La Persistenza dell’Istinto

L'Opera al RossoRecensione al libro di Riccardo Roni

L’Opera al Rosso presenta l’opera prima del giovanissimo filosofo Riccardo Roni, La Persistenza dell’istinto – Pulsioni vitali dell’esistenza, per l’affinità dei concetti, la visione razionale e profetica assieme, l’auspicata apertura verso gli orizzonti infiniti, anche se ancora incerti e nebulosi, di un futuro possibile dell’umanità.

La Persistenza dell’Istinto

di Vittorio Vanni

Recensione al libro di Riccardo Roni

L’Opera al Rosso presenta l’opera prima del giovanissimo filosofo Riccardo Roni, La Persistenza dell’istinto – Pulsioni vitali dell’esistenza, per l’affinità dei concetti, la visione razionale e profetica assieme, l’auspicata apertura verso gli orizzonti infiniti, anche se ancora incerti e nebulosi, di un futuro possibile dell’umanità. La finalizzazione dell’Opera al Rosso è la ricerca di una forma evolutiva che possa superare il disagio e il dolore generazionale che impongono, nell’era attuale, i residui psicologici, morali e metafisici del ‘900 – ma ancor più degli ultimi due millenni – che sono epigonie obsolete, spettri insonni, nella spasmodica resistenza a una morte tanto certa quanto ancora in attesa delle esequie.

Riccardo Roni presenta i precursori concettuali di quell’evoluzione che dall’attuale primate razionale che è l’essere umano possa portarlo all’ultraumano, attraverso la liberazione dalle inibizioni, frustrazioni, pregiudizi che hanno prodotto il cristianesimo da una parte, e dall’altra quei figli degeneri dell’illuminismo che sono il positivismo e il materialismo. Il cristianesimo ha prodotto, nelle sue radici platoniche, la negazione del corpo umano come espressione “materiale” e quindi la repressione delle pulsioni istintive, l’inibizione del principio del piacere, la demonizzazione dell’individuo prometeico, ribelle all’Egli in nome dell’Io. Inoltre, ha prodotto la superfetazione dello “spirituale” che, per quanto negato dal Concilio di Nicea, ha infettato con la sua dicotomia dell’essere, l’unità assoluta dell’entità umana.

La grandezza di Nietzsche sta balzando sempre di più, nell’attuale estrema debolezza del pensiero filosofico e sociale. Galimberti, nel suo L’ospite inquietante – Il nichilismo e i giovani, afferma che il disagio delle giovani generazioni non è psicologico ma culturale. Forse il nostro occidente, nei suoi estremi di una crassa ignoranza, a causa di una conoscenza minorata perché ultra specializzata, e di un sofisticatissimo languore intellettuale che ha perso ogni contatto con il reale e il sociale, non ha più alcuna individuazione perché ne rifiuta pavidamente la contrapposizione che ne deriva inevitabilmente.

Gli istinti e i bisogni dell’umanità, non più guidati da una tradizione dolosamente – ma catarticamente – persa esplodono in forme criminali e crudeli, e ancora una morale obsoleta si indigna contro l’amore di sé, indispensabile all’amore per gli altri.

Nell’ultrauomo gli istinti e i bisogni saranno accettati e coltivati quanto regolati. È la repressione della naturalità istintuale che produce il male individuale e sociale, non la loro libera espressione, moderata dalla dignità innata della nostra discendenza animale. La legge naturale che ne deriva è il fondamento di ogni etica. La spinta verso la riproduzione, la solidarietà di specie, la protezione delle femmine e dei piccoli, l’aggressività verso gli attacchi esterni, la difesa dei propri confini vitali, la violenza controllata per il predominio sociale e il possesso delle femmine, che mai arriva, nell’animale, all’assassinio e alla crudeltà, non sono precetti arbitrariamente imposti da un dio ignoto, ma dalle basi stesse psico-zoologiche che regolano il comportamento umano, comunque pervertito e lontano dagli stessi archetipi innati e naturali. Gli etologi, e in particolare Konrad Lorenz nel suo Il cosiddetto male hanno esaminato profondamente questi concetti, riportando alla realtà la natura asacrale del comportamento umano.

