cosa sublime che alza ed eleva l’anima fissa nei piaceri terreni e rende i pensieri umani (che regnano nel cervello) alati e quasi eterei. Unica senza ali e pedestre rimase la madre delle Sirene. Costei, fuor di dubbio, indica quelle dottrine superficiali, inventate ed utilizzate a fine di divertimento, simili a quelle che sembrano essere state care a Petronio. Questi dopo che ebbe ricevuta la sentenza di morte, cercò delizie negli stessi atri della morte e non lesse nulla (dice Tacito) di quello che porta alla fermezza, ma solo versi leggeri.

Di questo genere è quel famoso passo:

«Viviamo mia Lesbia e amiamo e tutti i rimbrotti dei vecchi troppo severi non stimiamoli un soldo». – Catullo, Carm., 5

E quest’altro:

«Siano i vecchi a conoscere il diritto e a ricercare ciò che è lecito o no e ad esaminare le leggi». – Ovidio, Metam., IX, 550

Siffatti insegnamenti sembrano nuovamente voler togliere le ali dalle corone delle Muse e restituirle alle Sirene. Si narra che le Sirene abitino in isole perché quasi tutti i piaceri richiedono l’isolamento ed evitano spesso l’umano consorzio. Il canto delle Sirene è modulato per tutti e varie ne sono le lusinghe e gli allettamenti: questi punti non necessitano di una spiegazione. Più difficile quel particolare dei mucchi di ossa biancheggianti visibili in lontananza. Questo significa che gli esempi delle sventure, benché chiari visibili, non giovano molto contro le corruttele dei piaceri.

Resta la parabola dei rimedi, anch’essa non astrusa, ma nobile prudente. Infatti contro un sì ambiguo e violento male sono proposti tre rimedi: due dalla filosofia, il terzo dalla religione. Il primo modo di sfuggirlo è di resistergli al principio ed evitare accuratamente tutte le occasioni che possano tentare o sollecitare l’animo: cosa che è rappresentata da quella otturazione delle orecchie. Questo rimedio si dice usato necessariamente per gli animi mediocri e plebei come i compagni di Ulisse. Gli animi invece più nobili possono anche aggirarsi in mezzo ai piaceri se si premuniscono della costanza di un proposito: ché anzi godono nello sperimentare la loro virtù e conoscono le follie e gli adescamenti del piacere per conoscerli non per volerli seguire. Cosa che professò di sé anche Salomone quando chiudeva con questo motto l’enumerazione delle passioni delle quali abbondava: «La sapienza è sempre rimasta presso di me». Simili eroi possono pertanto restare immobili in mezzo ai più grandi allettamenti dei piaceri e sostenersi sugli stessi precipizi: basta che seguano l’esempio di Ulisse trascurando i pericolosi e cattivi consigli dei loro amici che possono far tentennare ed abbattere l’anima del più forte.

Magnifico in ogni caso è il rimedio di Orfeo che, cantando ed intonando le lodi degli dèi, confuse e piegò la voce delle Sirene. Infatti le meditazioni delle cose divine superano non solo in potenza, ma anche in dolcezza, i piaceri dei sensi.

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