Shri Shirdi Sai Baba

Letture d'Esoterismo Orientale1. Introduzione – 2. Sai Baba arriva a Shirdi – 3. Gli insegnamenti del Maestro – 4. Conclusione

Se una cultura vuole vivere, deve affermarsi sempre più come l’impatto di una eruzione vulcanica che distrugge l’ignoranza dell’uomo. Sebbene la filosofia spirituale di Bahrat (India) sia vera per tutte le epoche, nel ripristinarla un grande scompiglio generale è stato generato da un’audace esplosione di verità spirituali. Questo può essere fatto soltanto da un grande Avatar (Incarnazione). L’inizio del ventesimo secolo ebbe un uomo simile in Shri Sai Baba (Venerabile Padre Sai), il Santo di Shirdi.

Shri Shirdi Sai Baba

Brani estratti dal Libro: “The Saint of Shirdi” di Mani Sahukar

Sommario: 1. Introduzione2. Sai Baba arriva a Shirdi3. Gli insegnamenti del Maestro4. Conclusione

1. Introduzione

Se una cultura vuole vivere, deve affermarsi sempre più come l’impatto di una eruzione vulcanica che distrugge l’ignoranza dell’uomo. Sebbene la filosofia spirituale di Bahrat (India) sia vera per tutte le epoche, nel ripristinarla un grande scompiglio generale è stato generato da un’audace esplosione di verità spirituali. Questo può essere fatto soltanto da un grande Avatar (Incarnazione). L’inizio del ventesimo secolo ebbe un uomo simile in Shri Sai Baba (Venerabile Padre Sai), il Santo di Shirdi. Shri Sai Baba passò oltre il 15 ottobre 1918, e nel periodo della sua messianicità durata soltanto circa 60 anni, in quel breve arco di tempo, fu capace di vivificare l’ordine temporale con la luce di Dio, rivelando negli uomini stessi la loro propria dignità e portandoli a scoprirla.

Sai Baba vive ancora nelle anime della nostra madre terra e nei cuori dei suoi figli; proprio allo stesso modo di tutti gli Avatar e di tutti i Saggi.

L’impulso religioso è saldamente e profondamente radicato in tutto il territorio della nostra grande e antica nazione. Il nobile idealismo delle nostre antiche scritture, definendo la religione come un modo di vita spirituale piuttosto che come un dogma o un credo, ha ancora presa sulle masse così come sull’intelligentia.

Sebbene oggigiorno la vitalità dell’impulso religioso possa essere frenata, è d’obbligo sostenerla, perché il vero indiano serba ancora nel profondo del cuore una viscerale fede nel fatto che egli può soddisfare i suoi bisogni basilari di felicità e pace mentale soltanto attraverso i valori spirituali. Questa è una caratteristica profondamente radicata dell’anima indiana, e niente può estirparla o distruggerla completamente. L’indiano crede che la fine del genere umano e del mondo non sia in essi stessi, ma sia destinata ad un destino trascendentale per cui l’individuo deve impegnarsi profondamente per il raggiungimento della perfezione. L’affermazione del regno di Dio sulla terra è sentita come un rapporto di cooperazione fra Dio e l’uomo. L’uomo è un compartecipe nel lavoro di creazione. Uomini e donne possono essere profondamente impegnati nei compiti mondani, ma l’ispirazione che li sostiene nelle loro attività umane viene dall’alto, dall’essenza della religione che è spiritualità.

Un breve esame generale delle condizioni prevalenti attuali, ci lascia con un’impressione di caos in tutto il mondo, di guerre fredde e di odio, di forze del male trionfanti sulle forze del bene, di un aumento nell’immoralità e corruzione, non soltanto in Bharat, ma in tutte le nazioni del mondo. Il fatto è che le invenzioni scientifiche hanno messo a disposizione dell’umanità poteri immensi, ma sfortunatamente, l’uomo che adopera questi poteri non ha ancora vinto i suoi istinti primordiali di potere e di cupidigia, e così questi strumenti scientifici sono usati per fini distruttivi anziché costruttivi. Inoltre, tutte queste invenzioni hanno moltiplicato i desideri e solleticato gli istinti umani di possesso. Cercando di soddisfare questo Frankenstein dei desideri mondani, l’uomo è diventato la vittima della tragica illusione che un ambiente materiale, nel quale ci sia una folle ricerca di un lusso ridondante, conforti e dia un senso di piacere nella panacea di tutti i guai e i problemi. Ma, quando gli impulsi più profondi del cuore umano sono trascurati, la miseria e le frustrazioni vengono a galla, così un approccio materialistico alla vita finisce per essere appagato. Noi in India possiamo ancora tornare al dinamismo della religione e a far rivivere la Verità, la Bellezza e l’Amore. Come Shri Aurobindo ha giustamente precisato, “l’India può sviluppare nel modo migliore se stessa e servire l’umanità rimanendo se stessa. Ella può essere se stessa soltanto essendo fedele alla sua antica conoscenza che è basata sulla spiritualità”.