Giustamente Roni cita il Nietzsche dei Frammenti Postumi quando afferma:

Critica degli animali. Temo che gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perduto, in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale – vedono cioè in lui l’animale che ride, l’animale che piange, l’animale infelice.

Queste capacità di emozioni e sentimenti dell’uomo sono condivisi solo dai primati, e in parte da quegli animali umanizzati cosiddetti domestici. Ma la caratteristica tipicamente ed esclusivamente umana consiste nella genesi della morale, che nata per regolare il contesto collettivo della società, degenera nella costrizione e nel senso di colpa.

La morale è il costume generazionale transeunte, che interpreta nelle mutate condizioni del contingente l’eterna etica. La morale religiosa, e in particolare quella “degli schiavi”, come la definiva Nietzsche, tende a conservare le prescrizioni arcaiche delle origini, nell’illusione che queste siano utili a conservare il potere del controllo sociale di una data teocrazia.

La tesi fondamentale di Riccardo Roni, che ne esamina le fonti, è la necessità impellente delle nuove generazioni di liberarsi da ogni repressione autoritaria obsoleta e dalla negazione del principio di piacere, che nascono dalle necessità di ogni forma di potere di creare nei soggetti un senso di colpa, da cui essa sola ha il potere di condannare o assolvere.

I metodi di questa liberazione derivano da alcuni concetti fondamentali:

•  L’Io è trasmutabile e quindi costruibile.

• Il prezzo della trasmutazione attuale verso l’ultrauomo è la solitudine intellettuale e l’emarginazione nei confronti della società di massa e delle strutture di potere che la condizionano.

•  Tutta la storia, ma soprattutto quella del ‘900, ha dimostrato che la violenza fisica, ideologica e metafisica, e l’obbedienza indotta che ne deriva, non produce che atrocità e caos. L’unica via d’uscita è una paziente educazione dell’umanità alla libertà.

•  Ciò che può effettivamente far evolvere menti e coscienze è la persuasione che deriva dal convincimento, dal contagio per interazione del fiore dell’intelletto, che è ragione e intuizione istintuale assieme.

•  Lo strumento di tale evoluzione è la creatività, la facoltà dell’intelletto di illuminazione istantanea e trasmutativa. L’Arte ha necessità della Scienza, ma questa ha bisogno di Arte.

•  Il metodo evolutivo è graduale e progressivo, in quanto l’improvvisa illuminazione può produrre componenti metafisiche dogmatiche e quindi negative.

•  È indispensabile, in questo ambito, la perdita di pregiudizi morali obsoleti e la liberazione degli istinti, per la creazione di nuovi costumi necessari ai tempi nuovi. Il ritorno alla naturalità delle sorgenti del desiderio produrrà un nuovo ordine sociale e morale in cui la libertà individuale si armonizzerà con quella collettiva.

La caratteristica fondamentale del saggio filosofico di Riccardo Roni è la comparazione tra Freud, Marcuse e Adorno, come una sorta di filiera, e cerniera, fra Nietzsche e i suoi predecessori e le necessità delle attuali generazioni, alla ricerca delle fonti e delle conferme alle sue tesi.

Ma niente può esser meglio esemplificato che dall’affermazione dell’autore che:

“[…] la tirannide del divenire sull’essere va infranta se l’uomo vuole giungere a se stesso in modo estetico per divenire opera d’arte. Finché esista l’indomato e inconquistato fluire del tempo, come perdita senza senso – il rassegnato ‘era una volta’– che non sarà mai più, l’essere ha in sé il seme di distruzione che fa degenerare il bene in male e il male in bene.”

