Cristianesimo e Cattolicesimo

L'Opera al Rossonell’opera di Louis Claude de Saint Martin

Dagli scritti del nostro filosofo emerge chiaramente come egli sia stato profondamente legato alla figura del Cristo, ch’egli ama definire il Riparatore, e come la via da lui tracciata sia aperta per tutti coloro che accolgono il Cristo in sé e che mediante la preghiera e la meditazione elevano il proprio pensiero nell’intento di cogliere, una volta rigenerati, il vero senso del cristianesimo, pervenendo così al luogo dell’affrancamento e della libertà; e ciò senza la necessità dell’intermediazione del sacerdozio della chiesa, in questo caso, cattolica, essendo quest’ultima degenerata al punto d’aver posto, come dice Saint-Martin, la parola sotto tutela, e di essersi impadronita della chiave della scienza, non solo senza neppure esservi entrata, ma impedendone pure l’accesso a coloro che volevano entrarvi, paralizzando così l’opera divina e limitando gli uomini di desiderio che, con i loro doni e le loro luci avrebbero dovuto divenire gli Operai del Signore.

Cristianesimo e Cattolicesimo

nell’opera di Louis Claude de Saint Martin [1]

di Ovidio La Pera

Dagli scritti del nostro filosofo emerge chiaramente come egli sia stato profondamente legato alla figura del Cristo, ch’egli ama definire il Riparatore, e come la via da lui tracciata sia aperta per tutti coloro che accolgono il Cristo in sé e che mediante la preghiera e la meditazione elevano il proprio pensiero nell’intento di cogliere, una volta rigenerati, il vero senso del cristianesimo, pervenendo così al luogo dell’affrancamento e della libertà; e ciò senza la necessità dell’intermediazione del sacerdozio della chiesa, in questo caso, cattolica, essendo quest’ultima degenerata al punto d’aver posto, come dice Saint-Martin, la parola sotto tutela, e di essersi impadronita della chiave della scienza, non solo senza neppure esservi entrata, ma impedendone pure l’accesso a coloro che volevano entrarvi, paralizzando così l’opera divina e limitando gli uomini di desiderio che, con i loro doni e le loro luci avrebbero dovuto divenire gli Operai del Signore.

Nei suoi scritti, non sempre emerge, in maniera chiara, la distinzione tra cristianesimo e cattolicesimo, come invece vedremo nella sua ultima opera “Il Ministero dell’Uomo-spirito”; ad esempio, nella sua opera “Quadro naturale dei rapporti che esistono tra Dio, l’uomo e l’universo” [2], egli parla semplicemente di cristianesimo, e fa notare come fin dall’epoca di Costantino, esso si sia allontanato dallo spirito che lo animava nei primi due secoli della sua storia. Egli fa notare che non vi è alcuna istituzione religiosa che non abbia coperto la scienza col velo dei misteri; e che, come risulta dalla lettera scritta da Innocenzo I [3] al vescovo Decenzio, e dagli scritti di Basilio di Cesarea [4], il cristianesimo possiede «delle cose di grande forza e di grande peso, che non sono scritte e non potrebbero mai esserlo» e che fintanto che queste cose furono conosciute solamente da coloro che dovevano esserne i depositari il cristianesimo godette della pace; ma «quando gli Imperatori romani stanchi di perseguitare i cristiani, desiderarono essere iniziati ai loro misteri; quando i Padroni dei popoli misero il piede nel Santuario, e vollero portare sugli oggetti sacri del Culto, degli occhi che non vi erano preparati; allorché fecero del cristianesimo una religione di stato, e la considerarono soltanto come una giurisdizione politica; allorché i loro sudditi furono costretti a farsi cristiani, e si videro così i capi nell’occorrenza di ammettere senza esame tutti coloro che si presentavano; allora nacquero le incertezze, le dottrine opposte, le eresie. L’oscuramento divenne quasi universale su tutti gli oggetti della Dottrina e del Culto, perché le più sublimi verità del cristianesimo non potevano giustamente essere conosciute se non da un piccolo numero di Fedeli, e coloro che le intravedevano soltanto erano esposti a delle interpretazioni false e contraddittorie».

«È quanto accadde sotto Costantino, soprannominato il Grande. Così appena egli ebbe adottato il cristianesimo cominciarono i Concili generali, e questo tempo può essere guardato come la prima epoca della decadenza delle virtù e delle luci fra i cristiani».

