Nel mondo della fisica, il terzo principio della dinamica sostiene che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Anche se di origine assai remota, tra i fondamenti del postulato karmico troviamo il medesimo principio nell’affermazione che ogni evento discende da una causa e l’effetto può essere estinto solo annullando la causa che l’ha manifestato. Da questa equazione filosofica nasce il termine di karma che equivale alla correlazione tra causa ed effetto.
Con ciò, il modello karmico dimostra che nessun individuo è mai solo o scollegato dai propri simili. Perché la filosofia karmica svela come ci siano azioni dalla capacità reattiva assai lunga e come esistano cause che muovono effetti quasi infiniti che, di volta in volta coinvolgono vasti settori dell’umanità svelando l’esistenza di un destino comune [1]. Dai canoni di questo insegnamento si desume che il destino non è affatto fatale né imperscrutabile, ma discende da un processo coerente, che procede da cause chiare e perscrutabili. La reattività karmica è mossa sostanzialmente da due fonti, perciò è detta binaria. La fonte karmica più facilmente percettibile è quella d’origine individuale, mentre la meno appariscente è quella generata da cause comuni a vasti segmenti di umanità. Ma la fonte suprema dell’attività karmica è la volontà individuale che, con emozioni, passioni e desideri, genera un complesso sistema di relazioni retto da un sistema binario minore. Quello dell’attrazione e della repulsione. Ogni cosa, fatto o persona che faccia insorgere emozioni attrattive (volontà di pos-sesso) o repulsive (volontà distruttiva) inizia un’attività karmica. E quanti sono coinvolti dall’attrazione o dalla repulsione, nonostante la diversificazione dei ruoli, da attori o comprimari, restano comunque coinvolti dagli effetti della propria volontà emotiva. Effetti che anche quando prendessero la forma di fattore esterno, saranno sempre e solo la reazione al proprio agire. E quando l’incontro avviene in un lontano futuro, non potendone più discernere l’origine, viene avvolto da un alone di mistero. Questo è il destino, legato all’idea di fato e di fatalità imperscrutabile. Eppure il destino potrebbe non avere una forma fortuita se la sua causa è la volontà più o meno consapevole di un artefice, regista o attore. E se il cosiddetto destino non è di natura fatale, allora, come viene insegnato, con azioni acconce può essere incanalato, smussato, sviato e ridotto. E questo è il fine ultimo della parte più esoterica dell’insegnamento. Riuscire prima a convivere col proprio karma per poi usare la sua spinta per raggiungere una meta che senza meno è condivisibile da entrambi (individualità ed anima). Ma prima bisogna saperne riconoscerne le cause. Che possono essere personali o provenienti da altri agenti, anche lontani, o ignorati, o dimenticati. Insomma, un’intensa rete d’intenti relaziona l’attività karmica che sarebbe sbagliato credere individuale. Perché tutto influenza tutti e tutti influenzano l’umanità con fatti e pensieri che si proiettano moltiplicando i propri effetti fin dove è possibile, congiungendosi tra loro per poi tornare alle fonti che li ha generati. In questo panorama potremmo riconoscere come una sorta d’istinto di sopravvivenza, permei il mondo delle idee, facendone una sfera mobile che vive di vita propria. La sfera psichica che la scienza conosce come vita conscia, subconscia e superconscia che, con il proprio impulso, sembrano spingere le idee a sopravvivere anche ai propri artefici, associandosi tra loro e costituendo alleanze con i meccanismi simili che trovano dentro e fuori la natura umana. Il karma, si diceva, è il risultato di cause passate ma non estinte di cui, volenti o nolenti, si dovranno risolvere gli effetti. Ed ogni risultato và risolto, altrimenti va ad aggiungersi agli altri “nodi” di vita che finiscono per bloccare il flusso dell’avanzamento individuale. Questo, in fondo, è il senso del karma. Un meccanismo coscienziale della natura umana, che agisce per induzione come la bilancia che ne è il simbolo. Un congegno che va capito per la sua funzione e che, come altri meccanismi psichici, è inutile rifiutare o tentare di sfuggire. Molto meglio assecondarne ragionevolmente le specificità, moderandone gradualmente l’abbrivio che incide la nostra vita. Così da usare l’intelligenza più che l’accettazione supina e attendista. Ma non tutti hanno la stessa visione. Taluni l’interpretano come un evento che incombe minaccioso. Un fenomeno silente, oscuro e distaccato dalla realtà umana. Una realtà a sé, chiamata