Il fuoco segreto
Il rotolo continua e fa vedere un’insieme che è una delle più belle realizzazioni che si possa immaginare sul Mercurio filosofico o Bagno degli astri.
Ripley Scrowle – Parte 2
a cura di Giuseppe Barbone
Introduzione – 1. Il Démiurgo nel suo mondo – 2. Il fuoco segreto – 3. L’ermafrodito come privatio boni – 4. L’Adech – 5. La Trinità – 6. Versetti di Ripley Scrowle – 7. Il padre ed il figlio
2 – Il fuoco segreto
Il rotolo continua e fa vedere un’insieme che è una delle più belle realizzazioni che si possa immaginare sul Mercurio filosofico o Bagno degli astri. Questa parte del rotolo è composta da tre parti, ed hanno alla base un altro testo. Cominciamo dal basso: si tratta del drago babilonese dal quale esce una lingua di fuoco e dalla quale ne esce un rospo.
(7) HERE IS THE SONNE CALLED THE MOUTH OF THE COLLRICKE.
Si tratta dell’aspetto elementare e primordiale del fuoco alchemico. È il caos incarnato, la caldaia infernale, il fuoco archetipo. Sul piano psicologico, rappresenta il famoso Desiderio Desiderato, dal quale lo pseudo Flamel ha ripreso il titolo per il suo lavoro. Questa immagine sembra ancora anteriore a quella del serpente Ouroboros, il quale si pone su un piano più evoluto della cozione ermetica che corrisponde alla ronda degli elementi [epoca dell’aqua permanens]. Sul piano della psicologia, il drago dalla coda serpentina ci rinvia al peccato originale e rappresenta la macchia indelebile del puro diamante dello spirito: è dunque anche un rospo. Troviamo un passaggio in un trattato di Philalèthe che dice:
“Vedrete la vostra Acqua volare verso l’alto, ed il Corpo che bolle sotto; questa Circolazione deve continuare per molto tempo, finché l’aquila distruggerà il Drago ed ambedue morranno, poi insieme si trasformeranno in un terribile Rospo, che dovrete cuocere finché diminuirà il nero, succederà allora che da una moltitudine di colori apparirà la luce, continuate questo regime con pazienza, finché vedrete la Luna alzarsi con i suoi raggi chiari…” [ Moelle d’alchimie, II Livre, Londres, 1654]
Notiamo che il rospo è assimilabile alla testa di corvo che prelude ai colori della coda di pavone. Apriamo il Mysterium conjunctionis:
“Menzionerò l’aquila ed il rospo… che Michel Maier menziona insieme all’emblema di Avicenne…. Il rospo è in opposizione all’aria; è l’elemento contrario, come dire della terra sulla quale si muove…. indica… la terra filosofica che non può volare, come dire sublimata, perché fissa e solida. È su di lei che si deve costruire la casa d’oro…” [Jung, tomo I, pp. 30-31, gli Oppositori]
È esattamente il caso di questa parte del RS dove drago e rospo servono da fondamento al fuoco segreto. Il rospo era dedicato anticamente a e si diceva anche che filtrava la luce degli astri assorbendo i loro raggi. La chiesa, da molto tempo, ne ha fatto la rappresentazione della Lussuria [cf. l’emblema V dell’Atalanta fugiens], facendogli sostenere un ruolo essenziale nel culto del diavolo; tuttavia, è stato riconosciuto che dietro questa apparenza rovinosa poteva nascondersi un cuore puro, sporco tuttavia, di amarezze:ne è stata fatta un’anima disgraziata. Ecco tutto il segreto ermetico di questo rospo. Viene assimilato all’aquila perché la leggenda dice che è insensibile alla luce: il suo sguardo fisso denota un’indifferenza ai raggi del . Indifferenza alla luce, ma non al caldo, poiché l’uccide molto velocemente. È quindi in modo del tutto relativo che lo si assimila alla salamandra, in quanto essa verrebbe uccisa dal freddo. Cosa importante: il rospo purifica ; è così che “l’aqua permanens” degli alchimisti si potrebbe sicuramente chiamare “acqua di rospo” [ricordiamo che la si chiama acqua divina o acqua di zolfo che per i discepoli di Ermes sono delle espressioni simili]
Al piano superiore, troviamo la sublimazione. I corpi hanno un aspetto etereo che è compatibile solamente con questo stato della materia: a sinistra, Adamo nel corpo di gloria, in una mandorla mistica, ci ricorda un’immagine della Vergine del Libro di Abramo Juif. La mandorla corrisponde all’anima . A destra, l’animus raffigurato da un angelo, intercessore tra terra e cielo. Al centro, Saturno presiede allo scioglimento e sostiene la colonna di alabastro del tempio di Zosimo [si tratta di un tempio monolitico descritto da Zosime, cf. domina materia ed Aurora consurgens, I. Jung dedica un capitolo delle Radici della Coscienza a questo Gnostico]. Jung apre il suo Mysterium conjunctionis con questa citazione:
“La congiunzione è la combinazione di proprietà separate o un’identificazione dei principi” [Ripley, in Theatrum Chemicum, t. II, p. 128 – cit. di Isaac Hollandus, Fragmentum di opera philosophorum]
serpente Ouroboros, Chrysopée di Cleopatra [cf. Berthelot, Chimica degli Antichi]
È a proposito degli Oppositori che Jung citava all’inizio di questa trilogia, questa riflessione del Ripley. Egli si è sempre stupito, poiché consultando alcuni testi, ha riscontrato che per qualcuno gli oppositori {, } si respingono, mentre per altri, si attirano. La contraddizione è solo apparente. Fulcanelli ha mostrato che sulphur e mercurius non formano in fondo, che una sola ed unica sostanza, secondo la forma che prende.Bene! È proprio questo potere di attrazione e/o di repulsione che subiscono i nostri principi. Sono elementari? Allora, si respingeranno [vedere l’Aurora consurgens, figura III]; sono princìpi [cf. Artephius]? Allora, cominceranno ad attirarsi, sotto l’influenza dell’Ouroboros e della circolazione permanente “dell’aqua viva” [vedere Aurora consurgens, figura I]. Una bozza del vaso di natura ci viene data con un quadrato da dove vengono posti agli angoli una specie di pilastri, sormontati da matras con i filatteri che indicano i quattro Elementi. Elementi che sono disposti sotto forma primitiva, non impregnati dall’agente e dal paziente [ricordiamo che si tratta rispettivamente del sulphur o Zolfo rosso sublimato e del Sale o Zolfo bianco; è utile notare la seguente cosa: nell’Azoth, Occulto alias philosophia, attribuito a Basile Valentin, si trova in frontespizio quest’immagine
frontespizio dell’Azoth [Basile Valentin], dettaglio
In questo , vediamo il sulphur e nell’angolo inferiore il mercurius . Il quadratum è posto nell’angolo superiore, invece la non appare [in ogni caso è bene che il Sale sia incombustibile come avrebbe dovuto figurare].
