Non mi faccio più nessuna illusione circa il rapporto tra Massoneria ed iniziazione. Sono assolutamente convinto che per l’uomo contemporaneo sia pressoché impossibile trascendere alcunché (l’uomo orientale alla pari di quello occidentale). Inoltre la possibilità di un “esoterismo” o di una “iniziazione”, per lo meno in Massoneria, verte su di una trita ontologia dualistica di stampo platonico, lassù le “essenze” e quaggiù le “copie imperfette”, che il pensiero contemporaneo ha oltrepassato da tempo.
28 agosto 2007 Antonio D’Alonzo scrive: Non mi faccio più nessuna illusione circa il rapporto tra Massoneria ed iniziazione. Sono assolutamente convinto che per l’uomo contemporaneo sia pressoché impossibile trascendere alcunché (l’uomo orientale alla pari di quello occidentale). Inoltre la possibilità di un “esoterismo” o di una “iniziazione”, per lo meno in Massoneria, verte su di una trita ontologia dualistica di stampo platonico, lassù le “essenze” e quaggiù le “copie imperfette”, che il pensiero contemporaneo ha oltrepassato da tempo. Sarebbe preferibile, allora parlare di “Immaginale” o Mundus Imaginalis come scriveva Corbin. Il compito di elaborare un pensiero post-metafisico o ultra-metafisico (intendendo sempre la metafisica dualistica del soggetto contrapposto all’oggetto) è già estremamente arduo. Figuriamoci se i nostri quadri dirigenti possono realizzare il compito. Rimangono un manipolo di fratelli che continuano sulla via, tra i quali ci siamo noi. Ma i nostri “sciarpisti” sono delle vere e proprie palle al piede con i loro garibaldismi e laicismi. In altre parole, abbandoniamo ogni speranza sulla Massoneria. Dobbiamo fare da noi: e sotto certi aspetti non è detto che sia una sfortuna, visto l’aria che tira […] 000 Antonio Athos A. Altomonte scrive: Caro Antonio, concordo pienamente l’analisi, che non trovo affatto disperante, ma congrua se si prende come modello di riferimento il modello elitario. Si sono aperte le porte a “cani e porci”, e non poteva accadere altro. Per fortuna non esiste solo la parte commerciale e politicizzata delle sciarpe, tanto per intendersi, compagini che sono sempre esistite, rappresentate come Cattivi Compagni. Metamorfosi, luce e sapere per contatto esistono. Sono aspetti conoscibili e generabili, creando i giusti rapporti secondo le leggi dell’Armonica. Realtà (sottodimensioni e superdimensioni) con cui dobbiamo apprendere ad entrare in contatto, partendo da V.I.T.R.I.O.L. , che non è solo una metafora. Oggi, come nel passato la via iniziatica esiste. Ma è un fatto, che spesso nemmeno i gruppi elitari ci credono, accontentandosi di passarsi l’un l’altro le ricette come cuochi che non cucinano. Da qui nasce la condizione di stallo. Profani che giocano con le sciarpe e cuochi che giocano con le ricette, ma a trasformarsi, a scolpire la pietra, non ci prova nessuno. Vecchio dilemma, questo. Forse perché, ancora immaturi, siamo ancora troppo innamorati di noi stessi, per pensare che la minuscola dimensione che si riconosce nell’“io sono” possa essere rimodellata e arricchita di nuove e più ardite funzioni. Restano piuttosto aggrappati a quell’“io sono” senza considerare che, così, si fortifica. Mentre andrebbe prima dis-integrata e poi re-integrata secondo un metro superiore, che per semplicità chiameremo “ego superiore”, ch’è la sola finestra sul nostro sole interiore. 000 Athos 30 agosto 2007 Antonio scrive: Va bene, ma esistono delle difficoltà intrinseche sull’essenza della via iniziatica così come viene definita oggi nelle confraternite. Sempre che non si voglia definire la via iniziatica una fides, un dono ricevuto dall’alto, come alcuni teologi contemporanei propongono in alternativa alla razionalizzazione ratzingeriana della fede. In tal caso possiamo affermare di credere «a prescindere» da qualsiasi asserzione della ragione o della scienza. Ma personalmente mi considero – come credo anche voi – un uomo di pensiero e non di fede. Dunque, non possiamo prescindere dall’interrogarci sull’oggetto della nostra ricerca, pur facendo nostre tutte le inevitabili concessioni ai limiti epistemologici della ragione, alla fioca luce della ratio discorsiva. Ad esempio, noi parliamo di «via» iniziatica. Vi sono due modi d’intendere il termine «via» inteso come un percorso che collega un punto iniziale ed uno finale: in questo senso l’alfa e l’omega della reintegrazione spirituale nel Principio o, se si preferisce, nella «vacuità». Nel primo caso la «via» iniziatica richiama ad un sapere oggettivante-descrittivo che si fonda su di una meta-teoria e non su una semplice visione del mondo. È l’idea di un «meta-network» di metafisiche relative: la base e le radici comuni del tronco e dei rami. Ma, o introduciamo una selezione tra le dottrine contingenti, escludendo alcune di esse, oppure i conti non tornano. Lo zen non è armonizzabile, in vista di una superiore