Su Tradizione e Iniziazione

Letture d'Esoterismo

Ci porremo tre domande in questo articolo:
1. Nelle grandi Tradizioni spirituali dell’umanità, cosa viene trasmesso attraverso l’iniziazione?
2. In quali circostanze, in un percorso spirituale individuale, si può parlare di connessione con una Tradizione?
3. Nel cristianesimo è legittimo parlare di iniziazione?

Su Tradizione e Iniziazione

di Alessandro Orlandi e Alberto Camici

Così riconosco il sapiente:

Per voi quel che non toccate è lontano mille miglia,

Per voi quel che non afferrate non esiste addirittura!

Quel che non contate, pensate non sia vero;

Quel che non pesate, per voi è senza peso;

Ciò che non valutate in danaro, per voi è senza valore.”

Goethe, Faust, II

Ci porremo tre domande in questo articolo:

1. Nelle grandi Tradizioni spirituali dell’umanità, cosa viene trasmesso attraverso l’iniziazione?

2. In quali circostanze, in un percorso spirituale individuale, si può parlare di connessione con una Tradizione?

3. Nel cristianesimo è legittimo parlare di iniziazione?

Naturalmente non pretenderemo di rispondere qui a queste domande, molto impegnative, ma, almeno, di circoscrivere l’ambito entro il quale le risposte possono essere cercate.

1. Il potere e le energie come qualità del sacro

Il potere come qualità del sacro, è un fondamentale fenomeno religioso, connesso con le domande che ci siamo posti. Diverse culture assimilano il potere a una forza o energia attiva soprannaturale, impersonale e trasmissibile, detta mana. “è una potenza o una influenza non fisica che investe anche l’anima umana in un certo senso è soprannaturale, ma si rivela nella forza fisica o in tutte le forze e capacità possedute dall’uomo” [1].Tale termine viene utilizzato dalle popolazioni della Polinesia e Melanesia, e più in generale, dalle varie religioni naturalistiche sotto nomi diversi: orenda per gli Irokesi, wafonda per i Sioux, manitu per gli Algonchini, l’oki per gli Uroni, zemi per le popolazioni delle Antille.

Anche gli Eschimesi designano questa forza misteriosa come sila. Un significato molto simile hanno la hasina dei Malgasci, il ngai dei Masai, il dzo degli Ewe del Togo il ngrarong dei Daiacchi del Borneo, il tondi dei Batacchi di Sumatra, ed infine, il joja e il bolyla degli Australiani [2].

Goldamer ha scritto in proposito: “Forse è … meglio parlare di un complesso di forze, di una sfera energetica o di un fluido energetico che, per cosi dire, costituiscono la materia prima, lo strato a partire dal quale le singole manifestazioni del sacro si riproducono incessantemente nella loro concreta molteplicità” [3].Cose e persone possono essere piene di mana, permanentemente o transitoriamente, assumendo tale qualità o per trasmissione rituale da un soggetto ad un altro, o in modo spontaneo, “Tutti gli esseri viventi e non viventi, sono permeati e collegati da una forza misteriosa che si manifesta in forma diversa e che sta a disposizione degli iniziati che hanno il particolare incarico di trasmetterla” [4]. All’uomo è garantita la trasmissione della potenza, o forza, mediante dei riti appropriati. Le persone o gli oggetti che sono investiti da questa forza sono considerati sacri e su di essi grava un tabù [5].

Alcuni pensatori moderni hanno sostenuto che la visione della materia propria della fisica moderna sta spingendoci a sostituire il principio sostanzialistico, che si basa su un universo costituito da oggetti separati, consistenti e dimensionati, con una percezione del mondo fondata su un’energia che fluisce trasformandosi e trascorrendo da uno stato dell’essere a un altro. Secondo tale interpretazione, le cose che vediamo e tocchiamo non sarebbero che la condensazione, lo sviluppo esterno, di forze misteriose che vivono nel loro profondo. L’energia unitaria e fondamentale si concentra producendo ciò che noi chiamiamo materia o potenza dormiente. Se, invece, l’energia si evolve, allora essa assume lo stato così detto spirituale [6].Un teologo cattolico che si è avvicinato a queste posizioni è senz’altro Theilhard de Chardin, scienziato, teologo e filosofo francese del secolo XX, il quale sosteneva che la materia originaria contenga già in sé la coscienza come elemento organizzativo e spirituale, per cui l’evoluzione si configura come un processo non solo deterministico, ma anche teleologico. L’attività cosciente dell’uomo, immagine e somiglianza di Dio in Cristo, eleva la materia da incosciente a cosciente [7].

Questa energia unitaria fondamentale e indifferenziata, appare anche nelle grandi religioni e culture sparse in tutto il mondo. Ad esempio, nell’idea tantrica di paracakti (colei che esiste in ogni cosa sotto specie di potenza). Questa forza invisibile e inafferrabile veniva chiamata nel taoismo l’insondabile. Gli antichi egiziani la chiamavano invece sékem; i greci dynamis e i sacri scritti vedanta prana. Pur essendo indifferenziata, per il suo carattere prevalentemente attivo e generatore, le si attribuisce la specifica caratteristica di energia positiva. Questa energia è presente anche nell’uomo e se ne parla come di soffio, o potenza del serpente [8].Quest’ultima denominazione è dovuta al fatto che essa sarebbe avvolta come un serpente addormentato alla base della nostra colonna vertebrale, in attesa di essere risvegliata e resa operante. Si tratta di un’energia che non ha natura mentale (anche se può essere esperita con la concentrazione), né natura emozionale o sessuale. È, invece, una forza originaria e creativa presente nell’uomo. D’altra parte, è da tenere presente che, quando i padri greci usavano il termine ieròs per indicare il sacro, essi sapevano di richiamarsi ad una forza vera; quella estremamente concreta della natura e dei suoi vari fenomeni. Questi poteri o forze, pur inerendo al livello fisico, hanno una sorgente più profonda, radicata nell’intima natura dell’essere, e si manifestano nel silenzio, nella concentrazione e nella consapevolezza.