Troviamo in questa immagine un ternario ed un quaternario: la trinità è tratta dall’Adamo primordiale, stadio iniziale del sulphur [anima]; dallo Spiritus Sanctus si sviluppa l’angelo; infine dallo spiritus corruptus, o diabolus rappresentato da nasce la colonna centrale. È utile rimarcare che questa colonna sostiene il ruolo di trasferimento verso il mondo superiore, dopo lo scioglimento [vedere infra]. Troviamo un esempio di questo fenomeno di trasferimento in un acquerello che illustra un lavoro di Alexander Roob.
Museo Ermetico di storia naturale, Taschen 1997.
Questo acquerello fa da ponte tra il RS ed altre illustrazioni analizzate nell’Aurora consurgens II, essa si riferisce al trasferimento ed alla proiezione [cf. in particolare lo Pseudo Tommaso d’Aquino, De alchimia, Codex Vossianus 29, pag. 99 – Leiden, Rijksuniversiteit Bibliotheek, XVI° sec. Bodleian Library MS. Rawl. D. 893, fine XV° secolo].
La parte inferiore mostra un drago in un mandala rosso sorretto da quattro pilastri che hanno il colore dei quattro Elementi [rosso = ; nero = ; bianco = ; arancione = ]. Nel primo recinto, la coppia {, } porta le chiavi dell’opera. Vediamo poi altri tre recinti. Nel primo, vediamo un corpo disteso che rappresenta lo scioglimento: da questo corpo esce uno spirito [spiritus abscondus] che è lo stesso di quello del De Alchimia [Codex Vossianus 29, pag. 99]. Vediamo anche l’Ariete, primo segno del triangolo di dei Caldei [Trinità]. Succede poi un recinto col secondo segno di fuoco: il Leone. Poi un terzo dove si intravede il Sagittario. Al centro, un’arbor vitae, arroventato, da dove emerge un Virgo paritura; l’albero filosofico è coperto di frutti. A questa trinità si aggiunge un quaternario che gli Evangelisti dicono formare il Tétramorphe. Van Lennep scrive, parlando dell’albero del RS:
“L’insieme simboleggia la fontana che dispensa la medicina universale, quella che assicura più specificamente questa vita eterna indicata dall’albero della vita. Notiamo che nell’esemplare 5025 del British M., l’albero che nasce al centro della fontana della giovinezza, è assimilato a quello del Paradiso e chiaramente indicato come essere anche quello della croce di .” [Alchimia, p. 94]
In questa rappresentazione è importante notare che il “trasferimento” dipende da [presente nel RS, mentre abbraccia la colonna che dà l’accesso ad un’altro mondo, quello della sfera del Leone e, infine, del Sagittario]. In quanto alla proiezione, è posta sotto il dominio di che assicura l’influenza sul Sagittario. Ritornando a questa trinità, vediamo che presenta dei caratteri atipici: non si scopre la figura del Padre nostro. La Trinità è ridotta ad un corpo di gloria [l’Adamo primordiale nella mandorla], ad un angelo [intermediario mercuriale tra la e la ] e ad un principio ambiguo: lo scioglimento (solve), che deve, comunque sia, precedere la sublimazione o depurazione. L’ambiguità è tutta nell’opposizione fra il Bene ed il Male [che si può riportare a Zeus e Cronos]. Opposizione vinta dalla forza della . In Aïon, Jung dedica il capitolo V al Cristo, simbolo del Sé [trad. Albin Michel, 1983]. Sembra che si possa, nell’analisi del RS, spostare la proposta nel senso di Dio, simbolo dell’Io. Questo esige una spiegazione. Sembra evidente che l’alchimia nella sua formulazione generale, ed il RS in particolare in questo caso, trasporta una concezione dove lo spirito si proietta altrove, in un qualcosa che ci rinvia, in un certo modo, al narcisismo. Narciso, bisogna ricordarlo, aveva una sorella che gli somigliava e che amava pazzamente. La ragazza perì, per non perdere il ricordo della sua immagine, Narciso si contemplò in una fontana e morì per logoramento perché rimase pietrificato. Questo passo non è considerato diversamente;questo prova che l’alchimista che contempla il suo mondo interiore è solamente un’immagine? Questi non è che Cronos, che contempla la sua immagine nel démiurgo del RS? Si sarebbe tentati di crederlo. Ma, cosa singolare, Jung non parla, per così dire, mai di Narciso nei suoi lavori. Tuttavia, l’etimologia, annettendolo a narkh, narcosi per estensione, avrebbe dovuto segnalare al mago di Küsnacht che si trovava davanti ad un altro enigma di Bologna [in riferimento a quella di cui parla nel Mysterium conjunctionis, I, parte 2, i Paradossi, chap. 3, pp. 89-126]. La leggenda riporta che Narciso muore davanti allo specchio di una sorgente, è là che nasce il primo fiore chiamato col suo nome. Un esemplare del RS mostra questo fiore che, in verità, non è un narciso, ma la cui presenza è emblematica.
