Costituzione dell’Ordine monastico-cavalleresco “Paupera Militia Christi”, in un periodo di lotte tra poteri sovrani e sovranità religiose.
Il termine “Paupera Militia Christi” fu e rimase l’unica denominazione, dopo il 1118, che i Cavalieri di S. Bernardo abbiano usato per questo ordine, che si lega e diviene tutt’uno con il riformato Ordine Cistercense e che in quello stesso anno, ufficialmente, nasce nel Principato di Castrum de Sepulchro.
Sommario – 1. Introduzione – 2. Piccola storia locale di grande rilevanza politica e spirituale – 3. Papa Gregorio VII – 4. Papa Pasquale II – 5. Cosa fanno i giovani monaci? 1. Introduzione
Godefroy, eletto Re di Gerusalemme, rifiuta tale onore dicendo “a Dio non può piacere che io porti una corona d’oro, in un luogo in cui il Re dei Re fu incoronato di spine” e muore come Barone del S. Sepolcro nel 1100; il titolo viene assunto dal fratello Baldovino. Nel 1104 alcuni membri dell’ordine di Sion, dopo un conclave indetto da Hugues de Champagne, decidono di recarsi in Palestina e prima del loro ritorno in Francia, nel 1108, mutano per motivi strategici e logistici l’appellativo di Chevaliers du Rocher de Sion in quello di Chevaliers du Temple de Jérusalem. I monaci calabresi, che mai avevano accettato di buon grado di appartenere ai Cavalieri di Sion, per l’impronta combattiva data all’ordine, rincuorati dal mutamento, decidono di lasciare l’abbazia di Orval per seguire, con il predicatore di Neufmoustier, Pietro l’Eremita, alcuni Cavalieri del Tempio che ritornano in Terrasanta. L’Ordine del Tempio viene di fatto accettato e riconosciuto dalla Chiesa di Roma grazie specialmente a questi monaci, che in Gerusalemme espletano opera ospitaliera; lo stesso indirizzo che nel 1112 permetterà a Frate Gerardo di far riconoscere ufficialmente l’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni. Nel 1111 il Re Baudouin I, concede all’ordine del Tempio la custodia dei resti del Tempio di Salomone, e di abitare nel palazzo costruito sulle rovine. In una lettera indirizzata, nel 1114, dal Vescovo di Chartres ad Hugues de Champagne, il quale aveva espresso volontà di ritornare in Palestina, il Vescovo chiama, per la prima volta, i Cavalieri del Tempio di Gerusalemme, “Milizia di Cristo”. Il termine verrà mutato da S. Bernardo in quello di Povera Milizia di Cristo dopo aver sancito la “Regula”, e sostituirà, per quei Cavalieri, ogni precedente ordinamento compreso quell’indirizzo agostiniano adottato nel 1112 da Frate Gerardo. Il termine “Paupera Militia Christi” fu e rimase l’unica denominazione, dopo il 1118, che i Cavalieri di S. Bernardo abbiano usato per questo ordine, che si lega e diviene tutt’uno con il riformato Ordine Cistercense e che in quello stesso anno, ufficialmente, nasce nel Principato di Castrum de Sepulchro, che da ora abbrevierò con C.S. Nasce così, nel 1118, dopo la morte di Pasquale II (Raniero di Bieda), avvenuta il 21 Gennaio di quell’anno, e mentre a Gerusalemme si spegne Re Baodouin I, il primo Ordine Cavalleresco-Monastico del mondo. Nel 1119 Papa Callisto II approva la “Carta di Carità di Citeaux” già redatta da Stefano Harding. Nel 1120, accogliendo nell’Ordine alcuni notabili personaggi, tra i quali Foulques d’Anjou, S. Bernardo annuncia che sarà obbligatorio per i Cavalieri entrare anche a far parte dell’Ordine monastico Cistercense entro nove anni dopo l’investitura a cavaliere. In seguito verrà d’obbligo l’appartenenza all’ordine monacale prima di poter essere accettati nel cavalierato. La disposizione verrà mantenuta a parte rare eccezioni. ernardo ritorna a C.S. nel 1127 e, predicando nei dintorni, attende il ritorno dei cavalieri dalla Terrasanta per condurli al Concilio di Troyes. In quell’occasione, presso l’Ulivo delle Anime, avviene il giuramento di sangue che sancisce l’unione tra i Catari ed i Cavalieri di S. Bernardo e si stabiliscono fra il Gran Sacerdote cataro Johann de Usson ed i Pauperes Milites Christi gli accordi che suggellano il «Grande Segreto di Spulgas o Spoulga de Sabarthés». Nasce così la futura collaborazione che unirà molti Catari ai Cistercensi e vedrà in Europa gli Architetti di Carcasson fiancheggiare i Cistercensi nelle elevazioni di Chiese, magioni, precettorie e fortificazioni appartenenti ad un ordine religioso cattolico. L’amicizia, se non la religione, apre confini nuovi e nuovi orizzonti ad uomini diversi che sotto lo stesso tetto sacrale iniziano la lotta per la comune sopravvivenza. 