2. La dimensione simbolica

Il termine simbolo deriva dal greco synballo (= mettere insieme), designante in origine le due metà di un oggetto che può essere ricomposto se esse vengono riavvicinate [9]. La dimensione simbolica connette l’uomo alla realtà che lo circonda e lo fa avanzare nel suo cammino di penetrazione del mistero delle cose. La proprietà del simbolo, infatti, è quella di ricongiungere una realtà visibile con una invisibile in essa preannunciata. Il mondo visibile acquista un carattere di rimando, suggerisce ed evoca altre presenze e altri rapporti.

 L’uomo, mentre utilizza le cose per soddisfare i propri bisogni, si scopre portatore di altri bisogni, di altri significati. Il pane, ad esempio, sazia veramente; ma nel pane l’uomo scopre pure una fame più grande di senso, di rapporti, di relazioni con gli altri. Sappiamo altresì, come il ritmo primordiale del giorno e della notte, della veglia e del sonno, dell’anno e delle sue stagioni, abbia da sempre avuto delle risonanze profonde nell’uomo, capaci di risvegliare intuizioni e di indurre trasformazioni.

Fondamento della conoscenza simbolica è la corrispondenza tra il visibile, manifestazione del Suono originario, e il suo Principio. La consacrazione definitiva della dimensione simbolica, nella religione cristiana, si ha con l’Incarnazione dello stesso Verbo creatore (Gv 1,14). È in virtù di questa solidarietà profonda che si stabilisce tra le cose e l’uomo, che la realtà acquista un senso sacramentale e si percepisce una corrispondenza tra i movimenti della vita interiore e i dinamismi del mondo. L’uomo scopre nella sua stessa corporeità (che al tempo stesso nasconde e rivela il mistero della sua persona) una struttura essenzialmente simbolica. Anche la nostra psiche ha una struttura fondamentalmente simbolica, come hanno messo bene in evidenza gli studi della psicologia del profondo. Approfondendo il proprio rapporto con il mondo dei segni e dei simboli, l’uomo ha la possibilità di uscire dalla sua individualità verso una soggettività più ampia e di rendere le proprie esperienze più vive e più significative.

Si dà quindi una ragione antropologica del segno e del simbolo, perché, in quanto cercatori di senso, tendiamo a riferire tutto alla nostra interiorità e alla nostra corporeità. Se percepiamo dualità e diversità nelle cose e con gli altri, è a causa della ragione cerebrale, della coscienza riflessa oggettivante e tecnica, sviluppatasi in Occidente con il pensiero greco. Universalizzando i dati forniti dai sensi, la ragione fa sorgere solo delle idee astratte e crea separazione-opposizione tra le cose. Occorre invece dare spazio alla conoscenza intuitivo-mistica, alla coscienza unificante espressa dall’attività simbolica che opera per ascolto e partecipazione, scorgendo nelle cose create un’unica origine e un solo fondamento: la Parola creatrice. Porsi dunque sulla via del simbolo, significa riaprire gli occhi su noi stessi e stabilire un contatto vitale, di comunione, con il mondo in cui viviamo, ricercandone il senso. Ecco perché, la via simbolica è via religiosa. Infatti attraverso le immagini, i simboli e i racconti mitici [10], l’uomo da sempre narra il suo rapporto con Dio, realtà personale che non può essere circoscritta o definita una volta per tutte. Parlare di Dio o della realtà unicamente entro un contesto descrittivo-razionale, costituisce un impoverimento, oltre che una pretesa.

3. L’Iniziazione e la Tradizione

L’accesso al mistero comporta di sua natura un cammino articolato che chiamiamo iniziazione; e non potrebbe essere diversamente, poiché c’è bisogno di un percorso che riconduca l’uomo dalla superficie delle cose al punto originario da dove tutto proviene. La Fenomenologia, non meno della Storia delle religioni e dell’Antropologia culturale, considerano l’iniziazione come una vita nuova, una rinascita, un passaggio che comporta il superamento della soglia e l’entrata in un altro livello di coscienza, a cui si accede attraverso racconti mitici, rituali e sacre rappresentazioni [11].

Il termine iniziazione, viene dal latino initiatio, derivato da initium, e a sua volta dal verbo in-eo (= entrata, entrare dentro, punto di partenza). Tale termine designa un insieme di riti [12] e di insegnamenti, il cui scopo è la radicale trasformazione del soggetto.

Le iniziazioni culturali sono caratterizzate dai cosiddetti riti di passaggio (raggiungimento della maturità sessuale, entrata nel consesso degli uomini adulti, ecc..). Le iniziazioni delle confraternite segrete si rivolgono a quegli individui che, dal punto di vista degli statuti, posseggono le necessarie qualificazioni per essere prescelti [13].

Vi è poi un terzo tipo di iniziazione che “riguarda la vocazione mistica: sciamanesimo, ordinazione sacerdotale, iniziazioni eroiche. Qui si tratta, da un lato, del conferimento di poteri spirituali e, dall’altro, di un nuovo stato di vita” [14]. Ciò avviene mediante il rito di partecipazione o di trasmissione della forza sacra, con il quale l’individuo o il gruppo è posto in comunicazione con le potenze superiori, partecipando in qualche modo della loro vita e del loro potere.

Tra i riti di partecipazione vi è quello della preghiera, del sacrificio e della consacrazione. Quest’ultimo consente che particolari persone, luoghi e oggetti siano dedicati alla divinità [15].

