L’Apprendista: fra cuore e ragione – Il Compagno è il tempio di sé stesso – Il Maestro: costruttore di storia
Il senso possibile di un ideale, quale quello massonico eternamente rappresenta, non può prescindere dalla coesione fra cuore e ragione. Il percorso, tutto individuale, di conoscenza può apparire al neofita una sorta di sogno iniziatico, come “incipit” insito nella propria. Questo sogno dovrà restar presente per tutto il tempo di maturazione nel grado e a ciò, gradualmente, si affiancherà la luce della ragione, in cui realtà virtuale e realtà coincidono.
Unità dunque di cuore e di ragione accompagneranno il cammino del neofita e saranno monito, quale regola primaria, per l’intera vita massonica, poiché solo un ideale superiore produce una visione che possa far superare la morale.
Sommario: L’Apprendista: fra cuore e ragione – Il Compagno è il tempio di sé stesso – Il Maestro: costruttore di storia L’Apprendista: fra cuore e ragioneLuce intellettual, piena d’amore
Ciò contrasta nettamente con le motivazioni, consce o inconsce, di chi entra in quest’istituzione con propositi che nulla hanno a che spartire con la massoneria o spinti da un substrato apologetico di tipo romantico che proviene da un approccio conoscitivo riduttivo o distorto. Abbiamo detto istituzione, e non a caso, poiché deriva dal latino Instituere, collocare dentro, introdurre, inaugurare una tradizione, iniziare a qualcosa di metafisicamente importante e duraturo, che dura storicamente da secoli e che sopravvive, nonostante tutto, nel tempo ed oltrepassa ogni un’umana concezione. Non si contempla in massoneria l’ambizione fine a se stessa, il vantaggio personale, il potere, la prevaricazione, il fanatismo. La ricerca è volta a ben altri traguardi ed il primo è il grande silenzio, supportato da un alto senso del dovere e del servizio, poiché tacendo si ascolta con gli occhi della mente. Siamo chiamati a costituire una comunità consapevole dove gli assiomi sono imprescindibili, dove dovremmo diventare modello interno ed esterno, promulgando e professando sentimenti sinceri e comportamenti coerenti. Nessuno trasmette modelli se non li pratica. I sacrifici richiesti ai massoni non sono trascurabili e toccano sia l’ambito economico, sia l’impiego di tempo, e tutto in virtù di un ideale che raramente è compreso e apprezzato dai profani. In sostanza, il nostro divenire nella libera muratoria si rivelerà produttivo per noi stessi, per i Fratelli e per la società civile nella sua globalità, unicamente se n’assumiamo per intero la sua “weltanschauung” ascrivibile, in buona parte, al trinomio di genesi illuministica, dato da libertà-uguaglianza-fratellanza. Molteplici sono le letture che potremmo dare al significato insito nella pratica di questi valori, e altrettante sono le metodologie applicative utilizzandoli a tal fine, ma ogni libero muratore deve trovare la sua strada, adottare le strategie che gli sono più consone poiché, come abbiamo sottolineato all’inizio, il percorso di crescita è del tutto individuale. Abbiamo cercato umilmente di fornire uno spunto alla riflessione e di sostenere i nuovi adepti nell’avvicinarsi alla dimensione iniziatica con serietà e sincerità d’intenti, nell’ottica primaria di costruire un tempio saldo dalle fondamenta, un laboratorio di pensiero che trasmetta al mondo profano quei principi che la tradizione massonica ha reso inalienabili ed ineludibili. Prendendo