2. Piccola storia locale di grande rilevanza politica e spiritualeSopelego, Sapelegio, Castrum de Sepulchro, che in molti documenti ecclesiali resta citato come Castrum Sancti Sepulchri, viene nell’820 inglobato nella Marca del Mare voluta dall’Impero e dal Papato; e tuttavia C.S. conserva il proprio Mero et Libero Imperio. La libera potestà di C.S. si manifesta chiaramente nel testamento di Guidone (poiché di testamento, si tratta e non di donazione come erroneamente riportato) quando il testamento viene stipulato in Aperic (Varigotti), il 15 Marzo 954, dinanzi al capitolo formato da 12 persone: Antonio, Principe di Piemonte di nomina imperiale e Marchese delle Alpi (fratello di Guidone); Tommaso, Conte di Savoia (fratello di Eleonora e cognato di Guidone); Baimundo o Baimondo, Marchese del Monferrato (nipote di Guidone); Berengario, Conte del Valentino, poi Re d’Italia (nipote di Guidone); Corrado, futuro conte di Ventimiglia (primogenito di Guidone); Ottone, futuro conte delle Alpi Marittime (secondogenito di Guidone); Rolando, futuro conte di Lausanne (terzogenito di Guidone); Rinaldo del Castello (commilitone di Guidone); Bonabella (commilitone di Guidone); Oddone di Clavesana (commilitone di Guidone); Curlo o Carlo Targa Nigra, Signore di Sopelegi e Airole (commilitone di Guidone); Giudice Balbo, Signore di Sasso e Buggio (commilitone di Guidone). Ritroveremo alcuni discendenti di questi casati fra i cavalieri facenti parte dei “Les Chevaliers du Rocher de Sion”, l’ordine riformato da Goffredo di Buglione. Ritornando al testamento fatto in favore di Alberto (Abate di Lerino), il Marchese Guidone, che in quell’atto si spoglia anche dei Titoli Imperiale e Comitale, lascia all’Abate Alberto il Castrum de Sepulchro cum Mero et Libero Imperio, che è di Sua pertinenza. Di Sua pertinenza e non di sua Signoria e proprietà, come è scritto da alcuni storici sprovveduti, i quali hanno addirittura affermato che C.S. facesse parte di una inesistente Contea di Ventimiglia, poiché di fatto questa ancora non c’era titolarmente e territorialmente. Diversa invece la dicitura con cui Guidone lega a C.S. la chiesa di S.Michele e le terre ad essa spettanti, che descrive partenti da Cogolono (colle posto a ponente dello attuale Breil-sur-Roya) e discendenti lungo il Roya sino al mare, dichiarando queste di sua proprietà. Nel 954, dunque, il Marchese Guidone, davanti ad un Capitolo, ricompone quell’asse religiosa celtico-cristiana che ha sempre congiunto Lerino a C.S. In quale contesto ciò avviene. La prima metà dell’anno 900 aveva segnato rapidi mutamenti negli Imperi; ed intorno la Chiesa di Roma, in parte sottoposta alle prepotenze sovrane, ed in parte sottomessa da due donne di pessimi costumi, Teodora e la figlia Marozia, erano accaduti disordini di ogni specie e grado che avevano portato a velocissimi ed incerti avvicendamenti pontifici. Nel 939, il romano Papa Leone VII (succeduto a Giovanni XI che fu posto sul Trono di Pietro dalla madre Marozia e morì nel 936) aveva chiamato a Roma l’Abate di Cluny, Odone, per sistemare le cose con i Cardinali e per rivedere le faccende dell’andazzo monacale. La riforma ecclesiastica tentata in Roma dall’Abate Odone, che aveva riportato superficiale concordia fra i Principi della Chiesa, e ridato potere monastico all’Ordinamento Benedettino, è stata sicuramente la causa primaria della decisione presa da Guidone il quale, partendo per