Il RS si conclude in modo riassuntivo con due personaggi di cui uno è presente su tutti gli esemplari: si tratta di quello di sinistra, dall’andatura più o meno scanzonata che non può corrispondere, secondo la tradizione, che al Figlio. A destra, il vecchio re è presente solamente su un numero ridotto di esemplari, questo può significare un delineamento del senso ermetico [uno studio comparativo potrebbe mettere forse in luce che il Padre appare solamente sugli esemplari del RS più vecchio].
Introduzione – 1. Il Démiurgo nel suo mondo – 2. Il fuoco segreto – 3. L’ermafrodito come privatio boni – 4. L’Adech – 5. La Trinità – 6. Versetti di Ripley Scrowle – 7. Il padre ed il figlio 7 – Il padre ed il figlioIl RS si conclude in modo riassuntivo con due personaggi di cui uno è presente su tutti gli esemplari: si tratta di quello di sinistra, dall’andatura più o meno scanzonata che non può corrispondere, secondo la tradizione, che al Figlio. A destra, il vecchio re è presente solamente su un numero ridotto di esemplari, questo può significare un delineamento del senso ermetico [uno studio comparativo potrebbe mettere forse in luce che il Padre appare solamente sugli esemplari del RS più vecchio]. Cominciamo ad esaminare questo personaggio enigmatico – a sinistra – che ha l’aria smarrita: l’abbiamo già incontrato. Questo “matto” dell’opera è l’Olivastro del tarocco alchemico. Si tratta di una parabola sul Mercurio e non, come si pensa più comunemente, sul ringiovanimento del re, bisogna vedere piuttosto il Mercurius senex di Jung. Van Lennep ci assicura che a sinistra, abbiamo: “… un uomo del popolo, un alchimista pellegrino. Questo pellegrino porta un bastone, intorno al quale vediamo una pergamena arrotolata, si tratta verosimilmente di un rotolo alchemico; sull’altra estremità del bastone vediamo un ferro di cavallo. Nell’esemplare di Yale, si può leggere: ‘Pietà per me che ho sciupato l’olio ed il lavoro’, Ve mihi puntare qua olium ed operam perdidit, … Questo povero pellegrino ha certamente un significato alchemico: è questo ‘servus ambulans’, viaggiatore e servo della gleba che simboleggia l’argento vivo. Lo si può opporre al re-zolfo.” [Alchimia, op. cit., p. 431] Siamo anche noi d’accordo con queste riflessioni: questa è una delle forme del che possiamo rivedere nel servus fugitivus. Soffermiamoci sul ferro di cavallo: è un simbolo che abbiamo già incontrato e che manifesta l’importanza del lavoro della forgia. Ecco che ci rinvia a Vulcano – Héphaistos il cui ideogramma è [vedere sopra]. Non è tutto: la forma del ferro di cavallo ricorda una C [ ], prima lettera di Cristo. Ed anche il crescere della . Questo simbolo tradizionale porta felicità, esso racchiude dei tesori materiali dell’arcano ermetico, poiché con esso abbiamo il fuoco segreto , la materia che deve soffrire la passione ed il segno mercuriale della fertilità, che passa inizialmente – necessariamente – per il trapasso. È, del resto, abbastanza frequente vedere, uno vicino all’altro il ferro di cavallo e gli strumenti della passione; come nella storia dell’umanità saremmo anche tentati di vedere la figura di un “Cristo fabbro” costruttore della sua Chiesa. È dall’età del bronzo (Albedo) che l’Artista utilizza questi strumenti, che equivalgono al suo Rebis o Bronzo. Peraltro, si vedono gli opposti in lotta: il ferro è con la forza sinonimo di durezza, epoca dell’opera segnata dall’acqua tiponiana, prima che il diluvio si esaurisca, siamo nella fase dell’aqua permanens [assimilabile al Lago virginis]. Tuttavia, si può invertire questa successione se si considera che l’età del ferro finisce con la coagulazione, di cui l’età del bronzo è solamente la fase anteriore della parte finale. Nella tradizione biblica, il