Karma di merito e di demerito

Letture d'Esoterismo Orientale1. La confusione dei linguaggi minori – 2. Dolore e morte

Anche la formula di: merito e demerito, è una delle tante inesattezze dialettiche di quelle “tradizioni”. Una espressione che ha fatto decadere il principio karmico di perdita e acquisizione di qualità coscienziale, nel contesto più mercantile di premio e punizione. Inverosimile per chi considera il valore di una coscienza individuale, una somma di capacità, che non si acquisiscono per clausole di remissione o d’indulgenza. A maggior ragione, se si ritiene che la qualità di una coscienza, è data dalla limpidezza della sua sostanza e dalla purezza della sua vibrazione (il suono silenzioso). Perciò, è quantomeno azzardato far attendere i suoi meriti alle condizioni morali scaturite da una professione di fede piuttosto che da un’altra.

Karma di merito e di demerito

di Athos A. Altomonte

Note al testo: 1. La confusione dei linguaggi minori – 2. Dolore e morte

Ogni qualvolta che temi iniziatici furono sottratti alle Scuole misteriche, finirono per essere deformati dai linguaggi exoterici usati per trattare quelle argomentazioni, che sostituivano con concetti figurati e fantastici i termini che non si comprendevano, finendo per eclissarne i principi fondamentali. Avvenne così, la volgarizzazione del lessico iniziatico.

Ma la volgarizzazione non fu un problema solo per gli Hierophanti. Anche i Maestri del misticismo incontrarono il medesimo ostacolo, che andava ad aggiungersi all’incoscienza spirituale dei propri seguaci. In tutti i casi, la credulità popolare e l’ignoranza di seguaci, lasciò ampi spazi ad interpretazioni sempre esuberanti e fantasiose. Per cui, l’eccessiva emozionalità, finì per ri-velare (velare due volte) i sottili significati dei più grandi insegnamenti.

Anche quando la coscienza popolare volle impossessarsi dell’Idea archetipo-spirituale, confuse la maggior parte delle realtà ascetiche con i fumi dell’immaginazione. E la metafisicità del pensiero spirituale, si eclissò tra intricate formulazioni dall’espressione sin troppo umana.

Così, visioni oniriche e miti finirono per rivestire di tessuti fantastici d’Idea di un archetipo ultraterreno. Che restò confuso con antiche reminiscenze tribali, che divennero i rudimenti delle prime “tradizioni minori” [1].

Anche la formula di: merito e demerito, è una delle tante inesattezze dialettiche di quelle “tradizioni”. Una espressione che ha fatto decadere il principio karmico di perdita e acquisizione di qualità coscienziale, nel contesto più mercantile di premio e punizione. Inverosimile per chi considera il valore di una coscienza individuale, una somma di capacità, che non si acquisiscono per clausole di remissione o d’indulgenza. A maggior ragione, se si ritiene che la qualità di una coscienza, è data dalla limpidezza della sua sostanza e dalla purezza della sua vibrazione (il suono silenzioso). Perciò, è quantomeno azzardato far attendere i suoi meriti alle condizioni morali scaturite da una professione di fede piuttosto che da un’altra.

Per di più, la coscienza spirituale non sottostà da alcun senso fisico. Allora, non dovendo rispondere ad alcuna emozione fisica, non può nemmeno desiderare premi o temere punizioni.

Eppure, in specifiche circostanze, la coscienza superiore può essere raggiunta da una particolare emozione. Infatti, l’Ego superiore riconosce gli “stati di necessità” che gli provengono dalla propria personificazione materiale (l’io fisico). E a suo modo vi risponde.

Sensazioni profonde allarme e turbamento, possono precipitare nella disarmonia e nello squilibrio quel frammento di coscienza immedesimato nella natura fisica. Che, per reagire alla dissonanza, emette una invocazione profonda, con cui evoca la presenza del proprio simile maggiore: ch’è la coscienza del Sé o Ego superiore, ch’è il riflesso dell’anima, come l’anima è il riflesso spirituale della monade, che per i mistici è il Dio interiore. In effetti, è la monade spirituale ad essere il cosiddetto: Figlio di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza e non la controparte oscura della sua materializzazione (il corpo fisico-animale).