la Palestina (non certo come missionario), ha pensato fosse cosa “buona e giusta” togliere il Libero Imperio di C.S. ed il territorio di S. Michele da eventuali e poco rassicuranti riforme; dai poteri ecclesiali incerti; dalla non chiara religiosità espressa e dalle manovre dei regnanti esercitate in vaticano; dalle conquiste delle Signorie Vescovili e dalle velleità dell’Ordine Benedettino. Tutto ciò non deve però sminuire il rispetto avuto da Guidone per la Chiesa Cattolica, ma casomai evidenziare la Sua previdente intenzione di salvaguardare l’antica religiosità del luogo, sottraendola quindi agli ingordi accaparramenti araldici, e sopratutto salvando l’integrità del territorio unito a C.S. in quel testamento. Per garantirsi che tale inalienabilità venga rispettata dall’ordine Lerinense, Guidone ne affida il controllo alla parte controversa: all’Abate del Monastero Benedettino di Arles, Monte Maggiore. L’operato di quell’Abate viene a sua volta sottoposto al bene placito del Papa e dell’Imperatore. Conoscendo quanto in seguito accaduto, dobbiamo ammettere che il Marchese Guidone fu veramente uomo cauto e buon veggente. Il tentativo di compattare l’Ordinamento Cardinalizio, per cui Leone VII ha fatto venire a Roma l’Abate Cluniacense Odone, si infrange infatti nel 956 quando il figlio di Alberico, Ottaviano, invade il pontificato e a soli 18 anni, si impossessa del papato con il nome di Giovanni XII. È Ottaviano il primo Papa a scegliere un nome diverso dal proprio, quale Pontefice. Contro la minacciosa protesta del Re d’Italia, Berengario (che è stato testimone, quale Conte di Valentino, al testamento di Guidone), Giovanni XII chiama in aiuto il Re di Germania Ottone di Sassonia, detto il Grande, il quale scende a Roma, conferma il Papato di Ottaviano e viene per questo dal Papa incoronato quale Imperatore del Sacro Romano Impero. Ben presto Ottone il Grande si accorge di aver commesso un errore, ci ripensa e destituisce Giovanni XII dal Trono Pontificio che consegna a Leone VIII, dopo aver convocato nella Chiesa di S. Pietro un Concilio Vescovile; ed è la prima volta che i vescovi si arrogano concistorialmente il potere elettivo spettante ai Cardinali. Due mesi dopo, però, i Cardinali e il clero romano insorgono contro l’operato Imperiale e Vescovile, e Giovanni XII ritorna al sommo seggio, dove resta fino alla morte avvenuta nel 964. Il clero Romano, senza nulla chiedere all’Imperatore, nomina Papa Benedetto V. Ottone infuriato ridiscende su Roma, arresta il Papa Benedetto V, lo porta ad Amburgo dove viene messo sotto la custodia del Vescovo e rimette al suo posto Leone VIII. Nel susseguirsi frenetico di Papi seri e meno seri, raggiunge l’onore dell’Impero di Occidente, Ottone il giovane, figlio di Ottone il Grande; contemporaneamente si affaccia alla soglia vaticana l’antipapa Francone, Cardinale, che si applica il nome di Bonifacio VII. Questi, dopo aver fatto eliminare il Papa eletto, Benedetto VI, deruba i tesori della Chiesa dalla Basilica Pontificia e se ne va a pontificare in Costantinopoli. Per contrastare Bonifacio VII, in Roma viene scelto, quale Papa, il Vescovo di Sutri che assume il nome di Benedetto VII. Questi, durante i suoi mesi di insediamento prima di morire – è questa un’epoca storica in cui i papi vivono pontificati brevissimi – indice due concili: il primo per condannare l’Antipapa Francone ed il secondo per arrestare l’avanzata dei Simoniaci. Due imprese che non raggiungeranno lo scopo voluto. In una pausa delle preparazioni conciliari, Benedetto VII trova anche il tempo di spiccare la Bolla “Quia Monasterium Cluniacense”. Con quella Bolla, emanata il 22 Aprile del 978, Benedetto VII cerca di annullare il Testamento di Guidone del 954, eliminando la parte ricevente la donazione e facendo passare, in tal modo, il Mero et Libero Imperio di C.S. in mano Cluniacense. La Bolla di Papa Benedetto toglie, infatti, l’Isola di Lerino con il Monastero di