Le note musicali e l’armonia delle sfere /2

Scienza del SuonoNarra il mito che la dea Pallade Atena inventò un giorno l’oboe. Zeus, rallegrato dalla musica di quel nuovo strumento, invitò Atena a suonarlo davanti a tutti gli dèi. Inaspettatamente, l’esibizione musicale provocò un’esplosione di ilarità nel consesso divino. Atena, contrariata, si allontanò dall’Olimpo ed andò a suonare il suo oboe sulla riva di uno stagno. Qui, specchiandosi nell’acqua, si accorse che soffiando nello strumento gonfiava le guance, rendendo il suo volto deforme e ridicolo: questa era la ragione del riso degli dèi. Irritata, Atena gettò via l’oboe, che fu raccolto dal satiro Marsia, che aveva assistito alla scena nascosto tra gli alberi.

Le note musicali e l’armonia delle sfere /2

di Eduardo Mannucci

Apollo e Marsia: simbologia degli strumenti musicali

Narra il mito che la dea Pallade Atena inventò un giorno l’oboe. Zeus, rallegrato dalla musica di quel nuovo strumento, invitò Atena a suonarlo davanti a tutti gli dèi. Inaspettatamente, l’esibizione musicale provocò un’esplosione di ilarità nel consesso divino. Atena, contrariata, si allontanò dall’Olimpo ed andò a suonare il suo oboe sulla riva di uno stagno. Qui, specchiandosi nell’acqua, si accorse che soffiando nello strumento gonfiava le guance, rendendo il suo volto deforme e ridicolo: questa era la ragione del riso degli dèi. Irritata, Atena gettò via l’oboe, che fu raccolto dal satiro Marsia, che aveva assistito alla scena nascosto tra gli alberi.

Marsia imparò a suonare l’oboe con tanta maestria da diventare famoso. I suoi conterranei Frigi arrivarono a proclamare che la musica dell’oboe di Marsia era persino più bella di quella della lira di Apollo ed il satiro accettò queste lodi con compiacimento. Ciò provocò l’ira di Apollo, che propose a Marsia una gara musicale, con giudici le Muse: il vincitore avrebbe disposto a suo piacimento del perdente. Marsia accettò e la gara ebbe inizio.

La musica della lira apparve subito meno bella e profonda di quella dell’oboe, per cui Apollo sembrava dover perdere la gara. Il dio ricorse allora all’astuzia: sfidò Marsia a suonare il suo strumento capovolto (cosa possibile con la lira, ma non con l’oboe); poi si mise a cantare mentre suonava, contando sul fatto che il suo avversario non poteva fare altrettanto. Infine, adulò abilmente le Muse, inducendole a decidere a suo favore. Vinta la gara, Apollo legò Marsia ad un albero e lo scorticò vivo; dal sangue di Marsia nacque il fiume omonimo (in Asia Minore), lungo le cui rive crescono spontaneamente le migliori canne per la fabbricazione dell’ancia degli oboi.

Questo mito, che è stato oggetto di numerose rappresentazioni artistiche nel Rinascimento [10], contrappone in una gara Apollo, il dio del logos e della razionalità, con il satiro Marsia, raffigurato come essere di aspetto umano con coda di cavallo ed orecchie appuntite – elementi che fanno da ponte con l’animalità degli istinti.

A conferma di ciò, Apollo è dio greco per eccellenza, mentre Marsia è un Frigio: un abitante di quell’Asia Minore che i Greci vedevano con un misto di attrazione e disprezzo, come mondo dominato dagli istinti e dalle emozioni, contrapposto alla limpida razionalità della loro patria. La forza dell’istinto è grande, tanto che la ragione, per vincerlo, deve ricorrere a tutte le sue astuzie. La gara si conclude con la vittoria di Apollo – e non poteva essere altrimenti nella tradizione della Grecia classica; la conclusione si presta però a varie interpretazioni. Infatti, dal sangue del satiro nasce un fiume sulle cui rive crescono le canne per fabbricare il suo strumento: l’istinto, pur sconfitto, non viene eliminato, ma inevitabilmente riemerge.