All’invocazione della coscienza profonda, risponde un impulso superiore di “soccorso e sostegno”. Un sostegno, però, che va sempre nella direzione della coscienza fisica, mai della personalità materiale [2]. Per questo non è possibile conseguire nessun vantaggio da una evocazione che abbia fini egoistici o scopi utilitaristici.

Il soccorso e sostegno mosso dalla coscienza superiore e spirituale è spesso paragonato all’amore umano. Ma non è esatto. Perché, s occorso e sostegno della coscienza superiore non sono frutto di una risposta emotiva, ma una reazione d’equilibrio e di giustizia che si potrebbe paragonare a quella del “pieno” che si precipita a riempire un “vuoto”.

Un po’ come la spinta che occorre ad ogni entità naturale per ristabilire l’equilibrio dopo una momentanea deformazione. E qui entra in gioco la correlazione tra simili.

Con la formula «Similes cum similibus», s’indica l’attrazione che ogni “simile maggiore” esercita su di un “simile minore”.

Questo avviene anche tra simili come la coscienza fisica ed il supercosciente, con i risvolti karmici che cercheremo di definire.

Il “destino” dei popoli è determinato dalle impressioni che i loro pensieri, decisioni ed azioni, tracciano su una medesima sostanza “elettrica” (etere riflettente), detta coscienza planetaria (Anima mundi), che molti orientali hanno chiamato “Signore del Karma e che molti occidentali hanno raffigurato nel Dio biblico chiamato “Yahwè.

Il Karma di un popolo non è né Signore né Dio, ma solo l’effetto di decisioni prese da pochi che, però, hanno la forza di segnare il “Destino” di molti. Ogni scelta, dunque, determina una direzione, che porta da qualche parte, prescindendo da tutte le altre direzioni che restano, così, disattese.

Ogni decisione presa può rivelarsi un bene o un male, per sé e per altri. In ogni caso, tutte producono “effetti concreti” che, se si manifesteranno in opposizione ad uno dei canoni d’equilibrio inerenti il piano fisco, emotivo e mentale, dovranno essere corretti dalla coscienza individuale, o di gruppo (inconscio collettivo o individuale), come fossero le impurità di un qualsiasi altro “organismo”. In altre parole, ogni “scompenso” fisico, emotivo e mentale dovrà essere assimilato, poi digerito ed espulso.

Inutile rimarcare che i piani superiori della coscienza (il supercosciente), anche individuale, sono del tutto esenti da ogni genere di “turbolenza”, propri della coscienza fisico-emotiva (l’io inferiore, la personalità).

A determinare le condizioni karmiche del singolo individuo, oltre alle cause universali che legano ogni popolo ad un unico intreccio, ci sono i “risultati” di pensieri, azioni e decisioni prese singolarmente e che restano impresse nella coscienza personale.

La coscienza personale, contrariamente a quanto viene immaginato, non trova la sua collocazione all’interno all’essere umano, ma lo “circonda”, con quel fenomeno chiamato: aura.

Anche se si riflette all’interno dell’essere attraverso i sentimenti, la coscienza, come fenomeno complessivo, resta esterna alla componente materiale a cui è collegata attraverso la mente.

L’aura è un fenomeno energetico paragonabile ad un campo radiante. Che nella fase di minor sviluppo, appare sotto forma di area confusamente colorata, densa e riflettente, che circonda il corpo materiale e la sua componete magnetica (aura elettrica).

Tanto il campo minore (aura individuale) che quello maggiore (aura planetaria) fanno parte di un unico sistema intelligente che, per induzione, è collegato ad aspetti cosmici ancora più grandi.

Ecco il: «similes cum similibus»; per cui il minuscolo individuale tende a ridentificarsi con l’immenso macrocosmico come quest’ultimo cerca di riappropriarsi del suo piccolo frammento.

