Genialità e tristezza del fratello Mozart

Arte ed EsoterismoIl Flauto Magico – Percorso Iniziatico

Della sua immagine poco resta. Ritratti fatti “a memoria” e non da grandi pittori che sapessero cogliere l’anima, l’”io” più nascosto dell’uomo e dell’artista. La personalità era semplice, fanciullesca e non possedeva le caratteristiche forti, inquietanti di un Beethoven, di cui restano numerosi ritratti e sculture di artisti assai famosi, che facevano a gara per ritrarlo. Nessun pittore, dell’epoca e non, ebbe l’intuizione necessaria per catturare e fissare il fuoco segreto, il pathos, l’ansia interiore racchiusa nei lineamenti del volto.
Stendhal così lo definì: «Mozart uomo, sotto l’aspetto filosofico, è ancor più straordinario del Mozart creatore di opere sublimi. Mai la sorte ha presentato più a nudo l’anima di un genio. Il corpo era insignificante in quello straordinario crogiuolo di doti che ebbe nome Mozart e che gli italiani chiamano oggi “mostro di ingegno”».

Genialità e tristezza del fratello Mozart

di Neli di Pisa

Si racconta che morì solo, povero e pieno di debiti. Anche Costanza, la moglie, era lontana ed anche Joseph Haydn, l’unico che avesse capito quale genio si celasse in quel corpo piccolo, non particolarmente aggraziato, quasi insignificante, che aveva solo le mani di una bellezza esclusiva. Delle mani, si dice, andasse molto orgoglioso. Paumgartner le definisce “ferro del mestiere del suo demone musicale”. Una leggenda, assai suggestiva e coinvolgente vuole che fantomatiche schiere di ombre lamentose fossero sfilate davanti alla sua casa quando morì. Chissà.

Secondo Stenhal (Vita di Mozart) Mozart presagiva la sua fine e si racconta un particolare aneddoto circa la composizione del Requiem, ultima creazione. Non stava bene. Un giorno sentì una carrozza fermarsi alla porta. Ne scese uno sconosciuto molto elegante e dai modi squisiti. Disse di essere venuto per ordine di un gran signore, che voleva mantenere l’anonimato, a chiedere un Requiem per una persona carissima che gli era venuta a mancare. Un sacro ricordo. Per 100 ducati accettò di comporre il Requiem in quattro settimane e vi lavorò con foga, fin quasi a sentirsi male, tanto che una mattina cadde privo di sensi.

Tristi pensieri agitavano il suo cuore. Era convinto che volessero avvelenarlo, e una mattina disse alla moglie, che cercava di distrarlo:

“Una cosa è certa: è per me che scrivo questo Requiem; servirà per il mio servizio funebre”.

Niente poté fargli passare questa idea dalla testa. Secondo il racconto dei coniugi Mary e Vincent Novello che raccolsero le notizie dalla viva voce di Costanza:

«17 luglio. Circa sei mesi prima della morte si impossessò di lui l’idea dell’avvelenamento. “So che devo morire, qualcuno mi ha dato dell’acqua toffana e ha calcolato il momento preciso della mia morte, per la quale hanno commissionato un Requiem, è per me stesso che lo sto scrivendo”» ( Mozart massone e rivoluzionario pag. 325.)

Passarono le quattro settimane ma il Requiem non era pronto. Tornò lo sconosciuto e Mozart chiese altre quattro settimane. Lo sconosciuto gli versò altri 50 ducati, dicendo che sarebbe tornato come richiesto. Mozart volle che un servo seguisse il suo committente per sapere chi mai fosse. Ma il servo non riuscì nell’intento e Mozart pensò che questo signore avesse rapporti con l’aldilà e fosse venuto per annunciargli la prossima fine. Si dedicò al Requiem che considerava il più alto monumento del proprio genio. Ebbe spesso collassi preoccupanti e finalmente l’opera fu condotta a termine. Quando allo scadere del tempo lo sconosciuto tornò, Mozart era già morto.