MS. Add 5025-3, Londres, XVI e siècle – détail
Bachelard scrive:
“[Gli specchi di vetro] diventeranno vivi e naturali quando si potranno paragonare ad un’acqua vivente e naturale, quando l’immaginazione, nuovamente naturalizzata, potrà ricevere la partecipazione degli spettacoli della sorgente e del fiume. “[L’acqua ed i Ruscelli, prova sull’immaginazione della materia, Parigi, 1942]
Per l’alchimista rivitalizzare lo spirito consiste, da una parte assicurare l’animazione del dall’altra provocare l’induzione della réincrudation [immaginazione rinaturalizzata, che si può legare al processo di individuazione che percorre l’opera di Jung]. Assistiamo, in queste due operazioni, strettamente connesse, alle apparizioni alternate della stella e del fiore, segnalata da Fulcanelli. Bachelard prosegue dicendo che:
“… La sublimazione non è sempre la negazione di un desiderio…. può essere una sublimazione da un ideale. “[Idem]
Ricordiamo il titolo di un apocrifo di Nicolas Flamel, il Desiderio Desiderato. Mettiamo questo desiderio in relazione col luogo di nascita del filius philosophorum: allora troveremo questa rosa rossa e bianca che è il vero fiore d’oro dell’alchimista [l’immagine è tratta da Jung, Psicologia ed Alchimia, trad. Buchet Chastel, fig. 30]. In questo fiore, bisogna vedere la nascita dell’ermafrodito, colorato di rosso e di bianco, vale a dire del Bene e del Male, considerato dal punto di vista psicologico. Ora, questa relazione tra i due estremi del significato spirituale, li vediamo sulla cima dell’inalbero vitae. Sono presenti sotto forma del filius spiritus rivestito della sua mandorla scarlatta e del corpus corruptus che scende dalla vetta dell’albero: la sua parte posteriore è quella di un mostro con la coda di serpente, mentre il suo tronco e la sua testa hanno sembianze umane. Bisogna vedere in questo ermafrodito una formulazione molto originale del doppio Mercurio filosofico [misto, Rebis – Compost]: scopriamo da un lato la calamita degli alchimisti;dall’altro lato, il loro Acciaio. Per analogia, è possibile stabilire una relazione tra l’acciaio ed il Bene, così come tra la calamita ed il Male. Evidentemente, non si potrebbe attribuire a questa associazione un carattere a questo punto manicheo che rischia di vedere una verità incompiuta. No. È tuttavia evidente che l’albero filosofico si ricollega in alcuni punti a quello di Adamo ed Eva. Ritorniamo per qualche istante all’Adamo mistico: l’abbiamo già intravisto in uno dei medaglioni del primo acquerello [capitolo 1]: corrisponde all’anima o , magnificato della sua gloria. È corredato dall’animus [, la colomba] e, in queste condizioni, non si evince che una cosa:
“… addebitare da parte di Adamo l’errore ad Eva, è prova dell’inimicizia che, oramai, separa l’anima dallo spirito.” [Dizionario dei simboli, Laffont, 1969, 1982]
Assistiamo al processo della sublimazione legata alla congiunzione: nel campo misterioso dell’alchimia, l’anima non esiste affatto: sale dal corpo morto, una sostanza eterea che è uguale ad un fumo solforoso di colore scuro-piombo, è l’immagine stessa della colomba dei Saggi [ : piombo, livido] dove lo spiritus sanctus [del quale costituisce il simbolo classico] si mescola con l’emanazione di Lucifero . Questo vapore di zolfo [ molto simile a = Dio], dove spirito ed emanazione impura del corpo morto vengono frammentati, hanno il nome di primo Mercurio o Mercurio della via comune, o anche Mercurio comune [questo a causa dei molti errori, che molti profani hanno confuso il vivo argento con l’argento vivo, vedere paragrafo in Huginus a Barma]. Si può paragonare questo colore [, colore scuro o simile alla cenere] alla , color cenere che possiamo vedere in due occasioni nel mese lunare [con la luna nuova ed il primo quarto, oppure tra l’ultimo quarto e la luna nuova]. È facile intuire che questo colore grigiastro [cenere = , ] è quello della morte [solutio]. Questa morte indica – per quanto dicono i testi alchemici- che ci troviamo nel regime di [che annuncia la proiezione, Vedere Pernety, Favole egiziane e greche].
Sarà più facile interpretare la rappresentazione della grande fontana della giovinezza e del bagno degli Astri [mondo superiore]. Ecco una splendida rappresentazione della versione di Edinburgo:
Edimburgo, Reale Collegio dello Physicians, Erskine Roll (parte centrale),
La parte centrale è la fontana mercuriale che costituisce il bagno degli astri. Van Lennep ci dice:
“Sotto, una composizione più complessa che comprende alla sua base una piscina circondata da quattro torri che sorreggono ciascuna un matras. Queste torri simboleggiano gli elementi. Un pilastro si alza e sorregge un’altra vasca la cui cinta comprende questa volta sette torri: i 7 metalli. Su ciascuna delle loro cime, un’alchimista sorregge un matras. La coppia alchemica si bagna nelle vicinanze, dove vediamo un albero sul quale si arrampica una vite. “[Alchimia, p. 94]
Questo recinto contiene il solvente che permette di ottenere l’umido radicale dei metalli, in questo caso quello del e della . Gli altri pianeti partecipano a questo scioglimento in quanto sono i geroglifici delle altre materie e del fuoco segreto con il quale viene preparata l’acqua ignea. [questa fase richiede la collaborazione dei sette pianeti; è un passaggio di cabala ermetica che non è ancora ben chiaro. Jung gli dedica parecchie pagine nel suo Mysterium conjunctionis, t. II]. In questo caso la fontana in oggetto non è dedicata alla conversione degli elementi [contrariamente alla fontana quadrata ], ma alla metamorfosi dei pianeti. Questa metamorfosi passa necessariamente da un’opposizione ad un combattimento, di cui ne troviamo traccia nel Turba di Zosimo:
“Spingete alla guerra il rame e l’argento vivo, in modo che siano inizialmente corrotti così lotteranno e si uccideranno a vicenda. Perché il rame, assorbendo l’argento vivo lo coagula, poi questo argento vivo nell’assorbire il rame si congela. Durante questo tempo favorite il combattimento, decomponete il corpo finché sia ridotto in polvere. “[Turba, sentenza XLII, citato in Jung, Myst. conj. t. II, § 159, p. 121]
È Astanius [alias Ostanes] che si esprime così. Per rame, bisogna intendere il Bronzo od ottone, che equivale ad ermafrodito. L’argento vivo è il dei filosofi. Il combattimento che riduce i corpi in polvere è quello che ci ricorda Fulcanelli nel Mistero delle Cattedrali, quando assicura che la materia deve essere ridotta allo stato di polvere di carbone, che vuole dire in cenere, il cui segno è . Ma si trova già una simile esortazione in Stefano di Alessandria:
“Combatti il rame; combatti il mercurio; unisci il maschio alla femmina. È il rame che riceve il colore rosso ed il potere penetrante di tingere l’oro… Il rame viene distrutto, reso incorporeo dal mercurio, ed il mercurio viene fissato dalla sua combinazione col rame.” [Lezioni di Stephanus, quarta lezione in Ideler Julius Ludwig, Fisici e medici Greci minimizzano, t. II, 199 f. Lipsia 1841, 1842]
Su questo tema del combattimento dei metalli e dei principi, si può approfondire leggendo:Il Trionfo ermetico [che contiene la vecchia guerra dei Cavalieri] di Limojon di sant’Didier e l’iconografia alchemica [chiarisce come in certi acquerelli dell’Aurora consurgens o allegati, come l’incisione che illustra la meditazione di Senior].