S. Honorat all’Abate Lerinense, e passa il tutto, includendovi anche il Convento di Arluc, dedicato a S. Cassiano, all’Abate Maiolo di Cluny. Il che, di fatto, avviene nel 982. Nei novanta anni che seguono: i Cluniacensi chiedono il rispetto delle Regole; gli Abati del Monastero di Mont Majour difendono le clausole del lascito; le Sovranità spingono i Cardinali per far annullare dal Papa la donazione; i discendenti di Guidone confermano la validità dell’atto e aggiungono alla Proprietà altre elargizioni; il testamento viene impugnato dalle Signorie confinanti e dichiarato apocrifo; alcuni Vescovi, spinti dai Benedettini, lo denunciano apografo. L’imperatore Corrado, parente dei Marchesi delle Alpi, guarda il fatto benignamente, sopratutto valutando la capacità di quei frati e quelle genti che “essendo avvezzi alle armi quanto alla fede”, tengono i Saraceni lontano dalla Marca Marittima Occidentale; e dona loro l’Isola di Bergeggi. I Papi, veri e meno veri, da parte Vaticana mai prendono atto e posizione sulle diverse ed opportunistiche interpretazioni concernenti la validità del Testamento di Guidone; le vertenze si vanificheranno, infatti, nel 1177 con l’accettazione definitiva del documento. In quel caos politico-religioso che assiste, durante il passaggio di S. Leone Papa, alla decisiva separazione fra la Chiesa Latina e quella Greca, gli Abati di C.S. si preparano ad occupare l’Isola di Lerino. Le circostanze si rendono sempre più favorevoli già dal 1059, a seguito della morte di Stefano IX, figlio del Duca di Lorena, Gozzelon e Abate del monastero di Montecassino prima di giungere al pontificato. Durante il proprio papato, l’Abate Federico (questo era il suo nome), appartenendo all’Ordine Benedettino, aveva con ogni mezzo favorito l’espansione Cluniacense, di cui seguendone le direttive aveva vietato le nozze fra consanguinei e proibito il matrimonio dei Chierici. Grazie al suo casato, aveva inoltre rappacificata l’imperatrice Agnese, madre di Arrigo IV, con le contestate egemonie Vaticane, inviando presso l’imperatore un Legato Apostolico. Con un decreto, Stefano IX stabiliva infatti che, alla sua morte, si dovessero attendere i consigli imperiali portati in Roma da tale Legato, prima di procedere all’elezione di un nuovo Papa. Ma con la nomina del Vescovo di Firenze a Suo successore, questo non avvenne; l’altezzosa imperatrice Agnese si infuriò contro il Papa eletto, Nicolò II. E ancor più si indispettisce l’Imperatrice Agnese quando l’Abate Ugo di Cluny prende la definitiva decisione di liberare i Cluniacensi dalle imposizioni Imperiali e Papali, sopratutto sulle scelte delle investiture. La presa di posizione dei Cluniacensi irrita non poco anche il Papa succeduto a Nicolò II, Alessandro di Milano il quale, essendo stato Vescovo di Lucca, è anche a conoscenza delle vicende che hanno coinvolto i monaci di C.S., possedendo quei monaci, quale congregazione di Santa Giusta o Giustina, un convento in Altopascio (toscana). Si da il caso, inoltre, che Papa Alessandro sia moralmente debitore verso la Contessa Matilde di Toscana, riconosciuta protettrice di quei monaci, la quale è intervenuta militarmente per restituire alla S. Sede parecchi Castelli e Città che erano stati occupati dai Normanni. Quando nel 1073, i monaci di C.S., che vengono appoggiati via terra dal Conte di Cannes, riconquistano l’isola di Lerino scacciando i Cluniacensi, sia l’Imperatrice Agnese che Alessandro di Milano volgono, pur con differenti ragioni, lo sguardo altrove. Le proteste dei Cluniacensi si infrangono successivamente contro le tematiche del grande Concilio di Mantova, in cui Alessandro accusa di simonia ed iniquità l’intruso Pontefice Cadelao, che viene pubblicamente esacrato e si riconferma la legittimità di Alessandro. Poco dopo il Pontefice muore. Lerino diventa, nel 1073, per diritto di conquista, terra di C.S. ed entra a far parte integrante della proprietà descritta nel Testamento