La fede nel Guru spirituale è uno dei pilastri fondamentali del Sanathana Dharma. Gli insegnamenti dei Profeti e delle Incarnazioni hanno sempre fornito grandi ispirazioni ai cercatori spirituali. Il Guru come precettore spirituale ha sempre avuto un tremendo fascino per la mente orientale. Il cuore indiano risponde spontaneamente abbandonandosi al Guru. La teoria dell’avatarhood è una eloquente espressione della filosofia spirituale del Bahart. Se Dio è visto come il Redentore dell’umanità, come Egli invariabilmente è, allora Dio deve manifestarSi. La nascita del Satpurush (il Potere di Dio allo stato puro) è quindi accolta come la cosa più grande che possa accadere all’umanità. Dio come il Creatore astratto sfugge alla nostra immaginazione, ma quando un tempio umano racchiude il divino, cominciamo a capire attraverso questo mezzo familiare il fine del nostro proprio ultimo destino. Quindi quando Dio assume una forma umana, Egli fa riconoscere Se Stesso come il Guru. Il Guru è la manifestazione di Dio – questa è forse la più concisa e soddisfacente definizione del termine ed elimina la falsa affermazione di alcuni impropriamente chiamati Guru che sono pronti ad assumere il mantello dell’autorità spirituale, senza la vera manifestazione del principio divino. Il Guru come manifestazione di Dio diventa presto la Luce, l’ispirazione ed il grande esempio. La vita del cercatore medio, come è vissuta a livello fisico e materiale, è sterile e vuota finché non trova il suo focus nel Maestro. Per cui, sebbene sia vero che ogni uomo e donna siano potenzialmente divini, essi richiedono la grazia, protezione e la potente spinta del Guru per liberare questo splendore imprigionato che giace prigioniero in ognuno di noi.

È assolutamente necessario un Guru per un sadhana (disciplina) spirituale? I pro e i contro su questa questione sono stati adeguatamente discussi da Shri Sai Baba il quale, sebbene fosse soprattutto l’apostolo del Guru Marg, non negava la possibilità di progresso e conseguimento senza il Guru, ma fece sempre notare le incombenti difficoltà di un sadhaka (discepolo) che non fosse appoggiato da un Maestro spirituale per la guida e la protezione. “Va molto bene parlare del proprio vero se stesso al Guru”, diceva Baba, “ma il vero sé è così profondamente oscurato dall’ego il quale è così pieno di contraddizioni, che è molto difficile superare questa arrogante personalità per raggiungere la potenzialità nascosta del Sé divino. Il Guru, invece accetta le limitazioni del sadhaka e lentamente ma sicuramente lo aiuta a trascenderle e a raggiungere il suo obiettivo.” Swami Vivekananda fu un incorreggibile razionale all’inizio della sua vita, ma quando raggiunse la maturità spirituale attraverso la grazia del suo Guru Shri Ramakrishna Paramhansa, fece questa significativa affermazione a Sharada Devi – “Madre, la conoscenza che distrugge i piedi di loto del Guru non è del tutto conoscenza”. Il Guru è quindi la convinzione profondamente radicata dell’anima del Bharat. Il concetto di Guru è il perno sul quale praticamente tutte le sadhana trovano il loro focus.

La missione del Guru sembra avere un duplice scopo. Il primo e più importante riguardante il Guru è quello di risvegliare, elevare e trasformare il cercatore. Il secondo e finale scopo del Guru è, solo in apparenza paradossale, quello di aiutare i sadhakas a trascendere questo stato di completa dipendenza dal Maestro, dipendenza che il Guru stesso aveva assunto come pena da alimentare. L’azione finale nel realizzare la propria vera identità con Dio è esclusivamente compito del sadhaka .

2. Sai Baba arriva a Shirdi

L’aspirare a una vita più elevata è la caratteristica essenziale della cultura Indo-Ariana.

Questo portarsi verso la spiritualità ha contribuito alla grandezza del Bharat e forse alla causa della sua sopravvivenza.

