Antologia dell’«Encyclopédie» di Diderot e D’Alembert
Perché i legislatori non hanno attinto alla verità per rendere più utile ai popoli la religione sulla quale fondavano le loro leggi? Perché, vi risponderò, trovavano i popoli imbevuti o meglio infetti della superstizione che divinizzava gli astri, gli eroi e i prìncipi.
Essi non ignoravano che le diverse sette pagane non erano altro che religioni false e ridicole; ma preferirono lasciarle in vigore con tutti i loro difetti, anziché procedere ad un’opera di epurazione che temevano che avrebbe spinto il volgo, liberato dalla credenza superstiziosa in quella folla di dèi, ad abbracciare smarrito l’ateismo. Ecco ciò che li frenava. E osavano lasciare affiorare la verità soltanto nei cosiddetti grandi misteri, così celebri nell’antichità profana, ai quali peraltro avevano cura di ammettere solo persone di qualità superiori e quindi in grado di accogliere l’idea del vero Dio. «Non era forse Atene, – dice il grande Bossuet nella sua Histoire universelle – la più civile e la più colta di tutte le città greche, che prendeva per atei coloro che parlavano delle funzioni dell’intelletto e dell’animo umano, e che condannò Socrate per aver insegnato che le statue non erano dèi come credeva il popolino?». Quella città era ben capace di intimidire quei legislatori che in fatto di religione volessero opporsi ai pregiudizi che un grande poeta chiama così appropriatamente «i re del volgo». La linea di condotta scelta da codesti legislatori era comunque cattiva politica: finché infatti non avessero prosciugato la sorgente avvelenata donde i mali si riversavano sugli Stati, non sarebbe stato loro possibile di arrestarne la spaventosa alluvione. A che poteva giovare insegnare apertamente nei grandi misteri l’unità e la provvidenza di un solo Dio, se lasciavano nello stesso tempo via libera alla superstizione che gli associava speciali divinità locali e patrone, le quali, benché concepite come subalterne e dipendenti, possedevano i tratti licenziosi di chi durante il suo soggiorno terreno, aveva condiviso col resto dei mortali gli stessi vizi e passioni? Se le colpe di cui si erano macchiati questi dèi inferiori durante la loro vita non avevano impedito all’Essere supremo di accordare loro, innalzandoli al di sopra della loro condizione naturale, gli onori e le prerogative della divinità, gli adoratori di questi uomini divinizzati potevano forse radicarsi nella convinzione che i delitti e le infamie, che non avevano nuociuto alla loro apoteosi, avrebbero attirato sul proprio capo i fulmini celesti? |