La Cina ha enormi margini di sviluppo economico, ma per poter diventare la nuova motrice del capitalismo mondiale deve prima risolvere alcuni problemi. La recessione americana, anzitutto.
Un altro punto fondamentale concerne i diritti umani, in particolare l’autonomia religiosa, che il regime di Pechino continua a negare in Tibet, come sul fronte interno: la Cina è ancora una potenza economica autoritaria, ma di fronte alla densità demografica e all’estensione del territorio cinese la democratizzazione della società civile e del sistema politico non può che avvenire gradualmente. La democrazia, negli stati moderni, è il risultato dello sviluppo economico e non la conseguenza. Entro la fine del 2021, la Cina dovrebbe completare le riforme politiche e diventare una democrazia, alla stregua di quella indiana, se non di quelle europee. Il terzo snodo da affrontare concerne l’appetibilità del brand cinese, la capacità di diventare una sorta di paradigma socio-culturale non soltanto per le nazioni asiatiche ma anche per tutto il resto del mondo. È questa la difficoltà maggiore perché, almeno per il momento, non sembra plausibile la sostituzione del logorato e superato «sogno americano» con un «sogno cinese» nuovo di zecca. Il sistema politico sarebbe già pronto e sarebbe quello imperiale-confuciano fondato sull’armonia e la cooperazione universale, modello impero di Guerre Stellari, riplasmazione del modello «tutto-sotto-il-cielo», già applicato tremila anni fa sotto la dinastia Zhou. A noi occidentali del XXI secolo un nuovo ordine mondiale fondato sull’imperialismo economico cinese può sembrare incredibile, ma lo stesso deve essere apparso ai popoli che hanno vissuto il declino dell’impero romano o alle ex colonie con la fine di quello inglese, per non parlare della fine dell’Unione Sovietica. Nulla è eterno sotto il cielo ed è presumibile che un certo tipo di sogno americano sia già finito: senza dubbio è esaurito quello legato al «conservatorismo compassionevole» iniziato negli anni ottanta con Ronald Regan. Che tipo di mondo troveranno i nostri nipoti? Alla luce di quanto si sta verificando in questi anni, l’Occidente – inteso come Ue + America del Nord – potrebbe essere sul viale del tramonto. Certamente non scomparirà come è scomparso l’Impero Romano, ma è probabile un forte ridimensionamento nel ruolo da recitare nello scacchiere mondiale. Come è accaduto all’impero napoleonico o all’impero inglese, l’Europa e l’America continueranno ad esistere, ma reciteranno un ruolo subalterno, marginale rispetto alle nuove motrici economico-politiche planetarie. La comunità europea risente della sua endemica debolezza energetica, ma – cosa molto più grave – a mancare è una qualsiasi idea di progetto o di visione politico-culturale che vada oltre all’unificazione forzata sotto l’ombrello dell’euro. È probabile che l’introduzione dell’euro abbia preservato l’Ue da crisi finanziarie di tipo «argentino»: ma se chiediamo all’uomo della strada se sta meglio adesso con la moneta unica o in passato con le vecchie valute nazionali, difficilmente la risposta andrà oltre un generico e diffuso euroscetticismo. Dal canto suo, l’America impiegherà anni a risollevarsi dalla recessione economica provocata dai mutui subprime e dal fallimento totale della guerra in Iraq: in ogni caso, se anche riuscisse a risollevarsi in tempi brevi difficilmente reciterà ancora il ruolo di superpotenza. Gli Usa sono destinati a giocare un ruolo più marginale, «europeo» si potrebbe dire. Il solo scenario che oggi sembra possibile è quello della «decrescita» economica. Se intorno al 2015 i biocarburanti iniziassero a scarseggiare, con il concreto rischio di un esaurimento completo del petrolio, dovremmo fin da ora iniziare a pensare ad uno stile di vita diverso. Anzitutto si tratterebbe di una weltanschauung globale e non soltanto limitata agli ex dominatori del mondo. È inaccettabile che ancora oggi il 10% della popolazione mondiale mantenga il 90% delle risorse energetiche ed economiche del pianeta e vi siano parti dell’Africa dove i bambini continuano a morire di sete. Finché vi saranno queste disparità economiche tra le nazioni, le barriere geopolitiche che gli stati ergono per impedire i flussi migratori si dimostreranno inutili. Nessuna legge contro l’immigrazione clandestina potrà fermare i dannati della terra in fuga da paesi devastati da guerre e carestie. Come nell’aneddoto del secchiello e del mare raccontato da Sant’Agostino, non sarà certamente la proclamata tolleranza zero ad arginare le ondate «barbariche» di immigrati che si abbattono sull’ex ricco Occidente. Come rileva Bauman, la paura collettiva per l’immigrato musulmano, slavo o rumeno, è abilmente manipolata dai governi degli ex stati nazionali per fini elettorali e per distogliere l’attenzione pubblica dai fattori di rischio e insicurezza: gli effetti perversi della nuova finanza liquida e sopranazionale. Il rischio globale – la tecnofinanza e la progressiva erosione del welfare – è proiettato sullo scapegoat locale: lo straniero, l’immigrato extracomunitario che incute timore perché viene da «fuori» a incrinare le certezze personali e collettive, ad incarnare quello che potrebbe accadere allo spaventato cittadino italiano o europeo. Nel volto straniero, l’italiano/europeo medio proietta le paure globali che assumono veste locale: la povertà, l’esilio clandestino. Lo spettro della povertà liquida è abilmente proiettato dalla propaganda politica e mediatica sull’extracomunitario, l’Altro che diventa il riflesso rovesciato dell’Io e del Noi. Tuttavia, l’«orda» non si può arrestare, come non si arrestò ai tempi della caduta dell’Impero Romano e di tante altre civiltà dell’antico Oriente. È probabile che il vasto ombrello finanziario protettivo che deve proteggere i flussi del credito internazionale sia in grado di frenare la crisi economica globale, senza influire, però, sullo spostamento degli equilibri del potere geopolitico. L’Occidente, con la sua tradizione artistica e culturale, continuerà ad esistere, ma non potrà più esercitare alcuna egemonia economico-culturale. È assolutamente necessario ridistribuire le risorse, diminuire il consumo di carne mondiale per sfamare i popoli africani che ancora oggi muoiono di fame. Gli animali da cortile che giungono sulle tavole occidentali sono nutriti con foraggi e mangimi prodotti in larga distribuzione dalle terre espropriate agli africani e sfruttate con le monoculture. Queste terre, dove si produce soltanto mangime per animali destinati all’export, potrebbero essere coltivate per produrre riso e cereali in grado di porre fine alle emergenze alimentari. Gli stessi allevamenti sono un pericolo per l’effetto-serra. Allo stesso modo è indispensabile elaborare una politica rispettosa dell’ambiente, in grado di porre fine all’emissione dei gas-serra e di provvedere alla produzione di energie alternative: già si parla di una grave crisi petrolifera che potrebbe colpire il pianeta intorno al 2015. Concludendo, è necessario che il liberismo turbocapitalistico scompaia come residuo del XX secolo e che si possa pensare ad uno lifestyle diverso. Ma questo stile di vita alternativo può nascere soltanto se saranno rovesciati – nietzscheanamente «trasvalutati» – i rapporti di forza vigenti. Questo può significare il ridimensionamento del primato occidentale. |