La scesa di Dio come un Avatar e l’ascesa dell’uomo alla perfezione Divina – queste sono due inevitabili aspetti della nostra fede nazionale. È una specie di super-struttura sulla quale è basata la nostra tradizione spirituale.

A ragione Shri Sai Baba può essere chiamato il pioniere della rinascita spirituale in tempi relativamente moderni. Egli ebbe l’intuizione di unire la perenne saggezza del passato con le moderne tendenze progressive, che basò sui validi e onesti principi del progresso. Sai Baba asseriva che tutto il progresso deve essere raggiunto attraverso la vitalità della religione. Quindi, la vera armonia che è la base della felicità non è possibile, secondo il saggio, attraverso il credo politico o addirittura attraverso riforme sociali o principi di scienza, fintanto che tutto questo possa fiorire in un’era ed essere obsoleto nella successiva. L’armonia della visione spirituale, comunque, è durevole perché la struttura di tale armonia rimane immutata attraverso le ere. Questa armonia è da ricercarsi nell’amore umano per Dio. Questa è la tesi più importante di Sai Baba.

Assumendo ciò come la maggiore enunciazione, Baba dimostra che questo è il punto cruciale dell’intera premessa. Dal momento che noi s’impari ad amare Dio con un amore perfetto, solo allora saremo capaci di amare i nostri simili. Dio è il comune denominatore, così come lo era. Per la compassione innata in questo grande maestro, egli sapeva che la lotta per purificare le nostre emozioni ci avrebbe stancato, allora egli sosteneva invece di affidare a Dio con pensieri di amore e resa. Invece di cominciare dal fondo lottando per salire, Sai Baba ci consiglia di cominciare accettando Dio come un assioma spirituale. Il Divino diventa quindi il punto di partenza, il nucleo dal quale noi progrediamo per il conseguimento dell’amicizia e fratellanza degli uomini. Questa è una premessa confortante e anche gratificante, perché così noi siamo sicuri che quando l’anima dell’aspirante muove il primo passo verso Dio, l’Onnipotente si affretta a prenderlo sotto la Sua eterna protezione.

Come un dato di fatto, con l’avvento del Santo di Shirdi, il grande e tradizionale movimento di Bhakti, come un virile sadhana per raggiungere la salvezza, ricevette una spinta tremenda. Sai Baba portò una potente rinascita nel culto della devozione. Soltanto per questo contributo il Maestro guadagnò per sé un nome immortale negli annali della spiritualità.

Consapevole della bellezza e del potere che risiede nella devozione che è tesa al Divino, Shri Sai Baba esortava uomini e donne ad adottare Bhakti (Devozione) come il sadhana più gratificante. Comunque non si deve pensare che Sai Baba denigrasse in alcun modo il valore e l’importanza di altri percorsi. “Dopo tutto, il fine è lo stesso”, dichiarava Baba; “così questo non significa soltanto tramite quale delle varie strade cerchi di raggiungerlo”. Infine la ricerca e il cercatore diventano uno con tutti i cercatori che cercano la luce comune. Anche se, Shri Sainath sentiva che i concetti intellettuali hanno una scomoda e infinita capacità di variare e moltiplicarsi con gli individui. Ci sono così tanti sistemi filosofici così come ci sono tanti filosofi, e così questi concetti, più spesso che mai, diventano cause di tensioni fra i cercatori. Ma Bhakti è diversa. Bhakti o amore è il più naturale e vitale sentimento del cuore umano. Amare ed essere amato rientrano nel fine di ogni normale esperienza individuale, e nessuno è esente dal bisogno di coltivare l’amore. Come un vero e sensitivo psicologo, Sai Baba riconobbe che il bisogno di adorare è proprio del cuore umano e, così come egli sentiva che il sadhana di devozione (Bhakti), potrebbe veramente diventare la base per un dialogo interreligioso.

Comunque, Shri Sai Baba discese come l’Avatar dell’Amore. Questo era il suo ruolo manifesto. Si potrebbe affermare che dopo Gesù Cristo, non c’è stato un apostolo dell’amore più grande di Shri Sai Baba, il Santo di Shirdi.

Scrivere una biografia sommaria di santi è molto difficile, ma le difficoltà diventano veramente insormontabili quando si ha da trattare con la vita dell’incredibile Santo di Shirdi. I primi anni della vita di Sai Baba sono avvolti da contraddizioni e misteri. Per giunta, gli piaceva coltivare il senso di mistero e incertezza che aleggiava sulla sua nascita, la sua famiglia, gli eventi e avvenimenti della sua prima infanzia. Infatti Sai Baba è uno di quei rari santi della cui nascita e famiglia non c’è una vera documentazione. Tutto quello che è storicamente conosciuto è che Sai Baba da prima arrivò a Shirdi quando era un ragazzo di sedici anni, e visse laggiù per circa quattro anni. Poi improvvisamente sparì per un po’di tempo, e dopo un lasso di altri quattro anni ritornò a Shirdi all’incirca nell’anno 1859. Da allora egli rimase nel luogo da lui prescelto per un ininterrotto periodo di circa sessant’anni finché non raggiunse il suo mahasamadhi nel 1918.

