Le due «verità» hanno la stessa dignità metapsichica, anche se non ontologica o epistemologica: quest’ultima appartiene allo sperimentalismo scientifico che si preoccupa di riverificare continuamente i propri costrutti. Nonostante, tutto, nemmeno la scienza è per sua stessa ammissione, una dottrina perfetta ed assoluta. Anche lo scienziato ha bisogno di sviluppare una certa capacità di simbolizzare le osservazioni, pena l’incapacità di evoluzione dello stesso pensiero scientifico, in particolare per quanto riguarda la fase preliminare dell’intuizione.
Secondo questa chiave di lettura, l’Occidente rimasto cristiano si sarebbe assicurato un solido baluardo morale e spirituale, oltre che sociale, contro il “nulla” alle porte, contro le trame dell’Avversario. Naturalmente, è inutile aspettarsi dalla Curia delle nuove critiche retrospettive sui disastri compiuti dall’Inquisizione, dalle Crociate o dall’evangelizzazione del Nuovo Mondo. Il Papa, secondo i cattolici, ha già chiesto scusa (a nostro avviso, ancora troppo poco…). L’aspetto sul quale intendo concentrarmi adesso, però non interessa tanto le colpe storiche del Cattolicesimo, quanto il concetto stesso di «relativismo», le presunte ragioni che ne farebbero un veleno letale in grado di narcotizzare la coscienza occidentale. Con il termine «relativismo» generalmente s’intende qualunque posizione che rifugge la possibilità di teorizzare verità “assolute”, siano queste relative all’etica («relativismo etico») o alla conoscenza («relativismo gnoseologico»). Il relativismo speculativo incoraggia soltanto la possibilità di posizioni prospettiche e soggettive, rifuggendo, al contempo, i dogmatismi e le interpretazioni letterali delle Scritture, le metanarrazioni storiche, le metateorie, ecc. Per il relativismo etico è valida solamente la verità prospettica del singolo o del gruppo; in quest’ultimo caso a condizione di una condivisione preventiva: altrimenti, sì viola l’istanza dell’Altro e del complesso sistema di credenze soggettive (una “verità” è sempre una credenza). Ad un primo sguardo, queste posizioni non sembrano incrinare il tessuto etico occidentale; si prenda ad esempio, il rispetto per la diversità propugnata dal relativismo etico: la possibilità d’identificare nel volto dell’Altro la trascendenza divina, come teorizza Levinas, al contrario, è molto incoraggiante dal punto di vista umanistico. I dolori per la Chiesa arrivano nel momento in cui il relativismo gnoseologico sconfessa le verità della fede ed il relativismo etico l’unicità della Rivelazione cristiana. Rispetto al precedente pontificato, Ratzinger sembra intenzionato a sfumare, a mettere tra parentesi, il dialogo ecumenico ed interreligioso con le altre religioni del mondo. Segnali inquietanti sembrano arrivare dall’ultimo incontro interreligioso, palesemente meno pubblicizzato dei precedenti, ma anche dall’ormai celebre lezione magistrale di Ratisbona. Del resto, l’attuale Papa ha dimostrato una certa mancanza d’interesse anche per il tradizionale concerto natalizio di musica moderna in Vaticano – peraltro, regolarmente svoltosi a fronte degli impegni assunti dal suo predecessore, palesando, ancora una volta, la sua chiusura nei confronti della contemporaneità. Ma è soprattutto sul fronte del relativismo gnoseologico, nel modo in cui lo abbiamo definito – come posizione che rifugge la possibilità di teorizzare verità “assolute” inerenti ai processi conoscitivi – che la Chiesa Cattolica Romana sta ingaggiando una discussione accesa con la scienza, in particolare nel confronto tra i sostenitori dell’«intelligent design» ed i fautori dell’evoluzionismo neodarwiniano. Naturalmente è molto difficile per i creazionisti vincere questa partita, perché l’evoluzionismo non è una teoria che può essere facilmente confutata ed ha seri argomenti scientifici a suo favore. Inoltre, i teorici dell’intelligent design – per lo più membri della potente Chiesa Evangelica americana vicina al milieau della