Il fluire del tempo ha un senso in sé concluso, e nemmeno gli dei possano cambiare ciò che è successo. Ed è il tempo ineluttabile e il fato, e non gli dei, che formano l’uomo. Goethe scrisse, nel suo Prometeo, che si ribella all’ingiustizia di Zeus e afferma la sua dignità di uomo che:

“Il tempo onnipotente e l’eterno destino/ i miei e i tuoi signori/ mi hanno forgiato uomo./ Ti sei forse illuso/ che io odiassi la vita/ fuggissi nel deserto,/ perché non tutti/ i mattini della gioventù,/ i sogni della fioritura,/ non sono maturati?”

Nietzsche, e la sua futura e auspicabile attualità, sono particolarmente esaminate nella Persistenza dell’istinto. L’universo nietzschiano lo permette, nella sua interazione fra i principi opposti del mondo apollineo, la perfezione dell’intuizione, e quello dionisiaco, che è la percezione del caos e quindi della perdita di ogni senso e certezza nel flusso incessante del divenire. Apollinea è la volontà di potenza, dionisiaca è la volontà di vita come sostanza irrazionale, o forse superrazionale, del mondo. In ciò consiste la derivazione dell’estetica dalla civiltà e dalla cultura, la necessità della creatività continua come lotta fra apollineo e dionisiaco. Ma anche la civiltà e la cultura creano dei modelli di perfezione perduta che Nietzsche respinge, criticando ogni rapporto classicista o, peggio, tradizionale con il passato.

L’estetica, che Platone inserisce nelle sue categorie fondamentali del Bello, Buono e Giusto, non è più a esse interdipendente e immanente, ma esce in una dimensione trascendente e matura, in cui i valori non respingono affatto un rifiuto della spiritualità oggettiva, ma assumono una superiorità individuale legata al se ipsum dell’ultrauomo. Per quanto non vi sia in Nietzsche, come chiosa il Roni, “l’esaltazione esoterica del male” il bene consiste nel cammino dell’uomo verso l’ultrauomo, il male in tutto ciò che vi si oppone. Per l’affermazione di questa tendenzialità evolutiva, era necessaria la “morte di dio” per la nascita e l’autoaffermazione dell’ultrauomo.

In questo senso, la conoscenza ha valore solo in relazione a ciò che si è profondamente vissuto, soprattutto nell’abbandono degli schemi storici che la storia del pensiero vorrebbe imporre.

Secondo la visione dionisiaca, la via del superamento è una sorta di alienazione libera e cosciente dal concetto di realtà esclusivamente oggettiva, in quanto la visione soggettiva comunque la modifica, nella volontà e nell’ebbrezza di raggiungere ciò che si è.

Nel capitolo del Disagio terapeutico, Riccardo Roni indica nel superamento del principio di realtà esclusivamente oggettiva la cura del malessere individuale e sociale dell’oggi, affermando che:

“La potenza dell’istinto spinge la vita oltre i limiti imposti anche dalla stessa natura, collocando il soggetto umano in una posizione ermeneuticamente superiore a qualsiasi fatto registrabile secondo un atteggiamento di ‘nefando positivismo’. L’uomo che vede gli oggetti in modo ‘vigoroso, sovraccarico di forza’, agisce come se le cose rispecchiassero la sua potenza, sino a diventare i riflessi della sua perfezione. In questo atteggiamento particolare di fronte al mondo, l’istinto gode narcisisticamente di se stesso come perfezione. L’istinto spinge l’uomo a stabilire dei valori per rappresentare a se stesso il divenire con un senso. Per riuscire a comprendere il senso del valore che siamo soliti attribuire alla vita è necessario assumere una posizione critica che ci ponga al di fuori del principio di realtà.

Citando Nietzsche, “si dovrebbe avere una posizione al di fuori della vita, e d’altro canto conoscerla tanto bene come l’ha conosciuta quel tale o quei molti o tutti coloro che l’hanno vissuta per poter toccare in generale il problema del valor e della vita.”