L’oboe, e per estensione gli strumenti a fiato (flauti, zampogne, eccetera) rappresentano quindi l’istinto e l’emotività; la lira, e con essa gli altri strumenti a corda, sono i rappresentanti della razionalità e del pensiero. Può sembrare strano (ma è forse invece logico) che nei culti esoterici del mondo classico greco-romano (Orfici e Dionisiaci) venissero utilizzati soltanto strumenti a fiato. L’immediatezza istintiva degli strumenti a fiato era più adatta della pacatezza degli strumenti a corda per suscitare l’esaltazione delle Baccanti. Il passaggio attraverso l’istinto e l’emozione mediato dai fiati era anche il mezzo migliore per generare un più stretto contatto con l’immanenza del sovrannaturale.

Gli strumenti musicali cambiano da una tradizione all’altra e si modificano nel corso dei secoli anche all’interno di ciascuna tradizione; quasi nessuno degli strumenti in uso nell’antica Grecia viene ancora impiegato oggi. Nonostante ciò, il valore simbolico ed il potere magico degli strumenti a fiato, nel loro complesso, si mantiene attraverso le epoche ed in tutte le tradizioni. Si può osservare che in India gli incantatori di serpenti usano una sorta di piffero o di flauto (uno strumento a fiato) e non uno dei numerosi strumenti a corda della tradizione musicale indiana. Nel Medioevo, la sacralità della musica di Chiesa viene affidata ad uno strumento come l’organo, che è assimilabile ad uno strumento a fiato. Successivamente, Mozart confermò la sacralità degli strumenti a fiato in molte composizioni dense di significato simbolico. Ad esempio, nel passaggio del Flauto Magico ricordato in precedenza, in cui Tamino entra nel Regno di Sarastro, la nota che segnala il valore esoterico del momento – un sol (cioè una quinta, essendo il brano in do maggiore) di tonalità elevata – viene affidata a due strumenti a fiato: un flauto ed un clarinetto. Analogamente, nella Mauerische Trauermusik (musica funebre massonica) KV477, l’incipit solenne che proietta l’ascoltatore davanti al mistero della morte è realizzato interamente con strumenti a fiato.

Tra tutti gli strumenti a fiato impiegati da Mozart, uno in particolare è stato associato alla simbologia massonica: il corno di bassetto [11]. Si tratta di una sorta di oboe ricurvo, con una forma che può ricordare quella di una squadra; proprio l’aspetto ne avrebbe suggerito il valore simbolico. In effetti, il corno di bassetto, che ha avuto scarsa fortuna in seguito, ha una parte notevole sia nel Flauto Magico che nella Mauerische Trauermusik. Esso non compare mai, comunque, nelle altre composizioni specificamente massoniche di Mozart.

Questo potrebbe dipendere dal fatto che i limiti imposti dal contesto rituale della Loggia non consentivano l’impiego di organici estesi; infatti, la gran parte delle composizioni massoniche erano arrangiate per voce e pianoforte, in modo da poter essere eseguite facilmente anche in un ambiente di piccole dimensioni. Fa eccezione soltanto la Mauerische Trauermusik, che prevede almeno 10 strumenti e che sembra poco compatibile con l’esecuzione in un tempio massonico. Il corno di bassetto, per le sue caratteristiche, è poco adatto ad essere impiegato da solo o assieme alla voce: esso necessita di contesti strumentali più ampi, difficili da conciliare con le esigenze rituali. È stato anche osservato che al tempo di Mozart erano presenti a Vienna almeno tre suonatori di corno di bassetto che appartenevano alla Massoneria: il maestro avrebbe potuto inserire lo strumento nell’organico di alcune sue composizioni anche soltanto per compiacerli, senza pensare affatto ad un significato simbolico specifico.

Dal dualismo strumenti a corda (razionalità)/strumenti a fiato (istinto) restano esclusi gli strumenti a percussione. Curiosamente, questi strumenti hanno un ruolo assolutamente secondario nella tradizione musicale occidentale: fin dall’antichità classica, essi erano relativamente meno utilizzati rispetto alle corde e ai fiati e successivamente il loro impiego divenne sempre più marginale. Soltanto in tempi recenti si sono iniziate ad usare ampiamente le percussioni anche in Occidente, ma ciò è avvenuto per contaminazione con altre tradizioni musicali.