«Sull’esempio di Costantino, i suoi successori desiderando estendere il cristianesimo, impiegarono i privilegi e le grazie, alfine di procurare ad esso dei proseliti. Ma coloro che dovevano (il loro essere cristiani) a tali mezzi, vedevano meno la religione alla quale li si chiamava, che i favori del Principe, e gli allettamenti dell’ambizione».

«Dal canto loro i capi spirituali stessi, per attirarsi nuovi appoggi, favorirono i desideri e le passioni dei Principi; ed alleandosi ogni giorno al secolare, si allontanarono sempre più dalla loro purezza primitiva: di modo che “cristianizzando” gli uni il civile e la politica, “civilizzando” gli altri il cristianesimo, si formò da questa mescolanza un mostro, di cui ciascuno dei membri essendo senza alcun rapporto, non né poté derivare se non degli effetti discordanti».

«I sofisti delle diverse scuole, che furono ammessi al cristianesimo, aumentarono ancora il disordine, mescolando a questa religione semplice e sublime, una moltitudine di questioni vane ed astratte, che invece dell’unione e delle luci, non produssero che la divisione e le tenebre. I Templi del Dio di pace furono convertiti in scuole scientifiche, dove le differenti parti disputarono con più violenza di quanto non avevano fatto i filosofi sotto i portici di Atene e di Roma. Le loro dispute erano tanto più pericolose perché nuocevano alle cose a causa delle parole; perché la maggior parte non sapeva che la “vera scienza” ha una lingua che le è particolare, e che può esprimersi con evidenza solamente con i suoi propri “caratteri”, e con degli “emblemi ineffabili”».

«In questa confusione, la chiave della scienza non cessò d’essere alla portata dei ministri degli Altari, come in un “centro d’unità” ch’essa non deve mai abbandonare: ma la maggior parte tra essi non se ne servivano per penetrare nel Santuario; essi impedivano pure all’uomo di desiderio di avvicinarsene, per paura che scorgesse la loro ignoranza; e proibivano di cercare di conoscere i misteri del Regno di Dio, sebbene secondo le Tradizioni stesse dei cristiani, “il Regno di Dio sia nel cuore dell’uomo”, e che in tutti i tempi la saggezza l’abbia sollecitato a studiare il proprio cuore».

«Tra i capi spirituali, quelli che si preservarono dalla corruzione, gemendo sugli smarrimenti della moltitudine, si sforzavano con l’insegnamento e l’esempio, di conservare presso gli uomini lo zelo, le virtù, e l’amore della verità. Ma fu invano che si elevarono contro gli abusi; il mostro che già aveva ricevuto la nascita, era troppo favorevole ai desideri ambiziosi dei suoi partigiani, perché essi non prendessero cura di fortificarlo…».

«Appena questo torrente ebbe rotto le sue dighe, si videro nascere tutti i disordini, l’ambizione ed il dispotismo coprendosi allora del velo della religione, fecero scorrere più sangue in dieci secoli di quanto le orde dei barbari ne avevano sparso dalla nascita del cristianesimo; e per fremere d’orrore, basta solamente aprire la storia…».

«Quando i capi del cristianesimo si furono confusi con il Tempio ed il Tabernacolo, mentre dovevano esserne solamente le colonne; quando vollero santificare la loro ignoranza; quando ebbero portato la stravaganza fino a lanciare dei decreti che vietavano ai sovrani scomunicati di riportare delle vittorie, e perfino di interdire agli Angeli, con gli stessi decreti, di ricevere le anime di coloro ch’essi avevano proscritto; quando infine si elevarono più pretendenti alla Tiara, e li si vide scomunicarsi reciprocamente ed abbandonarsi a battaglie sanguinose perfino nei Templi dei cristiani; i popoli stupiti si domandarono se queste teste potevano ancora essere consacrate, essendo coperte d’anatemi…».