I sentimenti, le emozioni, i bisogni istintivi non vanno comunque accettati acriticamente. La libertà non è sregolatezza, la dignità non permette eccessive eccentricità. La formazione evolutiva, che è soprattutto un problema estetico, consiste nel dare uno stile a ciò che si è. La volgarità e l’istrionismo demenziale della società attuale, indotto dalla disperazione culturale di contro allo strapotere dei bisogni innaturali e corrotti, indotti dal controllo economico e politico delle masse producono la caduta dell’idea di Bellezza.

Recuperare tale concetto, urlare a squarciagola contro il Brutto, che è una crociata contro tutto ciò che ancora è vitale, è affermare il principio estetico della volontà di vita e di potenza, sola strada che conduce all’ultrauomo.

Ma l’urlo contro il volgare, che indica ripulsa e rivolta, non può essere che al di fuori del coro.

I cosiddetti valori comuni, che si piangono come perduti, appartengono a una filiera che da Dio allo stato si sono contrapposti alle pulsioni individuali al desiderio e al piacere, proibizioni alle cui infrazioni si impone poi il senso di colpa, l’espiazione e l’assoluzione, dopo il pentimento e il ritorno all’obbedienza.

L’uomo nasce innocente, e se tale non muore, sarà solo per aver fallito la sua volontà di vita e di potenza.

Riccardo Roni indica la soluzione nel riproporsi, provvisorio e transeunte, nel cammino verso l’ultrauomo, dei valori eterni e nuovi dell’affermazione della vita e della volontà:

Il punto di vista dell’immoralista tenta un’impresa grandiosa: ingessa l’inevitabile all’interno di una visione onnicomprensiva del reale che, dando all’irragionevole una propria ragione da rintracciare entro precisi confini, scardinando un intero sistema di cause immaginarie, come l’idea superstiziosa dei cattivi spiriti nemici dell’uomo, permette a questo di recuperare una prospettiva a largo raggio sulla totalità dei fenomeni di cui fa esperienza. […] Mentre gli eroi religiosi, spirituali e morali sono impegnati a voler dimostrare, più o meno consapevolmente, un ordine di valori dietro al quale si cela un istinto negativo e distruttore della vita, i personaggi alienati come l’adultera, il poeta ribelle o l’idiota sono invece espressione di quella “alienazione libera e consapevole delle forme di vita stabilite con cui la letteratura e le arti si opponevano a quelle stesse forme anche quando si apprestavano a ornarle. […] Il problema fondamentale consisterebbe dunque nel saper gestire il contrasto tra l’esigenza di un valore stabile, come il ‘principium individuationis’, che è un riflesso condizionato del principio di realtà, e la presenza di forti tensioni istintive (latenti) che sono la componente più feconda e ‘giovane’della soggettività umana.”

La conoscenza di sé, che è il presupposto di qualsiasi opera evolutiva e trasmutativa dell’uomo verso l’ultrauomo non può oggi esulare dalle riflessioni di Freud. Ciò che vi è nella profondità psichica dell’uomo, la sofferenza morale e patologica, l’inconscio, la rimozione, le pulsioni vitali, la vita sessuale, è definito da questo gigante del pensiero come il lavoro psicoanalitico che si basa su:

“ciò che è più estraneo all’Io, il sintomo. Il sintomo deriva dal rimosso…Dal sintomo la nostra strada ci condusse all’inconscio, alla vita pulsionale, alla sessualità…”.

