I poeti ricordano come Memnone fosse figlio dell’Aurora. Questi, famoso per la bellezza delle sue armi e celebre per detto popolare, partecipò alla guerra di Troia ove, accorrendo bramoso a grandi imprese con sconsiderato ardire, si scontrò a singolar tenzone con Achille, il più forte dei Greci, rimanendone ucciso.
I poeti ricordano come Memnone fosse figlio dell’Aurora. Questi, famoso per la bellezza delle sue armi e celebre per detto popolare, partecipò alla guerra di Troia ove, accorrendo bramoso a grandi imprese con sconsiderato ardire, si scontrò a singolar tenzone con Achille, il più forte dei Greci, rimanendone ucciso. Giove, mosso a pietà, inviò al suo funerale per onorarlo uccelli che si lamentavano con un canto lugubre, commiseratore e senza fine; e pure la sua statua, percossa dai raggi del nascente sole, si narra fosse solita emettere un flebile suono. La favola sembra riguardare le calamitose sorti dei giovani che danno grande speranza di sé. Costoro sono, infatti, come figli dell’Aurora e, bramosi di cose vane ed esteriori, osano imprese maggiori delle loro forze, e provocano alfine i fortissimi eroi e richiedono a forza il combattimento per poi perire soccombendo all’impari confronto. Un’infinita commiserazione suole seguirne la fine. Nulla infatti vi è di tanto frale tra i destini dei mortali e capace di commuovere quanto il fiore della virtù reciso da fine immatura. Questo perché in tal modo, la prima gioventù non arriva alla soddisfazione di sé o a generare l’invidia, che possono lenire la mestizia o temperare la pietà. Pertanto, non solo come quegli uccelli funebri intorno al rogo dei giovani, volano compianti e lamentele, ma la commiserazione di questo tipo dura e si rinnovella. Specialmente quando all’occasione di nuove imprese e agli inizi dei grandi eventi, le loro sofferenze sono rinnovate come ai raggi del sole mattutino. |