Quanto riportato, arricchito ancora da ciò che potremmo apprendere, leggendo un comune manuale di storia, portò ai vari scismi che tutti noi conosciamo, e di cui i principali sono: lo scisma della chiesa cristiana d’oriente del 1054 e che diede origine alle varie chiese ortodosse; il movimento del Valdismo, condannato dal sinodo di Verona del 1184, e che portò allo sterminio dei suoi aderenti unitamente agli Albigesi, e che darà luogo in seguito, per opera dei sopravvissuti fra i seguaci di Valdo, alla chiesa valdese; il protestantesimo, sviluppatosi a seguito della riforma di Lutero (1520-1530), riforma che diede origine alle diverse chiese dette appunto protestanti; lo scisma della chiesa d’Inghilterra avvenuto a seguito della propria proclamazione da parte di Enrico VIII quale capo della chiesa d’Inghilterra e che dette luogo all’anglicanesimo.

Ma ritornando a L. C. de Saint-Martin, notiamo come egli portò le sue severe considerazioni nei confronti della chiesa cattolica e dei suoi preti, anche a seguito dei gravi avvenimenti del suo tempo, e ci riferiamo, in modo particolare alla Rivoluzione Francese, ch’egli visse di persona e che considerò un evento provvidenziale sia per la Francia che per l’umanità tutta. Nel suo scritto “Lettera ad un amico” del 1795 egli così si esprime:

«Quando la si contempla nei suoi particolari, si vede che sebbene essa colpisca ad un tempo tutti gli ordini della Francia, è ben chiaro che colpisce ancor più fortemente il clero. Poiché la nobiltà stessa, questa escrescenza mostruosa fra degli individui uguali per la loro natura, essendo già stata tanto umiliata in Francia da alcuni Monarchi e dai loro ministri, non aveva più da perdere, per così dire, che dei vani nomi e dei titoli immaginari; mentre il clero, essendo nel godimento di tutti i suoi diritti fittizi e di tutte le sue usurpazioni temporali, doveva provare, sotto tutti i rapporti, il potere della mano vendicatrice che conduce la rivoluzione; atteso che non si può quasi rifiutarsi di guardare i preti come i più colpevoli, ed anche come i soli autori di tutti i torti e di tutti i crimini degli altri ordini».

«In effetti, è il clero che è la causa indiretta dei crimini dei Re, perché è il prete che, secondo le espressioni della scrittura, doveva essere la sentinella d’Israele, e che, al contrario, abusando delle parole indirizzate a Mosè, a Samuele e a Geremia, si è arrogato il diritto di istituire e destituire i Re, di consacrarli, e di legittimare poi tutti i loro traviamenti e tutti i loro capricci, purché avessero cura di alimentare l’ambizione e la cupidigia di questo stesso prete; infine, perché questi Re, ch’egli guardava come sue creature, partorivano dappertutto, in suo nome, tutti quegli abusi che, uscendo da una radice già alterata, si comunicavano naturalmente e progressivamente a tutti i rami dello Stato».

«Secondo tutte le scritture che gli osservatori ci citano, e più ancora secondo il libro indelebile scritto nel cuore dell’uomo, la Provvidenza vorrebbe essere il solo Dio dei popoli, perché sa che essi non possono essere felici se non con essa; ed il clero ha voluto esso stesso essere per essi questa Provvidenza. Esso non ha cercato che di stabilire il suo proprio regno, parlando di questo Dio, del quale spesso non sapeva neppure difendere l’esistenza».

«Gli era stato detto, a questo clero, che non sarebbe rimasta pietra su pietra del tempio costruito dalla mano degli uomini; e malgrado questa sentenza così significativa, esso ha coperto la terra di templi materiali, di cui si è fatto dappertutto il principale idolo. Li ha riempiti di tutte le immagini che la sua ingegnosa cupidigia ha potuto inventare; e con questo ha sviato e tormentato la preghiera, mentre non doveva occuparsi che di tracciarle un libero corso».

«Gli era stato (detto) di dare gratuitamente i tesori ch’esso aveva ricevuto gratuitamente; ma, chi non sa come si è assolto da questa raccomandazione!».