In ogni caso, che si tratti di iniziazione culturale, segreta o mistica, il soggetto viene immesso in un mysterion, il quale è un corpus sacrale o sociale ristretto. Mediante questo rito egli viene equipaggiato e fatto partecipe dei segreti, degli aspetti esoterici degli insegnamenti [16], delle tecniche e del modo di vita di quel gruppo particolare.

In generale si è ammessi tra i partecipanti a un dato gruppo attraverso dei riti appropriati, che segnano il passaggio dell’individuo a membro effettivo della comunità. Si tratta di una vera e propria morte simbolica e della nascita a un livello e qualità superiori. Il rituale d’iniziazione, infatti, ha lo scopo di armonizzare l’individuo con il patrimonio culturale e spirituale che gli viene trasmesso. Chi non realizza in sé tale integrazione sembra destinato all’emarginazione. È come se l’iniziato si spogliasse di sé, mentre gli vengono progressivamente rivelati i segreti sui quali la comunità fonda la sua esistenza.

Anche se le modalità dell’iniziazione possono variare da luogo a luogo ed essere soggette alle mutazioni del tempo, esistono quattro momenti fondamentali comuni alle varie tradizioni. C’è anzitutto il periodo di separazione dell’iniziando dal mondo al quale fino a quel momento apparteneva. In questa prima fase egli viene preparato e informato sui princìpi e sui doveri inerenti il suo nuovo stato. A ciò sono legate varie prove, nelle quali l’iniziando deve dimostrare l’interiorizzazione dei contenuti e la sua resistenza fisica e psichica, inerente al nuovo stato a cui aspira. Il momento centrale dell’iniziazione è rappresentato dalla cerimonia che simbolizza la morte del neofita e il suo ritorno alla vita vera. Infine c’è il momento dell’aggregazione ufficiale a tutto il gruppo, attraverso l’accettazione del nuovo adepto da parte dei membri della comunità [17].

Quanto abbiamo detto fino adesso ci porta a parlare della Tradizione, parola greca che deriva da paràdosis (= trasmissione), in latino traditio, dal verbo tradere (= trasmettere), dal momento che il cammino iniziatico non può raggiungere il suo scopo se non è basato sulla trasmissione viva delle verità rivelate.

Nelle religioni più evolute o istituzionalizzate non si dà solo la trasmissione di contenuti, ma si verifica anche una trasmissione spirituale [18] da parte di chi accompagna e guida il processo di acquisizione personale dell’iniziando. Così per Tradizione s’intende, in primo luogo, un nucleo di insegnamenti teoretici e ascetici che vengono comunicati al neofita e, in secondo luogo, la consegna sperimentale di tali insegnamenti [19],che vengono trasmessi da uomo a uomo, sia per via orale che ritualmente. Nelle iniziazioni è quindi fondamentale il rapporto tra maestro e discepolo. In esso il maestro non riveste solo il ruolo di una figura esterna rispetto al discepolo, non è cioè unicamente colui che ha il compito di imporre un corpo di dottrine e di pratiche in cui credere. Il maestro è anche colui il quale stabilisce un contatto con la vita interiore del discepolo e lo aiuta, come in un parto maieutico, a trovare la strada che più profondamente gli corrisponde [20].

In poche parole l’iniziazione, di qualunque genere essa sia, nasce e si propaga in quello che potremmo chiamare un corpo mistico, definito da uno scambio di energie spirituali in seno a una Tradizione già esistente e viva. La questione della trasmissione è quindi centrale nell’ambito della Tradizione. La fede, come ogni realtà capace di illuminare e guidare l’esistenza, non può essere trasmessa da un libro o insegnata in modo distaccato: è necessaria la viva voce di chi l’ha già ricevuta e sperimentata. La Bibbia stessa, se non è trasmessa dalla Chiesa, rimane un libro chiuso e non diventa Parola di Dio. Il primo pedagogo, o meglio mistagogo, secondo tutta la Tradizione della chiesa, è il Logos divino. È Cristo, infatti, che inizia direttamente i suoi discepoli alla conoscenza-esperienza della Verità e lo fa attraverso la sua incarnazione. La rivelazione iniziatica dei misteri della vita divina non viene più comunicata soltanto mediante i Libri santi, ma nella stessa carne e nella vita terrena di Gesù. Dice Gregorio di Nissa: “Il Logos adorato dall’intera creazione, quando apparve nella somiglianza e nella costituzione propria dell’uomo trasmise i misteri divini per mezzo della carne” [21].

4. La Successione iniziatica e la roccia o pietra

Connessa a quanto dicevamo sull’iniziazione e sulla Tradizione, è la cosiddetta successione iniziatica. Definita in India con il termine sanscrito: parampara, dai tibetani abisheka, dagli ebrei shalsheleth, dagli arabi silsillah, in ambito cristiano cattolico e ortodosso si trova nella successione apostolica. La presenza dello stesso fenomeno sotto nomi diversi dimostra che l’uomo ha adottato nel corso della storia diversi modi di trasmettere gli eventi che fondano l’esperienza spirituale. Per entrare nel vivo della nostra ricerca, occupiamoci ora dello scambio energetico che si verifica tra l’iniziatore e l’iniziato e che consente a quest’ultimo di vibrare a quel livello per il quale è stato scelto.