sintesi, con il creazionismo biblico o con la cosmogonia sanguinaria degli aztechi. Nessuna di queste è compatibile con le religioni «primitive». Non vale nemmeno l’argomento del sincretismo religioso, perché il pensiero sincretista agisce a posteriori e non a priori. Pensando l’«origine» dobbiamo porci a «monte» e non a «valle». La seconda possibilità riguarda la concezione della «via» iniziatica come un percorso intimistico e personale. Questa seconda chance mi sembra più plausibile. In ogni tradizione troviamo l’istanza mistica, intesa come un superamento della condizione individuale, in vista della fusione con il Tutto: la realizzazione del micro-macrocosmo. In questo caso la mistica diventa un’attitudine universale dello spirito, l’estensione trionfale dell’intelletto speculativo. Questa idea è perfettamente concepibile. Ma se la mistica è una facoltà universale che tutti gli uomini possiedono, più o meno sviluppata od obliterata, a che cosa serve parlare di iniziazione regolare o di trasmissione del sapere ? Se la mistica appartiene all’homo religiosus, che bisogno c’è di ricevere l’iniziazione attraverso un rito di passaggio? L’esoterismo, il carattere segreto della scienza arcana, non è stato forse il velo di maya necessario a sfuggire alle persecuzioni e ai roghi dei dogma religiosi? Credo che questo sia il punto decisivo. La mistica è una branca della filosofia speculativa che appartiene a tutti perché universale. Una potenzialità della mente umana conscia o inconscia. Tutti possono raggiungere la realizzazione spirituale: Evola e poi il neopaganesimo hanno postulato la possibilità dell’auto-iniziazione. Il segreto elitario è riconducibile alla necessità di proteggersi dalle persecuzioni ordite dalle ortodossie ufficiali. L’uovo di colombo per scampare al rogo dell’inquisizione. In questo caso il vero esoterismo dell’esoterismo è la mistica, così come l’exoterismo della mistica è l’esoterismo. Tutti possono arrivare a realizzare degli stadi di fusione estatica con l’universo: Freud parlava di «sentimento oceanico». Ma se questa chiave di lettura è plausibile, ed io credo che lo sia, l’iniziazione massonica equivale ad una sorta di psicodramma teso a risvegliare potenzialità che abitano già l’homo religiosus. E niente più. 000 Antonio 31 agosto 2007 Athos scrive: Caro amico, da parte mia scarto l’idea d’iniziazione come «un dono ricevuto dall’alto» almeno quanto «la razionalizzazione ratzingeriana della fede». Penso in modo realistico, ma in qualcosa credo, come ad esempio, nella realizzazione di ponti coscienziali, che uniscano i diversi frammenti della nostra coscienza. Credo che usare la scienza amplifichi la coscienza, e che la coscienza dia spessore alla scienza. Di conseguenza, credo che scienza e coscienza sono elementi imprescindibili per la realizzazione iniziatica, da qualunque parte la s’incominci. Poi, in ognuno di noi c’è un “magico” elemento, che è l’intuito. Un aspetto lasciato scorrere a caso che, invece, con appositi modi andrebbe sollecitato a crescere. E quando l’intuito si amplifica, compare una nuova mente, di molto superiore alla minuscola dimensione dell’io (sono). Sull’utilizzo dell’intuito e della sensibilità intellettuale convergono l’esoterismo d’oriente e quello d’occidente nella simbologia di un «Ponte o Arco». Il prodotto di questa unione tra il proprio cielo e terra interiore è l’Arte Reale (Ars Regia) o Raja Yoga (in sanscrito, Unione con il Regale). Per quanti concepiscono la realizzazione iniziatica come l’unione di “se stessi”, ovverosia, l’unione delle due identità fisica e metafisica, allora, quella è auto-iniziazione. Secondo Assagioli l’auto-iniziazione è concepita da un supremo Atto di Volontà (fuoco interiore). Chi sa costruire «Ponti o Archi» interiori, non ha bisogno di altro per arrivare al significato di gnosi: il «saper per contatto». Questo non comporta, però, alcun miracolo caduto dall’alto, ma tanto lavoro su se stessi e tanta fiducia sull’opera che si sta compiendo. I ponti fatti dall’intelletto mettono in comunicazione diverse dimensioni di coscienza. La volontà intellettuale non nasce dall’erudizione, ma è pura intelligenza intuitiva. Bisognerebbe capire, però, le reali potenzialità di questa “scintilla divina”, come qualcuno la chiama, assai più ampie di quanto sono comunemente intese. Accrescere questo talento è l’apice dell’esoterismo, ed è chiamato Ars pontificia. 