Le affinità concettuali di Freud al pensiero nietzschiano sono fondamentalmente legate al concetto di entropia e al principio di conservazione dell’energia da questa indotta. Sono queste le elaborazioni fondamentali del principio del piacere (processo primario) e del principio di realtà (processo primario). La realtà soggettiva, in cui si attua il “ricordo storico” di un trauma psichico è spesso inconscia e necessita di analisi per la sua rappresentazione. Nietzsche concorda affermando: “Tutto ciò che è profondo ama la maschera” (Al di là del bene e del male). L’estrazione del trauma come realtà oggettiva e cosciente, se non lo elimina, lo priva tuttavia del suo contenuto di disagio e dolore, lo “normalizza” in un evento liberatorio dal complesso di colpa, più forte nell’innocente che nel colpevole. Tutti i sé rimossi, urlano allora impotenti, prima di divenire componenti domati della molteplicità dell’uno. In Nietzsche l’ultrauomo è liberato “non più soggetto” al suo senso di colpa e alle sue relative necessità di vendetta su sé e sugli altri, non per impotente rassegnazione, ma per superamento, nell’equilibrio del suo rapporto con la realtà soggettiva e quella oggettiva. L’ultrauomo non ha più opposizioni fra il suo uno e il suo molteplice, accettando, e dominando quindi la sua molteplicità.

L’odierna umanità, pur avendo in parte oltrepassato, ma solo ideologicamente, i meccanismi gerarchici di dominio del dio/stato/società, li riproduce in sé e in questo consiste il suo disagio e la sua infelicità. La dicotomia fra la propria realtà psicologica soggettiva e la parziale evoluzione della realtà sociale oggettiva lo rende incerto, affranto, debole, vacillante. Il superamento di tale impasse non può che provenire che dall’allineamento fra la liberazione interiore dell’individuo con quella culturale e sociale, attraverso l’opera personale e collettiva volta alla volontà di potenza, che non ha niente a che fare con la volontà di dominio. Tutto ciò che opprime l’umanità deriva da paradigmi morali con cui i deboli hanno cercato di condannare e disprezzare i forti.

Ma non commettiamo l’errore di considerare il forte come la “belva bionda” delle degenerazioni razziste. Per Nietzsche i forti sono:

“i più moderati, quelli che non hanno bisogno di principi di fede estremi, quelli che non solo ammettano, ma anche amano una buona parte di caso, di assurdità […] gli uomini che sono sicuri della loro potenza e che rappresentano con consapevole orgoglio la forza raggiunta dall’uomo.” (Frammenti postumi)

In Roni, la volontà di potenza si esplica nei nuovi valori da indicare, che sono: “quelli dell’uomo segreto che ha ‘rifiutato ogni patria e ogni riposo’, capace di indicare la nuova via del grande stilediventare Signore della propria felicità come della propria infelicità . “Ma l’elemento maggiormente distintivo risiede in particolare nel rifiuto della semplice conciliazione, puntando piuttosto verso il superamento al di sopra di ogni conciliazione, verso l’oltrepassamento che rappresenta l’essenza della volontà, in quanto volontà di potenza.”

L’uomo nuovo non cercherà più i rimedi contro l’angoscia del divenire, ma ne metterà in discussione l’essenza stessa del divenire. L’ultrauomo non necessità di difese contro un divenire di cui mette in discussione la stessa esistenza. È l’ultima liberazione, quella dalla fede nel divenire e dalla paura e dall’angoscia che ciò ci produce.

La continuità di questa volontà di liberazione si può indicare anche in Marcuse. Roni cita il suo Saggio sulla liberazione, commentando che anche la storia, come strumento oppressivo può entrare nei progetti dell’immaginazione sia dal lato della sensibilità sia da quello dalla ragione, perché il mondo dei sensi è un mondo storico, e la ragione è il dominio e l’interpretazione concettuale del mondo storico.”

Marcuse, pur rimanendo legato in un certo modo al modello teoretico di Hegel e a quello marxista, la lezione di Freud sui meccanismi psicologici consci e inconsci della società e sulla genesi istintuale della civiltà produsse il saggio Eros e civiltà in cui il superamento dell’ideologia marxista produsse una proposta positiva di una società finalmente liberata dall’oppressione moralistica e sociale, sia dal liberalismo che dal collettivismo. In contrasto con Freud, che considerava inevitabile la repressione degli istinti sia nelle cellule sociali come la famiglia, o nelle istituzioni collettive, Marcuse tentò di dimostrare la possibilità di equilibrare la libertà individuale delle pulsioni vitali con l’esistenza di una società organizzata.