L’esperienza fondante che ha dato origine al rito della successione, non ha importanza unicamente per i suoi aspetti storici, ma anche in quanto essa collega l’iniziando al punto sorgivo delle energie spirituali. La successione, pertanto, può essere considerata come un fenomeno complesso, che si realizza attraverso il concorso di due elementi fondamentali. Il primo elemento consiste nella trasmissione, nel passaggio rituale di un determinato tipo di energia da un soggetto a un altro; il secondo, nello sprigionarsi nell’iniziato di un nuovo modo di essere, avvertito come un habitus pressoché costante [22]. L’assunzione di tale habitus viene considerata come conferimento di un carattere, ossia come un segno indelebile dell’avvenuta successione. Per alcuni si tratterebbe appunto di quel caratteristico tipo di energia del quale l’iniziato viene dotato e di una dimensione vitale in cui egli viene inserito, che si evidenzia nel silenzio, nella preghiera e nella meditazione, cioè nei momenti esistenziali che colgono ed esprimono gli aspetti più profondi della realtà [23]. Si tratta di una considerazione che ci porta a parlare del collegamento con la sorgente stessa dell’energia che viene trasmessa (dynamis) [24].Nel cristianesimo, ad esempio, tale argomento viene trattato in At 1,8; Cor 6,14: la potenza del Verbo è comunicata per mezzo dello Spirito e la sua origine viene qualificato da san Paolo come “compiuta in eterno” (Eb 2,10; 5,9; 7,28) [25].La locuzione “compiuto in eterno” o “portato a compimento” deriva dal verbo greco teleioun e indica lo scopo da raggiungere (telos). L’autore della lettera agli Ebrei utilizza sempre tale espressione in un contesto di relazione con Dio. Se ne serve per esprimere il mistero della glorificazione di Cristo e quello della piena realizzazione dell’uomo (Eb 10,14) e della trasformazione radicale che lo innalza per grazia fino a Dio. Questa trasformazione, che i riti antichi erano incapaci di ottenere (Eb 7, 11.19), è un’opera divina, realizzata attraverso la passione di Cristo. Essa ha in sé un aspetto sacerdotale ed è comunicata da Cristo, mediante il suo Spirito, a coloro che aderiscono a Lui (Eb 12,2) [26].

Immagine simbolica del luogo primario e fondamentale da cui scaturisce la forza, sarebbe la roccia o la pietra. Essa, infatti, è fondamento non caduco di tutta l’energia e di tutta la quiete, donde trae consistenza e vigore la successione iniziatica [27].Limitandoci all’area mediterranea, la roccia o la pietra sono simboli della Grande Madre, la generatrice instancabile delle forme viventi. Presso varie popolazioni esiste la pratica di mettersi a contatto con una pietra per guarire dalla sterilità. Mitra nasce da una roccia e i pastori che lo vedono mentre sorge dalla massa pietrosa, accorrono a lui per venerarlo. Niobe, dopo l’uccisione dei figli, fu trasformata in una roccia. Gli Hurriti ritengono feconde le rocce: il loro dio Kumarbi, il Cronos hurrita, fecondò un’enorme roccia dalla quale nacque l’uomo [28].Nel culto pagano di Cibele, la dea era venerata sotto la forma di una pietra nera. Anche i musulmani si recano in pellegrinaggio alla Mecca, ove è custodita una pietra nera che è oggetto della venerazione dei fedeli. Ricordiamo anche il mito greco secondo il quale, dopo il diluvio universale, Deucalione e Pirra dettero nuovamente origine al genere umano gettandosi dietro le spalle delle pietre denominate nel mito ossa della terra, che si trasformavano in uomini e donne non appena toccavano il suolo. Pietra alchemica o Filius Philosophorum era anche il nome che gli alchimisti davano al risultato finale della loro Opera, frutto della pacificazione dei Contrari.

Nell’Antico Testamento il tema della roccia ricorre, ad esempio, in Dt 32,18: Dio è la Roccia che ha generato Israele, (cf anche Gn 28,17; Is 28, 14-19; Zc 3, 1-9). I figli di Abramo sono stati tagliati ed estratti dalla roccia (Is 51,1). Il Gran sacerdote portava sul petto il razionale, un quadrato con dodici pietre preziose. Una roccia sostiene non solo il Tempio di Gerusalemme ma l’intera città santa. Nel Nuovo Testamento, invece, è interessante il riferimento che san Paolo fa nella lettera ai Corinti (1 Cor 10,4), connesso con (Nm 20,8) nel quale definisce Cristo roccia spirituale. Più noti sono i testi relativi a (Mt 16,18; Lc 22, 31-32), i quali indicano la partecipazione alla stessa forza e potenza di Gesù, poiché lo stesso Cristo è la pietra viva, la pietra angolare (Mc 12,11; At 4,11) e noi siamo come incastonati in essa (1 Pt 2, 4-5). “La pietra è dunque il fondamento … il rito del conferimento della successione è importante, perché determina l’innesto con la pietra e con le energie che da essa scaturiscono” [29].

5. Alcuni esempi di successione iniziatica presso alcune religioni

Nell’induismo

In India, fin dal periodo vedico, si pratica una iniziazione o consacrazione ,chiamata diksha (= desiderio di donare) [30], la quale legittima ad operare nel sacro. L’iniziato diventa un consacrato mediante la trasmissione di influenze spirituali da parte del maestro, miranti alla sua moksha ( = liberazione). L’India conosce linee di maestri spirituali dei vari sentieri religiosi, che si potrebbero dire dinastiche. Viene trasmessa da un maestro all’altro non solo la dottrina esteriore, scritta o insegnata, ma anche la shakti, ossia l’energia spirituale, simile a un fuoco che si propaga da fiamma a fiamma.

Questa operazione sacra, se così possiamo definirla, avviene mediante dei rituali e la pronuncia del mantra sacro, quella parola particolare consegnata all’adepto la quale può trasformarlo mediante la sua ripetizione continua. Per questo motivo, il mantra è considerato come una parola potente, in grado, cioè, di realizzare il suo significato.

NeI buddhismo

Anche nel sentiero aperto dal Buddha (563 – 483 a.C.), la successione sacra viene definita diksha, intesa come trasmissione della stessa influenza spirituale, la shakti, emanata dalla illuminazione del suo fondatore. L’inserimento nella comunità monastica sangha, dei discepoli dell’Illuminato, avviene mediante un rito di aspersione di acqua abisheka e altri rituali vari. È importante che il monaco sia accompagnato per diversi anni da un anziano maestro, esperto nelle dottrina Abhidamma e nella meditazione Bhavana, che gli comunica l’esperienza spirituale.