Della sua immagine poco resta. Ritratti fatti “a memoria” e non da grandi pittori che sapessero cogliere l’anima, l’”io” più nascosto dell’uomo e dell’artista. La personalità era semplice, fanciullesca e non possedeva le caratteristiche forti, inquietanti di un Beethoven, di cui restano numerosi ritratti e sculture di artisti assai famosi, che facevano a gara per ritrarlo. Nessun pittore, dell’epoca e non, ebbe l’intuizione necessaria per catturare e fissare il fuoco segreto, il pathos, l’ansia interiore racchiusa nei lineamenti del volto. La sorella lo descrisse:

“piccolo, magro, pallido, senza alcuna pretesa di prestanza fisica”. (pag. 19 Mozart di Bernhard Paumgartner).

Stendhal così lo definì:

«Mozart uomo, sotto l’aspetto filosofico, è ancor più straordinario del Mozart creatore di opere sublimi. Mai la sorte ha presentato più a nudo l’anima di un genio. Il corpo era insignificante in quello straordinario crogiuolo di doti che ebbe nome Mozart e che gli italiani chiamano oggi “mostro di ingegno”» (Stendhal: Vita di Mozart pag. 81).

Paumgartner annotò:

“Mozart passò su questa terra senza solennità e senza enfasi” (pag. 17 Mozart di Bernhard Paumgartner).

Chi era dunque Mozart?

Una creatura speciale, fatta di musica e di armonia, un universo infinito e nello stesso tempo racchiuso in magici cancelli di spiritualità dove solo lui, il genio Mozart, poteva spaziare tutto solo e godere del sublime, del bello, e appagarsi.

Tutto il resto non contava nulla. Era un contorno privo di interesse perché ciò che per lui aveva significato e valore fin da piccolissimo (4 anni) era l’arcano, magico suono prodotto dalle note del forte-piano, del clavicembalo che lo portavano in un mondo tutto speciale fatto di sogni, brio, illusioni, amore. Assai colto, aveva viaggiato molto, conosceva quattro lingue, e frequentava persone di altissimo spessore intellettuale.

Era dominato dal demone creativo della musica, che esigeva tutta l’attenzione e l’amore dell’uomo Mozart, votato a compiere questa alta missione di genio. Si racconta che non corresse mai uno scritto musicale. O rarissimamente. Quando affidava al pentagramma le note, quelle erano definitive perché la composizione era tutta già compiuta, completa nella sua mente, nel suo cuore. Possedeva una capacità straordinaria di sottrarsi alle minacce, alle noie del mondo esterno se queste turbavano la sua forza creativa. Tutto scivolava via, non contava, non esisteva….non aveva importanza…. Eppure soffrì strapazzi, dolori, rinunzie, aspirazioni umane inappagate, nodi mai sciolti in un mondo che spesso e volentieri lo sottovalutava.

Visse in un periodo culturalmente ricco, un vero crogiolo di fermenti intellettuali: il ‘700 esordisce con le note dell’arcadia, le parrucche incipriate e i cicisbei, continua con il dispotismo illuminato della ragione per terminare con i berretti frigi dei rivoluzionari e il rombo dei cannoni delle guerre napoleoniche, portando però già in sé i germi del romanticismo.

In Germania, infatti, si evidenzia nei riguardi del razionalismo dominante una certa insoddisfazione che giunge all’aperta rivolta dello Sturm und Drang (tempesta e assalto) con cui si inaugura la nuova spiritualità romantica. Il pensiero filosofico, riallacciandosi alle conclusioni del criticismo di Kant (1724-1804), crea la vasta corrente dell’idealismo tedesco in cui dominano le concezioni di Fiche (1762-1814), Schelling (1775-1854), Hegel (1770-1831) e rappresenta la maggiore espressione teorica cui giunse la spiritualità romantica. Tra i poeti della nuova corrente Novalis, Ludovico Tieck, Schiller e Wolfgang Goethe (1749-1832) che con il Faust esprime l’affannosa ricerca per superare i limiti umani (si dice, infatti, che il romanticismo nasce in Germania con il Faust di Goethe.).

