Ipnosi / La Storia, la Teoria ed il Metodo – 7.1

PsicologiaFenomenologia dell’Ipnosi

1. Profondità dello stato ipnotico. — 2. Risposte volontarie ed involontarie. — 3. I compiti post-ipnotici.

La fenomenologia ipnotica è solitamente correlata alla profondità dello stato ipnotico. Per coloro che non ritengono utile né provata, la concettualizzazione di uno stato ipnotico, il concetto di profondità è di conseguenza pleonastico. Tutti gli studiosi sono comunque d’accordo che al più, il termine «profondità» rappresenta una conveniente metafora come quando si parla di profondità del sonno. Essa è valutabile, almeno allo stato delle nostre conoscenze, solo in relazione alla esperienza del soggetto. Essa infatti non è direttamente correlata con il verificarsi di taluni fenomeni, dato che essi si possono verificare senza che il soggetto appaia né si senta «sprofondato nella trance» e viceversa.

Ipnosi / La Storia, la Teoria ed il Metodo – 7.1

di Guglielmo Gullotta

«Tutti noi portiamo una maschera, e colui che s’addormenta lascia cadere la maschera. Perciò è indiscreto guardare un uomo che dorme. Un viso addormentato è un po’ come una lettera non diretta a noi». Sacha Guitry

Capitolo VII / Fenomenologia dell’Ipnosi

Sommario: 1. Profondità dello stato ipnotico.2. Risposte volontarie ed involontarie.3. I compiti post-ipnotici. — 4. La produzione sperimentale della fenomenologia ipnotica. — 5. Distorsioni percettive; le allucinazioni e la distorsione temporale. — 6. L’ipnosi come tecnica proiettiva. — 7. L’ipnosi nell’induzione ed interpretazione dei sogni. — 8. L’ipnosi nelle libere associazioni. — 9. La scrittura automatica. — 10. Conflitti sperimentali. — 11. Trans-identificazione. — 12. Alterazioni della memoria: amnesia, amnesia post-ipnotica, amnesia post-ipnotica della fonte, altri tipi di amnesia. — 13. Regressione d’età.

1. Profondità dello stato ipnotico

La fenomenologia ipnotica è solitamente correlata alla profondità dello stato ipnotico. Per coloro che non ritengono utile né provata, la concettualizzazione di uno stato ipnotico, il concetto di profondità è di conseguenza pleonastico. Tutti gli studiosi sono comunque d’accordo che al più, il termine «profondità» rappresenta una conveniente metafora (1) come quando si parla di profondità del sonno. Essa è valutabile, almeno allo stato delle nostre conoscenze, solo in relazione alla esperienza del soggetto. Essa infatti non è direttamente correlata con il verificarsi di taluni fenomeni, dato che essi si possono verificare senza che il soggetto appaia né si senta «sprofondato nella trance» e viceversa.

Tart (2) definisce un d-SoC (discreto stato di coscienza) come un raggruppamento di funzionamenti psicologici in una regione di spazio esperienziale. Si possono verificare variazioni quantitative negli aspetti dell’esperienza e del funzionamento psicologico, variazioni che sono in rapporto con quello che chiamiamo profondità o intensità di uno stato di coscienza.

«Il concetto di profondità», dice Tart, «è molto simile al concetto di un d-SoC; può essere un modo per descrivere un cambiamento ordinario nei rapporti all’interno di un d-SoC, o una spiegazione teorica di cambiamenti dell’azione del sottosistema sottostante del d-SoC, un’ipotesi che consente previsioni su cose non ancora osservate su quel d-SoC.

Per esempio il concetto di profondità o di livello di ebbrezza da alcool può, a livello descrittivo, essere semplicemente un’affermazione basata sull’osservazione che l’intensità crescente di ebbrezza è associata con un crescente numero di errori in qualche tipo di esecuzione di un compito. A livello teorico, tuttavia, la profondità di ebbrezza può essere compresa come cambiamenti in certe strutture fondamentali del cervello, cambiamenti che hanno effetti sparsi su una varietà di esperienze e comportamenti».