Il continuo ricercarsi che avviene tra simili, spesso sottoposti a condizioni estremamente dissimili, questo “volersi” in modo apparentemente incosciente, per lunghi periodi senza sapere esattamente il perché, è un meraviglioso esempio di vita che ci dà il creato. Una manifestazione di volontà in cui può raffigurarsi un supremo atto d’amore dell’essere umano, che non conosce l’egoismo del pos-sesso, ma solo la ricerca dell’altra parte di sé stessi.

Per questo, nel cercare di comprendere il Karma, non ci si dovrebbe limitare a considerare solo le piccole concertazioni personali, ma scoprirne i rapporti maggiori tra sé, l’umanità e i gradi maggiori della coscienza cosmica di cui siamo parte.

Il termine «Karma» è usato per indicare il principio che trasmette l’effetto di ritorno, la reazione, o la risposta che dir si voglia, al moto generato da una causa, indipendentemente dalla sua natura, condizione, piano e livello di appartenenza.

Ogni emozione, passione, pensiero, decisione ed azione, è un “movimento” e come tale produce reazioni, i cui effetti permangono finché non abbiano esaurita la spinta dinamica che li anima.

Possiamo dire che la spinta è il Karma, mentre il tono, l’intensità e la durata di ogni effetto (fisico o mentale che sia), si contraddistingue per la forza della causa che lo ha generato. Così, ogni genere di apparizione, da quella fisica a quella spirituale, è caratterizzata dalla volontà energetica (impulso) che l’ha originata (causa).

Nell’essere umano le qualità e i toni che “colorano” le sue emozioni, sono determinati dalle intenzioni. Che vengono generate dalla volontà emotiva, e che finiscono per riflettersi in ogni suo impulso. Ed è proprio nell’impulsività che va cercata la risoluzione di molti nodi karmici.

L’uomo ha sempre preso a modello sé stesso per misurare il mondo e l’universo. Finendo, così, per “fabbricarne” uno che gli somigliasse troppo. Preferendo ridurlo a misura delle proprie sensazioni, piuttosto che cercare in astratto risposte più assennate. Al contrario della scienza iniziatica, che ha sempre voluto penetrarne la superficie fenomenica, per raggiungerne il senso naturale. Con l’ausilio della comparazione e dell’analogia, la scienza iniziatica raggiunse quelle similitudini che la fecero progredire nella conoscenza dell’essere, non solo quale “creatura animale”, ma anche come entità cosmica ed universale.

A formulare questo concetto, fu indispensabile l’assunto che l’umanità facesse parte di uno scenario vitale assai più ampio di quello visibile all’occhio fisico: aprendosi all’idea della rilevanza che rivestivano i rapporti vitali che intercorrono tra ogni livello di vita.

Quest’idea fu il fulcro, quantomeno ideale, per collegare comparti naturali apparentemente lontani ed anche molto diversi tra loro, come spirito e corpo.

Il principio di questi rapporti è la vitalità.

 

La vitalità (energia vitale), sostiene ogni aspetto della vita ma, a sua volta, deve anch’essa essere sostenuta.

L’energia vitale “anima” ogni forma e fenomeno vivente. La sua funzione è quella di sostenere e nutrire. Ed anch’essa sottostà alla necessità di essere nutrita e sostenuta dallo spirito.

Per entrare nel merito dell’argomento, bisogna prendere atto di accostamenti delicati, attinenti a meccanismi di realtà parallele a quella fisica. Per questo, pur parlando di “stessa energia”, va compreso com’essa muti passando di sostanza in sostanza, di materie diverse. Allora, per ogni sostanza vivente, dalla più grave alla più sottile, l’energia vitale diventa il comune denominatore per capire la loro essenza. Perché, è proprio questo denominatore comune a determinare la “comunione energetica”, che amalgama sostanze diverse d’ogni livello dell’universo. E il motto “come in alto è in basso” rispecchia la similitudine tra aspetti diversi. Che sono il riflesso di una stessa matrice universale, in cui tutto vive e si sostenta per trasmissione energetica, ovvero, per cessione. Allora, la chiave semantica della “similitudine” può essere il termine: osmosi .