Signore. Una divinità dalle origini contraddittorie che agisce come una ruota, sorteggiando ora l’uno ora l’altro, destinando bene o male con inspiegabili criteri. [2] Queste confuse interpretazioni creano spavento e inducono a credere all’esistenza di antipatie divine. Che molti cercano d’evitare immaginando prassi propiziatorie, gradite alla divinità, che attirino simpatie celesti, evitino i giudizi più critici, accattivandosene l’indulgenza con atti supplici o ricorrendo a commerci devozionali quanto empi. Riflettendo sin sul piano “divino” quell’attrazione-repulsione ch’è il frutto minore dell’animo umano, si fa nascere il pensiero superstizioso che fomenta culti e suppliche che non potranno mai mutare l’impronta data ad una vita. Tutte abitudini cancellate dall’introduzione alla regola dell’evocazione-invocazione spirituale a cui viene educato l’iniziato, e che annullerà i sentimenti di attrazione e repulsione che lo hanno guidato attraverso la stagione degli impulsi e delle passioni. La Legge di Causa ed Effetto non è tanto figlia dell’azione quanto dell’intentoIl moto karmico, non scaturisce tanto da azioni e da fatti quanto da scelte fatte e da decisioni prese. Questo sottintende che il karma ha una causa più mentale che fisica. Del resto, a meno che si tratti di un demente, è indubbio ogni genere di azione possa solo conseguire alla volontà di chi l’ha concepita. Allora, piuttosto che discendere da concause fisiche sembra che ogni reazione karmica abbia la propria causa nella volontà e nel pensiero. Ma pur appartenendo cause e concause a piani diversi nel processo karmico, restano in stretta relazione, anzi, i loro effetti non solo restano concomitanti ma si sommano e, per così dire, si moltiplicano. Vediamo come. I pensieri che si muovono sui piani mentali, le parole che si muovono sui piani emotivi e le azioni che si muovono sul piano fisico sono tutti generatori karmici, ma movendosi simultaneamente producono i propri effetti su ogni livello. Perciò, non meraviglia che una stessa causa venga a tracciare, con i propri effetti, ogni piano coinvolto. Espandendo, così, e di molto, la sua intromissione nei piani di coscienza dell’individuo che, per così dire, lo subisce, complicandone parecchio le opportunità di replica. Esorcizzare un nodo karmico, però, non significa in alcun modo “risolverlo”. Inutile, quindi, ricorrere a processi emotivi, deformati dal timore come quello della speranza. Il karma è un meccanismo che trova il proprio impulso nell’energia della coscienza. Una sorta d’imprinting mentale, insolubile sia dall’ottimismo salvifico che in un sol tocco vorrebbe cancellata ogni imperfezione, che dall’assolutismo pessimistico che sancisce solo drammi, colpe e punizioni. In realtà sia in natura naturante che in natura naturata, non esiste nessuna relazione con il pessimismo (la malinconia) né con l’ottimismo (l’ebbrezza), perché i “toni” che colorano le emozioni sono l’espressione della natura passionale. Un prodotto artificiale della mente fisica, che spesso trova le proprie ragioni in fattori biologici, chimici e in alterazioni ormonali. E se i principi naturali, naturanti o naturati non contemplano né pessimismo né ottimismo, sembra almeno stravagante la volontà di sancire l’esistenza d’un elemento punitivo o salvifico sovrastante le cause. Dunque l’insegnamento karmico sembra una terza via. Una via di mezzo tra il salvataggio gratuito e disimpegnato e le punizioni perenni sancite per colpe momentanee. La terza via è quella della correzione attraverso l’esperienza. La comprensione responsabile che consegue al riconoscimento dell’errore e la sua redenzione attraverso una completa correzione tanto dell’effetto quanto della causa che l’ha generato. Questa via parrebbe lo strumento ideale per migliorare sé stessi. Perché solo cominciando ad educare profondamente sé stessi si può pensare di migliorare l’umanità. Non rimane che considerare il karma come un procedimento che manifesta gli effetti causati dalla volontarietà individuale, o di gruppo, riportandoli nella sfera che li ha determinati. Procedendo con equilibrio e distribuendo competenze e risorse in maniera né pessimistica né ottimistica ma “eguale”. __________ Note1. Potendo giungere a concepire una qualche forma di destino che accomuna ogni membro dell’umanità, si potrebbe accettare l’esistenza di altre “strategie” come quella di un bene e di un male comune. E questo chiarirebbe molti misteri. (torna al testo) 2. Talvolta, seguendo i criteri di alcune credenze popolari è difficile distinguere Dio da dio. |