Effetto tipo A è presente nel d-SoC ordinario ad un livello basso o zero e via via che il d-ASC (discreto stato alterato di coscienza) si approfondisce, ad una certa soglia, l’effetto comincia a divenire più intenso. Poi raggiunge un livello massimo di intensità e lì rimane anche se la profondità aumenta. Questo effetto di crescita-plateau ha luogo spesso nell’ebbrezza da marijuana.

Effetto tipo B: diviene manifesto quando si raggiunge una profondità di una certa soglia, quindi cresce di intensità col crescere della profondità come il tipo A. Ma dopo la stabilizzazione ad un valore massimo per un certo periodo di tempo, l’effetto decresce e poi sparisce con l’ulteriore crescita di profondità.

Effetto tipo C: non si manifesta finché non è raggiunta una certa profondità. Poi si manifesta completamente per una certa gamma senza variazioni nella sua intensità, e sparisce al di là di questa gamma.

Effetto tipo D: inizia a manifestarsi leggermente al livello minimo di profondità, appena si entra nel d-ASC e aumenta uniformemente in continuità ed intensità attraverso tutta la dimensione profondità. Questo aspetto di crescita lineare è comunemente assunto come tipico della maggior parte dei d-ASC ».

Effetto tipo E: si manifesta fortemente nel d-SoC ordinario e non viene cambiato fino ad una certa profondità nel d-ASC. Poi comincia a diminuire di intensità con l’aumentare della profondità, oppure ritorna più o meno intensamente ad una maggiore profondità, forse con un effetto a gradino-crescita-plateau.

Tart nei suoi esperimenti ha usato la « Extended North Caroline Scale» in cui ai soggetti viene detto che non c’è nessuna sommità della scala da raggiungere, ma che possono andare molto a fondo nell’ipnosi, al di là di punti definiti. Quando lo sperimentatore chiede al soggetto «Stato?» questi deve dire il numero che gli viene in mente e che rappresenta la profondità dello stato ipnotico in quel momento. Inoltre Tart ha studiato a fondo le scale di profondità autovalutate ed ha scoperto che sono molto utili per misurare l’intensità dello stato ipnotico. Il caso di William ne è un esempio.

William aveva già partecipato a sedute ipnotiche ed era considerato un buon soggetto ipnotico. Tart nella seduta sperimentale gli disse che lo scopo era di indagare su cosa l’ipnosi fosse per lui personalmente.

William fu intervistato per circa un’ora per determinare cosa sentisse normalmente durante l’ipnosi, oltre alle sue reazioni a fenomeni specificamente suggeriti, e a quale livello di profondità fosse secondo la Extended North Caroline Scale quando aveva sperimentato queste particolari cose. Poi fu ipnotizzato, ed a ogni intervallo di 10 punti gli si chiese di rimanere a quella profondità e descrivere ciò che sentisse. William arrivò anche a 90, e per poco tempo, anche da 90 a 130 punti sulla Extended North Caroline Scale, secondo la sua valutazione.

Quando fu interrogato sulla profondità rispose che gli veniva in mente un numero e lui lo diceva, anche se non sapeva come si fossero generati e cosa significassero questi numeri. Il grafico che segue rappresenta i risultati sia dell’intervista precedente all’ipnosi, che della seduta ipnotica. I cerchietti rappresentano valutazioni ottenute durante la seduta ipnotica, i quadrati valutazioni ottenute durante l’intervista precedente.

Il primo effetto, quello del rilassamento fisico non è schematizzato oltre il numero 20. Secondo William il rilassamento aumenta molto mentre egli viene ipnotizzato e raggiunge rapidamente un valore di estremo rilassamento, ma dopo la profondità di 50 non ha senso interrogarlo sul rilassamento, «perché egli non si identifica più col corpo, che è diventato una cosa».