Nel Giudaismo

Fino al periodo della monarchia, Israele non conobbe un sacerdozio istituzionalizzato, ma affidò il ruolo di custodi delle cose sacre a uomini che erano in relazione con i santuari o con l’arca, di cui erano guardiani o inservienti. Essi non officiavano sacrifici ma, piuttosto, vaticinavano oracoli in nome di Dio. Questa funzione oracolare, basata sulla risposta affermativa o negativa con l’uso degli urim e thummin, poteva svilupparsi presso i santuari (l Sam 22, 10.13.15), o anche lontano da essi (l Sam 14,18.36-42). Tale situazione avvicinava questi uomini a quelli dell’antico oriente, sacerdoti e veggenti insieme. Il sacerdozio vero e proprio, si andrà costituendo in Israele nel periodo mosaico. In questa epoca, Aronne fu consacrato sacerdote e la tribù di Levi fu designata per officiare il culto sacerdotale, come viene riferito nel libro del Levitico. Successivamente, al tempo di David, l’istituzione dell’ordine sacerdotale verrà regolata da norme più precise, che avranno carattere definitivo con Salomone, all’epoca della costruzione del Tempio (970-931 a. C.). Si costituì a quel tempo una gerarchia composta di leviti e sacerdoti con il Sommo Sacerdote al suo vertice. Mentre i leviti venivano consacrati con l’imposizione delle mani, i sacerdoti ricevevano l’unzione sul capo. Con la distruzione del Tempio ad opera di Tito nel 70 d. C. il sacerdozio cessò di esistere.

Nell’Islamismo

Dal punto di vista ufficiale, nell’Islam, non vi è una vera e propria trasmissione dei poteri sacri, né possiede un sacerdozio istituzionalizzato. L’autorità religiosa e politica dei califfi emana dalla parentela carnale con il profeta Maometto. Tuttavia esiste in seno all’Islam un segno di riconoscimento che viene dato al fedele. Di questo segno, si dice che non abbia origine umana, in quanto sarebbe stato dato al profeta Maometto dall’arcangelo Gabriele. Questo segno sarebbe raffigurato da una fiamma di fuoco che si sprigiona dalla fronte di Maometto. Da questa fiamma fluirebbero i poteri carismatici e profetici dell’inviato di Dio. Questa trasmissione, non accettata dall’Islam ortodosso, è praticata in circoli e ambienti eterodossi. Certo è che, anche se dal punto di vista essoterico non si può parlare di una successione iniziatica vera e propria all’interno di questa religione, si può parlare, invece, di una energia bàrakah, fluida e benefica, che emana dai santi, dai discendenti di Alì e di Fatimah e dai reduci pellegrini provenienti dalla Mecca, poiché quel luogo sacro è ritenuto colmo di bàrakah [31].

Accanto all’insegnamento essoterico, la esh shariah, la strada maestra aperta a tutti, l’Islam conosce anche el haquiqah, la verità interiore riservata a chi ha la capacità e le qualificazioni necessarie per arrivare a conoscerla. La seconda via viene concepita come il nocciolo e la prima come la scorza del medesimo insegnamento [32].Il percorso che dalla shariah essoterica conduce all’esoterica haquiquah viene denominato tariquah, cioèvia o sentiero. Percorrono tale sentiero i Sufi, i folli di Dio. L’origine etimologica del termine sufi è controversa. Per la maggior parte degli studiosi, il termine deriverebbe da suf, la lana bianca di cui si servivano monaci ed eremiti cristiani. Da tale parola deriverebbero altre voci: tasaw waf (= mercante di lana); sufi (= colui che veste il mantello di lana, quindi: santone, asceta, mistico). Radicali paralleli sono sassa (= allineare, formare quadrati) o saffun (= ordine, serie, rango). Facendo una sintesi di tali definizioni, potremmo dire che il sufi è colui che esternamente dà segno, vestendosi di lana, di un ordinamento interiore rivolto completamente alla divinità. Guénon propone un’altra etimologia: colui che conosce attraverso Dio. I sufi sono considerati i detentori della vera sapienza delle cose divine. Tra di essi esiste una catena di trasmissione dell’influenza spirituale, la silsillah, (= catena), in mancanza della quale non si da iniziazione al sufismo. L’origine di questa catena si fa risalire direttamente al Profeta.

6. L’esperienza dell’istante e l’anamnesis

L’iniziazione, la trasmissione spirituale e la consapevolezza del punto essenziale dell’essere, riposano nell’istante, nella rottura cioè del tempo e del livello di coscienza ordinario. È quello che l’esperienza biblica chiama apertura dei cieli o all’improvviso: “Nel trentesimo anno … presso il fiume Kevar, si aprì il cielo e io ebbi delle visioni divine” (Ez 1,1); “Ecco si aprirono i cieli e Giovanni vide lo Spirito di Dio scendere, in forma di colomba, sopra Gesù” (Mt 3,16); “All’improvviso verso mezzogiorno venne dal cielo una luce violenta e mi avvolse nel suo splendore”, scrive san Paolo (At 22,6).

Chi varca la soglia entra nel tempo senza tempo e viene introdotto alla conoscenza delle realtà essenziali. È un’intuizione folgorante, una illuminazione, una consapevolezza nuova che non ti lascia più come eri prima. L’esperienza dell’istante, introducendo la coscienza in un contatto immediato, senza schemi, con l’Essere divino, produce una totale inversione di tutte le valutazioni umane, una conoscenza nuova. “Le religioni storiche, nate da un istante di rivelazione, nel corso del tempo vengono a strutturarsi in due tipi differenti di esperienza: quella dell’uomo legato al tempo, con le sue tendenze a storicizzare gli eventi e il messaggio; quella dell’uomo che vive nell’istante che ricollega, eventi e messaggio al loro punto eterno, originario. Il primo tipo dà origine alla religione di formule, di riti, di interpretazioni statiche, la religione della ripetizione; il secondo riaccende continuamente la vita dentro la fissità delle strutture, la religione dello Spirito creatore. Nel primo la memoria è la monotona ripetizione del passato, nel secondo la memoria diventa anamnesis, riconduzione nel tempo di ciò che è nell’eternità, perché il tempo sia redento”.[33].