In questo quadro, l’importanza di Adorno, spesso citato da Roni, va vista nella sua affermazione rivoluzionaria che la società nella sua totalità è falsa, irrazionale, e nel suo rifiuto di costruire un sistema, attribuendo invece importanza a tutto ciò che è apparentemente secondario, eccentrico, negativo. La falsità della storia stessa consiste nel suo essere presentata come una rigida realtà oggettiva, mentre è formata da una miriade di molteplicità di storie soggettive.

Lo stesso concetto in termini di fisica, fu espresso da Einstein, nella sua affermazione che la realtà è relativa, in quanto dipende dal punto di vista dell’osservatore.

Ma ancor più importante, nella creazione del cammino dell’ultrauomo, è l’affermazione di Plank, in cui si ipotizza che la realtà è modificata dal punto di vista dell’osservatore.

Secondo Remy Boyer, il filosofo dell’incoerismo, solo il superamento della dicotomia fra coerenza e incoerenza, espresso in modo particolare dalla creatività artistica, può produrre la libertà dalle tare secolari dell’uomo.

Di ciò vi è urgenza individuale, sociale, culturale, prima che si arrivi al caos totale, allo scontro fra nevrosi e psicosi intollerabili alla vita dell’umanità. Se il deserto cresce, la forza della vita fa spuntare ovunque nuovi germogli, il vento e le api spanderanno comunque il polline della libertà.

Ma quali saranno i seminatori?

Secondo Roni:

“Il filosofo che si accolla il peso e la responsabilità di creare nuove condizioni per una vincente affermazione della volontà di potenza umana sembra comunque figurare come momento indispensabile per fronteggiare il clima di decadenza della morale e della società borghese. Lo sperimentare è affidato a nuovi filosofi, a spiriti liberi che solo in epoche dominate dal costume sono considerati nemici di dio, spregiatori delle verità, ossessi, i quali dovranno tuttavia evitare di occupare quelle posizioni verticali verso cui gli atteggiamenti ereditari li sospingono. In quanto si attende la propria salvezza professionale dall’imposizione delle nuove dottrine di salvezza etica, la piccola borghesia è predisposta a svolgere un ruolo di avanguardia, nelle lotte che hanno come posta in gioco tutto ciò che riguarda l’arte di vivere e, in termini più precisi, i rapporti fra i sessi e le generazioni, la riproduzione della famiglia e dei suoi valori. Essa si oppone, quasi in tutto, alla morale repressiva in declino, il cui conservatorismo religioso o politico nasce spesso dall’indignazione contro il presunto disordine morale e, soprattutto, contro il disordine dei costumi sessuali. Così, come la morale del dovere, basata sulla contrapposizione fra il piacere e il bene, induce a un sospetto generalizzato verso l’apprezzamento di ciò che è piacevole, alla paura del piacere e a un rapporto con il corpo fatto di riservatezza, di pudori , di ritegni, e che accusa di colpevolezza qualsiasi soddisfazione delle pulsioni proibite, la nuova etica contrappone una morale del dovere di piacere, che induce a vivere come un insuccesso, capace di minacciare la stima di se stessi, qualsiasi forma di incapacità di divertirsi.”

Forse è proprio il nostro tempo quello in cui può rinascere la gioia dell’innocenza, il valore dell’amore per se stessi e per gli altri, la coscienza della bellezza della terra e dell’umanità, la conoscenza che il divenire è l’ennesima favola per imprigionare l’uomo nella sua gabbia di paura e di rimorso per ciò che non è, mai, peccato.

Nella successione del tempo del pensiero, Riccardo Roni lo insegna ancora.

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