Kant aveva concluso con la visione dell’uomo chiuso in un mondo di fenomeni, incapace eternamente di conoscere una verità assoluta, ancorato ad essa da un solo imperativo morale, unica guida nella deserta solitudine del mondo. L’uomo non sarebbe mai uscito dai limiti della sua natura. Il pensiero posteriore cercherà di ricostruire una visione del mondo in cui all’uomo è restituito un valore universale che appaga la sua ansia di eterno e di infinito. La perduta trascendenza sarà riassorbita in una concezione immanentistica che ricondurrà il divino sulla terra ed esalterà il valore di ogni uomo come insopprimibile voce di quel coro perenne che è la storia dell’umanità.

Nel ‘700 si innescano a tutti i livelli meccanismi di liberazione che travolgono i sistemi ideologici e politico-sociali di lunghissima tradizione, con una carica eversiva che la Rivoluzione Francese sancirà definitivamente trasportando, nel politico e nel sociale, quella fondamentale istanza di pensiero critico che domina tutta la cultura del tempo. Nel ‘700 cultura e potere quasi si identificano ed è stato detto che i filosofi hanno tentato di regnare. Autentica protagonista dell’epoca è la “ragione”.

D’Alambert, ideatore dell’Enciclopedia definisce il ‘700 come “epoca della filosofia”. Potenzialmente è un secolo ateo e impoetico. “Cogito ergo sum”. Cartesio aveva già anticipato il pensiero, aveva gettato il seme che sarebbe sviluppato anni dopo. La storia nella sua globalità è plasmata secondo i dettami della ragione. E libertà e ragione sono le due facce della stessa medaglia. L’Europa della ragione e dei filosofi è tecnicamente sapientissima e moralmente vuota. La notizia della nascita di Wolfgang venne data dal padre Leopold in una lettera del 9 febbraio1756 a un amico di Augusta, Johann Jakob Lotter:

«Ti informo che il 27 gennaio, alle otto della sera, la mia cara moglie ha dato felicemente alla luce un bambino. Si era dovuta rimuovere la placenta e perciò ella era estremamente debole. Ora invece, grazie a Dio, sia il bimbo che la madre stanno bene. Il bambino si chiama Johannes Chrysostomus, Wolfgang, Gottlieb».

L’infanzia fu felice, vissuta come bambino prodigio.

Nel suo primo ritratto l’immagine di un bambino sano, robusto e paffuto… Mozart frequentava personalità spregiudicate e geniali spesso inserite nei circoli più esclusivi e avanzati d’Europa, come ad esempio, l’ordine degli Illuminati di Baviera, fondato a Ingolstadt nel 1776 da un professore di diritto canonico, Adam Weishaupt (1748-1830), che aveva concepito un progetto di società segreta dopo letture di testi rosacruciani. Tra coloro che seguirono la via degli Illuminati di Baviera troviamo Goethe, Joseph von Sonnenfels, il barone Gottfried van Swieten, mecenate di Mozart oltre che protettore di Haydn e di Beethoven, che gli dedicò la prima sinfonia. Gottfried van Swieten promosse a Vienna lo studio del repertorio di Händel, di Hasse e dei Bach e organizzava in casa sua concerti seguiti dalla maggioranza degli aristocratici dell’epoca e che anche Mozart frequentava e che erano o sarebbero diventati massoni. Nelle opere si riflettono le tensioni del tempo, perché Mozart vive nella sua epoca e le sue problematiche, in tutta la loro ricchezza di pensiero e di passione.

Tra i suoi amici più cari ricordiamo Joseph von Sonnenfels (La scienza del buon governo) noto per essersi battuto contro la tortura tanto da aver condizionato positivamente Maria Teresa d’Austria che la abolì a partire dal 1776. Aveva elogiato l’opera di Cesare Beccaria e aveva affrontato con estrema decisione e forza temi scottanti come la pena di morte, la tortura, il diritto delle donne di partorire segretamente senza subire infamia e disonore, il recupero del detenuto, l’istruzione e la sanità pubbliche garantite per tutti. Tanto ci sarebbe da dire e non sarebbe mai sufficiente. L’ascolto attento e religioso delle sue armonie ci può riempire di grazia, oltre che di gioia, ed elevarci verso sublimi altezze celesti.