Ma dove e quando questo giovane ragazzo nacque, da dove proveniva, non fu mai definitivamente chiarito.

Shri Sai Baba parlava spesso tramite parabole, che, se prese troppo alla lettera, confluivano in una massa di credi e teorie contraddittorie, e ogni gruppo di persone credeva in ciò che voleva credere. Gli Hindi lo vedevano come un Avatar di qualche Dio; i Musulmani dicevano che era un Pir inviato da Allah per liberare gli uomini. Per uno egli era l’Avatar di Dattatreya, per l’altro era Akalkote Maharaj reincarnato. Ogni individuo vedeva in questo unico Santo una personificazione del proprio dio favorito, come una incarnazione del suo ideale scelto, e lo adorava come tale.

Attraverso tutto questo labirinto di credo contrapposti, Baba visse serenamente forse con una scintilla di humour nei suoi occhi per la confusione che queste superflue congetture sulla sua casta e credo agitavano coloro che lo circondavano. Baba aveva un discreto senso umoristico. Sebbene egli avesse raggiunto la più alta regalità nel reame dello spirito, non fu come molti altri Yogi assorbiti nella contemplazione del loro proprio stato beato. Camminava spesso, conversava e rideva con i suoi molti devoti. Amava scherzare, e amava ridicolarizzare le contraddizioni della natura umana, ma le sue sortite erano sempre temperate dalla tenerezza. La sua assemblea in Shirdi in quei gloriosi giorni fu una vera dimora della gioia, e non somigliava in alcun modo ad un deprimente convento privo di risate e gioia, il Santo di Shirdi sconcertava i suoi ammiratori.

Nessuno sapeva se lui era un Hindu o un Musulmano! Vestiva come un Musulmano e portava i segni della casta come un Hindu! Con la stessa grande gioia e come un bambino celebrava le feste di ambedue le comunità! Se i protagonisti Hindu provavano un senso di orgoglio nel pensiero che secondo le loro usanze Baba teneva sempre acceso il sacro fuoco davanti a sé, essi erano anche forzatamente costretti ad ammettere che dopo tutto egli viveva in un masjid (moschea). Egli citava il Corano e deliziava i suoi fedeli Musulmani, per poi lasciarli interdetti con la sua profonda Hindu shastras (conoscenza). Egli stesso si chiamava fachiro e sulle sue labbra risuonava costantemente la magia “Allah Malik” (Dio Re). Ma poi egli si chiamava anche Brahamino puro, e mostrava una notevole abilità in tutte le pratiche yoga. Era un magnifico tributo alla sua luminosa presenza che i più famosi membri ortodossi di ambedue le comunità si prostravano ai suoi piedi. Forse un tale fenomeno è ancora sconosciuto nella storia di questa nostra vasta e stupefacente nazione, dove queste due comunità hanno venerato un Profeta con la stessa venerazione e con la reciproca tolleranza per l’altrui modo di adorazione.

Sai Baba nella sua infinita saggezza vedeva come fosse imperativo armonizzare i popoli, per cui egli odiava seriamente tutte le discordie e non era mai così addolorato come quando trovava persone a discutere e litigare. Che Rama (il Dio degli Hindu) e Rahim (il Dio dei Musulmani) fossero uno e lo stesso – fu la sua costante raccomandazione ai suoi seguaci. In quei giorni a Shirdi prevaleva un notevole spirito d’amore e fratellanza, per questo tutte le comunità trovarono un interesse comune e unificante nella divina personalità di Shri Sai Baba. Questa non potrebbe essere una delle importanti ragioni del perché Baba si accingeva deliberatamente a confondere i suoi seguaci sul suo essere Hindu o Musulmano?