In basso, abbiamo i due principi principiés: Diana ed Apollo. Artémis impugna l’arco del Sagittario [non dimentichiamo che non si tratta dei principi elementari ma di quelli che sono stati nutriti dal seno di Latone]; Apollo porta lo scettro dell’antimonium [misto che si può far nascere dal vitri oleum e dalla di cui parleremo al capitolo 7]. Al di sotto, ed il suo fulmine; Venere che porta la sua croce ed il fuoco [la rappresentazione è assolutamente notevole perché Venere porta tre frecce: disegnano una stella che, da sola, può dare tre differenti: le due croci crepuscolari hanno una barra verticale {Lucifero ed, Hesperus} e la croce dello zenit senza barra verticale o o AZOTH – che bisogna interpretare guardandola dal basso, cf. Aurora consurgens.]. Lucifero che annuncia l’aurora spiega che è lei a portare la fiaccola [ ]. In alto, e . Al centro, la fontana mercuriale con l’agente [Zolfo rosso, sulphur: ] ed il paziente [Zolfo bianco, Sale: ]. Il doppio Mercurio si avvolge intorno alla colonna [arbor vitae] coronata di una statua mercuriale. Nel RS, i geroglifici planetari dividono la forma di un ottagono. L’attenzione viene attirata dal magnifico arbor vitae, coronato da un , cinto da un mandala scarlatto; il bambino che nasce dal parto alchemico è rinchiuso in una forma femminile, il cui corpo, nella sua parte inferiore, ci ricorda un animale diabolico del mondo infernale. Van Lennep di questo paragrafo dice:
“Sotto il suo fogliame, l’albero, protegge un bambino nudo, il bambino dei filosofi che ci mostra un essere con la coda di serpente, la materia prima. Il fogliame indicato come l’espressione dello spirito e dell’anima sorregge una torre con la fiamma, l’athanor. La luna ed il sole così come delle piume sono disposte sui bordi di questa allegoria. “[Alchimia, p. 94]
Non è chiaro se si tratta di una torre o dell’ombra della bocca del grande athanor nel quale il démiurgo ha disposto il suo pellicano. L’inferno è significato certamente dall’ombra della bocca del forno alchemico, del quale si vedono le fiamme: una comunicazione diretta viene così realizzata tra il doppio Mercurio ed Hadès. Una volta ancora, il Bene ed il Male si trovano intrecciati. Non è tutto: si può vedere in questo acquerello del Figurarum Aegyptorum – come nell’ottagono del RS – l’equivalente dell’albero di Jessé.
albero di Jessé, Guiard dei Mulini, Bibbia historiale, Francia, Sant’Omer, XIV° sec.
La rappresentazione della famiglia sotto forma di un albero genealogico è un motivo abbastanza tardivo che sboccia a partire dal XVI sec. La metafora vegetale [e thériomorphe] è stata inizialmente applicata al Cristo ed alla sua famiglia. All’epoca romana, ed ancora nel XIII sec., viene raffigurato crocefisso su una vite o mentre coglie un grappolo di uva. La Vergine è simboleggiata da un fiore di giglio – simbolo anche della monarchia, il cui scettro è talvolta fiorito. Su questo esemplare del RS, distinguiamo dei grappoli di uva, che devono intendersi come il sulphur nascente . Parimenti la forma dell’albero è singolare, somiglia ad un’insieme di tuberi e foglie. Il simbolismo sessuale appare abbastanza evidente. All’inizio del XII secolo, la parentela del Cristo prende la forma dell’albero di Jessé: dal corpo di Jessé, personaggio biblico, addormentato, spunta il tronco della famiglia di Maria che fa della Vergine una discendente di Davide. Notiamo che in questo caso, Jessé è sostituito dalla figura di Cronos ed è una colonna di pietra che serve da tronco portatante per l’insieme del dispositivo mercuriale [vedere Zosimo ed il suo tempio di alabastro in Jung, Radici della Coscienza]. Sulla cima dell’albero di Jessé, su questo incomparabile fiore, sboccia il busto della Vergine che stringe fra le braccia il suo Bambino[questo non è il caso del RS: non è la Vergine che vediamo, ma una figura che stringe nello stesso tempo il divino ed il demonio]. Del sangue reale scorre dunque nelle vene di Gesù…. Il modello dell’albero della parentela del Cristo, l’albero di Jessé, è stato applicato prima alle famiglie reali. L’albero di Jessé è uno degli antenati dell’albero genealogico, quest’ultimo gli deve la sua arborescenza. Fin dal XIII secolo, i re sono stati raffigurati in medaglioni appesi ad un albero, l’antenato è posto sulla cima ed i suoi discendenti in basso sul tronco. Per il RS, i medaglioni raffigurano tutto sommato i geroglifici planetari [questo è particolarmente evidente nell’albero filosofico del Philosophia Reformata di Mylius]: si tratta della genealogia dell’oro alchemico che ha come genitori {, }, come padrino e madrina {, } che gli concedono il battesimo nella fontana mercuriale; come aïeuls {, }. Il coordinatore della cerimonia sulla fonte battesimale è certamente . Il passaggio ragguardevole di questa singolare parentela è la consanguineità che, nell’arte sacra, porta il nome di umido radicale metallico. Si tratta di un specificità alchemica che trae la sua origine dai vecchi mitologi egiziani e greci. Comunque sia, la connessione tra i simbolismi cristiani dell’albero di Jessé ed il suo oscuratore alchemico sono facili da trovare nell’iconografia. Nella raccolta Pandora, si trova questo:
Pandora, Alchimitisches Manuscript, 1550, Ms. L IV 1, UB Basel
Le rappresentazioni di Jessé lo mostrano in generale in una posa che è quella della meditazione, così spesso presente nelle incisioni [cf. Phil. Riformatta di Mylius, emblema 6, serie 3 ed il testo, probabilmente corretto, della Tabula smaragdina]. Il processo rappresentato è il passaggio dalla alla , vale a dire del movimento che conduce alla sublimazione. L’opera di Ermes fa così apparire, con l’aiuto dell’artista démiurgo, l’anima alata fuori dal tumulus. Vediamo dunque che il senso di paragonarlo al narcisismo è molto particolare, poiché egli può apparire dovunque si confondano l’anima interiore del démiurgo e l’ divino [o trascendentale a seconda che si abbia un punto di vista gnostico o stricto sensu, religioso]. È qui, secondo noi, che si trova la chiave di volta di tutto il processo spirituale dell’alchimia, infatti, la trascendenza rinvia all’assoluto che, per definizione, è il Bene [da qualunque parte si osservi, perché si tratta del luogo dove si esprime la più potente luminosità]. Possiamo intendere lo Spiritus Sanctus nel senso di un logos [come quello che Jung chiama il Cristo logos per differenziarlo accuratamente dal Cristo incarnato, addirittura storico]. La posizione del démiurgo [i.e. la figura umana nel RS] si trova nel collegamento tra acqua e terra, all’incrocio della via. Via reale che: conduce al lapis. Via tortuosa non meno di quella che conduce l’anima, come un psychopompa, fino alla terra-alba foliata [terra bianca scanalata]: è là che Cadmos semina i denti del drago [archetipo dello spiritus abscondus che si vede mentre sputa del fuoco ed un rospo su uno dei rotoli del RS]. Per ritornare al démiurgo, commenteremo alcune riflessioni di Jung.