Il Flauto Magico

Percorso Iniziatico

Il libretto fu firmato da Emanuele Schikaneder, ma forse fu scritto da altri. Non si esclude che lo stesso Ignaz von Born (scienziato, Gran Maestro della Loggia di Mozart e Illuminato di Baviera con il nome di Furius Camillus ) abbia collaborato alla stesura del libretto dell’opera, anzi abbia addirittura influenzato la figura di Sarastro (Lidia Bramani, Mozart massone e rivoluzionario pag.7).

Emanuele Schikaneder era direttore e attore di un piccolo teatro popolare della periferia di Vienna. In quel tempo furoreggiava il genere dello “Zauberstück”, commedia soprannaturale, non senza analogia con il teatro fiabesco che Carlo Gozzi a Venezia aveva cercato di opporre alla commedia goldoniana. Sia Mozart che Emanuele Schikaneder vi si uniformarono e presero lo spunto dal Dschinnistan, raccolta di fiabe orientali pubblicata dal Wieland nel 1786. Lavorarono sull’esempio di un romanzo a sfondo orientale, Ethos (1731) dell’abate francese Jean Terrasse, divenuto una specie di testo sacro della massoneria settecentesca, che presentava caratteri di misticismo irrazionale, come una fuga di un’età troppo assetata di ragione nel regno del mistero, presagio di romanticismo.

Nel Flauto magico le tematiche massoniche e rosacrociane, nel solco tracciato da Shakespeare, Terrasson e Wieland, la fanno da padrone, anzi ne sono la spina dorsale.

Tra le diverse fonti una è quella, come si è già detto, dell’abate Terrasson con la storia iniziatica del principe egiziano votato alla dea Iside in “Sethos”. Altra fonte di ispirazione è Oberon di Wieland il cui mondo fiabesco, investendo gli spazi del suo universo umano e morale, influì grandemente sulla galassia simbolica mozartiana. L’Oberon ha le radici shakespeariane del Sogno di una notte di mezza estate.

La Vienna di Mozart e di Schikaneder materializza lo spettacolo-sogno dei sacerdoti di Sethos e Mozart riproduce i riti che ogni giorno venivano celebrati nelle case, nelle logge, nei palcoscenici da lui abitati. I personaggi frequentati da Mozart, per metà artisti e per metà scienziati, vere e proprie incarnazioni dell’ideale rosacrociano di una collaborazione-fusione tra musica, chimica, mineralogia, teatro, lo influenzarono in maniera determinante. La musica è in grado per i Fratelli di riscattare l’uomo, perché la materia e il pensiero, la concretezza e l’astrazione, la realtà del suono e la sua manipolazione concettuale sono elementi fusi al massimo grado: nascere dalla terra e tornare a essa, passando attraverso il cielo.

Il Flauto magico si fa portavoce di una religiosità che poggia sulla tolleranza e sul perdono, sull’incontro tra scienza e arte, vita attiva e contemplativa, istinti del corpo, rappresentati da Papageno e Papagena, e risorse interiori, impersonate da Tamino e Pamina, lotta politica e impegno etico personale, sforzo collettivo e intima coerenza individuale. Tantissimi sono i riferimenti ai simboli massonici e rosacruciani. Ad esempio la stella a cinque punte vessillo dei Rosacroce, la “G” che allude all’occhio di Dio, la presenza costante del numero “18” chiaro riferimento al rispettivo grado dei Rosacroce nella gerarchia massonica. Sarastro compare nella 18ma scena del primo atto. Papagena ha 18 anni. Al secondo atto 18 sono i sacerdoti seduti su altrettanti scranni, uno dei cori dei Sacerdoti a Iside e Osiride corrisponde al 18mo numero musicale, etc.