Chi è Sai Baba, si chiede la gente oggigiorno; e per quelli che cercano una classificazione superficiale del Santo nell’adesione a questo o a quel credo, non c’è ancora una risposta soddisfacente a questa domanda. Ma quei pochi che hanno assimilato l’insegnamento del Grande Maestro capiscono che “Sai non è questi tre piedi cubici e mezzo di corpo visibile dimorante a Shirdi”, come Baba stesso era solito ripetere, ma un essere glorioso che ha trasceso i limiti di spazio e tempo per divenire uno col Divino che tutto assorbe e tutto ama. A questo uno, che cosa importava come e dove egli nacque, o quale fosse la sua nazionalità! Una volta in risposta alla stessa domanda Baba disse: “Io non ho residenza, io sono l’assoluto senza qualità. L’azione del karma, mi coinvolse e venni in un corpo. Il mio nome è il Dehi incarnato. Il mondo è la mia dimora. Brahman è mio padre e Maya è mia madre. Tramite la loro unione io ebbi questo corpo”. “Coloro che credono che io risieda a Shirdi non conoscono il vero Sai”, rimproverò, “quindi io sono senza forma e ovunque”.

Come la fase tardiva di Arunchala – Bahgwan Ramana – la cui vita è anch’essa un’altra saga di magnificenza spirituale, anche Baba costantemente incoraggiò domande sulla vera natura del Sé. La somiglianza nella premessa fra questi due grandi maestri è significativa. Il “chi sono” di Bhagwan Ramana è diventato il perno del suo insegnamento. Sai Baba non si stancò mai di dire ai suoi seguaci di pensare a chi fossero. Diceva spesso, “Chi sono – da che cosa? Notte e giorno pensa a questo”. Questo fu uno dei più importanti ordini del Maestro e sarà sviluppato poi in un altro capitolo.

Il Maestro insegnò con precetti, pratica e con il potere e la gloria della sua sola presenza, la via della vita che conduce a una radicale trasformazione nell’intimo umano. Vero, egli parlò soltanto per mezzo della parola parlata nella lunga antica tradizione di molti Guru Indiani, ma questa parola parlata ha la forza e lo splendore per superare le limitazioni del tempo e della distanza, e si è diffusa in lungo e in largo anche fino ai nostri villaggi più remoti. Gli insegnamenti e la vita di Sai Baba hanno soprattutto catturato l’immaginazione dei Maharashtrians e degli Indiani del sud, soltanto in mezzo a questi oggigiorno si contano milioni di devoti. Ma anche in altre parti dell’India non scarseggia Sai Bhakta. È abbastanza curioso che l’influenza di questo grande Yogi è in crescita e si sta espandendo sempre più, invece di svanire col passare degli anni. Benché fosse un grande Gnani e un capace esponente di sottigliezze metafisiche, Baba fu preminentemente il salvatore del povero e del semplice e della cosiddetta massa ignorante dell’umanità. Shri Aurobindo parla di amore divino che è anche personale, “Non è come l’ordinario personale amore umano che dipende da un qualche ritorno dalla persona”, dice. “È personale ma non egoistico; va dal vero essere nell’uno al vero essere nell’altro”. Questo è il tipo di amore che Baba ha per l’umanità.

3. Gli insegnamenti del Maestro

Continuamente durante il suo pellegrinaggio sulla terra ricco di avvenimenti, il Maestro esortò i suoi devoti a dedicare tutto il proprio tempo, energia e pensieri nel conoscere il Sé. Fermezza e appartenenza disciplinata nel sé era ciò che sempre sosteneva. Dopo tutto, il pensiero principale nella mente di ogni individuo è il pensiero di “Io” e “Me”. Comunque, è soltanto attraverso una concentrata auto-ricerca che si può arrivare alla Verità – insegnava il Maestro. È per questo che diceva ripetutamente, “Chi sono io, pensa, pensa sempre a questo”. “Noi abbiamo soltanto da vedere il sé”, disse una volta ad un devoto, “e il resto diventa rivelato”.

In Shirdi per i devoti era d’uso in quei giorni andare da Baba, in particolari occasioni, ognuno con un libro religioso in mano, per invocare l’approvazione del Saggio su un particolare lavoro che il devoto trovava ispiratore. In una di queste occasioni un certo devoto andò a mani vuote. Invece di brontolarlo, come tutti i presenti si aspettavano, al contrario Baba si voltò verso il fedele con un sorriso radiante e gli disse che era saggio, perché non era leggendo pagine e pagine di Shastras che un uomo può assimilare la saggezza. La vera saggezza giace nella propria anima. Persino anche per capire che cosa sia la meditazione, deve per prima cosa e soprattutto capirsi colui che medita. Se un uomo è una massa di contraddizioni e conflitti interni, come può assimilare qualcosa dall’esterno? L’impressione di una persona confusa e non integrata sarebbe necessariamente confusa e inattendibile. Questo era un esempio degli insegnamenti del Maestro.