“Saturno, in quanto pianeta più lontano, arconte supremo… possiede un grande significato poiché è proprio questo spiritus niger che giace prigioniero nell’oscurità della materia.” [Radici della coscienza, libro V, trad. Buchet Chastel, pp. 271-272, 1971, Pochothèque]
Si può fare qui un confronto tra il Saturno rievocato da Jung e quello che strige la colonna di pietra che sostiene la fontana mercuriale. Lo spiritus niger è prigioniero; è nascosto o occultato. Si dimentica troppo spesso che la filosofia detta occulta – quella di cui si occupano i discepoli di Ermes e quella di cui parla Agrippa nel suo Philosophia occulta – è una filosofia della materia nascosta, che l’arte alchemica deve sforzarsi di apprendere nelle pieghe dei metalli e dei minerali, per estrarne una sostanza protéiforme chiamata umido radicale. Del resto, l’etimologia dell’alchimia – che ha parecchie origini – mette in risalto delle espressioni come terra nera [dell’arabo kymia, cf. Aurora consurgens, II] facendo riferimento allo scioglimento ed alla testa di corvo, come pure al limo fertile del Nilo, portato dalle Aquile di cui parla Diodore di Sicilia [Storia universale]. Questa materia occultata sotto le apparenze della pietra solida è illuminata o meglio, depurata, col fuoco che la scioglie. È così che i metalli cengono aperti [adoperiamo qui il linguaggio dei vecchi chimici] e muoiono; ciò che fa, dissipare il loro umido radicale che si chiama – io (Ego) il quale si raccorda al geroglifico . Uno degli scopi dell’alchimista è di captare questa calce metallia mentre è ancora viva e di farne un raggio igneo , prima che si spenga. In questa doppia operazione, di captazione iniziale [trasferimento] per scioglimento poi di tintura [proiezione] poi per coagulazione, possiamo vedere la lotta di due principi, uno di distruzione , l’altro di generazione , lotta mediata dalla [cf. aurora consurgens, II]. Così, far passare la materia prima dalle tenebre alla luce consiste, esattamente come nel Passio Christi, a distruggere il metallo amorfo [crocifissione] con la rinascita poi [surrezzione del corpo glorioso, cf. réincrudation] sotto una specie cristallina. L’ordine, il logos, traspare sotto i fiori dell’albero: Il Medioevo ha fatto spesso ricorso a questa figura, mezzo agevole e vecchio per classificare ad esempio i vizi o le virtù [cf. Gobineau ed i medaglioni del portale centrale di Notre-Dame]. Qui ritroviamo ancora, le due facce del senso spirituale. La parte contraria all’Alchimitisches Manuscript di Basel, può essere trovata nella: Miscellanea di Alchimia:
Codex Ashburnham, XIV e siècle
Riassumendo: il démiurgo, l’iniziatore del processo alchemico, vede la sua opera sfuggirgli. La rottura avviene nel momento in cui si applica il fuoco – che bisogna comprendere come la – della materia. Questa rottura si integra esattamente come quella della Creazione che sfugge al controllo di Yahvé [vedere Jung, Risposta a Giobbe]: la proiezione della psiche nella materia crea un’entità che sfugge in grande parte al controllo dell’Io e che non ha attaccamento alla coscienza, questo perché il démiurgo è il luogo singolare [l’individuo] dell’incontro tra il tempo e lo spazio[la dissociazione di questi due tensori dell’essere, provoca il movimento dell’idea verso la materia prima che avvenga, anche, il processo di “presa di coscienza” che si può assimilare all’individuazione]. Mentre la materia viene sciolta col fuoco, diventando vischiosa. Il comportamento di un rettile [drago, serpente]; è costellato peraltro dallo spirito del démiurgo [a causa di un sforzo di proiezione più o meno cosciente] che gli imprime degli elementi dell’Io. Il fatto interessante, qui, in collegamento con ciò che abbiamo scritto nell’Aurora consurgens II, consiste in ciò che questo processo di proiezione permette nel confronto tra gli elementi della psiche che, abitualmente, non si incontrano prima: l’Io ed il Sé [ricordiamo che per noi, il Sé costituisce l’insieme delle “cose” esterne a priori alla psiche, vale a dire: di ciò che non è percepito immediatamente dai sensi]. Più precisamente, nella grande opera, l’alchimista esercita un’azione sulla materia. La cui particolarità è di non essere diretta [adopera un termine medio: Héphaistos di cui la forma degradata è la lanterna o la torcia]. Partendo dal momento in cui il fuoco esercita questa azione primitiva di scioglimento [senza la quale niente è possibile], un lavoro prende forma nella psiche dell’operatore, doppio lavoro che riguarda al tempo stesso il tempo e lo spazio, che succedono del resto uno dopo l’altro:si tratta dunque di una vera genesi, ed è con ragione che gli Adepti paragonano la loro prima materia ad un caos. Ad esempio: nello scioglimento, la materia cambia forma, questa metamorfosi implica necessariamente il ricorso al tempo; nella coagulazione, il solvente della materia si volatilizza e si coagula: è una modifica nello spazio di uno stato che esisteva già in ogni virtualità dopo che lo scioglimento ha fatto la sua opera. [si può mettere in dubbio l’affermazione di René Guénon che confonde Solve