Ciò può facilmente spiegare perché, nella nostra tradizione, gli strumenti a percussione non abbiano alcun significato simbolico. La situazione è ben diversa in altre culture musicali, nelle quali le percussioni sono ben rappresentate: esse si associano, in maniera ancor più spiccata degli strumenti a fiato, all’istinto ed alle emozioni – e quindi ad una spiritualità immanente e non trascendente. Si può stabilire una sorta di progressione degli strumenti musicali, dalla percussione al fiato e quindi alla corda, nella quale si passa da un maggior contenuto istintivo/emotivo ad un graduale potenziamento della razionalità e del pensiero, e parallelamente dall’immanenza alla trascendenza. Gli strumenti a fiato, quindi – strumenti esoterici e magici per eccellenza nell’Occidente quasi privo di percussioni –, assumono una posizione intermedia tra le corde e le percussioni in altre tradizioni musicali. In questo modo, il tamburo diventa lo strumento principe per avvicinarsi al mistero del Sovrannaturale calato nella Natura; il tamburo è lo strumento magico per eccellenza, che consente di provocare la pioggia e di richiamare le anime dei morti [1].

I simboli nel ritmo: luoghi comuni o realtà?

Presso molti popoli, i tamburi risuonano per accompagnare la preghiera, risvegliare gli spiriti che governano il mondo, chiamare le anime dei morti [1]. Il ritmo delle percussioni non ha soltanto un senso estetico, ma anche simbolico: esso descrive il ritmo vitale del mondo. Di più: nel momento stesso in cui descrive lo spirito che governa la realtà, il ritmo del tamburo modifica attivamente questa realtà, assumendo la funzione di strumento magico.

Nella musica dell’Occidente, i tamburi hanno smesso di rullare da molti secoli, conservando solo la funzione pratica di cadenzare il passo dei soldati in marcia. Ciò, naturalmente, non elimina il ritmo dalla musica: affinché si abbia una frase musicale, è necessario che venga regolata nel tempo la successione e la durata delle note e quindi il ritmo è indispensabile. La funzione ritmica, però, viene assunta da altri strumenti, che segnano il tempo secondo regole prefissate. L’attribuzione della funzione ritmica a strumenti diversi dalle percussioni ha generato la conseguenza, un po’ paradossale, di rendere le regole del ritmo più rigide e meno libere di quelle in vigore presso altre tradizioni musicali: per riuscire a mantenere il ritmo, quando questo è segnato da strumenti a corda o a fiato, è necessario che la successione dei tempi sia quanto più possibile regolare. Così, nella musica occidentale, il ritmo è, di regola, perfettamente simmetrico; ciò lo rende poco adatto a funzionare da veicolo di contenuti simbolici.

Nella scrittura musicale attualmente in uso, il tempo viene suddiviso in “battute”; il tempo assegnato a ciascuna battuta viene stabilito all’inizio del brano musicale e resta generalmente lo stesso fino alla conclusione dello spartito. I tempi più diffusi sono quelli di 4/4 o 2/4; sono però molto impiegati anche tempi “dispari” come 3/4 (il tempo del valzer e della polka, ballabile per eccellenza), 3/8, 5/8 oppure 7/8. Naturalmente, tempi dispari potrebbero suggerire interpretazioni simboliche; ad esempio, sembra che Mozart abbia usato più spesso il tempo 3/4 nelle composizioni legate al mondo massonico, piuttosto che nel resto della sua produzione musicale. Peraltro, la maggioranza delle composizioni massoniche di Mozart è comunque in tempi pari (4/4 o 2/4).

Potrebbero essere più interessanti, per il valore simbolico della musica, le irregolarità nel ritmo, piuttosto che il tipo di ritmo utilizzato. In particolare, si può richiamare l’attenzione sulle terzine: successioni di tre note, che occupano complessivamente il tempo di 1/4. La suddivisione del tempo avviene, di norma, secondo frazioni con multipli del due (e quindi le note possono avere durata di 4/4, 2/4, 1/4, 1/8, 1/16, ecc.). Le note della terzina, che hanno durata di 1/12 (cioè, un terzo di 1/4) ciascuna, escono da questo schema e danno un’impressione come di “galleggiamento” sul ritmo, ponendosi su un piano distaccato dal resto della frase musicale. Il richiamo al numero 3, assieme a questa sensazione di distacco, suggerisce un possibile impiego delle terzine per sottolineare passaggi dotati di valore esoterico.

