Discendenza per linea materna

Scienza ed EsoterismoLa tradizione patriarcale e spesso misogina, oggi deve “fare i conti” con le acquisizioni scientifiche sul DNA, la memoria genetica trasmessa di generazione in generazione. Infatti, è noto alla scienza che il DNA mitocondriale viene trasmesso per linea materna ai propri figli (maschi e femmine), a differenza del DNA nucleare che deriva da entrambi i genitori.

Discendenza per linea materna

a cura di Adriano Nardi

La tradizione patriarcale e spesso misogina, oggi deve “fare i conti” con le acquisizioni scientifiche sul DNA [1], la memoria genetica trasmessa di generazione in generazione.

Con il progresso nella tecnologia genetica, si è scoperto che il DNA risulta un tesoro prezioso per gli studiosi dell’evoluzione umana, poiché si preserva senza alterazioni.

In quest’ area di ricerca è stato appurato che il DNA mitocondriale viene trasmesso per linea materna ai propri figli (maschi e femmine), a differenza del DNA nucleare che deriva da entrambi i genitori.

Ciò che caratterizza il DNA mitocondriale è la sua proprietà di affidabile “orologio molecolare” che consente di risalire la genealogia di ogni individuo, e questo viaggio a ritroso alle origini segue la sola linea materna.

Portiamo a conforto di questa teoria lo studio di Bryan Sykes docente di genetica umana all’università di Oxford, che con la sua equipe ha ricostruito l’albero genealogico più completo della specie umana, grazie alla grande mole di dati sul DNA.

Il DNA mitocondriale

Tratto dal libro “Le sette figlie di Eva” di Bryan Sykes edizione Mondadori

I mitocondri sono minuscole strutture presenti in ogni cellula. Non si trovano nel nucleo, il piccolo compartimento cellulare che racchiude i cromosomi, ma al di fuori di esso, in quello che viene chiamato citoplasma. La loro funzione è aiutare le cellule ad utilizzare l’ossigeno per produrre energia. Più la cellula è metabolicamente attiva, maggiore è l’energia necessaria, e maggiore è anche il numero di mitocondri che contiene. Le cellule di tessuti attivi come i muscoli, i nervi ed il cervello possono contenere anche un migliaio di mitocondri ciascuna.

Ognuno di questi organuli è racchiuso da una membrana: al suo interno, organizzati secondo una disposizione elaborata, ci sono tutti gli enzimi necessari per le fasi finali del metabolismo aerobico. Questa è una regione cellulare in cui il carburante che assumiamo sotto forma di cibo viene bruciato in un mare di ossigeno. Anche se non ci sono fiamme e tutto l’ossigeno si dissolve, si tratta di una reazione di combustione analoga a quella che si verifica in una stufa a gas o nel motore di un’automobile: il carburante e l’ossigeno si combinano per produrre energia. Il fuoco e i motori producono la loro energia sotto forma di calore e luce; i mitocondri, invece, non emettono luce quando bruciano il combustibile, ma producono calore, ed è, in parte, proprio il calore prodotto a scaldarci. In ogni caso, il principale risultato delle loro reazioni è una molecola altamente energetica chiamata ATP, che viene utilizzata dal corpo per far funzionare praticamente tutto l’organismo: dalla contrazione del muscolo cardiaco, ai nervi nella vostra retina mente state leggendo questa pagina, alle cellule nel vostro cervello che stanno interpretando queste parole.

Sprofondato proprio al centro di ogni mitocondrio si trova un piccolo frammento di DNA, un minicromosoma lungo appena 16500 paia di basi: davvero minuscolo se paragonato ai tre miliardi di basi dei cromosomi del nucleo! La scoperta dell’esistenza di DNA nei mitocondri rappresentò una grossa sorpresa, anche perché queste molecole, sono davvero molto particolari. Tanto per cominciare, la doppia elica di questo DNA è circolare. I batteri e gli altri microrganismi possiedono cromosomi circolari, a differenza degli organismi pluricellulari, fra cui certamente anche l’uomo. La sorpresa successiva fu che il codice genetico nel DNA mitocondriale è leggermente diverso da quello usato nei cromosomi del nucleo: i geni mitocondriali codificano per gli enzimi che catturano l’ossigeno e che svolgono la loro attività all’interno di questi organelli. In ogni caso, molti geni che regolano il funzionamento dei mitocondri sono saldamente collocati nei cromosomi del nucleo.