«Se l’argomento non fosse così grave, e non temessi che si confondessero in questi giudizi severi quei beni mobili del clero che per la loro virtù e la loro buona fede meritano essenzialmente delle eccezioni, ti direi come i preti hanno trasformato tutti i diritti salutari e benefici che primitivamente avrebbero dovuto appartenere loro, in una dispotica devastazione ed in un regno imperioso sulle coscienze; come hanno fatto dappertutto dei loro libri sacri, null’altro che una tariffa d’esazione sulla fede delle anime; come, con questo strano ruolo, e scortati dal terrore, venivano presso il semplice, il timido o l’ignorante, al quale non lasciavano neppure la facoltà di leggere sulla lista la sua quota di contributo di credenza nella loro persona, per paura che vi vedessero la frode; somigliando in questo ai collettori delle imposizioni pecuniarie che abusavano talvolta dell’ignoranza e della bonomia dei contadini; come soprattutto hanno reso nullo il solo rimedio ed il solo regime che potevano restituirci la salute e la vita; ma, invero, questi quadri ripugnerebbero troppo al mio cuore, e d’altronde non sta a me di esercitare qui la giustizia. La lascio a colui che sa meglio dell’uomo graduarla in tutte le sue misure, e preferisco gemere sui preti traviati, sia ingannati, sia ingannatori, che incolparli maggiormente. È abbastanza per me di averteli mostrati come gli accaparratori delle sostanze dell’anima e che la Provvidenza ha avuto principalmente in considerazione nella nostra rivoluzione, perché essi interrompono la circolazione di queste sostanze per tassarle a loro volontà e lasciare così l’uomo nella miseria; prevaricazione che, secondo i profeti, tiene agli occhi di Dio, il primo posto fra tutte le prevaricazioni; perché Dio vuole alimentare egli stesso le anime degli uomini con l’abbondanza che gli è propria, e che esse siano, per così dire, come saziate dalla sua pienezza».

«Perciò questa distruzione del clero non avrebbe mai potuto aver luogo in Francia con i soli sforzi della potenza umana, atteso che i Re stessi, nei tempi della loro più grande elevazione, non avrebbero potuto portare il più piccolo attacco ai diritti di questo clero, senza esporsi: mentre la potenza dei Re non è stata piuttosto limitata, ch’esso si è visto rovesciato nei suoi possessi, nelle sue grandezze, e poi nella sua considerazione, al punto che è come ridotto oggi ad abiurare fino alle più piccole tracce della sua esistenza».

Veramente, dalla descrizione fatta dal nostro filosofo circa le gravi responsabilità del clero, emerge un quadro tremendamente drammatico e che evidenzia quali siano le conseguenze, per la chiesa cattolica e per noi tutti, per non aver essa distinto, così come recita il precetto evangelico, e come avrebbe dovuto fare, ciò che appartiene a Cesare da ciò che appartiene a Dio; e che pertanto le cause del degrado del tessuto sociale di Francia che portarono alla Rivoluzione, non potevano essere attribuite, come hanno fatto gli storici, esclusivamente al dispotismo dei re e all’avidità dei nobili, anche se Saint-Martin, di essi, pur essendo egli stesso nobile, così dice nel suo Ritratto [5]: «Ed invero se fra i nobili vi sono degli individui rispettabili, onesti, e giusti, bisogna convenire nondimeno che la nobiltà in se stessa è una cancrena che sussiste solamente divorando ciò che la circonda…» ; ma se ciò è stato, lo è stato per la compiacenza del clero. A questo proposito va ricordato anche quanto egli scrive nel suo Ritratto [6]: «Era la Chiesa che doveva essere il prete, ed è il prete che ha voluto essere la Chiesa. Ecco la sorgente di tutti i mali». Paradossalmente dovremmo concludere dicendo che Saint-Martin, rispetto agli storici, è da considerarsi un vero “rivoluzionario”.

Ma veniamo ora finalmente alla distinzione che L. C. de Saint-Martin fa tra cristianesimo e cattolicesimo. Nella terza parte dell’opera “Il Ministero dell’Uomo-spirito” [7], dedicata alla parola, tra i vari argomenti trattati, parla anche degli scrittori di cose religiose e nota appunto com’essi confondano ad ogni passo delle loro opere il cristianesimo con il cattolicesimo, e come in esse non vi si veda il nutrimento sostanziale di cui la nostra intelligenza ha bisogno, e cioè lo spirito del vero cristianesimo e vi si colga invece soltanto lo spirito del cattolicesimo; pertanto si sofferma su questa distinzione con i seguenti argomenti:

«Il vero cristianesimo è non solamente anteriore al cattolicesimo, ma ancora al termine cristianesimo stesso; il nome di cristiano non è pronunciato una sola volta nel Vangelo, ma lo spirito di questo nome vi è molto chiaramente esposto, e consiste, secondo san Giovanni (1, 12) “nel potere di essere fatto figlio di Dio; e lo spirito dei figli di Dio o degli Apostoli del Cristo e di coloro che avranno creduto in lui”, è, secondo san Marco (16, 20), “che il Signore cooperi con essi, e che confermi la sua parola con i miracoli che l’accompagnano”».