In ambito più specificamente massonico, la musica può riprodurre dei “ritmi di bussata” rituali, come accade talora in Mozart. Molti commentatori entusiasti hanno riconosciuto ritmi di bussata anche in composizioni “profane” di Mozart, ogni volta che venivano proposti tre accordi uguali in rapida successione a distanza uguale l’uno dall’altro. In realtà, l’esame del libro dei rituali usato dalla Loggia cui apparteneva Mozart, che è giunto fino a noi, mostra che il ritmo di bussata impiegato all’epoca era costituito da due colpi brevi ed uno lungo [7]; un ritmo di questo tipo, di più chiaro significato simbolico, si trova talvolta (sebbene piuttosto raramente) nella musica di Mozart, ad esempio nel Flauto Magico.

Dall’udito alla vista: i simboli della scrittura musicale

La scrittura musicale si è evoluta molto lentamente nel corso dei secoli ed ha raggiunto la sua forma attuale soltanto alla fine del Seicento. Difficilmente, quindi, significati esoterici antichi possono essere mediati attraverso la scrittura musicale. Allo stesso tempo, la scrittura della musica, essendo così complessa da poter essere compresa soltanto da pochi addetti ai lavori, si presta bene alla trasmissione di contenuti simbolici da mantenere velati ai profani. Quando viene eseguito un brano di musica, gli ascoltatori percepiscono il suono, mentre l’esecutore vede anche la scrittura musicale; un musicista esperto che ascolti il brano, anche senza vedere la partitura, può comunque ricostruirsene un’immagine visiva. Eventuali immagini create con le note sul pentagramma possono essere quindi percepite soltanto da una piccola minoranza di “iniziati”, pur essendo il suono della musica accessibile a tutti: una situazione particolarmente stimolante per autori che volessero trasmettere significati esoterici.

Sul pentagramma, le note vengono segnate con simboli diversi in base alla loro durata:

Le note “chiare”, che hanno durata di 2/4 o 4/4, possono essere utilizzate come espressione della Luce (e quindi del sovrannaturale, della gioia, del divino, del Sacro), mentre le note “scure” (1/4, 1/8, ecc.) possono indicare le Tenebre (e quindi il naturale, il dolore, la materia, il profano). Un uso di questo tipo è presente nell’aria già citata del Flauto Magico di Mozart, in cui il sol “celeste” del clarinetto e del flauto è l’unica nota “chiara” che si erge sul contesto delle note “scure” degli altri strumenti.

Altri simboli connessi con la scrittura possono riguardare le legature: tratti che uniscono due note vicine, che indicano che devono essere eseguite in continuità l’una con l’altra. Questi segni sono utilizzati da Mozart come simboli dell’amicizia e della fratellanza. Con lo stesso significato, Mozart impiega anche le terze parallele: successioni di note disposte a due voci, ad intervallo di terza l’una dall’altra e perfettamente parallele. Nella cantata Die ihr des unermeßlichen Welltals Schöpfer ehrt (“L’immenso Universo onora il suo Creatore”) KV 619, composta solo sei mesi prima della sua morte, Mozart accompagna le parole “Liebt euch, liebt euch, euch selbst und eure Brüder!” (“Amatevi, amate voi stessi ed il vostro fratello!”) con una grande profusione di legature e terze parallele.

Esiste una tonalità esoterica?

L’opera lirica maggiormente legata alla simbologia massonica è senza alcun dubbio il Flauto Magico di Mozart. Il protagonista Tamino, inseguito da un serpente in un bosco, viene salvato da tre misteriose fanciulle; deve quindi superare una serie di prove, in un viaggio di iniziazione durante il quale incontra il Gran Sacerdote Sarastro. Alla fine, superate tutte le prove e sconfitti tutti i nemici, riceve in premio, quale sposa, la bella Pamina [12].

