Il Grande Gautama ha donato al mondo un Insegnamento completo per la perfetta costruzione della vita. Il pensiero contemporaneo permette ormai di unire con un ponte prodigioso Gautama, l’Illuminato, ai tempi presenti. Non lo diciamo per glorificarlo né per sminuirlo, ma semplicemente come un fatto evidente e inalterabile. La legge del coraggio, la legge della rinuncia al possesso, la legge del valore del lavoro, la legge della dignità dell’uomo al di là delle caste e delle distinzioni esteriori, la legge della vera conoscenza, la legge dell’amore fondato sulla conoscenza di sé, fanno delle rivelazioni degli Istruttori un perenne arcobaleno di gioia per l’umanità.
(tratto da L’Insegnamento originario del Buddha – Ed. Synthesis – titolo originale: Foundations of buddhism) Il Grande Gautama ha donato al mondo un Insegnamento completo per la perfetta costruzione della vita. Il pensiero contemporaneo permette ormai di unire con un ponte prodigioso Gautama, l’Illuminato, ai tempi presenti. Non lo diciamo per glorificarlo né per sminuirlo, ma semplicemente come un fatto evidente e inalterabile. La legge del coraggio, la legge della rinuncia al possesso, la legge del valore del lavoro, la legge della dignità dell’uomo al di là delle caste e delle distinzioni esteriori, la legge della vera conoscenza, la legge dell’amore fondato sulla conoscenza di sé, fanno delle rivelazioni degli Istruttori un perenne arcobaleno di gioia per l’umanità. La tradizione afferma che quando Gautama, il Buddha, conseguì l’illuminazione ebbe chiara la «catena delle cause» (i 12 Nidānas), risolvendo così il problema che lo tormentava da parecchi anni. Meditando dalla causa all’effetto, Gautama rivelò l’origine del male: 12) L’esistenza è sofferenza, perché essa implica vecchiaia, morte e miriadi di pene. 11) Io soffro perché sono nato. 10) Io sono nato perché appartengo al mondo dell’esistenza. 9) Io esisto perché alimento l’esistenza in me. 8) Nutro l’esistenza perché ho dei desideri. 7) Ho dei desideri perché ho delle sensazioni. 6) Ho delle sensazioni perché entro in contatto con il mondo esteriore. 5) Questo contatto è prodotto dall’azione dei miei sei sensi. 4) I miei sensi si manifestano perché, essendo una personalità, mi oppongo all’impersonale. 3) Sono una personalità perché la mia coscienza ne è compenetrata. 2) Questa coscienza si è creata in conseguenza delle mie vite precedenti. 1) Queste esistenze hanno offuscato la mia coscienza. D’abitudine si enumerano le dodici formule in ordine inverso: 1) Avidya (l’offuscamento dell’ignoranza). 2) Samskāra (il karma). 3) Vijñiāna (la coscienza). 4) Nāma-rüpa (la forma sensoriale e non sensoriale). 5) Shad-āyatana (le sei basi trascendentali dei sentimenti e sensazioni). 6) Sparsa (il contatto). 7) Vedanā (i sentimenti). 8) Trishnā (la sete di desiderio). 9) Upādāna (gli sforzi e gli attaccamenti). 10) Bhāva (l’esistenza). 11) Jāti (la nascita). 12) Jarā (la vecchiaia e la morte). Così l’origine e la causa primaria di tutta la sofferenza umana risiedono nell’oscurità e nell’ignoranza. Conseguentemente, Gautama definì e condannò l’ignoranza con precisione. Egli affermò che essa è il più grande crimine perché è la causa di tutte le sofferenze umane, in quanto ci induce ad attribuire valore a ciò che non ne ha; a soffrire allorché non dovremmo; a scambiare l’illusione per la realtà; a spendere la nostra vita nella ricerca del futile, trascurando ciò che invece è più prezioso: la conoscenza dei misteri dell’esistenza e del destino umano. La luce capace di dissipare questa oscurità e di liberarci dalla sofferenza fu proclamata da Gautama il Risvegliato come la conoscenza delle Quattro Nobili Verità: 1) La sofferenza dell’esistenza incarnata è causata dalla ricorrenza costante delle nasciete e delle morti. 2) La causa di queste sofferenze risiede nell’ignoranza, nella sete di soddisfazione personale data dai possedimenti terreni che trascinano nella perpetua ripetizione di una esistenza imperfetta. 3) La cessazione della sofferenza si trova nella realizzazione di uno stato illuminato, includente tutto, creando con ciò la possibilità di arrestare coscientemente il cerchio dell’esistenza terrena. 4) La via che conduce alla cessazione della sofferenza consiste nel rafforzare progressivamente gli elementi da perfezionare, per sopprimere le cause dell’esistenza terrena e raggiungere la Grande Verità. Gautama divise il Sentiero che porta a questa Verità in otto parti: 1) Giusta comprensione (per ciò che concerne la legge delle cause). 2) Giusto pensiero. 3) Giusta parola. 4) Giusta azione. 5) Giusta direzione. 6) Giusto lavoro. 7) Giusta vigilanza e giusta autodisciplina. 