Archetipi Alfabetici

Miti e Simboli

Archetipi Alfabetici è una ricerca indipendente sviluppatasi tramite tesi assolutamente non pregiudizievoli e basata su alcuni aspetti ancestrali, derivanti dai significati atavici delle lettere dell’alfabeto.

Archetipi Alfabetici

di Costanza Bondi

Elaborato tratto da Archetipi Alfabeticisegni, simboli e significati svelati dalle lettere – Xpublishing edizioni

LETTERA E

ORIGINE haw

SIMBOLO alzare le braccia al cielo

CONCETTO vita universale

FUNZIONE giubilo

ARCHETIPO in cui simbolicamente l’uomo tende felicemente le braccia verso l’infinito che lo circonda: cioè, l’ambiente che lo racchiude.

Il concetto archetipico rende noi uomini tutti recipendari dell’enunciato per cui l’esistenza umana vada finalizzata al di sopra dei confini intellettuali e geografici, secondo quel “via di porre” michelangiolesco che ci permette di arrivare allo stimolo/sviluppo della conoscenza. Ma, conoscenza di cosa?

Prima di tutto, dell’olonoma: la legge universale per cui l’uomo – fatto di materia ed energia che per palingenesi si trasformano – sottostà alle stesse leggi di natura che governano l’universo. Quindi, sia il cielo che la terra, compreso ogni loro componente, sono finalizzati in parallelo alla propria riproduzione. Partendo dal fisico Lee Smolin per cui “Le creature viventi, come ogni altra cosa dell’universo, sono fatte di atomi che obbediscono alle stesse leggi di ogni altro atomo del mondo”… arriviamo alla teoria di Bulletti del Logos per cui Parto/Umano e Parto/White-Hole combaciano. “Il Black Hole è una vera e propria struttura del parto del cosmo. Analogamente a quanto avviene per la nascita umana, esiste un canale del parto che, nella teoretica fisica, è definito White Hole (…) L’universo nel quale ci troviamo è stato generato da un Black Hole che ha partorito il Big Bang, del quale il nostro universo attuale è il costituente (…) Un Black Hole può dare origine a più di un parto cosmico, esattamente come ogni madre può dare origine/partorire più di un figlio (…) Nel parto umano, il feto viene spinto verso l’esterno attraverso contrazioni, l’equivalente delle onde d’urto che fanno esplodere all’esterno un nuovo universo. Tutti i figli di una madre sono diversi tra loro, ciascuno con una propria storia”.

L’importante è che, sia a livello terreno che a livello cosmico, la riproduzione continui. Per quanto riguarda l’uomo, l’interruzione della catena riproduttiva all’interno della società si presenta come un avvenimento di tipo elitario, nel senso che appartiene solo a determinate categorie che decidono di praticare la castità per distaccarsi dall’umano concepire,  con lo scopo – reale o presunto – di cercare di elevarsi a un più alto grado di spiritualità.

Castità che infatti, dal canto suo, nel semplice vivere quotidiano viene vista come un’eresia ai fini dello scopo riproduttivo per cui l’uomo si trova al mondo dal punto di vista biologico = il processo cruciale della rigenerazione tramite la riproduzione: la ridondanza dei misteri antichi, quindi riti orgiastici e inneggianti alla fertilità, presenti in tutte le culture della Terra, dai tempi dei tempi, non fa che confermare. La condizione di celibato/nubilato/castità viene quindi vissuta nella contrapposizione concettuale tra l’amplesso cosmico (cioè  metafisico/allegorico) e la funzione umana di dualismo naturale/amplesso materiale, come unica modalità di antitesi che trova la propria espressione manifestandosi nella realizzazione di un unicum tra uomo e spiritualità. Ed è appunto in tale contesto che, dopo aver espletato i bisogni primari innati di sopravvivenza quali la caccia e la procreazione (alias, cibo e riproduzione), l’uomo si sente di dover applicare alla lettera il principio, ben descritto in seguito dai latini, secondo il quale è necessario primum vivere deinde philosophari. Torna quindi la voglia di conoscenza insita nell’uomo da cui eravamo partiti in questo nostro excursus. Le prime domande che l’essere umano, ovunque nel pianeta Terra, si è sentito in dovere di porsi, osservando l’ambiente che lo circonda, anche alzando quindi gli occhi al cielo, sono state: “Chi è il creatore di tutto ciò, me compreso?” … “Perché esisto?” … “Quale il senso della vita?” … “L’universo è finito, oppure no?” …