La memoria interiore e vitale, così potremmo definire l’anamnesis, deve essere alimentata costantemente dall’istante eterno [34] e dall’ispirazione dall’alto. Possiamo inserirci in questo flusso continuo, simile a un raggio ininterrotto di luce che sgorga dalla sorgente della rivelazione e irradia le sue vibrazioni in tutto il creato, mediante la conoscenza per partecipazione.

L’ermeneutica spirituale, la Tradizione e la concentrazione, sono le porte regali per accedere alla Rivelazione. L’ermeneutica spirituale, in quanto considera la Bibbia come la Parola di Dio, viva, dinamica e perciò sempre attuale, che risuona nell’intimo ricettacolo e nel tempio vivente che è la creatura umana. La Tradizione, intesa come continuità e trasmissione dell’esperienza attraverso le adesioni attuali e successive di ciascuno. Infine, la concentrazione, dal momento che la Parola eterna risuona nel silenzio dell’essere.

Coltivare l’interiorità sarà dunque la via di accesso per rendere vivente in noi ciò che viene comunicato, per poi condividerlo con gli altri in modo operativo, non solo come nozione imparata. Per questo dobbiamo guardarci dalla dicotomia e dalla dialettica non aperta alla sintesi, che produce l’incontro-scontro tra tradizione apostolica e tradizione profetica, per usare il linguaggio di alcuni; per altri, tra lex credendi e lex orandi, o tra teologia e mistica. L’esempio della Chiesa d’Oriente ci può aiutare, poiché in essa non si è mai operata una netta separazione tra teologia e mistica, tra il dogma e l’esperienza personale dei misteri divini. Gli insegnamenti della teologia, al contrario, offrono il terreno per l’interiorizzazione e conducono il credente a un’esperienza più diretta e personale del divino [35]. L’apparente contrasto tra esperienza personale dei misteri e dogma, riguarda solo colui il quale si fermi alla scorza, all’involucro, al senso letterale della Scrittura. L’espressione di Giovanni “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14) ci indica la via per riconciliare l’aspetto esoterico della tradizione con quello essoterico, per penetrare nel “vero senso occulto delle Scritture” [36].

Da ciò che abbiamo detto fin qui possiamo trarre alcune considerazioni su Tradizione e iniziazione:

1. L’iniziazione avviene attraverso una trasmissione, sia nell’ambito visibile (attraverso riti, insegnamenti e rivelazioni) che in quello invisibile. Nell’ambito invisibile si tratta della trasmissione di una influenza sottile destinata a trasformare chi viene iniziato e ad ampliare le sue percezioni.

2. Sembra che si possa parlare di “collegamento a una Tradizione” solo se questa iniziazione avviene attraverso una catena ininterrotta nel tempo, che si possa ricondurre direttamente a chi ha istituito quella Tradizione.

3. Nella tradizione cristiana l’aspetto dell’iniziazione inerente alla trasmissione sottile di una influenza spirituale è la dimensione centrale. Se si può parlare di iniziazione cristiana, è solo in questo contesto.

Le domande che le nostre riflessioni sollevano sono più numerose delle possibili risposte: Come si può essere sicuri che, in una data Tradizione, ad esempio nel cristianesimo o nella massoneria, la trasmissione abbia effettiva validità, che nel corso dei secoli “l’influenza sottile” che viene trasmessa nelle iniziazioni non abbia perso ogni realtà? La distruzione dei cavalieri Templari, nel caso del cristianesimo, e i secoli di “occultamento” che separano la massoneria operativa dei costruttori di cattedrali dalla massoneria speculativa rinata nel XVIII secolo, nel caso della massoneria, potrebbero essere state delle interruzioni fatali per la catena iniziatica. E come occuparsi di una materia così sfuggente, che non può cadere sotto il dominio della scienza, non essendo soggetta a misura né a calcolo, non essendo osservabile con i cinque sensi, potendo occuparsene per definizione solo chi è già stato iniziato? Come considerare i molteplici movimenti che vanno sotto il nome di New Age e pretendono di sottoporre ai propri affiliati autentiche iniziazioni? E come considerare le numerose società segrete nate da un giorno all’altro alla fine del XIX secolo, ad opera di volenterosi “iniziati”?

Rispondere a queste domande non è compito di un articolo, ma di una vita intera.

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Note

1 – R. H. CODRINGTON, The Melanesians, 1891, 118 n.1. ^

2 – Cf, M. ELIADE, Trattato di Storia delle Religioni, 26-27; P. SCHEBESTA, Origine della Religione, Ed. Paoline, Roma 1966, 75 e 223 e H. TISCHNER, Etnologia, Feltrinelli, Milano 1970, 331. ^

3 – K GOLDAMER, Die Formenwelt des Religiosen, Stuttgart 1960, 65. ^

4 – P. SHEBESTA, Origine della religione, 75. Cf. A. AVALON, Il mondo come potenza, I-Il, Ed. Mediterranee, Roma 1973. ^