ferro o [che troviamo presente nel vetriolo ed in una particolare forma di sulphur ] è opposto a ; ma questa opposizione non è veritiera poiché è risaputo che, grazie alla sua rete, Héphaistos può fare il Sale. Questa pietra non è fatta di questo coagulato che Cybèle seduto sul suo trono stringe nella sua mano, dove sono legati Atalante e Ippomene? Nel RS è evidenziato un’altro tipo di opposti: abbiamo visto che da una parte del suo bastone, il Matto ha appeso un ferro di cavallo, vale a dire l’oggetto realizzato o coagulum. Dall’altro lato, una punta che pare una freccia, che appare in alcune versioni, sotto questa freccia, lungo il bastone, vediamo una specie di rotolo, che potrebbe essere anche un oggetto a forma di gomitolo. In certe versioni questo personaggio è solo (per esempio nell’esemplare di Amburgo conservato alla British Library di Londra) e sembra implorare il cielo, il Padre, lo stesso che vediamo nel nostro esemplare. Egli, come Giobbe, chiede che gli venga trasmessa da Dio la verità e la conoscenza. Questa proiezione del Sé attraverso la materia è l’opera dello spiritus sanctus [lo spirito Mercuriale di Jung, vedere Simbolica dello spirito] dove i principi dei filosofi sono stati trascesi [vedere Libro di Artephius]. Questo vero travaso del conscio fuori dalla sfera abituale o normativa è ciò che Jung chiama l’immaginazione attiva; possiamo immaginare che è da lei che Giobbe trae la forza per dire a Yahvé: “So che il mio Redentore è vivo, E che risorgerà nell’ultimo giorno. Quando la mia pelle sarà distrutta, risorgerà. Dopo che la mia pelle sarà stata distrutta, io stesso contemplerò Dio. Lo vedrò, ed egli mi sarà favorevole; I miei occhi lo vedranno, e non quelli di un altro; La mia anima languisce dentro in attesa di me.” [Job 19: 25-27] Gli ermetisti parlano della frase finale dove Giobbe dice che la sua anima aspetta il suo Sé, [animus ] che in questo caso si riferisce al alchemico. Proseguendo possiamo vedere nella parte centrale Giovanni Battista, che equivale alla riconciliazione degli oppositi che abbiamo già analizzato nella terza parte del RS [vedere capitolo 5]. Non dubitiamo che il problema fondamentale è evidentemente quello del divino nell’uomo [vedere sotto il titolo éponyme un lavoro di lettere di Jung, presentato da Michel Cazenave, Albin Michel, 1999] e la domanda fondamentale è: Dio ha fatto l’uomo a sua immagine, o piuttosto è l’uomo che ha fatto Dio a sua immagine? La risposta a questa domanda viene troncata da alcune persone che, liberi pensatori, credono di essere – per definizione – dei pensatori liberi ma che rifuggono il concetto di trascendenza, unica via di accesso che la coscienza ha trovato nella richiesta del Bene. Ci confortiamo qui in ciò che Jung ha chiamato “l’esperienza di una sacra immediata e spesso selvaggia” che è la definizione stessa del numineux. Sembra che questa parte finale del RS sia come un rebus compreso tra il tempo [l’alchimista situato a sinistra] e l’eternità [lo spirito divino, il re posto a destra]. Abbiamo così i due aspetti fondamentali dell’alchimia visti sotto l’aspetto di luce che occupa, come abbiamo visto, un ruolo fondamentale nel simbolismo. La figura del Re, a destra, si trova in un numero importante di trattati; è possibile trovarne nella bibliografia un elenco poco esaustivo. Se dovessimo fare un esempio, tra tanti altri, è certamente quello della serie del “Preciosia Margarita Novella, di Bonus” che tratta l’argomento in oggetto. Troviamo infatti due aspetti di ciò che Jung definisce da una parte come la guarigione del re [Mysterium conjunctionis, t. I, Cantilena Riplaei, trad. fr. pp. 34-95] e dall’altra parte come il lato oscuro del re [idem, pp. 96-110]. Questo lato oscuro è localizzato nel