e Coagula nella sua Grande Triade (Gallimard, 1957, : ammette solamente la possibilità dell’assimilazione, là dove è evidente che si tratta della proiezione] Lo spirito dell’operatore è allora la sede di sentimenti condivisi che hanno il desiderio, dell’aspettativa e della speranza. Così, tutto come la materia si trova, per così dire, immersa in un tipo di bolla germinativa [vedere l’albero del Mercurius redivivus, in Samuel Norton, Alchymiae complementum e perfectio], la psiche si trova collocata al di fuori della sfera abituale della coscienza, in uno stato che presenta dei rapporti con l’inquietudine e l’estasi [di cui unicamente l’impressione provata, probabilmente con la musica, può dare un’idea accettabile, di una relazione valida o equivalente]. Questo, in particolare, sembra vero fra gli Gnostici, dove bisogna inserire Zosime di Panopolis [vedere Jung, le Radici della coscienza] ed i néo-gnostici post paracelsiani, fra i quali bisogna annettere Gerhard Dorneus [vedere M.L von Franz, l’immaginazione attiva, trad. la Fontana di Pietra, 1989 dove l’autore commenta l’opera dell’alchimista Gerhard Dorn, in particolare il De Tenebris contra Naturam e Vita brevi, in Theat. Chem, 1602, volo. I, pp. 457-472]. Due elementi permettono di annoverare Dorn tra gli autori più radicali e più idealistici: il suo rifiuto del quaternario che assimila ad un quadricornus serpens [dove bisogna vedere il Male] comparato alla trinità: “… mentre il simbolo centrale del cristianesimo è una Trinità, la formula dell’inconscio è un quaternario.” [Jung, Psicologia e Religione, trad. Buchet Chastel, 1960, il dogma ed i simboli naturali, p. 114]
Se riflettiamo bene, è quasi logico. Riprendiamo il frontespizio dell’Azoth; il dettaglio centrale è un di fuoco dove tre ideogrammi occupano una situazione angolare: , e [che non è rappresentato esattamente come il nostro simbolo ma di cui sembra legittimo compagno]. Il simbolo di questa triade è evidentemente la che segna lo scioglimento. La dissolutio o nigredo sono quindi assolutamente equivalenti al Passio come abbiamo visto sopra. È l’unico mezzo che permette di finire in questo stato che è la sublimatio o albedo. Di questa triade, sappiamo bene che i componenti non sono più uguali, se non nella loro comune dissoluzione: o animus è il principio che, con l’essenza, si scioglie contribuendo esso stesso alla dissoluzione. Il sulphur o anima non resiste alla dissoluzione dal momento che viene estirpato dal corpo in cui giace. Solo il corpus resiste a questo potere risolutivo poiché rimane, in principio, incombustibile ma gli si accorda un certo grado di libertà, libertà tutta relativa, purché un certo artificio – molto conosciuto da Fulcanelli – giunga a mantenerlo vischioso, resterà, come l’unicorno, nel grembo della trinità. Questo non è il caso del Diavolo:
“Il Diavolo… ha dunque una personalità autonoma, è in possesso della libertà e dell’eternità, ed egli divide questi attributi con la Divinità che può esistere anche contro Dio. Di conseguenza, la relazione o anche la partecipazione, negativa, del Diavolo alla Trinità non può più essere negata, come concezione cattolica.” [idem, p. 115]
La conclusione da trarre ci sembra abbastanza chiara: se il Diavolo viene opposto essenzialmente a Dio [puro spirito] è perchè rappresenta un corpo puro, privo di spirito… è ciò che si realizza nella fase di assation (Azione di digerire, cuocere, sublimare, volatilizzare, fissare la materia dell’opera) [per la via secca se si segue Fulcanelli] dove l’artista riesce a sublimare progressivamente il fino alla sua totale scomparsa, ottenendo il lapis cristallizzato allo stato puro. Aggiungiamo che privo di spirito non significa privo di anima:
“Dorneus rompe così con tutta la tradizione, adottando molto cristianamente il punto di vista che il Tre è l’Uno, non il Quattro, questo completa la sua unità nella Quintessenza.” [Ibid., p. 115]
Sappiamo cosa rappresenta questa quintessenza che ci indica Jung: il suo primo stato è , ed egli non potrebbe immaginare un peggior stato di scioglimento. Per tanto, è questo veleno di serpente che si procura l’anima che è destinata a proiettarsi in massa [parabola della caduta dell’angelo] nel Sale [o corpus]. Nel RS, possiamo vedere un che contiene la fontana inferiore [dove si può vedere il serpens quadricornus, i.e. contenente i quattro elementi], la stessa che contiene la triade, dalla quale si erge una colonna di pietra. Il passaggio dove Dorneus parla di questo serpente è ripreso da Jung:
“Il diavolo ha innalzato, le corna nel cielo, quando fu cacciato e cadde, gli tentò poi di imprimerle nello spirito umano: sono l’ambizione, la brutalità, la calunnia, ed il dissenso.” [Mysterium conjunctionis, t. II, n. 378, pp. 121-122, in Dorneus, Di Tenebris bloccarono naturam e vita brevis, Theatrum chemicum, t. I, 1602, p. 531]
Come possiamo intrpretare la transizione che si va a stabilire tra i draghi ed il rospo, nella parte bassa del dipinto e questa acqua prima che non è più l’aqua permanens? Per tentare una spiegazione, c’occorre ritornare alla mitologia.