Tale preoccupazione per il sé porta allo stesso tempo a realizzare che il sé è equivalente a Dio. Baba intuiva che vedendosi costantemente come Dio, l’importanza che inconsciamente diamo alle qualità mutevoli e scambiabili di Jiva (anima) sarebbe abbandonata .Quindi l’attenzione dell’uomo dovrebbe essere concentrata su ciò che è immutabile. Secondo Sai Guru questo processo di autoidentificazione con l’Essere Supremo può essere enormemente rafforzato dal contatto con i santi.

Quando le persone litigavano e andavano alle mani, il metodo favorito di Baba per calmarli era di porre a loro una domanda, “Chi sta litigando con chi?”, chiedeva, “Pensa soltanto a quello”. Che cosa il Maestro desiderava sottolineare era che se noi vediamo Dio in ogni luogo e in ognuno, allora non dovremmo avere alcun brutto scopo per odiare ed essere in discordia. “Comunque, che nessuno odi e nessuno dimentichi che io, voi e tutto il mondo intero siamo parte del Signore,” diceva Baba.

Ma il Maestro non si fermava soltanto a dare questo insegnamento. Mostrava modi e maniere per mezzo dei quali questo sarebbe potuto essere messo in pratica. Era molto meglio che consigliare gli uomini a farsi domande circa la vera natura del Sé. Come poteva un comune mortale accingersi ad affrontare questo difficile compito di conoscere se stesso? Dopo tutto, non era dato a tutti di essere introspettivi, né era possibile per la maggior parte degli esseri umani poter essere alle prese con idee astratte. Baba sapeva che ciò di cui la gente necessitava era la guida pratica e l’aiuto. Non sarebbe stato molto utile predicare sottigliezze metafisiche se l’uomo comune non può assimilarle. La regola di Baba era quella di elaborare i suoi insegnamenti riferendosi costantemente a metodi pratici per iniziare.

La maniera migliore per rendere effettivo questo processo di conoscenza del sé era, secondo Sai Baba, attraverso una completa resa a Dio.

Il concetto di cos’è Dio varia enormemente. Quelli che credono in una divinità individuale incarnata nella forma di un Guru, per esempio, possono dare una forte spinta in avanti nell’evoluzione della loro crescita spirituale. Sicuramente, essere capaci di fare appello a un potere come questo che è il maestro di tutte le condizioni materiali, significa avere quella “perla di grande valore”, per la quale noi possiamo lavorare bene, osservare e pregare.

Sembra che il Saggio di Shirdi favorisse il sentiero dell’anima (bhakti) per raggiungere la salvezza. Una volta mentre stava comparando Jnana (conoscenza) con Bhakti (amore verso Dio), il Maestro paragonava il primo a Ramphal (annona reticolata, frutto indiano) e il secondo a Sitaphal (annona squamosa, frutto indiano). La polpa dell’annona reticolata è difficile da rimuovere ma quella dell’annona squamosa è dolce e la sua polpa è facilmente accessibile. Se l’Jnana (conoscenza) diminuisce, c’è pericolo che il devoto rimanga in questo stato, finché non è capace di aiutarsi, ma spesso ha il soccorso compassionevole del suo maestro che lo aiuta a ristabilirsi. Forse Sai Baba sapeva che il bisogno urgente di questo Kali Yuga (quarta era cosmica, età del ferro) era la devozione. Il primo e fondamentale requisito è naturalmente un forte desiderio di moksha (liberazione), una fame e una sete per il Divino che nessuna condizione materiale potrà mai mitigare. Ricchezze, parenti e conoscenti sono tutte cose effimere. Finché l’attaccamento a cose materiali occuperà una parte vitale nei pensieri umani, l’uomo non potrà andare lontano.

Dotato di un desiderio bruciante per l’unione con il Signore, se un devoto ha fede completa nella Sua pietà e abbandona tutto alla Sua saggezza, allora il suo compito diviene meno difficile e il successo finale è assicurato. Non soltanto questo, ma bhakti (la devozione), persino quando praticata non troppo accuratamente, è nondimeno un’arma potente di purificazione, poiché gradualmente porta bhakta (il devoto) a una sempre maggiore concentrazione nel culto; si dice, se così ci possiamo esprimere, che persino un devoto casuale (bhakta) prima o poi si trasformi in uno ardente. Soltanto l’inizio deve essere fatto, il resto è da averne cura. Com’è rassicurante questo pensiero. Non possiamo scegliere la strada sbagliata se prendiamo coscienza della Luce.