mondo del Drago e, nello stesso tempo, ha delle analogie col Cristo: “Così, nell’Introïtus apertus, è sopratutto il fuoco segreto infernale, ma come puellus regius (bambino reale), nato di nuovo, è un’allegoria del Cristo.” [Mysterium conjunctionis, II, 5. Il lato oscuro del re, trad. fr., § 131, p. 96] Ritorniamo così all’analogia/antagonismo tra il Cristo ed i serpenti [vedere capitolo 5]. Non è qui che possiamo tentare di rispondere a questa delicata domanda della coagulazione degli opposti. Si può tentare, tuttavia, di trovare il fuoco infernale ed il bambino reale in questo bastone che porta il nostro pellegrino. Rotulum hieroglyphicum G. Riplaei Equitis Aurati, London, Wellcome Institute MS. 692 Se riflettiamo bene, è possibile trovare un simbolo thériomorphe che unisce lo zoccolo del cavallo e la punta di una lancia: si tratta dell’unicorno. Non osiamo affermare che il bastone di questo pellegrino sia il sulphur [Jung afferma che questo animale è il Mercurio mentre la terza figura del Di Lapido Philosophorum di Lambsprinck lascia intendere il contrario a causa della presenza del cervo, animale mercuriale]. In collegamento con questa punta, lo zoccolo ci fa vedere da una parte il raggio solare igneo che esprime la rivelazione divina; dall’altra parte il simbolo di fecondità spirituale che esce dal frammento di roccia da dove scorre l’acqua della sorgente di Hippocrène [creata da Pegaso che è considerato dai teologi accorti come essere un’ombra dell’unicorno]. Sembra ragionevole ammettere che il bastone del pellegrino è portatore dei simboli di [per lo zoccolo] e di [per la punta]. Il bastone è l’equivalente del gambo del caduceo di Ermes ed il rotolo rappresenta il doppio . Questa però è solo una nostra congettura. Comunque sia, questo Riplaei Equitis Aurati, si inserisce nella lunga stirpe dei pellegrini più o meno illuminati dove vediamo, a buon diritto, innanzitutto il simbolo dell’incoscienza o della vanità [compresa come l’impossibilità di arrivare a trovare la strada sicura, la giusta via]. Questo sembra vero solamente per gli esemplari dove il Re non appare. Del resto Jung dedica il capitolo 7 del suo Mysterium conjunctionis alla Relazione del simbolo del Re con la coscienza [t. II, pp. 124-135] rievocando il Cantilena Riplaei. Conviene parlare non solo di coscienza ma di risveglio, questo nel senso di individualità. Jung ritorna su questa possibilità su questo gioco di specchi tra luce e riflessi dove e imprimono i loro raggi sulla superficie dell’arcano misterioso. Ora visibile, ora invisibile, la è il vettore ideale delle trasformazioni incoscienti della psiche ed anche delle evoluzioni del re dell’opera alchemica. Se riprendiamo le incisioni di Petrus Bonus, nel suo Pretiosa Margarita novella, osserviamo che il re viene messo a morte con la spada [SOLVE]. Questa morte esprime il nigredo : la materia prima viene estratta dalla sua sede mineraria [vedere figura XXII dell’Aurora consurgens o la tavola V dello Splendor Solis]. Sappiamo che il vecchio re è uno dei simboli della materia prima, in quanto radix ipsius, come dice lo pseudo Platone: “Tutto l’oro è bronzo, ma tutto il bronzo non è oro. Questo è perché il nostro bronzo ha un corpo, un’anima ed uno spirito e questi tre sono uno. Perché tutti provengono da uno solo, sono di uno solo e con uno solo, il quale è la radice del sé.” [Rosarium Philosophorum, Del nostro Mercurio che è il Leone verde che divora il Sole] Non si potrebbe trovare una miglior definizione di questa radice come l’aurea hora o alba. È questa aurora che il pellegrino aspetta? È dunque questo che il Matto attende agitando la sua mano sinistra? Il sole degli alchimisti è dunque così inafferrabile come il loro mercurio? In questo caso, saremmo