ancora a prestito il Sommo Poeta, Vi esorto, o frati, a seguire il Maestro…. “Perché l’animo tuo tanto s’impiglia” Il Compagno è il tempio di sé stessoCosì come la ricerca di sé non ha termine, anche la struttura del tempio è incompiuta, per il principio d’imperfezione dualistica della materia, volta comunque spasmodicamente verso la perfezione dell’Uno. Il Compagno, volto ad est, dove nasce da sempre il sole, racchiude ed espande in modo sincretico e sinergico l’Unità del Tutto che affonda le sue radici nelle più alte tradizioni culturali e spirituali emerse nella civiltà a far data dalla notte dei tempi. Ci soccorre Eraclito: “Ascoltando non me, ma il Logos, è saggio convenire che tutto è uno” in virtù, diremmo noi, della Tolleranza Universale che delinea in una entità unica tutte le divinità, ossia il Grande Architetto dell’Universo. Nel sacro recinto, nel tempio della memoria, il Compagno potrà riconoscere un modello trascendente, profondo nella complessità dei simboli rappresentati e al contempo grembo accogliente, come la madre terra, luogo privilegiato per la riflessione, l’apprendimento, l’elevazione spirituale. Eraclito c’insegna: “Io ho indagato me stesso. ma qui, e non altrove, la ritualità riassume in sé tutto il senso del sacro, ed ogni gesto, passo, segno, ritmo, forma conduce il Logos e ci avvicina al Logos, nell’intuizione che vi è una stella all’Oriente Le Colonne sormontate dai dodici segni dello Zodiaco sorreggono, sei per parte, le pareti a settentrione e a mezzogiorno. Due di loro sorvegliano l’ingresso; vi sono due stili, due simboli nel mappamondo e nei melograni, che fronteggiano da occidente la parte più sacra del tempio, l’Oriente, laddove siede in trono il Maestro Venerabile.
Un codice visivo a sottolineare le luci ed le ombre dell’esistenza e dell’ancestralità, passata, presente e futura che ci pervade. Ad un lato l’incompiuta parete a significare il perfettibile, il costruire in continuo divenire, proprio del lavoro massonico. I limiti dunque, nella conoscenza del sé, ed i limiti architettonici ci forniscono indicazioni per un incedere umile, graduale, consci come siamo dell’inadeguatezza degli strumenti che possediamo a fronte dell’infinità dell’essenza che ci proietta nello spazio e nel tempo. Ancora grazie ad Eraclito cogliamo l’importanza di essere “Svegli” piuttosto che “Dormienti” nel cammino verso l’edificazione del nostro tempio interiore e di quello che ci ha accolto; in virtù di ciò, volgiamo sicuri lo sguardo ad Oriente, luce inesauribile, luce primigenia, luce cui faremo ritorno. “…e nel tempio il cuore del logos” Così il Compagno usa con cautela e forza il suo bastone nel viaggio iniziatico, per sostenere il suo passo e per difendersi dai lupi in agguato. Ma la meta è ancora lontana… Il Maestro: costruttore di storiaNessuno può trasmettere un modello se non lo pratica. Il Maestro e la sua maturità iniziatica rappresenta un modello non soltanto per il Massone, ma per tutta l’umanità. Etimologicamente derivato da modulus, inteso come misura, modulo, il modello sottintende a qualunque forma d’arte e volendo intendere la crescita umana come arte, ecco che ci troviamo immersi da subito in una lunga teoria di misure e modulazioni etiche ed estetiche di varia tipologia. Tutto, o quasi, appare in ambito materiale misurabile ed altrettanto il dato sensibile si propone all’uomo per esser misurato come