Il talento, quando c’è, da principio appare in forma rozza e poco pregiata. Per questo è difficilmente riconoscibile, se non da persone dotate di particolare sensibilità, capaci di riconoscerlo, un po’ come fanno i cani con i tartufi.
Per farlo crescere ci vuole pratica e autocritica. E qui cominciano a formarsi tre categorie.
In questa espressione, c’è la premessa del talento. Il talento, quando c’è, da principio appare in forma rozza e poco pregiata. Per questo è difficilmente riconoscibile, se non da persone dotate di particolare sensibilità, capaci di riconoscerlo, un po’ come fanno i cani con i tartufi. Per farlo crescere ci vuole pratica e autocritica. E qui cominciano a formarsi tre categorie. La prima è quella maggioranza irrazionale di coloro che si accontentano del talento che hanno, tendendo a sovrastimarlo, finendo così per sopravvalutarsi. La seconda è la parte razionale di quelli che si concentrano sulla pratica ma dimenticano l’importanza della critica costruttiva, data da un «Maestro d’Arte» (anche di ars scientifica) e poi dell’autocritica fatta da se stessi, su se stessi. Della terza categoria fanno parte l’elite di “creativi” che nessuno può più educare, perché hanno superato il livello di qualsiasi scuola. Trovandosi ormai soli, costoro, per sviluppare il proprio talento, possono far conto solo sulla propria capacità d’autocritica. A patto, però, che il modello che prendono come pietra di paragone sia più in alto di loro, ma non utopistico, altrimenti finirebbero per sfibrare la propria autostima. I “creativi” sono artisti del pensiero, ma nonostante le spiccati doti talentuose, anche tra di loro si vengono a creare due sottocategorie. Gli egocentrici, che isolandosi, costruiscono un regno di vanità intellettuale dove pongono al centro l’amore per sé stessi e l’infinita ammirazione per le proprie opere. Potremmo riconoscere in questo genere: il profano, che usa la critica come arma d’offesa. Gli estroversi, invece, tendono a confrontarsi con i propri simili, formando cenacoli filosofici, o artistici. Magari i più veraci in osteria. Nondimeno, tutti con l’intento di conoscere e farsi conoscere, trasmettere e comunicare. Potremmo riconoscere in questo genere: l’iniziato, desideroso di sapere, ma pronto a condividerlo con i propri pari. Cosa certifica le due posizioni è l’atteggiamento, ch’è come “carta che canta”. L’atteggiamento del profano è segnato dall’esaltazione per il proprio talento, ma sempre pronto a ridurre quello altrui. L’atteggiamento iniziatico è di condividere con gioia la conoscenza senza farne commercio, perché ha capito che conoscenza ed arte sono «bene comune». Inoltre è capace d’apprezzare il talento altrui, tanto, d’accoglierlo come un “insegnamento”. |