Il mercante e la moneta

Letture d'Esoterismo“Se si guarda quello che essi accumulano, si possono mirare i rapporti di cielo e terra e di tutti gli esseri.” – (I Ching)

Sin dall’inizio della sua storia, l’uomo ha avuto bisogno di un principio di equivalenza per poter paragonare le cose tra loro e scambiarle le une con le altre, di un modo per valutare le proprie energie e capacità e trasformarle in cibo, vestiario ed altri beni.

Il Mercante e la Moneta

di Alessandro Orlandi

“Una volta ammesso che la moneta cessava di essere un equivalente come gli uomini l’avevano concepita ed istituita, per non essere più che un segno, doveva accadere che si andasse ben più in là del cambiamento che era consentito in ogni pezzo di moneta. Si era su una china che doveva condurre a sostituire all’oro ed all’argento altri metalli meno apprezzati, ed anche altre sostanze più sprovviste di valore intrinseco, finalmente semplici iscrizioni sulla carta.” – (Michel Chevalier – La Monnaie)

“Se si guarda quello che essi accumulano, si possono mirare i rapporti di cielo e terra e di tutti gli esseri.” – (I Ching – 45 – La Raccolta)

Sin dall’inizio della sua storia, l’uomo ha avuto bisogno di un principio di equivalenza per poter paragonare le cose tra loro e scambiarle le une con le altre, di un modo per valutare le proprie energie e capacità e trasformarle in cibo, vestiario ed altri beni.

Con quante ore di lavoro è possibile assicurarsi un pasto ed un giaciglio? Quante pecore sono necessarie per acquistare un cavallo? Quanto sono disposto a “valutare” un oggetto che mi appare utile o bello? Perché possano esistere forme sia pur rudimentali di baratto, domande come questa devono avere una risposta.

In molte civiltà, il primo mezzo di scambio fu inizialmente il bestiame [1] (oppure staia di grano e cereali) dato che esso, come fonte di cibo, vestiario e forza-lavoro, sembrava il referente naturale per esprimere la ricchezza di un uomo.

Termini come “capitale” e “pecunia” ci riportano ad un periodo in cui l’equivalente di un oggetto era il numero di capi di bestiame, con cui esso poteva essere scambiato (si pensi anche all’indiano “roupya” = gregge). Con lo sviluppo della “technè” e la crescente importanza degli utensili e delle armi, le sbarre di metallo presero il posto del bestiame nello scambio e la bilancia e l’atto di pesare divennero gli strumenti principali del commercio. [2]

Coniate con metalli preziosi e rari, le monete avevano il vantaggio di essere assai più maneggevoli e trasportabili delle sbarre di metallo, e finirono col soppiantarle fino a diventare la “pietra di paragone” adottata nelle diverse forme di transazione.

Le monete, in genere di forma circolare o quadrata, recavano sempre incisa su una delle facce l’immagine del sovrano o dell’imperatore, che regnava sul territorio nel quale avevano corso, mentre sull’altra faccia potevano comparire Dei, figure mitologiche, animali, piante. [3]

Il fatto che ogni moneta presenti due lati, ci riconduce al fatto che chi possiede una quantità di denaro è anche posseduto da quel denaro. Spesso è difficile decidere se si è utilizzato il denaro per le proprie finalità, o se si sono adattate le finalità al denaro, se si sono ereditate delle ricchezze o se si è stati ereditati da quelle ricchezze e si viene trascinati al seguito delle vicende da esse determinate.

In “Uscite dal mondo” (Adelphi 1992), Elèmire Zolla osserva che, in tempi arcaici, i patti venivano stretti dai contraenti anzitutto con gli Dei e, solo di riflesso, tra di loro. Il fatto che i verbi “to sale” o “to buy” risalgano a radici il cui significato è, rispettivamente, “sacrificare” e “sfuggire”, evidenzia come “la vendita fosse un’offerta al Dio, e la compera la liberazione da quella sacralità. Così il denaro recava i simboli della divinità che vi presiedeva, e la ricchezza era simbolo del favore divino. Esigeva, da chi la ambiva, certi sacrifici della cui entità era misura, nome e segno”. [4]

La moneta, in altri termini, simboleggiava un’offerta avvenuta, ne era il sigillo. Se riconvertita in oggetti o forza-lavoro, consentiva di riscattare l’offerta fatta dall’uomo o dai suoi antenati agli Dei per ottenerne il favore.

Il denaro, rileva ancora Zolla, è rappresentato a sua volta da una testimonianza o promessa, e dal simbolo di questa, la lettera di cambio. Nessun diritto e nessuna società reggerebbe se mancasse la tutela del nome, del marchio, del simbolo. Il valore è nome, e precede ontologicamente il nominato.

Scomparsi gli Dei come garanti dei patti, oggi, in Occidente, nessuno offre più sacrifici all’invisibile. L’ultima realtà è, per ciò, costituita dai nomi delle cose e dalle maschere che la gente indossa.

Finché furono i privati a poter fabbricare le monete, ogni falsificazione ed arbitrio era possibile. Fu così che, all’inizio dell’era moderna, Regni e Stati sovrani divennero i soli a detenere il monopolio del conio delle monete.