000 Athos 31 agosto 2007 Antonio scrive Caro Athos, sono sostanzialmente d’accordo con quanto hai scritto, in particolare sull’amplificazione intuitiva dell’intelletto che dovrebbe permettere la strutturazione di una nuova mente: forse la mente «naturale» di cui parlava Zolla. Sono però portato, come studioso di filosofia, a riflettere sui fondamenti, in maniera diversa da uno studioso di psicosintesi come Assagioli. Chiedermi, ed in fondo il pensare è più un formulare domande che proporre risposte, su quale metafisica, o meglio meta-teoria, si fonda l’approccio psicosintetico. Jung ha parlato a lungo di principio d’individuazione tra inconscio e coscienza, evitando però di travalicare il campo della scienza per abbracciare l’ignoto. Soltanto un frutto della sua forma mentis da medico? Io sono arrivato alla conclusione che Jung, da uomo intelligentissimo, era consapevole di non poter fondare le sue ricerche su nessuna meta-teoria credibile o verosimile. Aveva quindi buon gioco a rimanere nei meandri dell’analisi del profondo. Mi spiego ancora meglio. Guénon fondava la sua idea della «Tradizione» su di un sistema metafisico esclusivo/inclusivo: dentro il tasawwuf, l’advaita vedanta, Meister Eckhart, in parte il platonismo. Fuori il buddhismo hinayana, il paracelsismo, la teosofia tedesca. Su quali basi? Quali sono i fondamenti ontologici, le ragioni, di queste inclusioni/esclusioni al di fuori delle personali idiosincrasie? Posso nascere alla fine dell’ottocento in Francia, entrare in conflittualità con il mondo esoterico parigino, bollare gran parte delle tradizioni europee come «pseudo-iniziatiche». Conoscere un pittore che m’inizia al sufismo e dichiarare che il tasawwuf è pienamente tradizionale. È evidente che queste sono scelte arbitrarie che non conducono certamente all’elaborazione di una nozione di «Tradizione Primordiale» coerente e verosimile. In altre parole nell’idea generica di «Tradizione» includo tutto ciò che gradisco ed escludo ciò che aborro (come Schuon con la massoneria). Ho citato Guénon e Schuon soltanto come exempla di fraintendimenti intellettuali, non m’interessa soffermarmi sul loro vissuto o sulla loro opera. Ritorniamo ai nostri maestri della psicosintesi. La psicologia in generale, come le scienze umane, usa il metodo induttivo, risalendo dal particolare empirico ad una teoria generale. La mia impressione è che questi psicologi si muovono benissimo nei particolari, simboli, mito-analisi, ecc. Ma entrano in difficoltà quando devono spiegare su quale meta-teoria o metafisica fondare la loro visione spirituale. Non mi stupisco più di tanto: riflettere sul fondamento ultimo è da sempre il compito della filosofia e non della psicologia, che possiede piuttosto competenze sulla psiche ma non sui Principi primi. Se riflettiamo sui fraintendimenti intellettuali dei pensatori della “Tradizione” o sulle titubanze degli psicologi, arriviamo ad una conclusione lampante: ogni verità in quanto costruzione culturale o individuale è arbitraria. Ma allora che cos’è e qual è precisamente la “Verità” (con la maiuscola) metafisica? Innanzitutto che cos’è la metafisica? La metafisica non è un monolite, come alcuni tendono oggi a pensare. Chi conosce la storia del pensiero occidentale sa che la metafisica è la storia della metafisica. La metafisica è la storia delle singole dottrine metafisiche che si sono succedute nel cammino intellettuale dell’Occidente. Prendiamo ad esempio, l’atteggiamento di chi ama Saint-Martin, che non conosce il pensiero moderno e contemporaneo. Lui preferisce rimanere fermo a Saint-Martin. In nome di Saint-Martin rifiuta l’ottocento ed il novecento filosofico e tutta l’epoca contemporanea, che forse non è in grado di approfondire. Rimane il fatto che si fida, ha fides che il sistema di Saint-Martin sia superiore ed in grado di confutare tutto quello che separa la contemporaneità dal teosofo francese. L’ostinato rimanere aggrappato alla sua dottrina è una fede, un dogma, perché sfugge alla riflessione e all’impatto con la modernità. Chiunque prenda sul serio la filosofia, o quella branca della filosofia che è la metafisica, sa che la coscienza non è qualcosa di dato una volta per tutte, ma si evolve o regredisce con la storia. Il pensiero e la convinzione dell’uomo contemporaneo non sono quelli dell’uomo settecentesco. Ci separa l’irruzione della tecno-scienza, la secolarizzazione prodotta dal laicismo, l’economia flessibile, la diffusione delle scienze umane, ecc. Noi non siamo più gli uomini che ascoltarono e seguirono Saint-Martin. Noi viviamo nell’inquieto oggi e dobbiamo pensare nella nostra condizione storico-sociale, nell’hic et nunc della desacralizzazione post-moderna. Non è una scelta etica. Quando scrivo di homo religiosus non intendo avallare la possibilità di un’essenza immutabile: ma piuttosto di un’attitudine antropologica da declinare storicamente. La metafisica è la storia delle singole dottrine metafisiche, dove ognuno oltrepassa la precedente. L’attitudine spirituale, il sacer è una dimensione antropologica che non richiede necessariamente la fede in Dio o in una dottrina teologico-metafisica. Se ha senso pensare, e non limitarsi semplicemente a credere, devo elaborare le modalità in cui si può declinare l’attitudine spirituale dell’uomo contemporaneo. Declinare al tempo presente l’homo religiosus. 000 Antonio |