in diritto di vedere, con la loro congiunzione, il segreto dell’anima consurgens . Riportiamo queste poche righe: “Se la figura alchemica del re ha dato adito a così lunghi sviluppi, è perché da una parte contiene il mito dell’eroe nella sua interezza, ivi compreso la rinascita del re e di Dio, e dall’altra parte ci sembra rappresentare la dominante che regna sulla coscienza.” [Jung, Mysterium conjunctionis, t. II, § 184, p. 139] Verso la fine di quest’ultimo filattero il MS. è purtroppo molto rovinato in alcune righe. Questo testo è raffigurato nell’esemplare del RS di Edimburgo ed in quello del Huntington Library. Si tratta di un tipo di ricapitolazione dove l’autore sembra consegnare le sue sorgenti con nomi deformati [abbiamo avuto a più riprese l’opportunità di insistere sul fatto che l’insieme del testo era l’oggetto di deterioramenti]. Così, Rosarres è Rosarius che, in fine, non pare essere altro che Zosimus [vedere Turba]. Bonelles è in effetti Bonellus [alias Apollonios di Tyane, vedere idea alchemica II]. Raymondus rinvia allo pseudo Lulle [vedere Clavicola]. Arnold [Villa Nova] di cui si deve indicare ancora l’importanza nel RS [vedere sopra a proposito del Flos Florum e: “Manoscritti di interesse alchemico esistenti presso la Biblioteca Nazionale V. Emanuele di Napoli” in Alchimia ieri ed oggi. Atti e memorie dell’Accademia di Storia Dell’Arte Sanitaria 3 1982 pp. 153-164]; una nota particolare deve essere fatta in merito a Percy Pearce, The black Monk [vedere MS. 42 newton]. Si trova uno dei suoi testi nel Theatrum chemicum Britannicum [Up on the elisir, pp. 269-275]. Sembra trattarsi di uno scritto attribuito a Villa Nova [Di magno opera, Arnoldus di Villa Nova, ff. 74b- 78, in MS. Sloane 3688 e sotto quello di Terrae Philosophicae in Ripley’s Works, Cassel 1649, p. 314 e MS. Sloane 3732]. Questa teoria di nomi degli antichi alchimisti sembra ripresa dall’Ordinall of Alchemy di Samuel Norton [in Theatrum Chemicum Britannicum, tè Proheme, p. 8] Pare non ci siano dubbi che l’autore dell’ultima parte del RS, nel suo riassunto, si sia ispirato a diversi testi riportati a suo tempo da Elias Ashmole in quella vasta compilazione che è il Theatrum Chemicum Britannicum. Proseguiamo: Aros rinvia al dialogo di Maria la Profetessa [interlocutione Mariæ Prophetissæ, è abitò cum aliquo Philosopho dicto Aros]; Destinia è un’anagramma di John Dastin, il cui titolo appare in Ashmole [Dastin’s Dreame. John Dastin p. 257-269] che precede il testo di Pearce. Baken è un’anagramma di Ruggero Bacone [vedere Specchio di alchimia]. Van Lennep ha scritto: “Essi [il re e l’alchimista] incorniciano un testo che raccomanda all’alchimista di pregare, ringraziare Dio, temere l’inferno, meditare il senso del rotolo che ha attinto da ciò che tutti ricercano…” [Alchimia, p. 431] Il RS si conclude con un’osservazione che non mancherà di stupire: dopo tante bellezze espresse nelle illustrazioni di questo volume, l’iscrizione di questo filattero sembra inserirsi in quello che Paracelso chiama il cagastrum, uno dei numerosi neologismi di cui era ghiotto. (11) Si Queras In Merdis Secreta Philosophorum Expensum Perdis Opera Tempus Que Laborem. Ritroviamo questo testo [vedere sopra] nel Practica Magisteri, Arnaldo da Villanova in Epistola fantastica Alchimia ad Regem Neapolitanum [Bibliotheca Chemica curiosa, t. 1, p. 684]. Tutti gli alchimisti che conoscono la prima materia sanno deve essere cercata nelle latrine, insieme al sal petrae. Nei testi è tuttavia frequente, questo contrasto tra elevazione spirituale e proiezioni nel Tartaro, come anche nell’iconografia [vedere l’emblema XLV dell’Atalanta fugiens e l’emblema XLIX che parla in modo esteso delle ombre archetipe che planano sulla psiche]. |