Come si sono formati i mitocondri? La spiegazione che gli scienziati danno è sbalorditiva: si pensa che un tempo fossero batteri indipendenti che, centinaia di milioni di anni fa, hanno invaso cellule più evolute insediandosi nel loro citoplasma. Potremmo chiamarli parassiti, o potremmo definire la loro relazione con le cellule una relazione simbiotica, in cui sia le cellule che i mitocondri svolgono una funzione utile ad entrambi.

Da quando hanno iniziato ad usare l’ossigeno, le cellule ne hanno tratto un enorme vantaggio. Usando questo gas, una cellula è in grado di creare, dalla stessa quantità di carburante, molte più molecole energetiche di ATP di quanto riuscirebbe a fare senza questo elemento. Dal canto loro, i mitocondri hanno ovviamente trovato la vita all’interno della cellula assai più confortevole che all’esterno. Molto lentamente, nel corso di milioni di anni, alcuni dei geni mitocondriali sono stati trasferiti al nucleo, dove sono rimasti. Ciò significa che ora sono intrappolati all’interno delle cellule e che non potrebbero ritornare nel mondo esterno neanche se lo volessero: si sono istituzionalizzati geneticamente. E ancor oggi, sono visibili le prove di alcuni trasferimenti genici, fra i mitocondri ed il nucleo, che non hanno funzionato: i cromosomi nucleari sono frammisti a pezzetti di geni mitocondriali rotti, che si sono trasferiti dal citoplasma al nucleo nel corso dell’evoluzione. Questi frammenti non possono svolgere alcuna funzione, perché non sono intatti: così rimangono lì, come fossili molecolari, vestigia di trasferimenti falliti avvenuti in passato.

C’è qualcos’altro di unico nei mitocondri. A differenza del DNA dei cromosomi nucleari, che viene ereditato da entrambi i genitori, ciascuno di noi riceve i suoi mitocondri solamente da un genitore: la propria madre. Il citoplasma di una cellula uovo umana contiene 250 mila mitocondri; in confronto, gli spermi ne possiedono molto pochi, in quantità appena sufficiente per fornire l’energia necessaria a risalire l’utero e cercar di fecondare l’uovo. Dopo che lo spermatozoo è riuscito ad entrare nell’uovo per consegnare il suo carico di cromosomi nucleari, i mitocondri non gli servono più, ed è per questo che vengono eliminati assieme alla coda. Solo la testa, con il suo carico di DNA nucleare, penetra nell’uovo. L’oocita rotondo e fecondato contiene ora il DNA nucleare proveniente da entrambi i genitori, ma soltanto i suoi mitocondri sono gli unici che erano presenti sin dall’inizio nel citoplasma, e tutti sono stati ereditati dalla madre. Per questo semplice motivo, il DNA mito condriale viene sempre ereditato per via materna.

L’uovo fecondato si divide numerose volte e, inizialmente, forma un embrione, poi un feto, che a tempo debito diviene un neonato e, alla fine, un adulto. Durante questo processo, gli unici mitocondri a essere presenti sono le copie di quelli originali, provenienti dall’oocita materno.

Sebbene entrambi i sessi possiedano dei mitocondri nelle loro cellule, solo il sesso femminile li trasmette alla progenie, perché solo le donne producono uova. I padri trasmettono alla generazione successiva il DNA nucleare, ma non quello mitocondriale.

Mutazioni nel DNA mitocondriale e nucleare si verificano spontaneamente, come semplici errori, durante la replicazione che accompagna la divisione cellulare. Le cellule possiedono dei meccanismi di controllo che correggono la maggior parte degli errori, ma alcuni sfuggono a questa sorveglianza e non vengono eliminati. Se tali mutazioni colpissero cellule destinate a produrre uova o spermatozoi, le cosiddette cellule germinali, potrebbero essere trasmesse alla generazione successiva. Mutazioni che colpissero altre cellule del corpo, cioè le cellule somatiche che non hanno il compito di produrre cellule germinali, non sarebbero invece trasmesse. La maggior parte delle mutazioni del DNA non sortisce alcun effetto: si notano solo sporadicamente, quando colpiscono e disattivano un gene particolarmente importante. Nei casi peggiori possono produrre gravi malattie genetiche, ma nella maggior parte dei casi sono innocue.