«Sotto questo punto di vista, per essere veramente nel cristianesimo, bisogna essere unito allo spirito del Signore, ed aver consumato la nostra alleanza completa con lui».

«Ora, sotto questo rapporto, la vera indole del cristianesimo sarebbe meno d’essere una religione che la meta ed il luogo di riposo di tutte le religioni e di tutte quelle vie laboriose, per le quali la fede degli uomini, e la necessità di purgarsi delle loro sozzure, li obbligano a procedere tutti i giorni».

«Perciò è una cosa abbastanza notevole che nei quattro Vangeli, i quali riposano sullo spirito del vero cristianesimo, il vocabolo religione non appare una sola volta; che negli scritti degli Apostoli, i quali completano il nuovo testamento, non sia menzionato che quattro volte:

– una negli atti (26, 5) in cui l’autore non parla che della religione giudaica;

– la seconda nei Colossesi (2, 18) in cui l’autore si limita a condannare il culto o la religione degli angeli;

– e la terza e quarta in san Giacomo (1, 26 e 27) in cui dice semplicemente: 1) che “colui che non frena la propria lingua, ma che abbandona il suo cuore alla seduzione, non ha che una religione vana”; e 2) che “la religione pura e senza macchia agli occhi di Dio il padre, consiste nel visitare gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni, e a garantirsi dalla corruzione del secolo”; esempi in cui il cristianesimo appare tendere molto più verso la sua divina sublimità, o verso il luogo di riposo, che a rivestirsi dei colori di ciò che siamo abituati a chiamare religione».

«Ecco dunque un quadro delle differenze del cristianesimo dal cattolicesimo».

«Il cristianesimo non è che lo spirito stesso di Gesù-Cristo nella sua pienezza, e dopo che questo divino Riparatore ebbe salito tutti i gradini della missione che ha cominciato ad adempiere fin dalla caduta dell’uomo, promettendogli che la razza della donna avrebbe schiacciato la testa del serpente. Il cristianesimo è il complemento del sacerdozio di Melchisedec; è l’anima del Vangelo, è esso che fa circolare in questo Vangelo tutte le acque vive di cui le nazioni hanno bisogno per dissetarsi».

«Il cattolicesimo, al quale appartiene propriamente il titolo di religione, è la via di prova e di travaglio per arrivare al cristianesimo».

«Il cristianesimo è la regione dell’affrancamento e della libertà: il cattolicesimo non è che il seminario del cristianesimo; è la regione delle regole e della disciplina del neofita».

«Il cristianesimo riempie tutta la terra alla pari dello spirito di Dio. Il cattolicesimo non riempie che una parte del globo, sebbene il titolo che porta si presenti come universale».

«Il cristianesimo porta la nostra fede fino nella regione luminosa dell’eterna parola divina; il cattolicesimo circoscrive questa fede ai limiti della parola scritta o delle tradizioni».

«Il cristianesimo dilata ed estende l’uso delle nostre facoltà intellettuali. Il cattolicesimo racchiude e circoscrive l’esercizio di queste stesse facoltà».

«Il cristianesimo ci mostra Dio apertamente nel seno del nostro essere, senza il soccorso di forme e di formule. Il cattolicesimo ci lascia alle prese con noi stessi per trovare il Dio nascosto sotto l’apparato delle cerimonie».

«Il cristianesimo non ha misteri, e questo nome stesso gli ripugnerebbe, poiché per essenza il cristianesimo è l’evidenza e l’universale luce. Il cattolicesimo è pieno di misteri, e riposa solamente su una base velata. La sfinge può esser posta sulla soglia dei templi costruiti dalla mano degli uomini; non può risiedere sulla soglia del cuore dell’uomo, che è la vera porta d’entrata del cristianesimo».

«Il cristianesimo è il frutto dell’albero; il cattolicesimo non può esserne che il concime».