di Guidone; proprietà a cui si unisce, l’anno successivo, il Castello di Cannes regalato all’Abate del Monastero di S. Honorat dal Conte stesso che si fa monaco dell’ordine. Conquista dell’isola di Lerino a parte, studiando e rivedendo la documentazione, scopriamo la leggerezza con cui da più parti è stato interpretato il Testamento di Guidone e la successiva titolarità di Principe di C.S. assunta dall’abate di Lerino. Da molti scritti sembra infatti che Castrum de Sepulchro cum Mero et Libero Imperio venga donato non all’abate in quanto tale, ma all’Isola di Lerino e cioè ad un’altra Signoria. È bene, a questo punto, chiarire che l’Isola di Lerino mai è stata e mai sarà Signoria non appartenendo all’Abate, né ai Monaci Lerinensi, ma alla Santa Sede [come viene dichiarato nella Bolla di Benedetto VII, nel 978, quando il Papa dona l’Isola ed il Monastero ai Cluniacensi]. Essere Abate di Lerino significa, come significava all’epoca del testamento, essere Abate del Monastero Lerinense di S. Honorat in Lerino e non padrone dell’Isola di Lerino. Dopo la conquista e dopo i riconoscimenti di Sovranità e Titolarità, l’Abate governerà in C.S., in S. Michele e sull’isola di Lerino, essendo tutto quanto territorio-principato di C.S. Per poter maggiormente comprendere e valutare come e quando l’abate lerinense ottenne il titolo di Principe Abate, occorre invece seguire gli avvenimenti volutamente sottaciuti, anche per ignoranza, dagli storici e studiosi vari. Ildebrando di Sovana o Soana, di origine Toscana, succede nel 1073 al Pontificato di Alessandro con il nome di Gregorio VII, in seguito venerato quale San Gregorio Papa. All’affaccendato Papa Ildebrando giunge una nuova rimostranza dell’Abate Ugo di Cluny, riguardante la conquista di Lerino, fatta dai monaci di Castrum de Sepulchro, andati contro, secondo l’Abate, a quanto decretato nella Bolla del 978 emanata da Benedetto VII. Non conosciamo la risposta data da Gregorio VII, se c’è stata; ma risposta più evidente che rimane è il riconoscimento Pontificio della Sovranità “Tam in Spiritualibus quam in Temporalibus” concessa nel 1079 al Principe Abate di C.S. (e non di Lerino). Al riconoscimento del Papa segue poco dopo il Diploma Imperiale di Arrigo IV, che dichiara “Castrum de Sepulchro Principato Imperiale per l’antico privilegio Mero et Libero Imperio Et mixto Imperio cum Gladiis Protestate”. Gregorio VII, nel suo riconoscimento, scrive invece: “per antica, esercitata consuetudine”. 3. Papa Gregorio VIIContestato dall’Impero, dai Sovrani, dallo stesso Clero e da “Novatori” quali Mosemio, Cave ed in seguito Potter, Papa Ildebrando ha segnato storicamente il secolo XI come secolo Ildebrandino. Uomo di grande cultura e profondo conoscitore del Diritto Canonico, Gregorio VII convocò nel 1078 e 1079 (anno in cui concesse la Sovranità Spirituale e Temporale all’Abate Principe di C.S.) due concili per indurre Berengario a riconoscere i propri errori, mentre condannava, senza tentennamenti, le Sovranità che concedevano investiture ecclesiastiche sul diritto spirituale ad Abati e Chierici, scomunicando quei Chierici, quegli Abati e quei Vescovi che le accettavano. Decretò inoltre la legge sul celibato del clero regolare e, richiamandosi alle lettere di Papa Siricio, l’una inviata nel 385 al Vescovo Imerio di Terragona e l’altra, del 405, spedita al Vescovo di Tolosa Esuperio, invitò il clero regolare a seguire, con l’esempio monacale, l’antico rito della Chiesa: il che scatenò nei preti il putiferio generale. Imperterrito alle reazioni ecclesiastiche, Papa Ildebrando emise scomuniche anche contro quei Vescovi e quegli Abati che ricevevano, o avevano ricevuto, Feudi e Titolarità dalle Curie Regolari, dietro cospicuo versamento in denaro. Tale scomunica, che colpiva anche le curie concedenti, essendo la compravendita di benefici ecclesiali un atto di simonia, si allungava inoltre a quelle Signorie e a quegli Abati che esercitando i poteri