La teoria dell’eterno ritorno nietzscheano

Letture d'EsoterismoDa sempre l’umanità s’interroga sul mistero del tempo. Filosofi, poeti e teologi hanno tentato instancabilmente di dare un senso al divenire, soprattutto in rapporto alla dimensione esistenziale ed antropologica dell’azione etica nel mondo. Porre la domanda sullo scorrere del tempo significa accingersi ad interrogarsi sul senso della vita, della nostra vita.

La teoria dell’eterno ritorno nietzscheano

di Antonio D’Alonzo

Da sempre l’umanità s’interroga sul mistero del tempo. Filosofi, poeti e teologi hanno tentato instancabilmente di dare un senso al divenire, soprattutto in rapporto alla dimensione esistenziale ed antropologica dell’azione etica nel mondo. Porre la domanda sullo scorrere del tempo significa accingersi ad interrogarsi sul senso della vita, della nostra vita. Così declama Anassimadro:

«Da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’un l’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo».

Chrónos, il dio che evira il padre – ed è a sua volta ucciso dal figlio Zeus – è identificato da Anassimandro con il tempo che irrompe ed implode in se stesso.

Il divenire greco è compiuto, perfetto. Nel tempo ciclico non vi è distinzione tra l’inizio e la fine; il télos (dal greco teléo «portare a compimento», derivato da tél «girare intorno») coincide con la forma, perché non esiste finalità estrinseca alla rotazione perenne, ma il fine si sovrappone alla fine e simultaneamente all’inizio.

Con il tempo messianico del giudaismo – ma ancora prima con le vicende esemplari descritte nell’annalistica imperiale romana – si entra in una nuova dimensione temporale, che il cristianesimo farà propria. Il tempo acquista una scansione lineare, progressiva, contrassegnata da un inizio, una fase intermedia ed una fine. L’inizio è segnato dalla Rivelazione – segue un evento al contempo fondamentale ed intermedio per il solo cristianesimo (l’Incarnazione del Figlio) – infine la storia s’arresta nel culmine del tempo (la Parusia, la seconda venuta di Cristo sulla Terra o il Giudizio Finale dell’ebraismo).

La scienza ed il pensiero utopico hanno ricalcato il tempo dell’escatologia (dal greco éschaton «fine», dottrina che studia il senso ultimo della storia) cristiana, sostituendo alla fine del tempo rispettivamente il dominio completo dell’uomo sulla Natura e la realizzazione della società priva di classi sociali.

Con l’annalistica romana e successivamente con il cristianesimo, il tempo acquista un senso estrinseco alla forma stessa, inaugurando la dimensione esistenziale della progettualità generazionale. Nel tempo greco tutto ritornerà esattamente come è sempre stato: è inutile cercare di migliorare la qualità della vita per i posteri. Nel tempo lineare, al contrario, ha senso lavorare insieme per un mondo migliore, poiché alla fine gli uomini saranno chiamati a rispondere delle proprie azioni. Con il tempo escatologico s’inaugura la dimensione del vivere-per-un-altrove (sociale o ultraterreno), mentre nel tempo circolare la vita trova la sua finalità nella finitezza individuale. In ogni caso rimane il problema metafisico di armonizzare il divenire con l’essere, di conciliare la progettualità con l’angoscioso pensiero della morte.

Nietzsche con la dottrina dell’eterno ritorno aspira ad oltrepassare il contingente. Se leggiamo diversi frammenti di “Il nichilismo europeo” pubblicati da Adelphi o nella versione “spuria” di “La Volontà di Potenza” (a cura di M. Ferraris), ma soprattutto se ci rifacciamo a quel capolavoro speculativo che è il Nietzsche di Heidegger, comprendiamo come l’eterno ritorno dell’identico, non sia altro che il tentativo di dare al divenire la forma dell’essere. Se tutto ritorna – anche questo momento nell’identica cadenza – il divenire si dilegua nella circolarità del tempo. L’essere prende la forma dell’anello del tempo ed il divenire non diviene veramente, ma si limita a ritornare; lo scorrere del tempo si rivela illusorio ed il cerchio del ritorno acquista una dimensione ipostatica. L’eterno ritorno per il filosofo tedesco è una teoria che consente di teorizzare una “mobile” (circolare) eternità.

Nietzsche si è preoccupato di dare un significato etico, più che metafisico, all’eterno ritorno. Come proclama il demone di La Gaia Scienza che striscia nella più furtiva delle solitudini, la stessa vita che abbiamo vissuto, dovremmo riviverla innumerevoli volte con gli stessi eventi, gioie e dolori. Amare l’eterno ritorno – non limitarsi semplicemente ad accettarlo passivamente – significa dire “sì” alla vita. Siamo in un’ottica antitetica rispetto a quella induista, buddhista e giainista. Per queste religioni la vita è sofferenza e/o illusione ed è necessario liberarsi dal samsara, la concatenazione delle rinascite. Per Nietzsche, al contrario, fare nostra la teoria dell’eterno ritorno implica soprattutto l’amor fati.

Nietzsche nei suoi scritti spesso echeggia Dioniso, il dio senza forma per eccellenza, smembrato dai Titani. Dioniso è il dio dell’ebbrezza, del ditirambo e della musica. Tutte caratteristiche che si combinano con l’eterno ritorno, che apre alla disgregazione della personalità finita. Se tutto ritorna migliaia di volte nella stessa maniera, che importanza ha la progettualità dell’essere umano? La “volontà di fare” (wille-zur-macht) non ha senso se ci ritroveremo per milioni di volte al punto di partenza. A meno che non s’intenda la volontà di potenza – Bäumler, il principale teorico nazista di Nietzsche assieme ad Alfred Rosenberg, non si capacitava sul significato dell’eterno ritorno – come capacità di sopportare l’idea dell’eterno ritorno ed il nichilismo passivo che ne deriva. A mio avviso non esiste – come per tutti i grandi filosofi – una sola chiave di lettura per Nietzsche. Ognuno deve crearsi il proprio Nietzsche.

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