«Il cristianesimo non produce né monasteri né anacoreti, perché non può più isolarsi quanto la luce del sole, e perché cerca come essa di diffondere ovunque il suo splendore. È il cattolicesimo che ha popolato i deserti di solitari, e le città di comunità religiose, gli uni per abbandonarsi più fruttuosamente alla loro salvezza particolare, gli altri per offrire al mondo corrotto alcune immagini di virtù e di pietà che lo risvegliasse nella sua letargia».

«Il cristianesimo non ha alcuna setta, poiché abbraccia l’unità, e l’unità essendo sola, non può essere divisa da se stessa. Il cattolicesimo ha visto nascere nel suo seno delle moltitudini di scismi e di sette che hanno portato avanti più il regno della divisione che quello della concordia; e questo cattolicesimo stesso, allorché si crede nel più perfetto grado di purezza, trova a fatica due dei suoi membri di cui la credenza sia uniforme».

«Il cristianesimo non avrebbe mai fatto crociate: la croce invisibile che porta nel suo seno non ha per obiettivo che la consolazione e la felicità di tutti gli esseri. È una falsa imitazione di questo cristianesimo, per non dire di più, che ha inventato queste crociate; è poi il cattolicesimo che le ha adottate: ma è il fanatismo che le ha comandate; è il “giacobinismo” che le ha composte; è “l’anarchismo” che le ha dirette; ed è il “brigantismo” che le ha eseguite».

«Il cristianesimo ha suscitato la guerra solamente contro il peccato: il cattolicesimo l’ha suscitata contro gli uomini».

«Il cristianesimo procede solamente attraverso esperienze certe e continue: il cattolicesimo procede solamente attraverso le autorità e le istituzioni. Il cristianesimo non è che la legge della fede; il cattolicesimo non è che la fede della legge».

«Il cristianesimo è l’installazione completa dell’anima dell’uomo al rango di ministro e di operaio del Signore; il cattolicesimo limita l’uomo alla cura della propria santità spirituale».

«Il cristianesimo unisce incessantemente l’uomo a Dio, come essenti, per loro natura, due esseri inseparabili; il cattolicesimo, impiegando talvolta lo stesso linguaggio, nutre tuttavia l’uomo di tante forme, che gli fa perdere di vista il suo scopo reale, e gli lascia prendere o anche gli fa contrarre numerose abitudini che non tornano sempre a profitto del suo vero avanzamento».

«Il cristianesimo riposa immediatamente sulla parola non scritta; il cattolicesimo riposa in generale sulla parola scritta, o sul Vangelo, e particolarmente sulla messa».

«Il cristianesimo è un’attiva e perpetua immolazione spirituale e divina, sia dell’anima di Gesù-Cristo, sia della nostra. Il cattolicesimo, che si basa particolarmente sulla messa, non offre in quella che un’immolazione ostensibile del corpo e del sangue del Riparatore».

«Il cristianesimo può essere composto solamente dalla razza santa che è l’uomo primitivo, o dalla vera razza sacerdotale. Il cattolicesimo, che si basa particolarmente sulla messa, non era al momento dell’ultima Pasqua del Cristo, che ai gradi iniziativi di questo sacerdozio; perché quando il Cristo celebrò l’Eucaristia con i suoi apostoli, e disse loro: “Fate ciò in memoria di me”, essi avevano già ricevuto il potere di scacciare i demoni, di guarire i malati, e di resuscitare i morti; ma non avevano ancora ricevuto il compimento più importante del sacerdozio, poiché la consacrazione del sacerdote consiste nella trasmissione dello Spirito santo, e lo Spirito santo non era ancora stato dato, perché il riparatore non era ancora stato glorificato (Giovanni: 7, 39)».

«Il cristianesimo diviene un continuo accrescimento di luci, fin dall’istante che l’anima dell’uomo vi è ammessa; il cattolicesimo, che ha fatto della santa cena il più sublime e l’ultimo grado del suo culto, ha lasciato i veli estendersi su questa cerimonia, ed anche, come ho osservato parlando dei sacrifici, ha finito con l’inserire nel canone della messa i vocaboli “Mysterium fidei”, che non sono nel Vangelo, e che contraddicono l’universale evidenza del cristianesimo».

«Il cristianesimo appartiene all’eternità; il cattolicesimo appartiene al tempo».

«Il cristianesimo è la meta; il cattolicesimo, malgrado la maestà imponente delle sue solennità, e malgrado la santa magnificenza delle sue ammirabili preghiere, non è che il mezzo».