Baba, comunque, dava grande importanza a tutte quelle pratiche che aiutano la concentrazione nel Divino. Soprattutto favoriva l’uso di Japam , per esempio come la ripetizione del nome del Guru-dio sia in modo udibile che mentale. Tale ripetizione, diceva Baba, potrebbe sembrare meccanica all’inizio, ma essa lentamente trascina la mente nel vortice di una concentrazione in un unico punto. Da un aspetto pratico, il suo scopo è quello di alimentare stabilità emotiva e mentale, e quindi preparare il terreno alla realizzazione di Brahman. (Dio).

A questo punto è importante fare una chiara distinzione fra il tipo di bhakti (devozione) che Sai Baba godeva dei suoi devoti, e l’emozionalismo indisciplinato che talvolta proviene dal nome di bhakti (devozione). Baba dava alla bhakti (devozione) il posto più elevato in ogni sadhana (disciplina spirituale), ma egli voleva che questa emozione dovesse essere anche purificata. L’emozione non deve essere lasciata degenerare in un mero sentimentalismo che non ha la stessa stabilità ed equilibrio della bhakti (devozione) disciplinata. La Vera Bhakti (Devozione) può essere facilmente distinta dal mero emozionalismo isterico. Quindi, nell’ultimo c’è un feeling di incompletezza e spossatezza. Questo basso aspetto di bhakti (devozione) è un illusorio prolungamento dell’egoismo. Essa ha le sue radici nell’ego, ecco perché è così impaziente di tornarci. Ma la (bhakti) devozione di cui Baba godeva è bhakti (devozione) più yoga – bhakti (devozione) che equivale a disciplina. Nel dare una tale devozione c’è un feeling di completezza e riempimento e una totale conservazione delle proprie energie, che il vero bhakta (devoto) non ha mai un senso di frustrazione, né è mai svuotato.

Non c’è dubbio che Sri Sai Baba fu l’apostolo dell’amore e che le sue profezie conducono molto sulla via della bhakti (devozione) per la salvezza. Non una, ma svariate volte egli sottolineò il grande valore che attribuiva alla devozione e resa. “Io sono il legame schiavo dei miei devoti. Io amo la devozione. Se mai una persona si soffermerà su di me nella sua mente e non gusterà cibo prima di offrirlo a me, io diventerò il suo schiavo – così anche se egli brama ardentemente e ha sete di me e tratta tutto il resto come senza importanza.” Tale era il linguaggio illuminante nel quale il saggio dava importanza al ruolo dell’amore. I devoti di Shri Sai Baba, comunque, devono quindi elevare la loro comprensione che li renderà capaci di realizzare l’esistente bellezza dell’amore, la sua energia divina, le sue proprietà salutari, la sua capacità di spiegare l’immortalità.

Il Maestro si rivelò essere il vero psicologo sensitivo in ciò che riconobbe sempre, e cioè che il bisogno e il desiderio di adorare sono intrinseci nell’uomo. Bhakti (la devozione) è lo stato naturale del cuore umano; non lo si deve acquisire o essere iniziati a questo. È là, e ignorarla è fingere di non vedere uno dei più vitali aspetti della natura umana. Come ogni altro dono insito, comunque, bhakti (la devozione) non deve essere sviluppata e cesellata nella giusta forma prima che possa condurre a un risultato creativo, prima che possa aprire un varco al Divino per entrare.

Baba non sminuì in alcun modo il valore supremo della conoscenza. Allo stesso tempo, non la poneva obbligatoria ad ogni sadhaka (discepolo) per afferrare con l’intelletto i sottotitoli delle verità fondamentali. È sufficiente che un discepolo sia seriamente elevato nel silenzio del suo cuore per divenire uno con il Signore. A quello è data infinita protezione e guida, e infine anche il devoto diviene uno Jnani (illuminato). La conoscenza arriva a lui attraverso uno strumento che è molto più potente della mente. La devozione porta con sé la conoscenza che è naturale e spontanea.

Quei cercatori che hanno pregiudizi puramente intellettuali talvolta si meravigliano del perché Sai Baba tollerava e persino favoriva forme esteriori di venerazione. Ma Baba incoraggiava deliberatamente rituali e cerimonie e li portava ad essere espressioni esteriori dell’intima devozione. I simboli sono la vera sorgente e il sostegno della vita. L’uomo pensa in termini simbolici. Perché allora non ci dovrebbero essere simboli nel grande amore che l’uomo ricerca per esternare il Divino?