«Il secondo effetto esperienziale è il “campo visivo nero”. Il suo campo visivo diviene rapidamente nero ed informe mentre egli va in ipnosi, continua a divenire più nero con un crescendo quasi lineare fino circa a 60, poi diviene sempre più nero ma in un certo senso si è “riempito” anche se lui non percepisce alcuna forma particolare. Dopo 60 non è particolarmente consapevole di nessuna sensazione visiva, se l’attenzione non vi è attirata dallo sperimentatore». La terza sensazione è dì “pace” e «aumenta linearmente fino circa a 60. Oltre il 60 il concetto di pace non è significativo, come nel caso del rilassamento fisico. Il quarto effetto è il grado di consapevolezza dell’ambiente. Questo diminuisce rapidamente, e a circa 50 William riferisce di non essere affatto consapevole dell’ambiente eccetto che per la voce dell’ipnotista». Il quinto effetto è il “senso di identità”.

«Nella fase leggera dell’ipnosi William è consapevole della sua identità ordinaria e della sua immagine corporea, ma quando raggiunge una profondità di circa 30, riferisce che la sua identità è più concentrata nella testa. Questa sensazione cresce finché a 80 o 90 sente che la sua identità ordinaria è completamente sospesa: William non esiste più». Ma da circa 50 egli sente un’altra identità che aumenta fino circa a 80: questa identità è potenziale. William non si sente identificato con una persona o cosa specifica, ma semplicemente come un potenziale di essere qualsiasi cosa o qualsiasi persona che aumenta uniformemente. Il sesto fenomeno è la “consapevolezza dello scherzo”.

«Questo fenomeno si manifesta a circa 50, raggiunge un massimo a circa 70 e sparisce completamente a circa 90. Lo scherzo è che William dovrebbe impegnarsi in attività strane, come l’ipnosi profonda, la meditazione o prendere delle droghe per alterare il suo d-SoC; un qualche aspetto più alto” del suo sé è divertito da tutta questa attività e William ne è consapevole».

L’altro effetto è il “senso di potenzialità” che «comincia da zero ma a circa 50 si manifesta prima come consapevolezza di qualche tipo di canto o di suono, identificato con la sensazione che una sempre maggiore esperienza è disponibile». A circa 80 William sente che una gamma infinita di esperienze è disponibile potenzialmente, poi il fenomeno svanisce.

L’ottavo effetto, «l’identità dello sperimentatore», aumenta fino a circa 30, poi lo sperimentatore diviene sempre più distante e remoto, non ha più identità, è solo una voce, e a livelli molto profondi è «un’onda divertente e piccolissima ai limiti estremi di un mare infinito di coscienza».

Il nono effetto è la «velocità del passaggio del tempo». Il tempo passa sempre più lentamente fino circa a 40, William sente che il tempo cessa di avere un significato per lui, a 50 egli non è più nel tempo. «L’attività mentale spontanea scende costantemente fino a raggiungere un livello zero a circa 90, e lì rimane per tutto il resto della gamma di profondità schematizzata.

L’ultimo effetto è «la consapevolezza della propria respirazione». La respirazione tende a divenire uniformemente sempre più profonda, ma a 50 diviene molto tenue, quasi impercettibile e tale rimane per tutto il resto dello stato ipnotico. Tart notando un gran numero di cambiamenti a gradino o di cambiamenti abbastanza rapidi nella gamma da 50 a 70, rileva che al di là di 70 non si sa se abbiamo ancora a che fare con l’ipnosi profonda o se questi cambiamenti rapidi possono rappresentare una transizione ad un nuovo d-SoC. Comunque al livello massimo (assumendo che la gamma da 70 a 130 rappresenti il continuum di profondità per il nuovo d-SoC) lo stato ha determinato caratteristiche fenomenologiche:

1) nessuna consapevolezza del corpo fisico;

2) nessuna consapevolezza di qualsiasi «cosa» o sensazione discreta, ma solo la consapevolezza di un flusso di potenzialità;

3)nessuna consapevolezza del reale ambiente circostante, con l’eccezione della voce (depersonalizzata) dello sperimentatore come «un’onda divertente e piccolissima ai limiti estremi di un mare infinito di coscienza»;

4) una sensazione di essere al di là, del tempo;

5) un senso di identità “William” che è mantenuto totalmente in sospeso, e l’identità che è semplice potenzialità.

