Il tema mistico del serpente e del Cristo ci permette di ritornare su questo mythologème straordinario attraverso il Mélusine paracelsiano. Questa illustrazione del Libro della Santa Trinità, alias Pandora, è tratto dalla Farmacopea Germanicus 598 [Monaco, 1420] di cui si pensa che la compilazione è stata effettuata da Hieronymus Reusner, alias Franciscus Epimetheus. Commentando gli scritti di Paracelso, Jung scrive:
“…evidentemente il luogo di origine del Mélusine è il ventre dei misteri che corrisponde a ciò che chiamiamo oggi l’inconscio. I Mélusine non hanno organi genitali, questa è una caratteristica del loro stato paradisiaco, perché Adamo ed Eva non avevano ancora organi genitali all’epoca in cui vissero in paradiso. Di più il paradiso era, dice, sotto l’acqua, e lo è ‘ancora’.”
(5.2 / La Trinità) Das Buch der Heyligen Dreyfaltigkeit, XV secolo Il tema mistico del serpente e del Cristo ci permette di ritornare su questo mythologème straordinario attraverso il Mélusine paracelsiano. Questa illustrazione del Libro della Santa Trinità, alias Pandora, è tratto dalla Farmacopea Germanicus 598 [Monaco, 1420] di cui si pensa che la compilazione è stata effettuata da Hieronymus Reusner, alias Franciscus Epimetheus. Commentando gli scritti di Paracelso, Jung scrive: “…evidentemente il luogo di origine del Mélusine è il ventre dei misteri che corrisponde a ciò che chiamiamo oggi l’inconscio. I Mélusine non hanno organi genitali, questa è una caratteristica del loro stato paradisiaco, perché Adamo ed Eva non avevano ancora organi genitali all’epoca in cui vissero in paradiso. Di più il paradiso era, dice, sotto l’acqua, e lo è ‘ancora’.” [idem, § 222, p. 189, op. cit.] Abbiamo avanzato l’ipotesi che l’illustrazione del Buch der Heyligen Dreyfaltigkeit non è altro che la rappresentazione della nascita della sessualità. In altri termini, l’accesso all’individuazione, attraverso il desiderio. Con questo concetto riesce a spiegare il mistero della sterilità del Re [vedere sopra] compreso Adech: questo defectus originalis segnalato nel Cantilena Riplei è corretto da Mélusine che, pure continuando a vivere nel paradiso, in quanto animale acquatico, vive anche nel sangue umano [compreso come quello che anima o anima ]. Eros e Mélusine così non sono che delle variazioni sul tema di un archetipo, il desiderio la cui origine porta all’espansione naturale dell’Io. Un’altra conclusione è che il desiderio, che è dovunque, ha il diritto di vedere un rapporto col principio Sale degli alchimisti [e con l’Ego della pysché], simboleggiato dall’ideogramma che costituisce in effetti il soggetto dell’Aurora consurgens, testo che comincia da un capitolo sul sale di saggezza [II. Nell’opera di M.L. von Franz troviamo due vecchi trattati che la dicono lunga sulla loro importanza: Il Di Chemia di Senior ed il Consilium Conjugii, vedere Theatrum Chemicum, vol. V]. È chiaro che il desiderio nacque dalla tintura dello Zolfo rosso dove il Sale agisce nei suoi confronti come una calamita. Riconosciamo che queste riflessioni sono un niente triviale, che esprimono una verità sotto la quale si nascondono degli archetipi abbastanza importanti che costituiscono o potrebbero costituire la materia stessa dello schizogénie che lascia solo da un lato l’anthropos [l’Io isolato non sembra un viatico percorribile] come un corpo morto e dall’altro lato conduce alla vita per accesso l’altro, il Sé. Questo potere di attrazione può tradursi secondo: + <–> + . La è la calamita dell’ come tutti sono una calamita. Questi elementi si attirano naturalmente due a due, come sappiamo dei fenomeni di trasferimento [ + sotto forma di vapori, di nugoli; + in forma di terra liquida o lava] e dei fenomeni di proiezione nel senso fisico [noterete che queste proiezioni risultano in generale a causa di un elemento che viene a mancare in modo da far “cristallizzare” il processo di proiezione. Così, la pioggia è il risultato dell’ – ; la terra, della – ; il fulmine è un processo ancora più complesso, risultante dall’interazioni tra, , e ; la forza dell’aria o vento sono sotto la dipendenza degli altri tre elementi. La è in apparenza l’elemento più stabile ma è sottomessa ai tormenti degli altri tre elementi che l’erodono o la screpolano]. Notate che, dei quattro elementi, la coppia { , ,} è passiva mentre { , } è attiva. Dei quattro elementi, è la che sembra immutabile,( e ) sono i due elementi “mutabili” [nel senso di volatilità, suscettibili di scomparsa o di modifica rapida, sono sottomessi al controllo di , implicato nel trasferimento], invece e hanno una portata spaziale [con la mediazione di ], l’uno adattandosi all’altro per imitazione [ si adatta alla forma del per adattamento passivo; i due hanno un carattere fisso, a dispetto dei cambiamenti della ]. La coppia passiva trova il suo complementare alchemico nel paziente che indica lo Zolfo bianco o matrice della pietra mentre l’agente che orienta la pietra, detto diversamente, la sua luce [vedere Paracelso], è dipendente dello Zolfo rosso o tintura. Jung aggiunge: “Il démiurgo diventa il diavolo che ha creato il mondo e, poco dopo, l’alchimia comincia a sviluppare il suo concetto di Mercurio, dello spirito in parte materiale, in parte immateriale che penetra e conserva la creazione dalla pietra e del metallo fino alla creatura vivente superiore.” [Aïon, § 367, p. 252, op. cit.] Si raggiunge qui il démiurgo del RS col simbolo del rospo come corruptio mundi. Di questo rospo, abbiamo detto che rappresentava lo spiritus corruptus della figura 8 del Rosarium Philosophorum. L’inconscio è presente in essenza: lo si mischia con lo calce metallica che forma il compost. L’umido radicale che risulta da questa unione del fisso col volatile è l’immagine dell’adech; l’evoluzione verso la creatura vivente superiore che deve condurre all’individuazione [l’auto-rigenerazione o réincrudation] è la transizione verso il secondo Adamo, per mezzo della lancia che Lilith ha appena lanciato al vecchio Adamo. Gli alchimisti hanno trovato il modo di legare lo spazio al tempo, questo ha dato il via ai lavori iniziati da Jung [vedere Aïon, op. cit.] e proseguiti da M.L. von Franz [vedere Numero e Tempo, la Fontana di Pierre, trad. 1978]. Questi lavori hanno messo in evidenza il legame che esisteva tra le manifestazioni della psiche ed il comportamento degli oggetti fisici elementari, dove esercitano un fenomeno che Jung ha qualificato di sincronismo [vedere Sincronismo e Paracelsica, op. cit.]. La manifestazione di questo fenomeno passa in generale dall’obliquità della luce ed è là, in modo particolare, che l’alchimia – per il suo linguaggio – raggiunge la fisica: gli Adepti dicono nei loro testi che tutta l’arte consiste in rendere manifesto l’occulto. Crasselame ha scritto anche una poesia, Lux Obnubilata, dove il tema è stato affrontato a sufficienza. Questa luce ha questo di particolare è – uguale ad Atalanta – eminentemente fuggitiva ché dura solamente il tempo di un lampo [lo sguardo dell’aquila]. Per analogia, tutto sembra indicare che bisogna stabilire un rapporto tra i veri “colpi di fulmine” imposti da Mélusine ad Adamo e ad un ideogramma che rappresenta la monade alchemica di cui abbiamo parlato nell’Aurora consurgens, II. Zeus – Héphaistos – Cronos Questo simbolo manifesta la congiunzione dei principi che avviene in primavera all’epoca dell’ingrèsso del in Ariete. “Alla fine del processo, Paracelso dice che si manifesta un lampo fisico, ed il lampo di Saturno e quello del Sole si separano l’uno dall’altro, ciò che appare in questo lampo diede la vita al grande Iliaster.” [Jung, Paracelsica, op. cit., § 232, p. 195] Questo lampo è la manifestazione della luce; come Jung lo indica in nota [n. 168, p. 252], il lampo passa da a [Di Vita longa, Sudhoff III, p. 283]. Rulandus [Lexicon Alchimiae, réed. Georg Olms Verlag, 1987]. Egli spiega che il lampo ha qui lo stesso senso del termine fulmine [notiamo l’allusione a Fulcanelli per folgore] che implica una depurazione: si tratta, se si preferisce, di una sublimazione intesa come una “elevazione”. Jung stima che il fulmine: “…corrisponde probabilmente all’Iliaster magnus che è un rapimento dello spirito per il quale l’uomo è trainato in un altro mondo, come Enoc, Elia e Paolo” [Paracelsica, op. cit. in Rulandus, op. cit., p. 264] L’espressione “rapimento dello spirito” è molto interessante perché ci riporta alla mitologia, cioè [Perséphone, Ganymède, ecc.] allo stesso momento in cui il lupo rapitore degli alchimisti viene indicato con il simbolo dello . Ma questa indicazione è errata, come ha rilevato Fulcanelli nelle sue Dimore Filosofali. In compenso, il fenomeno di captazione con la calamita dei Saggi, corrisponde ad una verità ermetica: illustra il fenomeno di impregnazione che vediamo descritto nella figura 8 del Ros. Phil.