Inoltre, la maggior parte degli esseri umani hanno bisogno di sbocchi fisici e concreti per le loro emozioni. Non possono rendersi conto di niente se non attraverso simboli visibili e tangibili. Il simbolo del crocefisso e i cerimoniali che accompagnano le commemorazioni della vita e degli eventi del Cristo sono potenti risorse della fede Cristiana. Hanno un fascino funzionale per l’immaginazione umana, e così come questi hanno rilievo nel tenere una religione attiva e potente; così lo hanno molti dei rituali colorati della religione Hindu. Certamente dobbiamo tenere conto del pericolo dei rituali e cerimonie abusati e usati impropriamente; ma per quello non possiamo rinnegare il loro valore, né possiamo disconoscere che hanno un valore significativo nello slancio religioso umano. Per tutto il tempo che queste espressioni di culto furono un indice dell’intima aspirazione spirituale, Baba le considerò con rispetto e permise ai devoti di proseguire liberi in tutte le forme esteriori di devozione che potevano essere consone al loro cuore. Ma ogni volta che il saggio trovava che questa pujas (adorazione) e le cerimonie erano soltanto sotterfugi usati per occultare false aspirazioni di religiosità, o quando Baba sentiva che erano stupidi usi praticati unicamente per la sola forza dell’abitudine, allora egli le distruggeva o scoraggiava brutalmente.

La sadhana (disciplina spirituale) della devozione prescritta da Shri Sai Baba ha un caldo fascino su tutti coloro le cui sensibilità estetiche sono sviluppate maggiormente. Il sensitivo e l’incline artisticamente sono attratti dalla prospettiva di una unione con il Divino che riunisce in sé così tanta estasi e appagamento. La strada non è fredda e austera, ma abbonda di intimo appagamento in amore e nell’essere amato. Il perfetto Maestro di Shirdi è anche il perfetto artista, e chiama con un cenno coloro che sono di temperamento colorato, caldo e vigoroso, e profumano di essenze d’amore.

4. Conclusione

Shri Sai Baba non dette alcun sermone, né scrisse alcuna tesi spirituale, sebbene la sua cultura fosse profonda ed egli potesse superare la conoscenza di molti pandits (eruditi) e moulanas (teologi) che speso andavano da lui per avere chiarimenti sui testi. La sorgente di Sai Baba della conoscenza perfetta delle scritture di tutte le religioni fu così insondabile, come la sua intera personalità fu enigmatica. Nessuno seppe come questo incredibile avatar (incarnazione) fosse capace di accumulare così tanta conoscenza persino in così tanti incontaminati dettagli!

Sai Baba si stabilì in Shirdi alla tenera età di 20 anni, e da allora nessuno lo ha mai visto studiare o leggere un solo libro. In lui era manifesto il genio innato che aveva penetrato le profondità di quella luminosa Realtà, sapendo che tutto il resto si auto-rivela. Poiché Baba fu un Guru Incarnato, fu anche Conoscenza Incarnata. Sai Baba tuttavia preferì trasmettere conoscenza e insegnamenti attraverso la parola parlata secondo l’antica tradizione dell’India. Non soltanto maestri spirituali ma insegnanti venerati di nritya classica (danza sacra) e sangeet (insieme di canto con strumenti) preferivano questo metodo per trasmettere conoscenze nell’antichità e molti di loro lo fanno ancora. Come i rishis (saggi) antichi, anche Sai Baba credeva in un’intima e chiusa associazione dell’istruttore e dell’insegnamento. Ogni problema materiale e spirituale del sadhaka (discepolo) era proprio soltanto a lui; comunque, Baba preferiva una trasmissione strettamente individuale di Grazia e di istruzione, al suo stuolo di discepoli. Egli non dette mai discorsi formali né scrisse alcun libro.

Le conversazioni e i discorsi di Shri Sai Baba non furono pronunciati al fine di abbagliare una manciata di intellettuali con discussioni tecniche di filosofia; il suo fine era di risvegliare l’intuizione morale del cercatore medio. Spesso usando analogie e similitudini tratte da esperienze che sono comuni a tutti gli uomini e donne, il Maestro fu capace di trasmettere convinzioni e ispirazioni a coloro che andavano da lui. Usando storie semplici e addobbando grandi verità da semplici parabole come Gesù Cristo, Baba fu capace di creare una piramide di percezioni nell’ascoltatore.

I pensieri viventi di un santo che ha portato samadhi (unione con Dio) devono essere costantemente esposti in modo diverso, reintepretati e reimpostati, e, quindi, per usare le incantevoli parole di Platone: “restaurati alla gioventù e alla bellezza”.