Vi sono allusioni ancora più occulte, nate dalla rielaborazione del mito antico, al quale la tradizione massonica da sempre attingeva per intima vocazione e pensiamo che il rapporto tra mito greco antico e sviluppo del linguaggio musicale europeo possa offrire spunti di riflessione. Il mito greco contiene in sé archetipi comuni ad altre civiltà e rappresenta un ambito della dimensione psicologica dell’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Il mito vive e si rinnova in una catena infinita di riprese e sviluppi tratti dal linguaggio musicale.

Nel Settecento, secolo d’oro della Massoneria, prendono forma i così detti Alti Gradi della Massoneria Scozzese ancora più esoterici e di carattere occulto. Sorgono vari sistemi come quello di Martinès de Pasqually, che intorno al 1754 fondò l’ordine dei Cavalieri Eletti Cohen dell’Universo con venature rosacrociane o di Louis Claude de Saint-Martin o di Cagliostro. Tra i sistemi più famosi quelli della Massoneria Templare, della Stretta Osservanza, degli Illuminati di Baviera o di Avignone tra i quali si contavano numerosissimi amici di Mozart. (Lidia Bramani, opera cit., pag.31). Il Flauto magico fu anche un’opera illuminista se si considera che l’Illuminismo tedesco fu particolarmente legato a sette e a società segrete, se pensiamo alla filosofia di Lessing e di Herder ed alle posizioni di altri intellettuali come Kant, Schiller e Goethe che ne condivisero alcune problematiche. Sono frequenti i rapporti tra gli illuministi tedeschi e i gruppi di impronta messianica, spesso collegati a forme ortodosse della mistica ebraica, al così detto “Illuminismo ebraico” di cui fu esponente anche Moses Mendelssohn. Non va dimenticato che una sorta di internazionale esoterica, spesso coincidente con la Massoneria, fornì un’innervatura sotterranea a tutto l’Illuminismo europeo, una cui parte condivise la critica che il Flauto magico muove all’impostazione razionalistica e cartesiana, accusata di separare le idee dalla realtà, la quantità e la misura degli elementi dal loro valore simbolico.

La disposizione di Mozart fu seria, massone era, e l’ideale da perseguire sacro. Ha dato una musica di una fluidità meravigliosa e di grande purezza espressiva che risente, specie nel contrappunto, della venerazione per Bach.

“Grazie al dono, comune a tutte le grandi creazioni dello spirito, di saper rivelare le cose più profonde e difficili nella forma più semplice, il Flauto magico si proietta come un aureo ponte al di sopra dei tempi” (Bernhard Paumgartner, Mozart pag. 491 edizioni Einaudi).

Per Mozart essere massone significava vivere sapendo di partecipare a un percorso condiviso. Mozart era interessato alle vicende del suo tempo e non va visto come l’eterno bambino (come è stato descritto in Amadeus) chiuso nel suo mondo di genio. Aveva una salda morale, era religioso anche se anticlericale, e viveva ben radicato nel suo mondo. Aveva difetti, debolezze e contraddizioni come tutti gli esseri umani, ma possedeva il dono della genialità. Era colto, conosceva lingue moderne, oltre al tedesco il francese e l’italiano, anche l’inglese, il latino. Aveva viaggiato molto e letto molto. Versatile e poliedrico sapeva distinguere il comico dal tragico, il nobile dal popolare, la materia dallo spirito e con un tono spesso irriverente commentava la realtà.

Mozart è un genio. È stato dipinto spesso come assente e stravagante. In realtà era un uomo speciale e particolare. Il pensiero alchemico, mediato dall’esperienza massonica, si è conquistato uno spazio importante nell’estetica mozartiana. Il Rosicruciano Goethe introduce l’Homunculus nel Faust e porta al superamento delle barriere fra le generazioni nel trascorrere della vita. In questa tragedia profetica, il simbolo dell’homunculus si può intendere come il prodotto tecnologico che rischia di non sopravvivere all’incompletezza della sua nascita.