La tonalità più utilizzata nel corso dell’opera è il mib maggiore. La stessa tonalità è stata impiegata da Mozart anche per un’altra sua celebre composizione massonica, la Mauerische Trauermusik. Secondo molti autori, il mib maggiore sarebbe la tonalità massonica per eccellenza. Questa sua qualità deriverebbe dal fatto che, nella musica scritta in questa tonalità, all’inizio di ciascun rigo sono segnati tre b, disposti a formare un triangolo. Le composizioni in mib maggiore, quindi, avrebbero, almeno negli autori massonici, particolare significato esoterico.

Nella tonalità di mib maggiore, l’accordo fondamentale è composto da mib (tonica), sol (terza maggiore) e sib (quinta), che corrispondono rispettivamente a Capricorno, Acquario e Sagittario. A questi segni zodiacali vengono riferite le doti morali di concretezza (Capricorno), capacità speculativa (Sagittario) e doti intuitive (Acquario), necessarie per la crescita spirituale. Il pianeta Saturno, che ha il domicilio diurno in Acquario e notturno in Capricorno, richiama la dote del rigore, indispensabile per un corretto cammino iniziatico [13].

Riguardo all’attribuzione di uno specifico significato massonico alla tonalità di mib maggiore, però, si possono muovere varie obiezioni. Innanzitutto, sul possibile senso esoterico dei tre b all’inizio del rigo, un simile contenuto dovrebbe essere attributo anche ai tre # presenti in altre tonalità, per le quali invece non si danno simili interpretazioni. Bisogna poi considerare che, senza leggere la partitura, anche un musicista esperto spesso non è in grado di stabilire se la tonalità di un brano che sta ascoltando è mib maggiore oppure, ad esempio, mi maggiore. Come abbiamo detto in precedenza, l’orecchio umano è molto sensibile alle differenze tra le note, ma è poco abile nel riconoscimento del valore assoluto di una tonalità in assenza di punti di riferimento. Se quindi la tonalità di mib maggiore fosse stata scelta come veicolo per messaggi esoterici, la comprensione del loro contenuto sarebbe rimasta preclusa anche agli iniziati, a meno che non avessero a disposizione la partitura.

Non si può evitare di osservare che la grande maggioranza delle composizioni rituali massoniche di Mozart è scritta in tonalità diverse dal mib maggiore. È stato osservato che la tonalità di mib maggiore rende più agevole l’esecuzione per molti strumenti a fiato (compreso, tra gli altri, l’esoterico corno di bassetto); Mozart avrebbe preferito quindi questa tonalità per le sue composizioni in cui i fiati avevano una parte preminente. Avendo gli strumenti a fiato un loro specifico significato simbolico, alcune delle composizioni mozartiane più ricche di contenuti massonici, come tante parti del Flauto Magico o la Mauerische Trauermusik, hanno finito per essere scritte in mib maggiore. Nelle composizioni di Loggia propriamente dette, quando il contesto dell’esecuzione costringeva ad una strumentazione limitata alla voce ed al pianoforte (che non ha le stesse limitazioni tecniche degli strumenti a fiato), la scelta della tonalità diventava più libera.

Il simbolo musicale tra l’enigmistica e l’opera d’arte

La storia di Sindbad il marinaio e dei suoi viaggi, nella Mille e una notte [14], è densa di simboli suggestivi: vi si narra di un uccello chiamato Ruh, il cui uovo non deve essere rotto, che ingaggia un duello mortale con un serpente; di un gigante con un terzo occhio, che divora gli uomini che si avvicinano incautamente; di viaggi dentro caverne in cui si trovano morte, rinascita e salvezza. Tutto questo ricco materiale simbolico si compone a formare un’opera d’arte che supera le barriere del tempo e della geografia, tanto da affascinare anche il più “profano” dei lettori occidentali di oggi. L’incanto del simbolo acquista valore perché serve a comporre un racconto incantevole.

Le straordinarie figure scolpite che si accalcano sul portale della Cattedrale di Vezelay, in Borgogna, sembrano soltanto frutto della fantasia di un artista dotato di un’immaginazione particolarmente vivace; in realtà, almeno alcune di esse hanno un chiaro significato simbolico. Osservando attentamente, si ha quasi l’impressione che nessuno dei personaggi raffigurati sia lì solo per caso, o per estro dello scultore, o per necessità decorativa: si intravede un disegno in cui ogni cosa è al suo posto – anche se molti dei segnali scritti nella pietra non possono più essere interpretati perché si è persa la chiave originale di lettura. Per quanto siano affascinanti i contenuti simbolici, comunque, quel portale è un capolavoro che desta ammirazione ancora oggi soltanto perché l’armonia della composizione e la maestria plastica nella definizione dei personaggi sono fuori dal comune, capaci di suscitare incanto.