Il tasso di mutazione che si osserva nel DNA nucleare è estremamente basso, poiché a ogni divisione cellulare muta all’incirca una base nucleotidica su un miliardo. I mitocondri, al contrario, non possiedono meccanismi di controllo molto precisi, e ciò determina un tasso di mutazione di almeno venti volte superiore. Questo significa che nel DNA mitocondriale si può trovare un numero di mutazioni maggiore rispetto a un’analoga regione di DNA nucleare. In altre parole, l’orologio molecolare, con cui possiamo calcolare lo scorrere del tempo per mezzo del DNA, batte molto più velocemente nei mitocondri che nel nucleo. Ciò rende questi organuli uno strumento ancora più interessante per lo studio dell’evoluzione umana: se la velocità di mutazione fosse molto bassa, troppe persone avrebbero lo stesso DNA mitocondriale, e non esisterebbe una variabilità sufficiente per permetterci di capire come si sia svolta l’evoluzione umana nel corso del tempo.

C’è un ulteriore vantaggio. Sebbene le mutazioni si trovino in tutta la molecola circolare di DNA mitocondriale, e l’intera regione sia stata usata da Allan Wilson e dai suoi studenti in Mitochondrial DNA and human evolution , c’è un breve frammento di questa molecola in cui le mutazioni sono particolarmente frequenti. Questa regione, lunga circa 500 paia di basi, viene chiamata regione di controllo, ed è riuscita ad accumulare un gran numero di mutazioni perché, a differenza del restante DNA mitocondriale, non codifica per alcuna proteina in particolare. Se così non fosse, molte delle sue mutazioni andrebbero ad alterare la funzionalità degli enzimi mitocondriali. In effetti, questo talvolta accade, come nel caso di mutazioni che colpiscono altre zone del DNA mitocondriale, esterne alla regione di controllo: esistono alcune rare malattie neurologiche causate da mutazioni geniche che disattivano parti essenziali dell’intero apparato mitocondriale. A causa dei danni consistenti, i mitocondri colpiti non sopravvivono bene e vengono trasmessi alla generazione successiva solo di rado. Così, a poco a poco, queste mutazioni si estinguono. Al contrario, le mutazioni della regione di controllo non sono eliminate, proprio perché questa regione non ha una funzione specifica: sono dette perciò mutazioni neutre. Sembra che la ragione dell’esistenza di questo segmento di DNA sia quella di consentire una corretta divisione dei mitocondri, ma che la sua esatta sequenza non abbia molta importanza.

Ecco che, allora, ci siamo trovati a possedere il presupposto ideale per la nostra ricerca, un corto segmento di DNA strapieno di mutazioni neutre. Sarebbe stato molto più veloce e molto più economico, ci siamo resi conto, leggere la sequenza della regione di controllo, 500 paia di basi appena, piuttosto che l’intera sequenza del DNA mitocondriale, lunga più di 16 mila nucleotidi.
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Cos’è il DNA

Tratto dal libro “Le sette figlie di Eva” di Bryan Sykes edizione Mondadori

…Colui che oggi è universalmente riconosciuto come il padre della genetica, Gregor Mendel, un monaco della città di Brno, oggi nella Repub blica ceca, che pose le basi della genetica classica grazie ai suoi incroci sperimentali di piselli, eseguiti nel giardino del monastero intorno al 1860. Mendel concluse che quan to determinava l’ereditarietà, qualunque cosa fosse, sarebbe stato trasmesso da entrambi i genitori alla prole in ugual misura. Purtroppo, morì prima di riuscire a vedere un cromosoma. Tuttavia, aveva ragione: con l’importante eccezione del DNA mitocondriale (del quale parleremo estesamente in seguito) e dei cromosomi che determinano il sesso, i geni — particolari regioni di codice genetico situati sui cromosomi — sono ereditati in ugual misura da entrambi i genitori. Il ruolo essenziale giocato dai cromosomi nell’ereditarietà, e il fatto che essi devono contenere in sé i segreti di questo processo, era già stato ampiamente dimostrato dal 1903; ma ci vollero altri 50 anni per scoprire di che cosa fossero fatti i cromosomi, e in che modo funzionassero da messaggeri fisici dell’ereditarietà.