Nel mondo contemporaneo ciò che rischia di non sopravvivere all’impiego della tecnologia di procreazione assistita è il rapporto di coppia inteso nei suoi significati più profondi [1]. Vita e morte, gioventù e vecchiaia non sono più separate in maniera rigida. La pietra filosofale, che porta l’elisir di giovinezza, corona il sogno dell’uomo che non vuole vivere l’età matura e ancor più quella anziana in forma passiva, nell’attesa pacata della morte, ma desidera mantenere il più che sia possibile il dono della gioventù senza incorrere nel pregiudizio che colpevolizza la vitalità con l’arma del ridicolo. Il superamento del vecchio e rigido concetto di una vita costretta in generazioni (la generazione giovane è gaia e luminosa, quella vecchia è passiva e nera) presuppone una rivoluzione nel modo di percepire e considerare il tempo. (cfr. Mircea Eliade ne Il mito dell’alchimia pg.16-21) Mettere in conto, fin dall’inizio, la morte come componente della vita, significa liberarsi da una concezione teleologica. Non si segue una freccia, ma un cerchio, e da questo cerchio di ininterrotta vita-morte-rinascita (nell’arte, nei figli, nella storia, nei segni di ogni essere umano) è bandito l’ordine di piegarsi passivamente al proprio tramonto.

Altro tema di grande attualità e già vivo nell’estetica mozartiana è la fusione e il superamento dei tre monoteismi in una cosmopolita spiritualità. La possibilità di vivere in un contesto nel quale ognuno è considerato per ciò che è e non per ciò che ha, per ciò che rappresenta e per ciò in cui crede. Il firmamento culturale mozartiano esalta per sua natura la polifonia del reale dalla quale può giungere una spinta per trasformare in meglio il mondo. Il progresso diventa qualcosa di circolare, che passa attraverso l’interiorità dei singoli: la maggior felicità possibile per il maggior numero possibile di persone. Motivo è anche la connessione tra fisica, chimica e metafisica sia pure da un punto di vista puramente teoretico. L’uomo cerca di trovare il punto di incontro tra immanenza e trascendenza, tra l’abisso dell’anima dentro noi e l’ebbrezza del cielo sopra di noi: l’amore e la magia. Molti degli intellettuali che frequentavano M. consideravano quella dimensione sospesa tra razionalità e irrazionalità come un ambito privilegiato per accedere a una conoscenza superiore. La magia custodiva dunque un sapere antico che, sfruttando la chimica, la filosofia, la medicina, l’arte e l’alchimia permetteva di liberarsi dai vincoli dell’apparenza. Tutto questo e altro ancora si trova nel tessuto del Flauto magico.

Quadro dopo quadro, in un’attenta analisi del testo, in un percorso attraverso tutta l’opera, ne possiamo comprendere il significato sia esoterico che massonico. È, in ultima analisi, un viaggio interiore che ha come fine la conoscenza di sé. Lo γνώθι σαυτόν, il nosce te ipsum.

__________

Note

1. “Se negli anni Sessanta, mediante l’uso dei contraccettivi, si era superata la sessualità dalla procreazione, oggi, con le nuove tecniche di fecondazione assistita, si separa la sessualità dalla relazione… nuove forme si solitudine si affacciano: identità virtuali per rapporti e sessualità virtuali… concepire in solitudine sembra essere lo scenario prossimo venturo… nascere lontano da Eros, dal frastuono della follia erotica, nel silenzio, ricorda troppo da vicino il momento del congedo. La sessualità è principio di unione, prima tra gli individui nell’accoppiamento, poi fra i gameti e non il contrario. Scavalcare, oltrepassare il rapporto per arrivare subito al prodotto può essere pericoloso, può rendere il figlio simile a un bene acquistato e non conquistato. Goethe ci ammonisce; l’homunculus concepito in provetta muore infrangendo la fiala contro la conchiglia di Galatea nella ricerca disperata dell’ebbrezza orgasmica proprio per cercare di assomigliare a un uomo. Ci ricorda Andrew Martin, l’androide protagonista del racconto di Isaac Asimov The Bicentennial Man: è il robot perfetto che pur di raggiungere totalmente la somiglianza con l’uomo rivendica il diritto di morire.” – Erica Czako. (torna al testo)

torna su