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(1) TART C, Stati di coscienza, Astrolabio, Roma, 1977, 191; HILGARD E. R., Divided Consciousness, Wiley, New York, 1977,   167. (torna al testo)

(2) TART C, op. cit. (torna al testo)

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2. Risposte volontarie ed involontarie

Anche il criterio di distinguere lo stato ipnotico come quello in cui si manifestano comportamenti involontari, non appare discriminante. Hilgard infatti fa notare (3) che le parole usate nel linguaggio comune, come «volontario» o «involontario», sono estremamente imprecise.

Per esempio, l’azione di una dattilografa è volontaria, mentre starnutire è involontario, ma si sa che una dattilografa esperta compie molte azioni quasi automaticamente e che, se necessario, uno starnuto può essere trattenuto. La distinzione tra volontario ed involontario è paragonata inesattamente a quella tra conscio ed inconscio. Anche i concetti di azione volontaria e controllo conscio sembrano sinonimi, come quelli di azione involontaria ed inconscio, ma che non lo siano è evidente quando ci succede qualcosa al di fuori del nostro controllo, (per es. un mal di denti), quando c’è coscienza ma non c’è volontà.

Questi concetti valgono infatti anche quando un atto normalmente conscio, come un movimento od un gesto abituale, è compiuto senza coscienza. La volontarietà e non volontarietà è spesso soltanto un giudizio che l’agente o lo spettatore da dell’evento fenomenico. Vedremo nel capitolo XII quanto delicata e difficile sia la diagnosi relativa. In questo capitolo tratterò di alcuni fenomeni psicologici e comportamentali che più comunemente vengono correlati con l’ipnosi.

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(3) HILGARD E. R., Divided Consciousness, cit., 116-117. (torna al testo)

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3. I compiti post-ipnotici

I fenomeni che descriverò sono ottenibili sia durante la sessione ipnotica sia attraverso compiti post-ipnotici cioè suggestioni che valgono per un periodo successivo alla deipnotizzazione. In questo caso secondo alcuni, in particolare Erickson (4), il soggetto nel compiere ciò che gli è stato richiesto di compiere (per esempio: mi scriverai una cartolina tutti i giorni uscendo dal tuo ufficio per un mese) rientra nella trance. Secondo me invece si è creata una tale aspettativa nel soggetto che il comportamento si determina di conseguenza, esattamente come se credendo alla chiromante, quando lei mi dice che la sera successiva mi sentirò triste e stanco, tali sensazioni possono provocarsi realmente.

Barber (5) ha ipotizzato che: «… i soggetti non si uniformeranno alle suggestioni se sono stati indotti a credere che l’ipnotista o lo sperimentatore non sapranno se essi si siano o meno uniformati alla suggestione». Orne ed altri (6) controllarono questa possibilità informando i soggetti che durante le 48 ore successive ogni volta avessero sentito la parole “esperimento” avrebbero dovuto rispondere toccandosi la fronte con la mano destra.

La parola fu pronunciata non solo dallo sperimentatore, ma anche dal suo segretario che era rimasto fuori dal contesto sperimentale. 5 dei 17 soggetti ipnotizzati risposero al test «informale» del segretario, mentre nessuno dei soggetti del gruppo di controllo che simulava l’ipnosi rispose alle sue suggestioni. Orne e gli altri conclusero che almeno per certi soggetti ipnotizzati il comportamento post-ipnotico non può essere attribuito all’obbedienza e non è completamente dipendente dalla percezione del soggetto di ciò che l’ipnotista si aspetta.