8) Giusta concentrazione. Colui che ha osservato questi principi nella sua vita si libera dalla sofferenza dell’esistenza terrena che risulta dall’ignoranza, dal desiderio e dalle invidie. Quando si è realizzata questa liberazione si perviene al Nirvāna. Cos’è il Nirvāna? «Il Nirvāna rappresenta la capacità di contenere tutte le azioni, è il limite dell’inclusività totale. Il fremito dell’illuminazione attira la vera conoscenza. La quiete non è che un segno esteriore, che non esprime l’essenza di questo stato». La nostra comprensione attuale ci permette di definire il Nirvāna come uno stato di perfezione di tutti gli elementi e di tutte le energie in un individuo, portati al massimo d’intensità realizzabile nel presente ciclo cosmico. Gautama il Risvegliato indicò anche dieci grandi ostacoli o impedimenti: 1) L’illusione della personalità. 2) Il dubbio. 3) La superstizione. 4) Le passioni fisiche. 5) L’odio. 6) L’attaccamento alla materia. 7) Il desiderio di godimento e di riposo. 8) L’orgoglio. 9) La soddisfazione di sé. 10) L’ignoranza. Per raggiungere una più elevata conoscenza è necessario liberarsi di questi ostacoli. Il buddismo espose, nei minimi dettagli, le suddivisioni dei sensi e i meccanismi del processo intellettuale, sia come ostacoli che come mezzi di sviluppo per facilitare la conoscenza di sé attraverso l’allenamento mentale e l’analisi di ogni oggetto in dettaglio. Seguendo questo metodo di conoscenza di sé, l’uomo può finalmente pervenire a conoscere la vera realtà e vedere la verità quale essa è. Questo è il metodo applicato da tutti i saggi Istruttori per lo sviluppo della mente del discepolo. Predicando le Quattro Nobili Verità e il Nobile Sentiero, Gautama condannò da una parte le mortificazioni corporali praticate dagli asceti e, dall’altra parte, la licenziosità – indicando nel sentiero degli otto passi la via dell’armonizzazione dei sensi e della realizzazione delle si perfezioni di un Arhat: compassione, moralità, pazienza, coraggio, concentrazione e saggezza . Il Risvegliato insistette sulla realizzazione, da parte dei suoi discepoli, del concetto dei due estremi, poiché non si percepisce la Realtà se non giustapponendoli. Se il discepolo era incapace di padroneggiare questo conetto il Benedetto non l’introduceva ad una conoscenza più avanzata, perché questo non sarebbe stato solo inutile ma avrebbe potuto rivelarsi anche dannoso. Realizzare questo concetto è più facile quando si è realizzato il principio di relatività. Il Buddha affermò la relatività di tutto ciò che esiste, facendo rimarcare gli eterni cambiamenti nella natura e l’impermanenza di tutte le cose nei flussi dell’esistenza senza limiti che tendi eternamente verso la perfezione. Nella seguente parabola si può vedere fin a che punto egli si attenesse a questo principio di relatività: «Supponiamo – disse un giorno il Buddha ai suoi uditori – supponiamo che un uomo in cammino per un lungo viaggio, si trovi di fronte ad una grande sponda di un fiume: da questa parte il terreno è pericoloso, mentre dall’altra è sicuro e senza pericoli. Egli non ha un’imbarcazione con la quale attraversare la corrente, né vi è alcun ponte che unisca le due rive. Supponiamo che quest’uomo si dica: “Ecco una grande e larga distesa d’acqua, e non esiste alcun modo per raggiungere l’altra riva. Se raccogliessi dei rami, dei giunchi e del fogliame potrei farmi una zattera e, pagaiando con le mani e coi piedi, raggiungere sano e salvo l’altra riva!”. Supponiamo, dunque, che quest’uomo faccia come ha pensato. Costruisce una zattera, la getta in acqua e, aiutandosi con le mani e coi piedi, arriva sull’altra sponda. Ora dopo aver raggiunto la riva, supponiamo che quest’uomo dica: “Veramente questa zattera mi ha reso un grande servizio, perché grazie ad essa ho potuto attraversare senza pericoli il fiume. E se continuassi il mio cammino appoggiandola sulla mia testa o sulle mie spalle?”. Cosa pensereste o miei discepoli? Così facendo l’uomo agirebbe nel giusto modo rispetto alla zattera? In rapporto alla zattera quale sarebbe la giusta azione? Bene, discepoli, quest’uomo dovrebbe dirsi: “Questa zattera mi ha reso un servizio reale, perché grazie ad essa ho attraversato in sicurezza il fiume. Ora, però, la lascio sull’argine e continuo il mio cammino”. Così quest’uomo agirà in modo giusto rispetto alla sua zattera. In questo modo, o discepoli, vi espongo il mio insegnamento come una zattera; è un mezzo per aiutarsi, non una proprietà da conservare. Comprendete chiaramente questa analogia della zattera? Il Dharma è da lasciare dietro di sé quando si giunge sulla sponda del Nirvāna». Qui noi vediamo la poca importanza che deve essere data a qualunque cosa sia ancora legata al mondo della relatività o Māyā. Ogni cosa, anche l’Insegnamento del Perfetto Illuminato, ha solamente un valore provvisorio, transitorio e relativo. Questa parabola mette anche in risalto la necessità dello sforzo che deve esprimersi attraverso i piedi e le mani: l’Insegnamento è efficace solo se lo si applica con tutto ciò di cui disponiamo. |