L’ultimo passo fu quello di sostituire i metalli preziosi con i metalli vili ed, infine, con pezzi di carta stampata (banconote) che erano monete simboliche, rappresentando ciascuna una piccola parte delle riserve auree custodite nei sotterranei delle banche.

Nel seguire la storia di come l’uomo ha modificato nel tempo il metro per valutare la propria ricchezza, è bene ricordare che la moneta, il denaro, non è altro che il supporto materiale del vero mezzo di scambio che ognuno di noi impiega, dell’inafferrabile principio di equivalenza di cui ci serviamo per paragonare le cose tra loro.

Differenti individui possono svolgere uno stesso tipo di lavoro, ed essere apparentemente retribuiti in egual misura, ma la vera retribuzione che ognuno di loro avrà ricevuto, dipende sempre e comunque dall’intento con cui quel lavoro sarà stato svolto.

C’è chi ricerca un ruolo, una maschera, un’identità, nel proprio lavoro, chi la propria auto-affermazione, chi un modo per scambiare affettività con il prossimo, chi un pretesto per cedere le energie in sovrappiù, chi un mezzo per realizzare i propri desideri inappagati, chi sente di seguire il proprio destino, chi insegue i propri fantasmi, chi infine sacralizza il lavoro che compie interpretandolo come un servizio sia orizzontale (nei confronti degli altri) sia verticale (diventando strumento dello spirito). Così vi sono tanti generi di ricchezza quante sono le motivazioni che ci spingono ad agire, e cambia di conseguenza il tipo di moneta che andiamo accumulando. Da questo punto di vista, ogni uomo, crescendo ed acculturandosi, ripercorre nel corso della propria vita le tappe dell’evoluzione della moneta prima descritte, mentre trasforma strada facendo i propri criteri di valutazione.

Infatti, il bambino piccolo, che misura tutte le cose attraverso il proprio legame con la madre, ha l’affettività, la nutrizione, ed il calore come metri per paragonare le cose tra loro, e richiama quindi all’epoca in cui cibo, vestiario e forza-lavoro erano l’unico mezzo di scambio conosciuto.

Per il giovane, che comincia a misurarsi con il mondo, ha invece importanza portare a termine i propri progetti, lo sviluppare le proprie potenzialità traducendole in realtà concrete. Le sbarre di metallo, suscettibili di essere fuse e trasformate in utensili, offrono un’immagine calzante di tale situazione.

All’uomo maturo, a colui che “opera in nome del suo Re”, e che ha già individuato la propria strada, sta invece a cuore la qualità di ciò che lo circonda, assai più che la quantità, ed egli sa che ogni esperienza può racchiudere un prezioso insegnamento, un tesoro da conquistare.

L’anziano [5], infine, può guardarsi alle spalle e contemplare la propria vita, ormai trascorsa, nelle sue luci e nelle sue ombre. Egli non ha più qualcosa da conquistare o da inseguire. Le esperienze trascorse giacciono, come oro, depositate nella sua memoria. Egli non può certo farle tornare perché altri le vivano al suo posto, ma può ricordare e raccontare, sperando che i suoi consigli [6] siano utili a qualcuno. Così, l’epoca delle banconote e dell’oro racchiuso nei sotterranei delle banche, è un’epoca in cui l’unica vera ricchezza è quella interiore e chi cerca fuori di sé l’oggetto dei desideri può accumulare solo carta straccia, priva di un valore “intrinseco”, ossia (nel campo della conoscenza) parole vuote [7], non illuminate dalla luce del cuore.

Prendiamo ora in esame la figura del mercante.

Egli, in senso lato, è colui che media tra ciò che si possiede e ciò che non si possiede, colui che rende accessibili oggetti e realtà provenienti da regioni lontane dalla terra.

Poliglotta e viaggiatore, egli deve essere maestro nell’arte di destare il desiderio in chi sofferma lo sguardo sulle sue merci, magnificandole e facendole apparire indispensabili ed uniche nel loro genere. Così facendo, egli tenderà ad ottenere, in cambio, la quantità più alta possibile di denaro. Il valore di un oggetto del quale bisogna fissare il prezzo dipende infatti da quanto lo si desidera.

Il buon Mercante deve essere, allora, oltre che uno che si distingue per la qualità delle sue merci, un fine psicologo, un consumato attore, uno che riesce a convincere i suoi clienti durante la contrattazione di aver scelto un determinato oggetto a causa dei loro gusti raffinati, della loro furbizia e fiuto infallibile. È evidente che un buon mercante può esistere solo in un mercato in cui ci sono buoni compratori.