In un altro esperimento St. Jean (7) ha voluto verificare questa ipotesi ed inoltre paragonare le risposte post-ipnotiche sia in condizione di ipnosi, sia di istruzioni motivanti. I soggetti venivano informati che l’esperimento consisteva nello studiare il rapporto tra ipnosi ed immaginazione, dopo di che dovevano chiudere gli occhi ed ascoltare una registrazione. Una metà ascoltava una classica induzione ipnotica e l’altra metà delle richieste motivate e delle istruzioni.

La suggestione post ipnotica era che il soggetto, subito dopo aver sentito un ronzio, si sarebbe alzato e sarebbe andato ad aprire e chiudere la porta dell’ufficio. L’esperimento era congegnato in modo che l’ipnotista, prima che si sentisse il ronzio, era chiamato da uno studente e usciva dalla stanza chiudendo forte la porta. Un altro studente era nel corridoio ed osservava se il soggetto obbediva o no alla suggestione di aprire e chiudere la porta.

I risultati mostrarono che alcuni dei soggetti eseguirono la suggestione post-ipnotica anche in assenza di controllo diretto, ma l’ipotesi che il comportamento post-ipnotico si verificava con frequenza maggiore sotto controllo fu confermata. Fu trovata anche una forte correlazione positiva tra la risposta post-ipnotica ed il livello di suggestionabilità, indipendentemente dal controllo. L’ipotesi che la risposta senza controllo avverrebbe con maggiore frequenza per l’ipnosi piuttosto che per soggetti con richiesta motivante non è stata confermata. Parte dei risultati sembra dar ragione all’ipotesi di un alterato stato di coscienza, parte sembra confermare la teoria del role-enactment.

Si possono distinguere le suggestioni post-ipnotiche senza suggestione di amnesia, da quelle con suggestione di amnesia. Le prime sono spesso suggestioni di atti semplici, efficaci anche se il soggetto le ha ricevute senza essere in trance profonda. Per tradizione si suppone che solo soggetti ipnotizzati rispondono alle suggestioni post-ipnotiche; cioè condizione necessaria per realizzare una suggestione post-ipnotica sarebbe un precedente stato di trance. In un esperimento di Barber (8) i risultati non confermarono questa ipotesi di partenza. 186 soggetti furono assegnati a caso a tre diversi gruppi sperimentali (induzione ipnotica standardizzata, istruzioni motivanti, nessuna induzione o istruzione) e ricevettero la suggestione di tossire in modo automatico ad uno schiocco delle dita dello sperimentatore. Il gruppo dei soggetti ipnotizzati reagì nel 60% dei casi, il gruppo con istruzioni motivanti nel 56%, ed il gruppo di controllo nel 40%.

Anche in altri studi si rilevò che non è necessaria l’induzione ipnotica per far si che i soggetti realizzino le suggestioni post-ipnotiche. Non parrebbe infondata l’ipotesi di Barber e Sarbin secondo cui la realizzazione delle suggestioni post-ipnotiche si basa almeno in parte sulla consapevolezza che i soggetti, ipnotici o no, hanno dell’aspettativa del ricercatore. Se essi non realizzano le suggestioni l’esperimento sarà inutile, senza significato, e saranno considerati soggetti scadenti, che deludono le aspettative dello sperimentatore. Inoltre i soggetti non sanno in cosa consiste l’esperimento, ciò che lo sperimentatore dice loro può diventare il compito che devono eseguire, e trovandosi in una situazione di esperimento, cercheranno di eseguirlo.

Diversa è l’ipotesi della suggestione con seguente amnesia. Si è visto che per alcuni, ad esempio Erickson, quando il soggetto esegue un’azione post-ipnotica rientrerebbe in uno stato ipnotico. È come se si organizzasse una seconda personalità, distinta da quella solita, che può alternarsi od interagire con questa. D’altra parte però numerosi studi fanno notare che spesso gli atti vengono compiuti senza manifestare segni esterni di trance e con la coscienza del motivo per cui si esegue l’atto, senza amnesia ad atto compiuto.