Appare sempre più evidente che per molti aspetti della vitalità e del sostentamento, il Karma potrebbe essere paragonato ad un sofisticato sistema d’immunizzazione. Una forma superiore di metabolismo, necessaria ad evitare intossicazioni grossolane a entità sottili come anima e spirito.

Un meccanismo che utilizzando la coscienza soggettiva dell’io temporale, metabolizza e dissolve i segni impressi dalle incoerenze di una personalità, ancora troppo influenzata dalle sensazioni che non è in grado di trattare nella forma adeguata.

Un io inferiore dunque, perché anche i suoi condizionamenti morali, sono subordinati agli impulsi della ragione fisica.

Per avvicinarsi in una maniera adeguata ai significati di merito e demerito, allora, più che sotto l’egida dell’aspetto morale di bene e male si potrebbe accostarlo al simbolo dello Yin e Yang. Una formula impeccabile, usata per esprimere il dualismo di una polarità positivo-negativo dell’energia (fisica, emotiva e mentale) che promuove ogni aspetto, forma e apparenza del mondo fenomenico in cui è immersa ogni entità vivente, anche spirituale.

Il simbolo Yin e Yang afferma una indiscutibile realtà. Quella che i contrari non s’ignorano ma, in qualche modo si integrano. Perché parte dell’uno è sempre presente anche nell’altro. Ecco che, se sussiste una posizione conflittuale tra le due parti, non lo si dovrà attribuire alla realtà ma alla stato di confusione nel riconoscimento tra le diverse posizioni. E questo dovrebbe far riflettere sul binomio di mascolino&femminino.

In quest’ottica, bene e male andrebbero considerati stati di coscienza, che concorrono al suo equilibrio o ne alterano i valori producendo momenti di squilibrio.

Il male è la deformazione per eccesso o per difetto di una realtà altrimenti equilibrata.

Il bene è il sentimento che afferma positività ed equilibrio, aderendo ad una regola cosmica che corrisponde all’«armonia»: che sovrintende principi come quello di giustizia, di economia e di equa distribuzione.

Dall’equilibrio cosmico chiamato «Armonica» giunge quell’innato senso di giustizia che, dal macrocosmo (l’iperuranio divino) si riflette fino nel microcosmo individuale, rendendo anche la coscienza dell’uomo fisico, partecipe dell’universo. Un riflesso che, se fosse capovolto, diviene immediatamente sostanza di egoismo, separatività, isolamento. Uno stato d’animo (animo e non anima) che “genera” distacco e negazione spirituale, da cui può solo nascere ingiustizia, per se stessi e per gli altri. Che verranno considerati discosti, diversi e perciò antagonisti.

__________

Note

1. La confusione dei linguaggi minori

«Restaurare» l’originalità dei temi iniziatici, estraendoli dalle “confusioni dottrinali” e dai “conflitti filosofici” delle tradizioni minori, significa saper “viaggiare a ritroso” verso il mondo delle cause, trascurando quello degli effetti. Questo è il viaggio che deve compiere il ricercatore.

Il viaggio di chi non cede alle interpretazioni delle ri-velazioni exoteriche (ri-velare = velare due volte), ma parte alla ricerca di quel punto ideale, dove realtà ed immaginazione cominciarono a mescolarsi, tanto da offuscare le idee in cui si riflettono i principi.

Per elevare il proprio centro di coscienza tanto da uscire dall’immaginario, è necessario retrocedere lungo la linea del disordine intellettivo (chaos). Distruggendo le forme esteriori dei concetti e penetrando i significati delle forme letterali ed exoteriche: così da raggiungere l’anima della parola.