«Infine, è possibile che vi siano molti cattolici che non possano giudicare ancora ciò che è il cristianesimo; ma è impossibile che un vero cristiano non sia in condizione di giudicare che cos’è il cattolicesimo, e ciò che dovrebbe essere».

Certamente L. C. de Saint-Martin non poteva essere più chiaro; egli mette in grande evidenza come il cristianesimo sia al di sopra di ogni formalismo religioso, e facendo ciò si è esposto alle critiche degli osservatori e quindi dei suoi nemici, i quali non erano poi tanto pochi se si pensa che già qualche anno prima della pubblicazione del suo ultimo libro “Il Ministero dell’Uomo-spirito”, così come ci riferisce egli stesso nel suo Ritratto [8]:

«Il 18 gennaio 1798, giorno in cui ho raggiunto il mio 55° anno ho appreso che il mio libro “Degli Errori e della verità” era stato condannato in Spagna dall’Inquisizione in quanto attentatore alla Divinità e al riposo dei governi.

Ho provato in questo 55° periodo della mia vita una profonda e vasta impressione su questa novità che mi succedeva nella carriera. Mi è sembrato che entravo in una nuova e sublime regione che mi separava come assolutamente da ciò che occupa, diverte e inganna sulla terra un così gran numero dei miei simili».

Che dire a tale proposito; chiunque abbia letto quest’opera può testimoniare come non solo ad ogni sua pagina, ma anche ad ogni sua riga il nostro autore abbia mirato esclusivamente alla difesa della Divinità contro tutte le concezioni materialistiche mediante le quali gli enciclopedisti minacciavano ogni forma di spiritualità, e per quanto riguarda il potere costituito dei singoli governi egli abbia manifestato il dovuto rispetto ad essi pur evidenziando le loro manchevolezze. [9]

A conclusione di queste riflessioni abbiamo riportato quest’episodio per sottolineare lo spirito d’inimicizia da cui era circondato, ed egli ne era consapevole, tanto è vero che, sempre nel suo Ritratto [10] così scrive:

«Vi sono in alcune delle mie opere parecchi punti che sono presentati con negligenza, e che avrebbero dovuto esserlo con molta precauzione per non risvegliare gli avversari. Tali sono gli articoli in cui parlo dei preti e della religione, nella mia “Lettera sulla Rivoluzione Francese” e nel mio “Ministero dell’Uomo-spirito”. Capisco che questi punti hanno potuto nuocere alle mie opere perché il mondo non si eleva fino ai gradi in cui esso, se fosse giusto, troverebbe abbondantemente di che calmarsi, e farmi grazia, mentre che non è neppure abbastanza misurato per farmi giustizia. Credo che le negligenze, e le imprudenze in cui la mia pigrizia mi ha trascinato in questo genere, hanno avuto luogo con un permesso divino che ha voluto con questo allontanare gli occhi volgari dalle verità troppo sublimi che presentavo forse con la mia semplice volontà umana, e che gli occhi volgari non dovevano contemplare».

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Note

1. Il presente articolo è tratto dal libro “Riflessioni su alcuni temi di L.C. de Saint-Martin” di Ovidio La Pera, e viene qui riproposto per ribadire ancora una volta l’opinione del nostro Filosofo su questo importante argomento. (torna al testo)

2. Vedi “Quadro naturale…”, cap. 20. (torna al testo)

3. Eletto papa il 22/12/401, ottenne il riconoscimento del primato della Chiesa di Roma e cercò di uniformare la liturgia della chiesa occidentale, appunto, su quella di Roma. (torna al testo)

4. Detto il Grande, (330-379), padre della chiesa greca, impegnato contro l’eresia ariana, autore di scritti ascetici, esegetici e dottrinali. (torna al testo)

5. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 449. (torna al testo)

6. Idem, art. 832. (torna al testo)

7. “Il Ministero dell’Uomo-spirito”, parte terza: “Della parola”. Edizioni M.I.R. pag. 230 e seguenti. (torna al testo)

8. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 861. (torna al testo)

9. A tale proposito vedi “Degli Errori e della verità”, partizione 5 “Del diritto”, cap. “Della sottomissione ai sovrani”. (torna al testo)

10. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 1116. (torna al testo)

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