Elementi caratteristici di queste azioni sono la coazione e la razionalizzazione del motivo per cui si compie l’atto, che avvicinerebbero la realizzazione dell’atto post-ipnotico ad azioni di tipo ossessivo-coatte. Se il soggetto, infatti, riceve suggestioni facili e consone alla sua personalità, spesso le eseguirà con disinvoltura, senza sforzo, presentando motivi apparentemente plausibili. Se invece la suggestione è strana, o complessa, o contraria ai principi del soggetto, questi spesso si sente costretto a compierla, cercando spiegazioni per rendere accettabile, a sé e agli altri, il suo comportamento. Se tenta di resistere, spesso si nota l’insorgenza di un conflitto interiore perché da una parte agisce la pressione della suggestione, dall’altra lo spirito critico del soggetto e possono verificarsi in questo caso manifestazioni di ansia ed agitazione, anche se il soggetto può dominare le sue sensazioni e minimizzare le suggestioni.

Un’opinione molto diffusa sull’ipnosi è che se l’ipnotista alla fine della seduta ipnotica non cancella le suggestioni date, queste persisteranno post-ipnoticamente producendo in alcuni casi effetti distruttivi sul comportamento della persona ipnotizzata. Diversi Autori sostengono questa opinione; Evans ad esempio ricorda un caso in cui aveva suggerito durante l’ipnosi l’amnesia per il numero 6.

Egli naturalmente intendeva provocare amnesia per la sola durata della sessione ipnotica, ma un soggetto fraintese le istruzioni e ritenne che l’amnesia per il numero 6 doveva durare fino alla seduta seguente. Quel soggetto era un insegnante di matematica che naturalmente ebbe grandi difficoltà ad insegnare durante quel periodo (9).

Ci sono diversi altri casi simili in letteratura, ma secondo Perry (10) sono tutti aneddotici e non si deve in base a questi sopravvalutare l’incidenza del fenomeno; ci sono anche molti casi in cui l’ipnotista non riesce o non si ricorda di cancellare una suggestione senza che il soggetto soffra di alcuna conseguenza. Ad esempio la Bowers stava mostrando delle procedure di induzione ad un gruppo di studenti, uno dei quali più tardi affermò che lei non aveva cancellato uno degli items. La Bowers immediatamente si rese conto di essersene dimenticata, ma il soggetto la tranquillizzò dicendo che aveva capito durante l’ipnosi che lei non era più interessata a quell’item specifico e così l’aveva cancellato da sé (11).

Quando Perry cominciò ad interessarsi al fenomeno non c’era alcuno studio precedente né, perciò, alcun modello a cui ispirarsi; il modello più attendibile era quello derivato dagli studi sperimentali sulle suggestioni post-ipnotiche. Furono compiuti 5 esperimenti. Negli esperimenti 1 e 2 furono utilizzati tre gruppi di sei soggetti ciascuno, divisi tra soggetti altamente ipnotizzabili, mediamente ipnotizzabili e simulatori non ipnotizzabili. In tutti gli esperimenti per valutare il grado di suscettibilità all’ipnosi fu adoperata una scala ipnotica.

Nell’esperimento 1 l’ item non cancellato fu quello di dimenticare un numero. I soggetti furono istruiti a visualizzare su uno schermo televisivo allucinato i numeri da 0 a 9; quando il soggetto diceva di riuscire a vedere tutti i numeri lo sperimentatore suggeriva che il numero 5 scomparisse, fosse completamente dimenticato, così che il soggetto non fosse più in grado di visualizzarlo né di scriverlo, dirlo o pensarlo. Poi furono sottoposti ai soggetti tre problemi da risolvere, due dei quali contenevano il numero 5. Quando i soggetti finirono di risolverli lo sperimentatore disse: «Bene. Ora prenderò carta e matita e voi potrete chiudere gli occhi e rilassarvi. Ora rilassatevi e rimanete profondamente ipnotizzati».