“Il Mercurius… è la ruota di fuoco dell’essenza sotto forma di serpente. L’anima, non illuminata, è anche un Mercurius ardente di questo tipo. Vulcano bacia la ruota di fuoco dell’essenza dell’anima quando rompe con Dio; è così che nascono il desiderio ed il peccato che sono la collera di Dio.” [Jung, Psicologia ed Alchimia, op. cit., il simbolo del mandala, § 215, p. 218] Analisi notevole, questo evidenzia che è il momento di disgiunzione [schizoïdie radicale] dal dove si manifesta il logos che il Passio Christi simboleggia con il . Abbiamo visto che questa croce manifesta la presenza della Trinità: il corpo [il metallo] viene messo nel crogiolo [crux, la croce] per essere depurato e cacciare lo spiritus corruptus, [Philalèthe lo chiama il ladrone] affinché venga in fine reintegrato in un’anima rinnovata . Questa scena è piena di effetti in quanto la psiche si trova ad essere la sede di proiezioni il cui potere è quello dell’estasi e del sacro. Il corpo morto è chiamato formalmente cenere dagli alchimisti: “Non disprezzare la cenere, perché è il diadema del tuo cuore e la materia delle cose eterne.” [cit. di Jung in Paracelsica, op. cit., § 225, p. 190] La citazione proviene dal Ros. Phil. [cinerem non vilipese, no ipse è diadema cordis tui, e permanentium cinis, in Di Alchemia, f. LIII] è stata ripresa da Morienus [vedere anche il Desiderio Desiderato, apocrifo di Flamel, vecchio trattato che risente dell’influenza del Di Compositione alchimiae in Artis Auriferae]. Questa cenere non è altro che – – Ego, portato al suo grado estremo di corruzione. L’artista si deve allora sforzare di moltiplicare l’effetto dei tre principi, in modo che questo veleno si trasformi in: infatti: = x 2. Questa operazione passa dalla congiunzione della sostanza primitiva [umido radicale] delle lumi { , }, sostanza che si trova nella fioritura di sali metallici colorati [anqemwnion = antimonium] che segnalano la loro presenza attraverso i colori della coda di pavone, questa similitudine ha costituito per molto tempo un mistero impenetrabile: occhi, ruote, Cristo, . ci ha riportato a questo passaggio di Ézechiele: “Ed i cerchi delle quattro ruote erano pieni di occhi. Perché lo spirito dell’essere vivente era nelle ruote.” [1; 18, 20] Quella del Tétramorfo vede inizialmente venire da settentrione [Borée] una nuvola tempestosa [ – – ] accompagnata da una luce splendente. Una materia che somiglia al bronzo che brilla [ritroviamo questa sostanza che ha il brillante madreperlaceo degli occhi di pesce dei testi alchemici]. Quattro facce umanoidi appaiono nel sogno ad Ezechiele: sono gli Evangelisti: “In quanto alle loro sembianze, avevano tutti una faccia di uomo, ogni quattro una faccia di leone a destra, ogni quattro una faccia di bue a sinistra, ed ogni quattro una faccia di aquila.” [1; 10] Una ruota correda ciascuna di queste rappresentazioni: sembra fatta di chrysolithe [ = topazio] e lo spirito degli animali l’accompagnano. Il firmamento è di cristallo [il vaso di natura è di vetro o, più esattamente di olio di vetro: vitri oleum]. Una pietra di zaffiro è in vetta a questa teoria celeste. E questa luce celeste somiglia all’arcobaleno. Così come ci suggerisce Jacob Boehme: “… che la vita spirituale è rivolta verso l’interno, all’interno di lei stessa e che la vita naturale è rivolta verso l’esterno e diventa viso. La si può paragonare ad una ruota sferica rotonda che gira su tutti i suoi lati, come l’orologio di la picchio di Ezechiel.” [cit. da Jung in Psicologia ed Alchimia, op. cit., La simbologia del mandala, § 214, p. 216]. |