Allo stesso modo, la comprensione del simbolo musicale non è sufficiente a creare l’emozione dell’ascolto della grande musica. Esiste un “di più”, oltre il simbolo, che genera l’opera d’arte, e che parla direttamente al cuore dell’ascoltatore – anche dell’ascoltatore profano, purché sia sensibile. Proprio questo specifico extra-simbolico è spesso il veicolo più vero dei contenuti esoterici più profondi. Prendiamo ad esempio la già citata Mauerische Trauermusik, composta da Mozart in occasione della morte di due suoi fratelli di Loggia, oppure, secondo altri, come musica di accompagnamento della cerimonia di passaggio al terzo grado della Massoneria. Il brano, piuttosto breve, si apre con un accorato richiamo dei fiati, sui quali si inseriscono gli archi disegnando una malinconica ed aerea melodia. Tutto, in questa apertura solenne, esprime il dolore composto, la tristezza e la nostalgia evocate dalla morte di una persona cara. Poi, con un movimento ascendente di grande vigore, di nuovo introdotto dai fiati e seguito dagli archi, si apre una prospettiva più serena, quasi a trasfigurare la morte in una occasione di crescita e di contatto con l’infinito: al composto dolore fa seguito un altrettanto composto sentimento di espansione. Le due modalità emotive si alternano e si intrecciano nel corso dello svolgimento, legandosi tra loro in maniera sempre più profonda, fino a chiudersi in un fiducioso accordo conclusivo. Questo pezzo è ricchissimo di spunti simbolici (dalla tonalità alla strumentazione, dal ritmo agli intervalli armonici). Eppure, niente meglio di un ascolto attento comunica l’umanità e la spiritualità, la grandezza di vedute, la serenità davanti alla morte, che Mozart intendeva trasmettere quali elementi del suo percorso esoterico.

La capacità di identificare i simboli e le allegorie celati nella composizione arricchisce la comprensione profonda della musica. Bisogna però evitare di trasformare l’ascolto di un brano musicale (o la sua lettura) in una sorta di esercizio enigmistico, alla ricerca del simbolo nascosto – come se si trattasse si risolvere un rebus. La musica parla direttamente al cuore, più che al cervello. C’è un antico proverbio ebraico che dice: “L’uomo pensa, Dio ride” [15]. Il modo migliore di ascoltare la musica è quello di non pensare come gli uomini, ma ridere (o piangere) come Dio.

Ci sono stati molti musicisti dichiaratamente massonici, ma un solo Mozart – così come ci sono stati molti maestri di contrappunto in epoca Barocca, ma un solo Bach. Quel “di più” che fa la differenza tra il genio e la mediocrità è assolutamente indefinibile ed è il valore aggiunto dell’opera d’arte, capace di trascendere la rigidità della regola formale o dell’esigenza simbolica. Questo elemento creativo può manifestarsi soltanto in quanto le costrizioni (di natura formale, estetica o simbolica) lasciano spazi aperti alla libertà della fantasia.

La capacità dei grandi artisti di produrre opere di straordinaria intensità anche seguendo regole apparentemente molto rigide è stupefacente. Prendiamo ad esempio L’Arte della Fuga, composta da Johann Sebastian Bach tra il 1749 ed il 1750, poco prima di morire. È un’opera particolarissima, scritta come “musica pura” e non arrangiata per alcuno strumento; forse Bach voleva che fosse eseguita con uno strumento a tastiera, ma non si può escludere che sia stata composta per essere letta anziché ascoltata.

