Ogni decisione presa genera un orientamento o, al contrario, un mutamento d’orientamento nel filo della vita, destino o karma che dir si voglia. Anche il non-decidere è una decisione (scelta passiva) e come tale comporta conseguenze pari ad una decisione attiva.
Avere coscienza di cosa si vuole
di Athos A. Altomonte
Procedere perché attratto da “simpatie singolari” per questo o quell’argomento, è un metodo che non mi appartiene, poiché preferisco dedicarmi “ciclicamente” a coltivare più temi iniziatici, curandoli come fossero le aiuole del mio giardino.
Questo metodo non corrisponde, certo, a una visione particolare del sistema iniziatico, ma si adatta alle esigenze di chi ritiene indispensabile approfondire le diverse ripartizioni della conoscenza, attraverso una visione d’insieme. Questo perché non credo sia corretto eleggere ad esclusivo modello ciò ch’è trasmesso da un’unica tradizione. L’esperienza, infatti, insegna che ogni tradizione vada considerata come un tentativo di trasporre ed interpretare fatti e concetti che, difficilmente, sono pienamente compresi da menti troppo specializzate da un particolare linguaggio, psicologico, culturale o di fede. Tali specializzazioni sono veicolo di deformazioni e difformità, anche nel diffondere uno stesso principio (vedi l’articolo: La Confusione dei linguaggi minori).
D’altronde credo, invece, che possa essere considerata unica la fonte della simbologia umana, di cui l’Essere umano, seppure imperfetto, rappresenta (nel suo aspetto formale) il “modello vivente” più progredito.
Ecco il motivo del mio avvicendarmi su più temi, seguendo un “filo logico” (viaggio interiore), apparentemente serpeggiante, che attraversa più argomenti. Un “filo” che tutto unisce ma che non tutti vedono. Coloro che mancano di una tale visione sintetica finiscono per frammentare ogni tema iniziatico fondamentale (misterico o mistico: le due parti di una stessa medaglia) in una moltitudine di argomentazioni all’apparenza disgiunte.
Ciò avviene perché tendono a preferire un metodo d’interpretare a discapito di altri. Questo, a mio avviso, è un segno di miopia intellettuale o, altrimenti, dell’inesperienza di un neofito, che limita, e probabilmente pospone, l’avanzamento del ricercatore (di verità). Ma tant’è, che tra questi è ancora assai diffusa la consuetudine (autarchia della mente concreta e istintuale) di seguire attrazione ed istinto piuttosto che intelligenza e intuitività, rispondendo, così, più alle passioni mentali che si manifestano come: “questo mi piace, quindi, secondo me è giusto”; e le repulsioni come: “questo non mi piace, quindi, secondo me è sbagliato”.
Come centro d’equilibrio la “saggezza iniziatica” considera le funzioni di una guida (che tutti dicono di volere ma che nessuno cerca dove dovrebbe cercare) per educare l’allievo o allieva a “discriminare” il senso della realtà. Perché, basandosi sulle sensazioni, si genera una concezione soggettiva della realtà da cui ci si dovrebbe invece affrancare, mentre solo una visione oggettiva può avvicinarci alla vera immagine della Realtà.
In queste righe ho tentato di esprimere la vera difficoltà del Neofita con quello che “simbolicamente” è detto: il Labirinto della vita.
Questo Labirinto è la metafora delle “scelte” e delle conseguenti “decisioni” che sono la vera prova che ognuno è condotto ad affrontare.
Ogni decisione presa genera un orientamento o, al contrario, un mutamento d’orientamento nel filo della vita, destino o karma che dir si voglia. Anche il non-decidere è una decisione (scelta passiva) e come tale comporta conseguenze pari ad una decisione attiva.
Il nocciolo dell’argomento resta l’avere o non avere coscienza di cosa si vuole e del perché lo si fa. Per questo l’iniziato pone grande attenzione a far distinguere ai propri Allievi tra il “fenomeno” della libertà di scelta e la consapevolezza superiore che determina, invece, il Libero Arbitrio (vedi Libertà di scelta e libero arbitrio).
Il Libero Arbitrio non è una semplice “scelta” emotiva ma una “decisione” dotata di volontà, che deriva da un maggior grado d’illuminazione. Uno stato d’illuminazione che i mistici chiamano “luce dell’anima”, e che viene “trasmesso” alla ragione fisica per azione dell’Ego superiore. La differenza tra i due stati, quello di buio (mente fisica) e quello di luce della mente (mente egoica), è data da una diversa potenzialità dell’energia psichica. Ovvero, quando le peculiarità energetiche dell’Ego superiore riescono ad essere assimilate dall’entità, energeticamente minore, comunemente detta: mente concreta.
La ragione fisica si “muove” attraverso due tensioni binarie conosciute come mascolino e femminino. Una complementarietà energetica, che si potrebbe più correttamente definire nei termini di polo negativo (- meno) e polo positivo (+ più). A differenza di quanto avviene per l’Ego superiore che determina le proprie “azioni” per mezzo di una quadruplice polarità che, nella sua addizione, genera un’unica fase energetica detta metaforicamente, androgina.
Per differenza di linguaggio, possiamo notare come la versione “umanizzata” di questa descrizione corrisponde al modello più infantile d’idioma esoterico, mentre l’ultima è certamente da considerare un linguaggio più adulto. E così per tutti i temi esoterici. Per cui, in quell’ambito, ogni richiamo di tipo antropomorfo è solo il frutto di concezioni minori che spesso deviano dal rappresentare i veri principi iniziatici.
Inoltre la fisicità dell’essere è solo il contenitore della “sfera coscienziale”. E quando si dice “sfera coscienziale” s’intende tutto il suo insieme, non solo una parte. Considerandone cioè sia la parte della cosiddetta soglia di coscienza vigile (che gestisce i piccoli frammenti della quotidianità), sia il cosiddetto “subconscio” (detto l’inferno interiore) ed il “superconscio” (detto il paradiso interiore). Questa suddivisione, però, è alquanto arbitraria e fonte di grandi fraintendimenti.
In realtà non esiste nessun confine che suddivida un campo di coscienza che invece è unico. Questa suddivisione, che dipende solo dall’intensità delle facoltà psichiche, magari finisce per far ritenere una parte della “propria coscienza” prevalente sulle altre. Ma credere a questa separazione è un grosso errore: come se ci si abbassasse la vista di 1/3.
Un esempio adeguato potrebbe essere quello di paragonare la sfera di coscienza (il cosiddetto: uovo aurico o pneuma) ad uno campo (magnetico) con il suo spazio e ad una luce che l’illumina.
Più la luce sarà forte e più spazio del campo riuscirà ad illuminare. E se non l’illumina del tutto, l’addetto cercherà di potenziare gli effetti della luce, perché, più forte, giunga più lontano.
Ecco che non ha molto senso ripartire il campo in tre parti: quella illuminata e quella in penombra distinte dalla parte rimasta all’oscuro. Piuttosto è importante “generare più luce”, così che possa “allargare” i “propri confini” e giungere ad illuminare tutto il campo.
Questa è la metafora del lavoro interiore che dovrebbe svolgere “l’addetto”, cioè ognuno di noi, uomini e donne.
Anche se questa metafora avesse “reso l’idea”, restano sempre i pregiudizi e soprattutto l’immodestia delle “parti oscure” a contrastare una visione limpida del cammino verso l’illuminazione. Perciò, girando in tondo, il “Centro del Labirinto” resta sempre distante.