Là dove prevalga, come nelle società moderne, la cultura del desiderio materiale, il culto dell’Ego e dell’autoaffermazione, là dove gli oggetti non vengano più scelti per la loro sacralità, per la loro storia e per il modo in cui ci vengono incontro ma solo per la loro utilità funzionale e per ciò che essi possono aggiungere alla nostra immagine (si pensi ai vari status symbol), anche il tipo di merci disponibili sul mercato finiranno con l’assomigliare ed adeguarsi a questo stato di cose. Se un oggetto viene ridotto al suo valore di scambio materiale, il suo valore d’uso simbolico viene annullato. L’oggetto diviene trasportabile e riproducibile, dato che non v’è nessuna radice, nessuna relazione animica, nessuna storia vissuta a renderlo unico ed irripetibile. Ma la sua luce interna, la sua profondità sono andate immediatamente perdute. [8]

Nascono così gli oggetti fabbricati in serie, la cui utilità funzionale è completamente svincolata dalla bellezza. Con la loro anonimità e povertà simbolica, essi sono l’immagine speculare della carta vile con cui li si può acquistare.

Se rimpiazziamo la figura artigianale e romantica del mercante itinerante con le industrie multinazionali, e sostituiamo alle sue suadenti argomentazioni i martellanti e volgari slogan pubblicitari, avremo un quadro completo di ciò che è oggi l’arte della compravendita.

Come si diceva parlando della moneta, questa trasformazione è solo il segno della fine di un ciclo, del fatto che la razza umana è vicina al termine del suo percorso e deve quindi cercare, come si conviene a chi è avanti negli anni, le proprie mete nei valori interiori distaccandosi dal richiamo del mondo. Da questo punto di vista lo scarso fascino, lo stato di degradazione e la totale mancanza di bellezza del mondo post industriale, finisce col diventare una spinta a distogliere l’attenzione dalle mete esterne e questa è una facilitazione che altre epoche non hanno conosciuto.

* * *

Tutte le immagini del mercurio ci riportano alla necessità di un contatto profondo con la nostra interiorità. I sensi ed il pensiero ci conducono, però, continuamente ad occuparci delle impressioni e degli stati d’animo provocati dagli accadimenti esterni, ed una volta che l’attenzione sia stata catturata da ciò che ci sta intorno, diventa difficile distogliersene.

Il modo per riuscire a far ripercorrere tale cammino a ritroso alla nostra attenzione ci è suggerito da un mito sull’infanzia di Hermes-Mercurio.

Narra il mito che il primo atto di Hermes neonato fu quello di rubare i buoi di Apollo, Dio del Sole [9]. Agendo di notte per non essere scoperto, egli legò agli zoccoli degli animali delle babbucce rovesciate, in modo tale che indicassero una direzione opposta a quella che egli aveva scelto ove nasconderli. In seguito Hermes uccise una tartaruga e costruì, con il suo guscio e con le interiora dei buoi, una lira a sette corde, da cui trasse una musica dolcissima.

Quando, infine, Apollo riuscì a trovarlo, rimase incantato dallo strumento e gli concesse il perdono, facendogli in più dono del suo scettro ornato da tre foglie d’oro (o, in altre tradizioni, del Caduceo, bastone attorno a cui si attorcigliano due serpenti che si guardano).

Così Hermes assunse la funzione di “psicopompo”, accompagnatore delle anime nel trapasso dalla vita alla morte e dalla morte alla vita. Ad Apollo, che chiese qual fine avessero fatto i buoi, Hermes rispose che li avrebbe resi tutti ad eccezione di due, poiché li aveva sacrificati agli Dei dopo averli divisi in dodici parti.

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Note

1. Per una trattazione approfondita dell’argomento, cfr. E. Babelon: “Le origini della moneta considerate dal punto di vista storico ed economico” ed. Forni 1977. (torna al testo)

2. Si pensi ai termini: “stipendio”, “compendio”, “spendere”, “pensione”, derivanti da “pondus” = peso, oppure da stimare, “aes” = bronzo. (torna al testo)

3. Su questo argomento e sui rapporti tra il simbolismo zodiacale e le figure incise sulle monete nella Grecia arcaica, cfr. J. Richer: “Geographie Sacrèe du monde Grec”, ed. Guy Trènadiel 1983. (torna al testo)

4. E. Zolla, op. cit. (torna al testo)

5. È interessante notare come queste quattro fasi evolutive possono convivere in ognuno di noi, a seconda dei vari gradi di maturazione raggiunti da differenti lati della nostra personalità. (torna al testo)

6. Il termine moneta significa proprio “ciò che avverte”. Infatti la zecca di Roma si trovava nel tempio di Giunone Moneta, così detta perché avvertì i romani di un terremoto. (torna al testo)

7. L’associazione tra la moneta e la parola, come mezzo di scambio, si ravvisa nella tradizione (comune a molte civiltà) di seppellire i morti con una moneta sotto la lingua, perché possa aiutarli nelle risposte che dovranno dare alle divinità ultraterrene. (torna al testo)

8. Cfr. il concetto di “aura” così come viene sviluppato da W. Benjamin nel saggio “L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica”, a proposito della mercificazione e della perdita dell’aura nel mondo moderno. (torna al testo)

9. Si ricordi che nella Grecia classica, anche dopo che il grosso bestiame aveva cessato di essere il campione del valore di tutte le cose, il termine “bous” (bue) era il modo convenzionale e popolare per chiamare la moneta metallica (cfr. Babelon, op. cit.). (torna al testo)

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