Ci fu in questo modo un tentativo esplicito di cancellare la suggestione, e lo sperimentatore proseguì con l’ item seguente. Su 18 soggetti uno solo, molto ipnotizzabile, mostrò delle conseguenze dopo l’ipnosi. Infatti prima dell’ipnosi aveva risolto 30 problemi aritmetici sbagliandone due, nessuno dei quali comprendeva il numero 5. Dopo l’ipnosi fece 7 items sbagliandone 4 di cui due comprendevano il numero 5. Nell’inchiesta post-sperimentale riferì di sentirsi molto ansioso per qualcosa, ma non sapeva dire per cosa.

Secondo Perry la bassa incidenza di suggestioni che, benché non cancellate, persistevano dopo l’ipnosi può essere dovuta a varie ragioni:

1) la difficoltà di dimenticare un numero, difficoltà superata solo dai soggetti altamente ipnotizzabili;

2) il fatto che i soggetti fossero selezionati solo sulla base della scala scelta;

3) benché fossero fatti tutti gli forzi per non cancellare esplicitamente la suggestione, ciò può essere avvenuto implicitamente dicendo: «Ora chiudi gli occhi e rilassati».

Nel secondo esperimento la suggestione da non cancellare era la paralisi delle gambe. Per valutare l’efficacia mentre i soggetti erano ancora in ipnosi si chiese di alzarsi e di fare due passi per prendere un vaso di fiori. Per non cancellare implicitamente la suggestione lo sperimentatore disse, dopo che i soggetti avevano tentato di alzarsi e non erano riusciti: «Bene. Ora smetti di cercare di prendere i fiori ed appoggiati allo schienale della sedia. Tieni gli occhi chiusi».

In altre parole diede delle istruzioni che riguardavano i fiori, ma non cancellò la paralisi alle gambe. Inoltre per determinare con maggior precisione l’ipnotizzabilità dei soggetti furono usate due diverse scale di ipnotizzabilità. Dopo che l’ipnosi era terminata, per vedere se la suggestione era stata cancellata o meno si chiese ai soggetti di alzarsi e camminare fino ad un tavolo distante sei passi. Nessun soggetto manifestò alcuna conseguenza, tutti furono capaci di alzarsi e camminare fino al tavolo.

Diversi studi hanno mostrato che in molti soggetti è presente il desiderio di compiacere l’ipnotista; si sa che ciò che l’ipnotista comunica può avere molta importanza sul comportamento del soggetto. Questo aspetto motivazionale può essere controllato includendo una suggestione non usata nei primi due esperimenti, cioè che il soggetto sperimenterà tutti gli effetti suggeriti per tutto il tempo voluto dall’ipnotista.

Al terzo esperimento parteciparono 20 soggetti, 7 altamente ipnotizzabili, 6 mediamente ipnotizzabili e 7 non ipnotizzabili (simulatori). L’induzione ipnotica era registrata in videotape, tranne un item che comprendeva l’analgesia della mano destra e del braccio, che era quella da non cancellare, e che fu impartita personalmente dallo sperimentatore. Questa volta su 20 soggetti tre riportarono l’analgesia della mano e del braccio dopo che l’ipnosi era terminata. Questi tre soggetti erano molto suscettibili all’ipnosi.

Nell’inchiesta post sperimentale lo sperimentatore chiedeva ai soggetti cosa ricordavano della seduta ipnotica. Quando i soggetti ricordavano l’ item di analgesia, lo sperimentatore chiedeva loro come sentivano la mano; se i soggetti dicevano di sentirla intorpidita egli diceva di essersi dimenticato di rimuovere l’analgesia, ma che li avrebbe sottoposti ad una prova per essere sicuro che fosse completamente svanita. La prova consisteva nel pizzicare la pelle della mano mentre i soggetti dovevano segnare il dolore che sentivano su una scala che andava da 1 = analgesia completa a 10 = estremamente doloroso. Il primo soggetto diede una valutazione di 4 punti per la mano destra e di 8-9 per la sinistra (mano di controllo) il secondo diede una valutazione di 4 per la destra e 8 per la sinistra ed il terzo diede una valutazione di 2-3 per la destra e di 5-6 per la sinistra. Nessuno dei soggetti mediamente ipnotizzabili e dei simulatori riportò alcuna conseguenza nel periodo seguente all’ipnosi.