L’uomo però, per conoscere e per sapere, ha sempre bisogno di mettere in relazione il noto con l’ignoto, il finito con l’infinito, quindi anche il Tutto con il Niente. Ma la razionalità umana ha, ovviamente, dei limiti. Quando allora la ragione da sola risulta inadeguata per dare risposte a questi pensieri e, di conseguenza, la via empirica non risulta più sufficiente, ci si affida alla spiritualità.

Nascono perciò le teologie, nel semplice tentativo di dare tali risposte, ognuna però con i propri schemi di riferimento culturali e sociali, sebbene al contempo ognuna contemplante la trascendenza. Cioè la presenza di un dio o di dèi provenienti da un mondo-altro, per ciò stesso indefinibili o intangibili, proprio perché assai lontani dalla sostanza uomo e dal mondo-questo. Ma l’astratto è inaccessibile, anche per definizione, pertanto si tratta di due mondi che non possono toccarsi né interagire, poiché è impossibile il reciproco contatto diretto (1). Entra allora in gioco l’equivalenza gestione del tempo = gestione del calendario, soprattutto nella parte riguardante le festività, cioè la santificazione di giorni specifici, così da portare l’uomo in una dimensione che lo avvicini, tramite la ritualità solennemente sancita, il più possibile al divino. Qualunque esso sia.

E qui l’etimologia delle parole tempio e tempo la dice lunga… dall’indoeuropeo tem-lo = tagliare, passando per il greco τέμνω temno = io taglio, ai templum e tempus latini. Quindi, da una parte avremo il tempo come separazione dei giorni uno dall’altro, la divisione in anni, la scansione in periodi, epoche e infine stagioni. Dall’altra, il tempio inteso come spazio consacrato (prima immaginario, poi realizzato concretamente) tagliato fuori del quotidiano, date le funzioni precipue e separate dalla realtà di tutti i giorni a cui la costruzione è preposta.

Infatti il rito, in quanto ripetizione e imitazione del Superiore rispetto agli accadimenti umani, non può che avvenire all’interno di un edificio costruito secondo regole “sacre” che ne permettano di esprimere i valori universali. Ecco, allora, ripresentarsi il concetto di dualismo tra uomo e cosmo dove, in quest’ultimo, per dirla alla Gustavo Rol, “Dio non ha giocato a dadi. In tutto l’universo c’è ordine, nulla è abbandonato al caso”. Ed è esattamente quest’ordine celeste che l’uomo tenta di riprodurre in terra, tramite la gestione meticolosa del tempo che, oltre alla già analizzata calendarizzazione, prevede il disvelarsi, col conseguente concretizzarsi, di: memoria collettiva, festività (soprattutto liturgiche), tradizione e commemorazione degli elementi unificanti di un popolo. Dai miti cosmogonici alle religioni prima, ai monoteismi poi, il passo sarà conseguenziale, ma sempre e costantemente con una unica finalità: raggiungere la felicità. La quale, riassumiamo, è uno stato d’animo di grazia di cui l’uomo collettivo può giovare in pieno solo nel momento in cui vede integrata al massimo la propria identità con l’ambiente – fisico e spirituale – in cui vive. Cioè, il momento che porta alla coincidenza tra vita umana e vita universale.

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(1) Questa è l’accezione comune che considera il fisico ed il metafisico due mondi intangibili tra loro. Partendo da quest’idea molti uomini pongono il sacro nella sfera del metafisico, astraendolo da sé stessi. La tradizione iniziatica invece da sempre indica all’uomo come mettere in relazione queste due sfere, il “cielo” e la “terra”, insegnando come costruire quel ponte (che è poi la vera attività religiosa, nel senso di religere, e dello yoga per l’oriente) attraverso la percezione intuitiva, che risponde all’intelligenza del cuore. (n.d.r.) (torna al testo)

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