ascrivibile a categoria di spazio, luogo o tempo. Vista l’ampiezza dello scibile, tentiamo di proiettarci in un ambito che, per quanto documentabile nella sua storicità, lascia intravedere spunti di riflessione e approfondimento. Non senza timore, ho cercato di affrontare un modello specifico quale il senso della “misura” che da sempre abbraccia tutto il divenire massonico. I più fanno risalire la genesi della massoneria ad un periodo della storia che data oltre venti secoli con un ricollegamento al mito di Hiram, l’architetto che progettò il tempio di Salomone nel X secolo a.C. Simbolicamente il nome di Hiram assume il rango di patronimico di ogni massone e con il nome ci pervengono le gesta, l’esempio, che si concretizzano in un modus vivendi divenuto regola. La maestria con la quale si usavano gli strumenti disciplinava l’armonia delle forme e dava significato all’attribuzione simbolica che, unitamente ad una volontà di trasmettere ed infondere virtù all’edificio, si generava una tale consapevolezza, nell’atto costruttivo, che questo assunse naturalmente l’elevazione ad un luogo della verità, dove giustizia, tolleranza, amore trovarono la loro ragion d’essere e la modalità d’esservi esercitati. La leggenda di Hiram, passata attraverso le memorie, appare già di per sé un modello da imitare, poiché, pur nella tragica conclusione, testimonia l’immortalità della virtù che va oltre la vita umana, ma non oltre la natura delle cose, allorché un ramo d’Acacia svelò il luogo della “non lacrimata” inumazione. E stante la memoria di così raro Maestro di vita, non possiamo non ipotizzare una qualche trasmissione orale dei suoi insegnamenti. L’architettura, che riassume le regole della progettazione ben si presta alla metafora della costruzione interiore, così la struttura portante avrà un suo modello, i materiali vivranno di una propria modularità d’assemblaggio e “la vita delle forme, che non ha nulla a che vedere con le forme della vita” (come diceva Jean Cocteau) acquisterà una sua intrinsecità. Poi l’attribuzione di valore, in positivo o in negativo, sarà una questione soggettiva poiché l’edificazione ha una connotazione anzitutto individuale, e se subentrerà la condivisione, ecco che lo spessore del percepito potrà diventare più ampio, portatore di luce per tutta l’umanità. Ci conforta pensare la conoscenza come trasmissione di competenze, laddove lo stato dell’arte entra di diritto nel progetto di vita e di crescita personale e collettiva. Forse proprio per questo, attraversando i secoli, l’architetto ha lasciato in eredità a discepoli volonterosi, una motivazione ancestrale a costruire. Seguendo una linea cronologica documentata ci siamo imbattuti, nel II secolo a.C., in una comunità, detta degli Esseni, che sembra aver incamerato, nella propria regola, il perseguimento di quelle virtù che avevano contraddistinto il vissuto di Hiram. Ben poco si conosce, sotto il profilo storico/storiografico, di questa comunità di tearapeuti e studiosi che vestivano di bianco, ed associavano elementi propri di un culto solare, forse sovrapponendolo al culto ebraico. Come non ricordare gli eventi religiosi che avevano caratterizzato la XVIII dinastia ad opera del Faraone Amenophis IV – Ekhnaton, che aveva tentato di recuperare antiche tradizioni egizie derivate dal dominio degli Hiksos – ascrivibile al 1660 a.C. – e trasformando il pantheon egizio in un culto monoteistico.