5 – Il termine tabù, deriva da una parola polinesiana che indica ciò che è contrassegnato con segno particolare; ciò che è messo in rilievo, ciò che non può essere avvicinato e si contrappone a ciò che è comune. Tabù indica perciò, la condizione straordinaria di una persona o di una cosa, ricca di potenza. La violazione del tabù comporta non un castigo, ma la reazione automatica della Potenza. Nell’Antico Testamento, è emblematico l’episodio di Uzza, il quale morì al contatto con l’Arca anche se ne aveva sfidato involontariamente il potere, avendo cercato di sostenerla per non farla cadere ( 2Sam 6). Cf G V DER LEEUW, Fenomenologia della Religione, op. cit. 24-26. 154 ss. e A. DI NOLA, Tabù, in Enciclopedia delle Religioni, 5,Vallecchi, Firenze, coll. 1545-1564. ^

6 – Cf SHRI AUROBINDO, La sintesi dello Yoga, I-III, Ed. Ubaldini ^

7 – Due delle opere principali di questo pensatore sono state: Il fenomeno umano, (1955) e L’ambiente divino (1957), opere nelle quali si ritrovano queste idee. ^

8 – Nella tradizione biblica questo soffio è la ruah, che è al di fuori dell’uomo, anche se gli è necessaria per vivere e con essa si può identificare (Gn 2,7; Gb 27,3; 34,14; Sl 104, 29-30). Invece la potenza del serpente, detta kundalini, fa parte della tradizione indù tantrica. Cf. A. AVALON, La potenza del serpente, Ed. Mediterranee, Roma 1973. ^

9 – In ambito cristiano il simbolo divenne sinonimo della professione di fede: il Simbolo della Fede. Il simbolo, dunque, appartiene alla categoria dei segni; infatti non è autoreferenziale, ma rimanda a qualcos’altro. Esso si riferisce al dato oggettivo, che ha radice nella realtà, ma nello stesso tempo lo trascende. Cf L’uomo religioso e il sacro, in Anati et alii, Trattato di Antropologia del Sacro, I, Jaca Book, Milano 1989, pp. 49-50. ^

10 – Il mito è un racconto che riporta la storia delle origini, del tempo primordiale. Narra come, grazie alle imprese di esseri soprannaturali, è venuta alla luce una realtà. Si tratta di una storia sacra, con attori e avvenimenti. Il mito è legato al sacro, perché mette l’uomo religioso in rapporto con il mondo soprannaturale. Vi sono i miti di origine, quelli di rinnovamento del mondo, quelli di caduta e infine quelli escatologici. Cf L’uomo religioso e il sacro, op. cit., pp. 53-55. ^

11 – Cf A. VAN GENNEP, I riti di passaggio, Boringhieri Torino 1978. ^

12 – L’iniziazione è rito, termine quest’ultimo che deriva dal latino ritus (= conformità all’ordine cosmico) e a sua volta dalla parola arcaica indoeuropea ritu. Il rito è legato a una struttura simbolica tramite la quale si opera il passaggio verso la realtà ontologica, il passaggio dal segno all’essere. Esso riporta alla realtà primordiale, ordinando (termine che viene dal greco kòsmos = ordine) e unificando il molteplice, nella sua matrice essenziale. Grazie al rituale, l’homo religiosus si ricollega a un tempo primordiale. M. Meslin considera quattro tipi di azioni rituali: la sacralizzazione del tempo; lo spazio sacro; i rituali d’iniziazione e i pellegrinaggi. Cf M. MESLIN, L’esperienza umana del divino, Borla, Roma 1991, pp. 129-188. ^

13 – Cf R. GUENON, Aperçus sur l’initiation, Ed. Traditionelles, Paris 1946 e Iniziazione e realizzazione spirituale, Ed. Studi Tradizionali, Torino 1967. ^

14 – Cf L’uomo religioso e il sacro, op. cit., p. 57 e R. GUENON, Ibidem. ^

15 – Cf G.V. DER LEEUW, Fenomenologia della Religione, op. cit., pp. 167-189. I riti di benedizione e di consacrazione avvengono attraverso un certo tipo di contatto con forze energetiche: l’acqua santa, l’olio, il sangue. Ad esempio, l’unzione fa spesso parte dell’investitura del sacerdote. Il significato primitivo di questo rito è la trasmissione della forza spirituale. Cf N. TURCHI, Rito, in Enciclopedia Italiana, XXIX, Treccani, Roma 1934, p. 467 e A. N. TERRIN, Rito, in Nuovo Dizionario delle Religioni, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi), 1993, p. 772. ^

16 – I termini essoterico ed esoterico si riferiscono il primo all’aspetto più apparente, immediato ed esterno dei fenomeni religiosi, il secondo all’aspetto nascosto, profondo e interiore. In ambito cristiano già Clemente Alessandrino (150-212) operava tale distinzione. Cf A. GENTILI, Dentro il Mistero, indagine sull’esoterismo, Ancora, Milano 1993, pp. 17 e 18. Cf anche il paragrafo 1 del cap. III di questo libro. ^

17 – Cf M. MESLIN, p. 313-320; M. ELIADE, La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Morcelliana, Brescia 1974 pp..9-20 e Le Scienze della religione oggi, a cura di C. CANTONE, LAS, Roma 1981, pp. 52-55. ^

18 – Parlare di trasmissione o influenza spirituale può suscitare diffidenza, sia perché siamo soliti associare questa pratica ad ambiti esoterici, sia perché la nostra mentalità, sempre sospettosa di plagio, è quella del fai da te. Basti vedere il difficile cammino del concetto di Tradizione anche nell’ambito cattolico. Eppure quanto diciamo non era estraneo alla tradizione cristiana legata soprattutto ai Padri cappadoci e alessandrini. Ne sono testimoni CLEMENTE ALESSANDRINO in Exc. ex Theod., 27,3; Eccl. proph., 57,5; Strom., VI, 161,2 (II, 514, 34-35) e lo PS. DIONIGI AREOPAGITA, nella sua Gerarchia celeste e le Lettere, specie ai capp. III e X della Gerarchia e alla Lettera XVIII e IX. ^