famiglia Bush – compiono un imbarazzante errore di prospettiva, quando provano a rovesciare sull’evoluzionismo l’accusa di dogmatismo, tradizionalmente riservata alla fede. La risposta degli scienziati e dei filosofi della scienza è sempre la stessa: la scienza non è un complesso di verità stabilite una volta per tutte, ma un processo di scoperta in cui ogni tassello deve essere collocato al suo posto prima di procedere. La scienza, in altre parole, è un work in progress, ed il suo dovere non è quello di mettere in discussione gli assunti, ma di verificare la correttezza dell’inferenza degli effetti dalle cause. La scienza non indaga le cause prime, compito tradizionalmente assegnato alla metafisica occidentale, ma si preoccupa di trarre gli effetti dagli assunti. La scienza, a buon diritto, fa professione di «relativismo gnoseologico» perché in qualità di work in progress non si pone il problema della verità assoluta, ma soltanto delle verità relative alle acquisizioni volta per volta conseguite. Tuttavia, ci sembra che pur rifiutando qualsiasi dogmatismo o posizione creazionistica e riconoscendo alla scienza il suo statuto metodologico, il pensiero debba, in qualche maniera, scavarsi un sentiero all’interno della contrapposizione fede/ragione scientifica. Nelle teorie della conoscenza contemporanea è in voga il concetto di «Reality Tunnel» (RT), per definire qualsiasi griglia o mappa concettuale inerente alle modalità gnoseologiche soggettive. Il RT non è altro che la costruzione culturale, filogenetica, pregiudiziale dell’apparato di concetti, emozioni e sentimenti che radicano l’Io pensante. Il RT è la struttura dell’esperienza collettiva che il soggetto assimila attraverso la fruizione dell’eredità culturale. Il deposito mnemonico di codici culturali con i quali articolare le interpretazioni soggettive dell’esperienza, visceralmente estrinseco rispetto a qualsiasi elaborazione metateorica del reale. In altre parole, il RT aggiorna e ripropone la “vecchia” lezione kantiana sulla differenza tra esperienza e cosa «in sé», fenomeno e noumeno, esprimibile anche secondo il famoso passo di Nietzsche sul fatto che non esistono altro che interpretazioni, ed anche questa è un’interpretazione. Idee-sulla-realtà da non confondere con la realtà strictu sensu. Secondo questa teoria, noi non possiamo prescindere dalla possibilità di accedere alla conoscenza attraverso il filtro dei RT. Qualsiasi teoria, anche scientifica, è comunque una riduzione soggettiva del paradigma osservato. L’epistemologia novecentesca ha dimostrato come il sapere scientifico, lungi dall’essere un edificio che si costruisce partendo dalle fondamenta, si articola mediante regressioni, stasi, sbalzi improvvisi. Ovviamente, esistono interpretazioni più plausibili di altre: la scienza fornisce le teorie che più si possono avvicinare alla realtà noumenica. Nonostante questo, pensiamo che anche le verità di un lettore del Genesi, che creda alla Creazione, abbiano una dignità metapsichica o spirituale. Quest’ultima può essere definita una verità «simbolica», mentre l’evoluzionismo rientra tra le verità «scientifiche». Le due «verità» hanno la stessa dignità metapsichica, anche se non ontologica o epistemologica: quest’ultima appartiene allo sperimentalismo scientifico che si preoccupa di riverificare continuamente i propri costrutti. Nonostante, tutto, nemmeno la scienza è per sua stessa ammissione, una dottrina perfetta ed assoluta. Anche lo scienziato ha bisogno di sviluppare una certa capacità di simbolizzare le osservazioni, pena l’incapacità di evoluzione dello stesso pensiero scientifico, in particolare per quanto riguarda la fase preliminare dell’intuizione. Crediamo dunque che verità «scientifiche» e verità «simboliche» possano correlarsi ed integrarsi vicendevolmente, contribuendo a dare un nuovo senso alla storia dell’Occidente, mai così inaridito ed impotente di fronte al domani. Questa è la nuova sfida che il pensiero deve affrontare. |