Gli esperimenti 4 e 5 avevano due scopi. Il primo era di verificare se gli effetti della suggestione di analgesia che non era stata cancellata si manifestavano dopo l’ipnosi solo nei soggetti che erano molto suscettibili e che durante l’ipnosi avevano ottenuto una completa analgesia. La seconda ipotesi da verificare era che non sussistevano differenze nel comportamento ipnotico tra i soggetti che avevano partecipato all’esperimento del tutto volontariamente e quelli che vi avevano partecipato per altre cause. Infatti i soggetti degli esperimenti 4 e 5 partecipavano per completare un corso di psicologia introduttiva.

Nell’esperimento 4 l’induzione ipnotica fu presentata su videotape per eliminare al massimo l’interazione tra l’ipnotista ed il soggetto, nell’esperimento 5 l’induzione era compiuta personalmente dall’ipnotista che cercava di adottare le procedure da soggetto a soggetto.

Ogni esperimento comprendeva 24 soggetti, 8 altamente ipnotizzabili, 8 mediamente ipnotizzabili e 8 non ipnotizzabili. Il modello dell’esperimento era quello dell’esperimento 3, ma 10 stimolo doloroso questa volta era una leggera scossa elettrica. Inoltre fu selezionato un gruppo pilota di 10 soggetti di cui 4 altamente suscettibili. Solo 4 soggetti fra quelli altamente ipnotizzabili (2 dell’esperimento 4, uno dell’esperimento 5 e uno del gruppo pilota) mostrarono dopo l’ipnosi delle conseguenze alla suggestione di analgesia che non era stata cancellata. Non c’erano differenze significative tra i soggetti altamente ipnotizzabili dei due esperimenti e del gruppo pilota riguardo alla profondità dell’analgesia e al punteggio ottenuto sulla prima scala.

Paragonando i primi due esperimenti con gli altri tre, può darsi che parte degli effetti sia dovuta alla suggestione aggiunta, secondo la quale gli effetti degli item sarebbero perdurati finché lo sperimentatore lo avesse voluto. Inoltre Perry fa presente che i primi due esperimenti furono compiuti a Montreal mentre gli altri tre in Australia, e perciò i diversi risultati possono essere dovuti anche ai diversi atteggiamenti verso l’ipnosi. Comunque dai risultati degli esperimenti sembra che la persistenza delle suggestioni non cancellate dall’ipnotista sia limitata ad una minoranza di soggetti altamente ipnotizzabili.

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(4) ERICKSON M. H., Concerning the Nature of the Character of Post- Hypno -tic Behavior, in J. Gerì Psychol., 1941, 95. (torna al testo)

(5) BARBER T. X., Ipnosi, cit., 205. (torna al testo)

(6) ORNE M. T., SHEEHAN P. W., EVANS F. J., Occurrence of Posthypnotic Behavior Outside the Sperimentai Setting, in /. of Personality and Social Psychol., 1968, 189. (torna al testo)

(7) ST. JEAN R., Posthypnotic Behavior as a Function  of Experimental Surveillance, in Am. J. of Clin. Hypnosis, 1978, 250. (torna al testo)

(8) BARBER T. X., op. cit., 207. (torna al testo)

(9) EVANS F. J., Recent Studies in Post-Hypnotic Amnesia, in Paper to 23rd Ann. Mtg. Soc. din. Exp. Hypn., Chicago 111.,  1971. (torna al testo)

(10) PERRY C, Variables Influencing the Post-hypnotic  Persistence  of an Uncanceled Hypnotic Suggestion, in EDMONSTON W., Conceptual and Investigative Approaches to Hypnosis and Hypnotic Phenomena, New York Academy of Science, New York, 1977, 264. (torna al testo)

(11) BOWERS M. K., Understanding the Relationship between the Hypnotist and his Subject, in KLINE M. V., A Scientific Report on « The Search for Bridey Murphy », Julian Press, New York, 1956, 83. (torna al testo)