19 – “Bisogna anche tener presente che la tradizione dei teologi è duplice: una tradizione è ineffabile e mistica, un’altra più visibile e più conoscibile; la prima è simbolica ed iniziatrice, la seconda filosofica e dimostrativa; l’ineffabile appare quindi intrecciato con ciò che si può profferire. La seconda tradizione persuade e fissa la verità di ciò che si dice, la prima agisce e fissa in Dio con le sue iniziazioni che non si possono insegnare”, PS. DIONIGI AREOPAGITA, Gerarchia celeste, Teologia mistica, Lettere, Città Nuova, Roma 1986, p. 149. Cf CLEMENTE ALESSANDRINO che dice: “I Misteri si trasmettono in modo mistico”, Stromati, 1,1: PG 8, p. 701. È interessante notare che quando lo ps. Dionigi dice: “l’ineffabile appare intrecciato con ciò che si può proferire”, siamo portati a pensare all’equivalenza di chi sostiene che l’essoterico permette la sussistenza dell’esoterico all’interno di una stessa tradizione.Cf R. GUENON, L’esoterismo cristiano, Arktos Carmagnola 1989, p. 29. ^

20 – Cf Y. RAGUIN, Maestro e discepolo. La direzione spirituale EDB Bologna 1967 (in particolare le pp. 123-139) e B. SCHREIBER, Mistagogia. Comunicazione e vita spirituale, in “Ephemerides Carmeliticae”, XXVIII (1977). ^

21 – GREGORIO DI NISSA, Omelie sul Cantico dei Cantici, Ed. Città Nuova, vol.72, Roma 1989. ^

22 – G.M. VANNUCCI, La legittimazione ad operare nel sacro, dispensa ciclostilata, Facoltà Teologica Marianum, Roma 1974, p. 14. ^

23 – Cf B. PARODI, L’iniziazione, “Il Cinabro” 1, Ed. Pungitopo, Palermo 1986, pp. 45-60. ^

24 – L’energia, in greco dynamis e a volte pneuma, indicava la forza vitale. In latino fu resa con spiritus. I LXX traducono il termine energia riferito all’uomo con potenza, termine che i Vangeli adoperano per indicare quel tipo di forza anche terapeutica che Gesù sente uscire da sè quando guarisce l’emoroissa che lo aveva toccato (Lc 8,46), o che la gente avverte al suo contatto (Lc 6,19) o che viene comunicato agli apostoli (Gv 20,22). In san Paolo designa non solo la terza persona della SS. Trinità, presente e agente nel cristiano (Tt 3,5; 2 Tm, 1,14), ma anche una forza soprannaturale, santificante e vivificante. Lo pneuma di Dio è quindi in stretta relazione con la potenza di Dio (1 Tess 1,5 ss.). ^

25 – G.M. Vannucci, La legittimazione ad operare nel sacro, op. cit. p. 23. ^

26 – Cf (Eb 2, 10) nota h in Bibbia TOB, edizione integrale, Elle Di Ci, Torino 1992. L’obbedienza, la povertà e la totale disponibilità al Padre, costituiscono la materia prima del sacrificio di Cristo (GV 13,1-15; Lc 22,20; 23,37; Mt 26,3-5). A sua volta il sacrificio del cristiano si inserisce in quello di Gesù: una vita di fede e di amore che trae il suo valore liturgico dall’associazione a Cristo (Rm 12,1-2; Eb 9,1-14). Un culto che non fosse l’espressione di un simile sacrificio spirituale perderebbe il suo significato originario. ^

27 – G.M. VANNUCCI, La legittimazione ad operare nel sacro, op. cit. p. 24. Interessante è il calendario azteco, detto Pietra del sole, di forma circolare, che con i suoi cerchi concentrici fino al punto centrale canalizza l’energia primordiale dell’universo, la quale si espande nello spazio-tempo per entrare in risonanza con la terra. Questa energia è distribuita dal sole che per noi, è la fonte della vita sulla terra. Cf F. SCHNARZ, El enigma precolombino, Martinez Roca, Barcelona 1988, pp. 121 s. ^

28 – Cf G.V. DER LEEUW, Fenomenologia della religione, p. 35. ^

29 – Ibidem, p. 25. ^

30 – Cf. Abhinavagupta, UTET, Torino 1972, 46-48. ^

31 – Cf. G. V. DER LEEUW, Fenomenologia della Religione, 10-11 e cf. I Santi musuImani, UTET, Torino 1968, p. 17. ^

32 – Per questa e per le seguenti considetazioni cf. R. GUENON, Scritti sull’esoterismo islamico, Adelphi, Milano 1993. ^

33 – G.M. VANNUCCI, L’istante e l’anamnesis nell’esperienza religiosa, in La Parola creatrice, Ed. CENS Cernusco S/N Milano 1993, pp. 167-168. ^

34 – Ogni spiritualità, ogni religione, deve rifarsi continuamente a una origine, luogo di ispirazione e di contemplazione dell’Essere in sè. Solo il tempo mitico tempo senza tempo, e l’esperienza dell’istante, permettono di raggiungere il Principio: “Nel compimento storico l’incarnazione della Parola è legata a un tempo e a uno spazio; nella realtà essenziale si compie in un presente che raccoglie in sè tutti i tempi”. Ogni dinamismo pertanto deve procedere da questo luogo senza luogo, tempo senza tempo. E questo “principio” è la Parola creatrice di Dio: il Cristo. Ogni essere e ogni cosa sono l’eco di questa Parola vivente. ^

35 – Cf V. LOOSKY, Essay sur la Theologie Mystique de l’Eglise d’Orient, Payot, Paris 1960, pp. 6 ss.
Cf anche P.N. EVDOKIMOV, La conoscenza di Dio secondo la tradizione orientale, Ed. Paoline, Roma 1983. ^

36 – Agostino, Discorsi, 46,13: PL 38, 277. ^