Nel 1953, due giovani scienziati che lavoravano a Cam bridge, James D. Watson e Francis Crick, risolsero la struttura molecolare di una sostanza che era nota già da molto tempo, ma che era considerata assai noiosa e priva di im portanza. Quasi a enfatizzare la sua mancanza di attratti va, le era stato dato un nome lunghissimo: acido desossiribonucleico , che ora viene felicemente abbreviato in DNA. Sebbene alcuni esperimenti avessero indicato un coinvolgimento del DNA nel meccanismo dell’ereditarietà, tutti scommettevano che fossero le proteine il materiale ereditario: si trattava di strutture complesse, sofisticate, costituite da 20 componenti diversi (gli aminoacidi), che potevano assumere milioni di forme diverse. Sicuramente, o così almeno si pensava, solo qualcosa di realmente complesso poteva gestire un compito così enorme come programmare una singola cellula uovo fecondata, per trasformarla in un essere umano completamente formato e funzionale. Non poteva certo essere il DNA a svolgere queste funzioni, dal momento che era composto da quattro soli componenti. Tutti ammettevano che si trovasse al posto giusto, nel nucleo cellulare, ma probabilmente svolgeva qualche funzione assai banale, come assorbire acqua, analogamente a ciò che fa la crusca.

Sebbene la maggior parte dei loro colleghi scienziati contemporanei dimostrasse una generale mancanza di interesse nei confronti di questa sostanza, Watson e Crick erano certi che fosse la chiave per spiegare il meccanismo chimico dell’ereditarietà. Decisero così di tentare di risolverne la struttura molecolare, utilizzando una tecnica che era già stata impiegata per ottenere la struttura di proteine più interessanti. Ciò richiese la preparazione di lunghe fibre cristalline di DNA purificato che furono bombardate con raggi x. Entrando nel DNA, la maggior parte dei raggi x proseguì in linea retta, attraversando il campione e uscendo dalla parte opposta. Ma alcuni raggi si scontrarono con gli atomi che formano la struttura molecolare e rimbalzarono all’esterno e lateralmente, dove andarono a impressionare delle pellicole radiografiche per raggi x, lo stesso tipo di film che i radiologi ospedalieri utilizzano ancor oggi per ottenere l’immagine di una frattura ossea. I raggi x deviati lasciarono una traccia regolare di punti sulla pellicola, e le loro posizioni precise furono poi usate per calcolare quelle degli atomi nel DNA.

Dopo molte settimane trascorse a costruire diversi modelli con bastoncelli e fogli di cartone e metallo per rappresentare gli atomi nel DNA, Watson e Crick trovarono improvvisamente un modello che si adattava perfettamente allo schema ottenuto con i raggi x. Era semplice, e allo stesso tempo assolutamente meraviglioso, e possedeva una struttura che suggeriva immediatamente in che modo quella molecola potesse agire da materiale genetico. Ecco quanto scrissero, mostrando un’accattivante fiducia in se stessi, nell’articolo scientifico che presentava la loro scoperta: «Non ci è sfuggito che gli appaiamenti specifici che abbiamo ipotizzato suggeriscono immediatamente un potenziale meccanismo di copiatura del materiale genetico». Avevano assolutamente ragione, tanto che nel 1962 ricevettero il premio Nobel per la medicina e la fisiologia.

Uno dei requisiti essenziali che caratterizzavano il materiale genetico era la possibilità di essere fedelmente duplicato più e più volte in modo da garantire che, al momento della divisione cellulare, ciascuna delle due nuove cellule, le cosiddette cellule figlie, ricevesse la stessa quantità di cromosomi nel nucleo: infatti, se il materiale genetico nei cromosomi non poteva essere copiato ogni volta che una cellula si divideva, era destinato a esaurirsi molto presto. E la duplicazione doveva essere di ottima qualità, altrimenti le cellule non sarebbero state più in grado di funzionare. Watson e Crick avevano scoperto che ciascuna molecola di DNA è costituita da due filamenti molto lunghi, simili a due scale a chiocciola avvolte a spirale: una doppia elica. Quando giunge il momento della duplicazione, le due scale a spirale della doppia elica si srotolano. Il DNA è formato da soli quattro componenti di base, che sono sempre indicati con le iniziali del loro nome chimico: A per adenina, C per citosina, G per guanina e T per timina. Formalmente, sono conosciuti come basi nucleotidiche, o semplicemente basi. Ora potete dimenticarvi i nomi chimici e ricordare solo i quattro simboli A, C, G e T.