Il significato occulto della parola ne rivelerà il “potere”: che ogni Iniziato è educato a riconoscere e usare. Un suono che ha la forza di “evocare” (generare) immagini (forme) mentali, sentimenti ed emozioni. Oppure, la forza di distruggerle, disperdendole e liberandone le energie che le “animavano” rendendole sostanza viva.

Analisi semantica, analogia, correlazione ed intuitività rischiarano il cammino del viaggiatore. Strumenti atti a ricostruire ogni significato, secondo proporzioni e geometrie ideali per rappresentare il pensiero originario.

La Scienza dell’Armonica (v. H. Kaiser e la scuola pitagorea) include anche le rappresentazioni mentali. Indicando, attraverso i canoni matematici, come instaurare un processo di armonizzazione tra forma, concetti e l’idea prima (v. sintesi: operazione mentale che organizza, in una prospettiva unitaria, elementi altrimenti singoli e molteplici) che ne è stata la matrice.

Armonizzando il significato della forma espressiva, si può passare dalla formulazione figurata del linguaggio (espressione exoterica), alla sintesi dell’idea (espressione esoterica) che i vari idiomi tentano invano di trasmettere. Ma lo strumento che può rappresentare adeguatamente un’idea, di per sé sintetica ed immediata, non è un linguaggio ma è il simbolo.

La componente interiore del simbolo, e non la sua forma esteriore, salvaguarda la sintesi dell’idea, ovvero, ne preserva il significato “complessivo”. Mentre la forma letterale figurata, interpretando il significato sintetico dell’idea, ne deforma il senso, dilatandone a dismisura la rappresentazione. E solo un procedimento capace di “invertire” il processo di dilatazione della forma letterale, potrà inficiare le palesi deformazioni prodotte all’originalità dell’idea. Soprattutto, in tutti quei casi in cui i significati dell’idea sono stati adombrati dall’evidente incapacità dei suoi interpreti. (torna al testo)

2. Dolore e morte

Dolore e sofferenza sono le sole necessità fisiche che possono esprimere un messaggio “mentale” in forma sintetica, cioè senza parole, che possa raggiungere l’Ego sup. Così, da evocare una necessità di “aiuto”. Dolore e sofferenza, quindi, sono l’unico linguaggio sintetico che la mente fisica sia in grado d’esprimere. Perciò, sono l’unica espressione riconosciuta dall’Ego superiore che, altrimenti, non è in grado di recepire nessun termine formale del linguaggio comune ch’è, invece codificato attraverso una scala di pulsioni ch’egli non prova né riconosce.

Allora, l’evocazione prodotta da un silente stato di necessità è come l’istinto di sopravvivenza, che si rivolge inconsciamente a quell’incognita entità cosciente e superiore, a cui, nella disperazione, si rivolge l’ultimo appello.

Ma evocare uno stato di necessità non è paragonabile ad un semplice desiderio di sopravvivenza, oppure reagire alla paura per un ignoto pericolo. Perché, quest’ultime, sono tutte sensazioni che possono solo procurare allarme e tensione psichica nella personalità inferiore.

La mente materiale, naturalmente teme la morte fisica. Né la speranza di sopravvivere in un paradiso promesso, la persuade ad abbandonare a cuor leggero l’inferno della materia.

L’Iniziato evoluto, invece, paragona se stesso ad una microunità, ch’è parte di una più complessa Unità centrale. Perciò, finisce per dare poca importanza al passaggio temporale della sua persona. La sua regola, allora, è quella di avere una ridotta considerazione di sé stesso come unità fisica, che ritiene ancora troppo distaccata dalla propria identità spirituale (nucleare), ch’è il vero riflesso dell’Unità maggiore.

Restaurando in sé stesso il “senso d’appartenenza” all’Unità centrale (Atomo-Dio), la coscienza dell’iniziato evoluto trasmette alla propria mente fisica la sensazione d’immortalità, così anch’essa possa esclamare: l’immortalità mi è nota!

Ed è proprio questo riconoscimento interiore a illuminare la mente e a disperdere il timore d’oltrepassare “la soglia fisica” della vita, che prosegue. (torna al testo)

torna su