Il mondo della chiarovisione mentale – Disciplina e la forza dell’anima – Essenzialità e mente impersonale – Essenzialità e «grande sintesi» – La «grande sintesi», integrare la mente con la coscienza dell’anima – Iniziazione – Sentire e vedere in senso iniziatico
L’aspetto devozionale ha impedito a molti aspiranti di raggiungere obiettivi apprezzabili sulla via iniziatica. Molti testi commercializzati non sono opera di Maestri ma frutto della devozione. Da un Maestro la devozione non è considerata un pregio, mentre lo sono un forte senso di disciplina (da cui il termine discepolo), il coraggio (nel cambiamento continuo), la determinazione (nell’applicare il metodo) e l’intelligenza (“intelligere”, è cercare il senso di ogni parola, concetto e insegnamento, senza soffermarsi al solo significato letterale).
Il mondo della chiarovisione mentale – Disciplina e la forza dell’anima – Essenzialità e mente impersonale – Essenzialità e «grande sintesi» – La «grande sintesi», integrare la mente con la coscienza dell’anima – Iniziazione – Sentire e vedere in senso iniziatico L’aspetto devozionale ha impedito a molti aspiranti di raggiungere obiettivi apprezzabili sulla via iniziatica. Molti testi commercializzati non sono opera di Maestri ma frutto della devozione. Da un Maestro la devozione non è considerata un pregio, mentre lo sono un forte senso di disciplina (da cui il termine discepolo), il coraggio (nel cambiamento continuo), la determinazione (nell’applicare il metodo) e l’intelligenza (“intelligere”, è cercare il senso di ogni parola, concetto e insegnamento, senza soffermarsi al solo significato letterale). Sappiamo invece quanti danni ha causato la devozione ed i suoi eccessi di zelo. Si pensi a Giuda, che ha indicato il proprio Maestro ai sacerdoti del sinedrio, non per tradirlo, ma perché amandolo in forma scriteriata, pensava che reagisse ai soprusi di una gerarchia teocratica complice dell’imperialismo di Roma. Il Discepolo Giuda, zelota, guerriero e ribelle, voleva che il Figlio di Dio compisse un gesto rivoluzionario, e sappiamo che fine fece la sua esaltazione. Riassumendoli si visualizza una formula al contempo filosofica e pratica: Disciplina e la forza dell’animaNon può esservi ordine nel disordine, né gerarchia senza disciplina. Nel mondo profano il sapere teorico e la conoscenza pratica hanno come naturale estensione l’ordine chiamato disciplina scientifica. E quando l’ordine mentale si trasforma in una gerarchia di idee sottili, compare la disciplina spirituale. La disciplina spirituale non si basa su atti di fede (non capisco ma ci credo), né sull’adorazione di ciò che non s’intende, ma sulla rigorosa ricerca della comprensione sottile. Ma non può prescindere dalla disciplina mentale, senza la quale la mente non è in grado di svilupparsi alla scoperta delle realtà interiori. Nemmeno la «fede incrollabile» è solo un atto di fede. La sua forza è proporzionale alla consapevolezza di ciò che di divino vive in noi. Ecco che la consapevolezza sottile si trasforma in forza assoluta. Inoltre, solo la «consapevolezza» riesce a soggiogare l’immaginazione, liberando la mente dei «seguaci delle superstizioni». Se ne conclude che la disciplina interiore è il binario verso la chiarovisione. Nella considerazione che la chiarovisione mentale, e poi spirituale, non dipendono dalla mente dell’uomo, ma dall’influenza dell’anima quando è messa nella condizione di raggiungere la coscienza fisica (coscienza ordinaria). La cosiddetta «opera iniziatica», perciò, è sapersi dare i presupposti affinché l’anima “estenda” la sua influenza (nel senso comune: scenda, appaia) alla sfera della coscienza fisica. Essenzialità e mente impersonaleGli aspiranti discutono spesso di povertà, amore, rinuncia e sacrificio, senza saperne del tutto il significato sottile. Il senso esoterico di “povertà e rinuncia”, ad esempio, non è tanto l’abbandono degli interessi, degli averi e degli amori materiali quanto il distacco da essi. Ovverosia, s’intende la capacità di uscire dai condizionamenti e dalle scelte obbligate. Per cui, “rinunciare” significa rompere la dipendenza da tutto ciò che condiziona la libera espressione dei sentimenti più sottili. La “povertà” poi non significa “miseria”, ma rendere essenziali (v. sintesi) le prolissità emotive ed i contorsionismi mentali della natura inferiore. Rompere la dipendenza con l’effimero, perciò, è una questione mentale, piuttosto che morale. Significa dis-integrare (spezzare) la collusione emotiva con gli aspetti profani, per avanzare in quel processo che l’ermetismo chiama «Trasmutazione metallica»: ove per trasformazione dei metalli s’intende modificare le idee di bassa lega (gli aspetti che sorgono dalla natura fisico-animale), seguendo i criteri dei “sentimenti sottili”, il che significa dare il via ad una mente impersonale che non soggiace agli impulsi inferiori (v. distacco). Essenzialità e «grande sintesi»Rendersi indipendenti da fattori di bassa natura è il passo fondamentale verso la libertà. Ma la virtù sta nel mezzo, allora non bisogna estremizzare il concetto. E così, non essere coinvolti nel pos-sesso di beni materiali, e in modelli culturali edonistici e profani non significa rinunciare ad un uso compassato, utile ed essenziale di ciò che è necessario, oppure bello e che può rendere più facile vivere. Essenzialità non significa punizione, né masochismo tecnologico. In altre parole, non è necessario nascondersi in una grotta per raggiungere l’essenzialità, né privarsi del calore o del cibo. L’essenzialità è la “grande sintesi” dell’iniziato, ma l’ignoranza delle regole l’ha spesso scambiata con la povertà materiale. Eppure essenzialità, sintesi e povertà sono concetti che, con tutta evidenza, appartengono a piani diversi. L’essenzialità nel senso di «grande sintesi» intellettuale è una capacità prossima al piano spirituale. Mentre la povertà, sinonimo d’indigenza e sofferenza, è un concetto materialistico che non ha attinenza con l’arricchimento spirituale. Allora, confondere la rinuncia con la privazione di cose o di emozioni utili e magari necessarie è un’interpretazione “povera” sì, ma d’intelligenza. La «grande sintesi», integrare la mente con la coscienza dell’animaA prima vista sembra che “sacrificare se stessi” comporti la perdita della propria identità. Guardando bene, invece, comporta vantaggi notevoli. Come a dire di “perdere l’imperfezione”. Sì, perchè se l’imperfezione è l’antitesi dell’eccellenza, “perdere se stessi” in quanto essenza profana, significa perdere l’imperfezione primitiva a favore di una eccellenza iniziatica, o spirituale. Così, non si vede la ragione di lamentarsi di quel “sacrificio” e di quella “perdita”. È verosimile, piuttosto, che l’idea di sacrificio, di rinuncia e di perdita provenga da una visione al di qua del guado. Cioè, nell’ottica della parte profana, che scompare nella trasformazione che avviene al contatto con la “intelligenza dell’anima”. Nel qual caso il sacrificio starebbe nella “perdita del buio” che segue l’illuminazione. A questo punto, però, viene da domandarsi chi si lamenta di essere un “illuminato”? Sicuramente non un iniziato. IniziazioneIl senso esoterico della parola «iniziazione» non è quello di essere introdotti a nuovi linguaggi, oppure a pensieri, forme e tradizioni elitarie. Non sono iniziazioni le “iniziazioni simboliche”. L’iniziazione è la conclusione di un lungo processo di elaborazione mentale chiamato metamorfosi, dove il pensiero si muta per aver sviluppata una forma eccezionale di sensibilità, che trasforma la forma mentis iniziale. Il parametro più certo per misurare uno sviluppo è la diversità, e la distanza da “come si era” prima della trasformazione. Il risultato dell’iniziazione è l’integrazione con la coscienza dell’anima, che di norma avviene attraverso quella parte di coscienza chiamata Ego superiore, o verso Sé. Parte essenziale per raggiungere il traguardo è la capacità d’interiorizzare la propria sensibilità, sino a toccare quello che i mistici hanno chiamato “il profondo più profondo”: il cuore (centro cardiaco) dove prende vita (si anima) il collegamento con l’anima. «… nel silenzio profondo della vostra coscienza sentirete la “voce dell’anima”», insegnavano i Grandi Hierophanti. Sentire e vedere in senso iniziaticoCercando la propria “identità nascosta” (il Maestro occulto) l’iniziato impara ad usare i “sensi” interiori. A cominciare dalle “orecchie”, che in questo caso sono quelle della coscienza, e gli “occhi” della mente (v. visualizzazione). Nulla di più distante dai culti con cui la devozione deifica una personalità, una immagine o un insegnamento letterale, tutti aspetti di una stessa forma di narcisismo e di amore per se stessi, che vengono proiettati sotto forma divina ma che divini non sono affatto. Perchè, una IDEA Archetipa è una sostanza immateriale, impossibile da “trarre in basso” per tenerla a “portata di mano”. Tutto questo l’Iniziato lo sa. Per questo sa che deve essere lui a doversi trasformare per toccare il principio, e non viceversa. Sa pure che la controiniziazione comincia dal trasformare un principio immateriale in concetto ad immagine d’Uomo. |