La svolta decisiva che permise di risolvere la struttura del DNA si ebbe quando Watson e Crick capirono che il solo modo in cui i due filamenti della doppia elica possono appaiarsi in maniera adeguata è quando ogni A su un filamento si lega a una T in posizione opposta, sull’altro filamento. Proprio come due pezzi di un puzzle, A si appaia perfettamente con T ma non con G o C o con un’altra A. Esattamente allo stesso modo, C o G su filamenti opposti possono appaiarsi solo fra loro, ma non con A o T: in questo modo, entrambi i filamenti mantengono l’informazione codificata dalla sequenza complementare. Per esempio, la sequenza ATTCAG su un filamento deve appaiarsi alla sequenza TAAGTC sul filamento complementare. Quando la doppia elica srotola questa regione, l’apparato di replicazione cellulare costruisce una nuova sequenza TAAGTC di fronte a ATTCAG su uno dei vecchi filamenti, mentre costruisce ATTCAG di fronte a TAAGTC sul l’altro. Come risultato, si ottengono due nuove doppie eliche identiche all’originale: ogni volta due copie perfette. Durante tutte queste duplicazioni la sequenza delle quattro lettere chimiche viene conservata. E che cos’è la sequenza? È informazione pura e semplice. Il DNA, in effetti, di per sé è inerte: non ci aiuta a respirare o a digerire il cibo, ma piuttosto, dà istruzioni su come fare altre cose. I registi cellulari intermedi che ricevono le istruzioni ed eseguono il lavoro sono, come ormai sappiamo, le proteine. Potrebbero sembrare complesse e, in effetti, lo sono, ma agiscono rispondendo ai comandi impartiti dalla stanza dei bottoni: il DNA stesso.

Benché la complessità cellulare, tissutale e degli organismi interi sia sbalorditiva, il modo in cui sono scritte le istruzioni di base del DNA è straordinariamente semplice. Analogamente a ciò che succede con i sistemi di istruzioni che ci sono più familiari, come il linguaggio, i numeri o il codice binario dei computer, quel che conta non sono tanto i simboli stessi, ma l’ordine in cui si susseguono. Anagrammi come, per esempio, porta e parto, contengono le stesse lettere ma in ordine diverso, e così le parole che formano hanno un significato completamente differente. Al lo stesso modo, 476.021 e 104.762 sono numeri diversi, che utilizzano gli stessi simboli disposti però in modo differente. E ancora: 001010 e 100100 hanno un significato molto diverso nel codice binario. Così, allo stesso modo, l’ordine dei quattro simboli chimici nel DNA racchiude il messaggio. ACGGTA e GACAGT sono anagrammi del DNA che significano per una cellula cose lontanissime tra loro, proprio come porta e parto hanno significati lontanissimi per noi.

Ma allora, in che modo è scritto il messaggio e come viene letto? Il DNA è confinato nei cromosomi, che non abbandonano mai il nucleo della cellula. Sono le proteine a svolgere tutto il lavoro effettivo: sono gli esecutori materiali del nostro organismo come, per esempio, gli enzimi che digeriscono il cibo, mantenendo attivo il metabolismo; o gli ormoni che coordinano ciò che sta accadendo nelle diverse parti del corpo. Proteine sono anche le molecole di collagene della pelle e delle ossa, e le emoglobine del sangue; sono gli anticorpi che combattono l’infezione. Insomma, fanno tutto. Alcune sono molecole enormi, altre sono minuscole, ma quel che le accomuna è il fatto di essere costituite da un filamento di singole subunità chiamate aminoacidi, il cui preciso ordine ne determina la funzione. Gli aminoacidi in una parte della struttura attraggono quelli del lato opposto, e quel che inizialmente era un bel filamento lineare si raggomitola per formare una palla. Si tratta di una palla con una forma molto particolare, che consentirà alla proteina di svolgere la funzione per cui è stata creata: essere un catalizzatore per reazioni biologiche, se è un enzima; costruire muscoli, se è una proteina muscolare; intrappolare i batteri invasori, se è un anticorpo, e così via. Ci sono venti aminoacidi in tutto: alcuni hanno nomi vagamente familiari come lisina o fenilalanina (uno degli ingredienti del dolcificante aspartame), altri hanno nomi che la maggior parte delle persone non ha mai udito, come la cisteina o la tirosina. La successione di questi aminoacidi nella proteina ne determina in modo preciso forma finale e funzione, cosicché tutto ciò che serve per produrre una proteina è una serie di istruzioni del DNA che definiscano questo ordine. In qualche modo, l’informazione codificata contenuta nel DNA all’interno del nucleo cellulare deve essere trasmessa all’apparato di sintesi proteica in un’altra parte della cellula.(torna al testo)

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