combattimento di Phébus col Pitone, f. 8,
Nell’immagine la transizione dal nigredo all’albedo, ci ricorda alcuni elementi che si ritrovano nelle pitture dello Splendor Solis. Dobbiamo precisare che in questa scena Febo e Cadmos sono equivalenti;questo ci permetterà di introdurre il seguito illustrato di questa storia favolosa. Poniamo di trovare qui una concezione primitiva del Bene e del Male, la cui l’ambiguità è vidente: in certe credenze [al Venda, ex Banboustan] il pitone, a motivo dei suoi vomiti, è all’origine della creazione: come non vederci l’analogia con lo sperma di Urano (Ouranos) che crea l’universo dopo essere stato evirato da suo figlio ? Un’altra interpretazione ci dice che:
“… il pitone partecipa alla natura divina, perché fu, sotto forma di una creatura di natura ambigua, il padrone delle creature, prima che questo potere venisse dato all’uomo. Infatti, nel mito della creazione, è detto che essendo stata l’origine della caduta dell’uomo, la creatura dalla natura ambigua fu trasformata in due serpenti, un maschio e l’altro femmina, egli venne cacciato dal cielo nello stesso momento in cui si formò la terra. Quando la terra fu lontana del cielo e le sue acque separate, una pioggia diluviana cadde su di lei…. I due serpenti che vivevano nell’acqua, emisero ciascuno un soffio nell’aria. I due soffi si incontrarono e formarono un arcobaleno. Questo fece fermare la pioggia…. Da questo momento, per la natura dell’arco – in-cielo, il pitone è per i Baluba il simbolo dell’alleanza tra le forze del cielo e quelle dell’acqua, della pace e dell’unione cosmica.” [l’arte africana]
Questo pitone caratterizza i principi elementari sciolti {, }; la sua ambiguità è segnalata in ciò che si tratta di un simbolo chthonien: l’ombra della bocca che si apre a ponente per inghiottire il sole che nasce a levante [vedere questo sole sfigurato a forma di rospo nel RS del resto]. Abbiamo scritto che il trionfo di Febo era quello del conscio sull’inconscio ma questa riflessione è sommaria: egli non compie un’irruzione distorta ma transizione ed interazione; questo, nella misura in cui la psiche è la sede di movimenti convergenti incessanti dove emersione ed immersione vanno a formare una massa confusa [interazioni Io – Sé] che è uguale alla parabola dove Cadmos semina i denti del drago che ha appena vinto. Per caduta dell’uomo, bisogna intendere lo scioglimento dello spirito che, un tempo, era il solo modo che si era trovato per significare [fare prendere forma materiale] l’inconscio [di cui l’espressione immediata consiste nel trasferimento e la proiezione: ne siamo più o meno coscienti poiché sono questi stati che ci allontanano dalla nostra condizione puramente materiale]; si comprende perchè questo scioglimento allora, non poteva essere compreso che come il Male. Questi due serpenti sono non sono altro che il sulphur e lo Zolfo bianco o Sale . Questo diluvio è quello che ci tramandano i vari testi, ed è l’aqua permanens. In quanto al soffio emesso dai serpenti, corrisponde a quello che è stato indicato come «lo spiritus corruptus», nell’Aurora consurgens, II [vedere figura 8 del Rosarium Philosophorum]. Jung dedica il capitolo 7 della sua Psicologia del Trasferimento a questa incisione e gli dà come titolo: l’ascensione dell’anima. Abbiamo già espresso i nostri dubbi sul chiamare anima questa sostanza eterea, per la buona ragione che non si saprebbe come estrarre l’anima da un corpo che non ha mai vissuto, questo è, stricto sensu, il caso della coppia elementare {, } dove i principi non sono stati ancora animati. Perciò, quando Jung scrive che bisogna intendere questa sostanza come funzione di relazione, vediamo il trasferimento come il legame, nel processo alchemico, con Cronos . Jung aggiunge:
“Tuttavia, contrariamente a ciò che bisognerebbe pensare se si trattasse di una concezione, l’anima non scende a vivificare un corpo, ma abbandona questo per alzarsi.” [l’ascensione dell’anima, p. 132, trad. Albin Michel, 1980]
La situazione è paradossale perché lo scopo che persegue l’alchimista è una concezione bella e buona. Visto quanto detto sopra, ed a dispetto della leggenda ANIMAE EXTRACTIO VEL IMPREGNATIO, possiamo vedere solamente uno spirito alzarsi sulle esalazioni del nigredo. Parimenti, sarebbe falso vedere un vero cadavere ed immaginare che si assista allo scioglimento delle parti di un corpo: perché non è uno, ma due corpi che vediamo fondersi progressivamente in un unica entità. Fusione e scioglimento sono qui congiunte, solo la metallurgia [vedere particolarmente Micea Eliade, Fabbri ed Alchimisti, Flammarion, 1956] arriva a spiegare il paradosso ed a snodare questo nodo gordiano dell’anima che esce da un corpo che non ha mai vissuto…
“È anche detto [nel Rosario] che si devono sorvegliare l’acqua ed il fuoco che risiedono nella sostanza misteriosa, trattenendo la loro acqua con la sua acqua, (l’acqua permanente, acqua permanens)… Dalla soluzione alla ebollizione nella quale gli elementi si disgregano, e la sostanza preziosa, l’anima, minaccia di uscire. È una realtà paradossale, composta da fuoco e da acqua, questo è il Mercurio…” [idem, p. 135 e citazione dell’Artis Auriferae, II, p. 264]
Jung non è uno sciocco, ma non può integrare nel suo sistema il fatto che non è di anima che si tratta ma di spirito corrotto che giace nascosto nelle pieghe della materia. È del resto abbastanza sorprendente che nel «Radici della coscienza» [cf. sopra] aveva definito perfettamente questo «spiritus niger, alias spiritus corruptus».
