Il Culto della Dea

Letture d'EsoterismoEsiste un filo rosso che attraversa tutta la cultura del Novecento, teso a riscoprire il culto della Dea. Parlando di Bachofen, dovrei poi dilungarmi anche su un certo ambiente orbitante intorno a Jung, alle conferenze di Erhanos-Ascona, di cui faceva parte Gross che esercitò una certa influenza sullo psichiatra svizzero. Intanto, nel 1948, R. Graves pubblica lo studio fondamentale La Dea Bianca.

Il Culto della Dea

di Antonio D’Alonzo

Esiste un filo rosso che attraversa tutta la cultura del Novecento, teso a riscoprire il culto della Dea. Parlando di Bachofen, dovrei poi dilungarmi anche su un certo ambiente orbitante intorno a Jung, alle conferenze di Erhanos-Ascona, di cui faceva parte Gross che esercitò una certa influenza sullo psichiatra svizzero. Intanto, nel 1948, R. Graves pubblica lo studio fondamentale La Dea Bianca.

Non è un caso che, in questo brodo di coltura che si diffonde tra le due guerre, abbia trovato terreno fertile la dottrina di Crowley. Gerald Gardner è entrato in contatto con Crowley, quando ormai quest’ultimo era un vecchio stanco e malato per l’abuso di sostanze stupefacenti. Crowley, preoccupato per lo stato dell’OtO in Inghilterra, diede mandato a Gardner di fondare una sede dell’Ordine, conferendogli il titolo di “Principe di Gerusalemme”. Gardner si guardò bene dal seguire le direttive della Bestia e scrisse Witchcraft Today (da notare l’introduzione scritta dalla stessa Murray).

Nella dottrina Wicca esiste una dicotomia fondamentale: il Dio e la Dea. Quest’ultima è associata alla Grande Madre, alla Luna, e alle dee di tutti i pantheon: da Inanna a Kali. Dalla Wicca gardneriana, derivano altri movimenti come quello alexandriano, degli “eclettici-solitari”, del Chaos-Magick, ecc, che non è il caso di trattare in questa sede.

Il neopaganesimo contemporaneo si è sovente intrecciato con il post-femminismo statunitense: quindi da movimento magico si è ormai trasformato in movimento culturale. Certamente si deve ricordare il pericolo insito in certe evocazioni e in certi rituali “eclettici-solitari”, diffusi specialmente tra le adolescenti.

La magia evocativa, o quella cerimoniale, non andrebbe praticata con la stessa leggerezza con cui si acquista un nuovo tipo di telefonino, giacché certe formule e certi nomi sono carichi di energia archetipica soggiacente nell’immaginario religioso. L’esempio tipico è quello della piccola Megan nel film L’Esorcista: giocando con gli attrezzi per evocare gli spiriti in soffitta, finisce per essere posseduta.

A questo punto, spostandomi dal piano storico a quello personale ed iniziatico, non posso fare a meno di inquadrare tutto il movimento neopagano sotto l’espressione “controiniziazione”.

Cambiando argomento e ritornando ai Fedeli d’Amore (v.), direi con Jung, che la Sophia, altro non è che l’Anima: ossia, la proiezione dell’Io maschile, mentre l’Animus sottende all’identità femminile. Considerando tutta la storia del cristianesimo, ma non solo, giacché ricordo il primordiale culto matriarcale minoico e certi aspetti del culto della Dea nel tantrismo indiano, sotteso alla riaffermazione culturale dravida contro la misoginia brahmanica, doveva assumere una maggior valenza l’identificazione di Sophia con l’Anima. Anche perché in alcuni sistemi dello gnosticismo antico è Sophia a rimanere intrappolata nella Materia.

In ogni caso, tout se tiens: il mito della Prigioniera nell’oscuro mondo della materia è l’Anima, celatamente oggettivata nelle pratiche da laboratorio o nel profondo dell’inconscio.

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