L’Arte della Fuga è composta da 21 brani, nella forma della fuga o del canone. Queste erano forme assai rigide, caratteristiche della musica Barocca, nelle quali un tema iniziale (cioè una breve successione di note disposte a formare una linea melodica) subiva una serie di modificazioni e variazioni (sviluppo) con evoluzioni a più voci; gli intervalli temporali ed armonici tra le variazioni e tra le voci era attentamente regolata, in modo da lasciare poco spazio all’inventiva personale. Nell’Arte della Fuga, i temi di partenza dei singoli brani sono tutti derivati da quello del primo pezzo, per inversione (come nella lettura allo specchio), per variazione armonica o ritmica o con altri artifici.

La costruzione di insieme, di enorme complessità, è regolata da precisi rapporti numerici (nella scansione dei tempi, così come negli intervalli armonici), che hanno fornito nel corso dei secoli lo spunto per molte speculazioni numerologiche. A complicare ancora il quadro, e a restringere ulteriormente i propri spazi di libertà compositiva, Bach si è anche divertito ad inserire in questa monumentale creazione altri elementi simbolici: ad esempio, ha apposto la sua firma in maniera ricorrente nello spartito componendo il proprio nome con le note musicali. Nel mondo tedesco ed in quello anglosassone, per indicare le note musicali, anziché i nostri do, re, mi, ecc., si impiegano le lettere dell’alfabeto. Nell’ Arte della Fuga, si trova più volte la successione si la do sib, che corrisponde a B-A-C-H.

Da un’opera così rigidamente soggetta a regole compositive ferree, ed ulteriormente gravata dalle esigenze legate ad elementi simbolici, ci si dovrebbe aspettare una certa artificiosità e freddezza. Al contrario, l’Arte della Fuga è forse il vertice espressivo più alto della musica Barocca, capace di emozionare anche l’ascoltatore moderno. Lo stesso si può dire delle opere di Mozart più dense di contenuti simbolici. Si potrebbe pensare che la rigidità della forma, lungi dall’ostacolare l’espressione creativa, fornisca una cornice all’interno della quale l’interiorità dell’artista si può esprimere in maniera più piena. In effetti, nella musica classica contemporanea, l’abbattimento progressivo delle barriere formali non ha condotto ad un parallelo aumento della creatività; al contrario, forme musicali che prevedono dei limiti maggiori e che possiedono un loro “canone”, come ad esempio il jazz, sembrano mostrare maggior vitalità artistica. Il simbolo, quindi, pur limitando oggettivamente la libertà compositiva, non è un nemico della creatività musicale, ma piuttosto un suo alleato.

Etimologicamente, il simbolo è “ciò che riunisce”: riunisce un’immagine o un elemento sensibile ad un significato astratto; soprattutto, però, riunisce pensiero ed emozioni. Il simbolo, contrariamente alla descrizione precisa, richiama un significato, appellandosi all’intelletto, ma al tempo stesso stimola i sensi (si tocca, si vede, si ascolta) ed evoca una reazione emotiva. La peculiarità del simbolo, che lo rende diverso da una crittografia, è proprio la capacità di generare emozione [16]. L’uso consapevole del simbolo, quindi, può aiutare l’artista a raggiungere più rapidamente l’animo di chi recepisce l’opera d’arte.

Nel caso della musica, ciò è particolarmente evidente per gli intervalli armonici: essi sono dotati di significati simbolici, ma anche capaci di generare emozioni perfettamente concordanti con i contenuti simbolici di cui sono veicolo. La stessa osservazione si può fare per le variazioni del ritmo (ad esempio, le terzine), ed entro una certa misura per la scelta degli strumenti musicali. La maggior parte dei simboli in musica che abbiamo esaminato, quindi, si danno all’ascoltatore sensibile anche se questi resta del tutto ignaro del loro possibile significato esoterico. Forse il miglior modo per imparare a conoscere il significato più profondo della musica è proprio quello di ascoltarla con cuore aperto, senza troppe sovrastrutture intellettuali.

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Bibliografia

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12. W.A. Mozart. Il Flauto Magico. Su libretto di E.J. Schikaneder. Trad. it. Ricordi, Milano, 2002.

13. Quaderni di Simbologia Muratoria. GOI, Roma.

14. Le Mille e Una Notte, nella versione di A. Galland. Trad. it. Mondatori, Milano, 1984.

15. B. Salvarani. Le storie di Dio. Dal grande codice alla teologia narrativa. EMI, Bologna, 1997.

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