Cadmos e gli spartoi, f. 30, Ovidius, Metamorphoseon libro XV, Belgio, Fiandre, XV° secolo
Non è tutto: Jung è perfettamente cosciente del carattere “artificiale” del nigredo, quando introduce questo commento dopo la lettura del Rosarium, segue un passaggio di inno e di lodi dove l’autore glorifica lo stato di scioglimento:
“Non riusciamo a comprendere come questo stato di tenebre buone possa meritare uguale lode, il nigredo viene considerato generalmente come un umore scuro e malinconico che rievoca la morte e la tomba.” [ibid., p. 136]
Jung cita un passaggio de «La notte oscura di san Giovanni della Croce che:
“… concepisce la notte spirituale dell’anima come un stato assolutamente positivo, nel quale la luce divina invisibile… penetra l’anima e la purifica.” [ibid, pp. 136-137]
L’immagine precedente rievoca Cadmos che semina i denti del drago [che rappresenta la materia prima] e gli spartoi rappresentano questa ebollizione della materia come ci segnala Jung: dopo che Cadmos ebbe seminato i denti del drago sulla terra dove Tebe doveva erigersi, dei guerrieri spuntarono dal suolo e cominciarono a battersi. Cinque sopravvissero: gli Spartoi. Avevano per nomi, Echion [ – serpente] il padre di Penthée, Odaeos [uscito dal suolo], Chthonios [uscito dalla terra] Hypérénor [superuomo] e Péloros [gigante]. Esaminiamo più da vicino il simbolismo di questi Spartoi: sono in effetti tutti generati dalla terra e dai rapporti presenti a questo titolo con i geni sotterranei che agiscono sui metalli [cf. Bergbüchlein e Leggenda di Seyfried]. Echion [ – serpente] è dunque uno di questi rari superstiti e padre di Penthée di cui la sorte funesta ha qualche rapporto con quello di Osiris [fu messo nei luoghi delle donne di Tebe che erano perite per i deliri bacchici, decapitati da sua madre Agavé, colpita poi da follia]. Si vedono già trasparire, attraverso questa leggenda, gli Elementi di Empédocle degli Spartoi: il drago primitivo o Caos dà la nascita, attraverso il démiurgo [Cadmos] al fuoco distruttore o Echion di cui la generazione subisce dolori ed afflizione [ ]: è un’evocazione indiretta del massacro degli Innocenti [vedere le immagini del Libro di Abramo Juif]. Odaeos trae la sua origine da [che esce dalla terra, parlando di una sorgente]: si tratta dunque del simbolo dell’ che incarna l’. Péloros [ ] significa al tempo stesso “di una grandezza prodigiosa” che gli fa toccare la , elemento al quale è evidentemente legato ed anche mostruoso [parlando di un drago] o potente [rievocando Zeus]. Emerge da queste analogie che due elementi acquistano dei caratteri che si collegano al Bene {, }, mentre gli altri {, } si collegano al Male. Si nota che gli elementi associati all’introversione sono l’acqua e la Terra mentre quelli legati alla estoriorizzazione sono il Fuoco e l’Aria. Resto il quinto elemento che, in ogni logica, è legato alla quintessenza: si tratta di Hypérénor [, i.e. fidarsi della sua forza, orgogliosa] che deve essere associato all’ideogramma . La Forza, l’orgoglio, ecco virtù e vizio ben conosciuto dai discepoli di Ermes: l’orgoglio simboleggia in alchimia l’opposizione tra il sale fisso centrale e le parti alate della materia; in quanto alla forza, si tratta del Leone, simbolo mercuriale doppio. Basilio Valentino ha scritto su questo argomento parole che sembrano definitive:
“Sciogli e nutri il Leone col sangue:il Leone verde, ché è il sangue fisso;il Leone rosso è fatto del sangue volatile del verde, per cui sono tutti due di una stessa natura” [Dodici Chiavi di filosofia, dello Zolfo, secondo principio dei filosofi].
Possiamo così affermare, che Hypérénor è un Gigante dai piedi d’argilla [vedere più avanti: il sogno della statua di Nabuchodonosor]. Lo si può considerare come generato dalla razza di coloro che furono gettati nel Tartaro. Del resto, questo gigante avrà solamente un’esistenza effimera
“Una leggenda della Bassa-Austria… racconta che si vede spesso un gigante cavalcare sopra le montagne, in groppa ad un cavallo bianco, significa:pioggia prossima.” [Jung, Metamorfosi dell’anima ed i suoi simboli, VI. la Lotta per liberarsi della madre, trad. Georg, pochothèque, p. 462]
La chiave dell’enigma è data dalla figura 9 del Rosarium Philosophorum: la rugiada di maggio annuncia il diluvio o attivazione del Mercurio [aqua permanens]. La figura I dell’Aurora consurgens rievoca esattamente lo stesso simbolismo con l’aquila, annunciando gli assalti mercuriali [le sublimazioni filosofiche]. Queste sublimazioni hanno per scopo di assicurare la nutrizione del lapis che nasce [nascita che ha come segno i colori della coda di pavone]. il Nostro Gigante non muore dunque ma sparisce provvisoriamente. Ma può dirsi di un Gigante che è vivo? Secondo Paracelso, i Giganti sono privi di anima… Nel senso, ecco che è esatto.
“Essi [i Giganti] ingrandirono con questo il significato dell’uomo in modo gigantesco”, questo stà ad indicare che ci fu allora un’inflazione della coscienza culturale. Ora, un’inflazione è minacciata sempre da un contraccolpo emanato dall’inconscio, contraccolpo, del resto, che non mancò di prodursi sotto forma di diluvio.” [Jung, Risposta a Job, trad. Buchet Chastel, 1964, p. 138-139]
Visto sul piano psicologico, bisogna comprendere che il Sé diventa smisurato nell’assenza di polarizzazione esercitata dall’Io. Questa inflazione di cui parla Jung può finire in una separazione che si chiama, schizofrenia. Inteso sul piano alchemico, il Sé è assimilabile allo spirito, il quale è una delle forme del Mercurius. Dopo lo scioglimento o nigredo, abbiamo visto che parti del lapis si riunivano a forma di Rebis [cosa doppia]: questa associazione è inizialmente labile poi, al tempo del rubedo, diventerà permanente e radicale. La permanenza di questo cambiamento di conformazione della materia [transizione dall’amorfo al cristallo] è assicurata dalla proiezione dell’anima [sulphur ] in questo uomo doppio igneo [Basile Valentin chiama così il Rebis]. Torniamo ora sul problema maggiore del Bene e del Male, la cui analisi può solo rendere conto di questa concezione ambivalente dell’ermafrodito degli alchimisti.
Alchimistisches Manuscript (Donum Dei), 1550, Ms. L IV 1, UB Basel (vgl. Bild 89)
Di questo gigante, di questo Hypérénor, gli alchimisti ne hanno fatto il loro ermafrodito vittorioso sul caos, come ci mostra questo magnifico acquerello, estratto dal Pandora di Reusner. Si nota che il collegamento con lo spartoi non è fortuito poiché ritroviamo nelle mani dell’anthropos i due attributi della Forza [la spada] e dell’orgoglio [la corona]. Se riprendiamo la definizione data dei Giganti, rimarremo stupiti dalle coincidenze:
“Sono degli esseri enormi, di una forza invincibile, di un aspetto spaventoso. Hanno una spessa capigliatura, una barba irsuta, e le loro gambe sono dei corpi di serpenti.” [Pierre Grimal, Dizionario della mitologia greca e romana, Parigi, 1963]
Un’altra figura si avvicina a quella rappresentata qui: quella del Rosarium Philosophorum [figura 11] dove l’anthropos tiene in una mano una coppa piena di serpenti [simboleggia l’orgoglio] e nell’altro Pitone [ la Forza con dietro il lato distruttore].