I Nostri praticavano la “medicina”, tanto che tra le altre attribuzioni troviamo anche quella di “guaritori”e ciò ci fa supporre l’esistenza di ricerche magico-alchemiche. Le spiccate connotazioni esoteriche riconoscibili in ognuna di queste “culture religiose” potrebbero aver dato, nei secoli successivi, una grande impronta al mondo medioevale costituendo le basi per la nascita, o la prosecuzione, di comunità-confraternite che attraverso un processo d’iniziazione e cerimoniali di ingresso per le nuove “reclute”, contenuti nel Manuale di Disciplina o Regola della Comunità, statuiva norme specifiche cui attenersi, sotto vari aspetti, durante il quotidiano vivere. Anche gli Esseni fondavano insediamenti “monastici”, difendevano le loro fortezze o andavano in soccorso di altri, come nel caso della strenua difesa sostenuta a Masada, con gli Zeloti, per contrastare la conquista del territorio da parte dei romani, che avvenne definitivamente intorno al 66 d. C. I figli della luce combatterono contro le tenebre come guerrieri, immolandosi per la difesa della loro ed altrui comunità, del loro patrimonio culturale, della libertà di essere. Il successivo espandersi del dominio romano non impedì un continuum sul piano sociale di presenze legate tra loro da vincoli d’appartenenza anche se tra le contigue situazioni non si può stabilire una polarità assoluta. Fra queste diramazioni troviamo i cristiani delle origini, quelli che ancora non avevano elaborato più profondamente una riflessione escatologica. Suggestive ricostruzioni sono state fatte da più studiosi in merito ad un legame tra la diffusione del messaggio cristiano e la fuga dalla Palestina dei “familiari” di Gesù e dei suoi apostoli che si sarebbero diretti verso Roma e verso la Gallia, dove di lì a poco sarebbe fiorita una tradizione celto-cristiana con significative connotazioni esoteriche. Queste avrebbero condotto ad elaborazione di materiale mitico come la “Matiere de Bretagne” e, successivamente, alle erigende cattedrali gotiche, ed ancora ai Cistercensi, a San Bernardo per arrivare ai templari. Nel contempo Roma era conquistata da quel Costantino che arrivava da Eboracum (York), con un esercito che fregiava i propri scudi con una croce. Non è escluso che sulla scia di una sì pregnante tradizione si possano trovare anche l’humus, il clima più consono alla nascita di altre “sette”che hanno dato luogo al fiorire di una metafisica misticheggiante ancora indistinta da quella della guerra, ma che avrebbe assunto in sé la cavalleria celto-nordica di Snorri. A noi sembra, alla luce di quanto detto, che alcuni, più di altri abbiano raccolto questa eredità, assumendo l’onere e l’onore della continuazione del “modello” del Maestro, analizzato in questo breve ed ipotetico, excursus, difendendone la struttura, riedificandola o edificandola ex-novo senza tradirne l’antica intenzione. Questa progettazione ha raggiunto vette, in senso morale e fisico, inaspettate e “novae” come facilmente si evince dai fatti storici. Potremmo ipotizzare che i Maestri Massoni abbiano ricevuto conoscenze e competenze da una trasmissione Compagnonica da cui derivavano, ma l’esplosione dell’arte gotica con il suo apparire repentino, ma già potentemente maturo, in un contesto storico-artistico ancora legato a modelli strutturalmente orientati in senso orizzontale, alla classicità del romanico è tutt’ora difficilmente spiegabile. Le chiese gotiche furono, di fatto, una sfida alla verticalità, una proiezione verso l’alto che stravolgeva le leggi dell’architettura. Ma, nonostante l’innovazione, non uno dei loro stili costruttivi manca di regole certe e rigide, così come un Maestro non si sottrae a regole accettate, quali che fossero le fatiche e le sofferenze del vissuto, memori senza dubbio, nel loro perseguir virtù, del monito di Ippocrate, “Ars longa, vita brevis”. Come Hiram, che cadde per mano mossa da ignoranza e cupidigia, i Maestri caddero spesso sotto il peso di un fuoco che fu ignobilmente chiamato “purificatore”, ma che di purezza non aveva che la forza dell’elemento, acceso da quella viltà che ha contraddistinto, e contraddistingue, l’ignoranza e la superstizione. Appare ancor più significativo accennare al modello/regola di vita che ogni Maestro era chiamato a mettere in pratica, ad esercitare in se stesso le arti dell’edificazione. Il modello del Maestro non è andato disperso con le ceneri dei troppi esecrabili roghi, e conserva tutta l’integrità che i costruttori di Templi, avevano statuito, perseguito, sostenuto sino alla fine, testimoniando con la vita la sua validità. Una regola improntata alla disciplina, tesa al raggiungimento di virtù, semplice nella codifica, difficile nella pratica quotidiana. Ma il cammino del Maestro è infinito come la conoscenza e l’Universo, e se i suoi passi calcano la terra della sua materia i suoi occhi si alzano sempre verso l’Uno e l’Eterno. Nella mente m’è fitta e or m’accora |