feudali compivano a loro volta investiture tam in Spiritualibus quam in Temporalibus, all’insaputa del Papa. D’altro canto, Ildebrando esce dalle linee tradizionaliste della Sede Apostolica e, cercando di smorzare i movimenti anti-ecclesiastici, accetta la “Pataria” milanese e approva il ruolo crescente dei laici nella società cristiana. Ai laici, Ildebrando chiede addirittura di intervenire contro la disubbidienza dei Potenti e i loro abusi di potere. Nel quinto e nel settimo Concilio romano, Papa Ildebrando spiccò scomunica anche contro quei sovrani e quei principi i quali, confondendo il sacro con il potere politico, concedevano l’anello e il pastorale ad uomini grossolani e incolti. Lasciando intendere che ove tali poteri dipendevano esclusivamente dai Diritti dei Sovrani, succedeva spesso che molti Vescovi da questi investiti, non fossero praticanti e nemmeno cristiani. Gregorio VII precisò, inoltre, che il Nullius Diocesis e la Consacrazione delle Investiture dovevano essere un privilegio rilasciato esclusivamente dal Pontefice e pertanto poteva essere in seguito adoperato dai Regnanti e dai Principi, solamente se ottenuto, se ereditato, se esercitato per Diritto o per usucapione. Le scomuniche decretate da Ildebrando, che dallo stesso clero veniva tacciato di fanatismo, di ambizione e di sfrenato desiderio di comando, sollevarono aspre polemiche sopratutto da parte dei religiosi che furono i più ferrei oppositori delle decisioni papali, in sostegno dei Poteri spettanti alle Sovranità. Il Diritto alle Investiture, controbattevano tanti Cardinali, Vescovi e prelati, può dipendere esclusivamente dai Regnanti e dai Principi, giacché la Chiesa, che doveva occuparsi di mantenere la sacralità degli intenti e l’elevazione dello Spirito verso Dio, non avrebbe dovuto implicitamente ed esplicitamente intromettersi nelle competenze riservate al Romano Diritto del Potere Temporale. I più ragionevoli fra questi, mentre Papa Gregorio decretava, studiavano modo e maniera per continuare ad investire Vescovi ed Abati a proprio uso e consumo, onde arrivare alla mirata nomina di Papi, tanto comodi nei mutamenti del Potere e resi docili nel concedere il pontificio bene placito alle lecite e non lecite usurpazioni, e a dare, all’occorrenza, legittimazione degli abusi commessi con relativa accondiscendenza della Chiesa nei casi di difficili ma necessari cambiamenti muliebri. L’Imperatore, dall’alto del suo scranno, sentendosi spogliare dell’Ecclesiastica facoltà, divenuta consuetudine dopo Carlo Magno, di decidere le investiture dei Principi della Chiesa, suonò le trombe del Diritto Imperiale accusando Gregorio VII di invadere le Prerogative Sovrane spettanti all’imperatore ed “a nessun altro al di sotto di Dio”. Non entrando nel merito di tali diritti, cerchiamo di capire che cosa significavano tali prerogative imperiali. Per l’Imperatore, l’investitura cardinalizia significava ottenere più potere sui reami e sui principati, avendo potestà e facoltà di scegliere i Principi della Chiesa nei Famigli di questi casati. Non esisteva sovrano che non ambisse avere un fratello, o un consanguineo, con facoltà di elezione pontificia e la possibilità di essere eletto Papa. I Sovrani si allineavano, pertanto, ai voleri dell’Impero sia per ottenere che per ringraziamento di aver ottenuto. I cardinali che avevano ricevuto l’investitura dall’imperatore, difficilmente contravvenivano ai suoi desideri, per debito morale, ma sopratutto perchè avrebbero potuto incorrere nella sospensione del mandato. L’imperatore, quindi, disponendo del proprio potere, arrivava alla nomina del Pontefice desiderato. Altra prerogativa spettante all’imperatore, era la facoltà di conferire e togliere ai regnanti, di ogni grado e grandezza, l’investitura di Abati e Vescovi i quali, partecipando ad un conclave elettivo, potevano sia eleggere che essere eletti Papa. Conseguentemente, oltre al non meno importante tributo chiesto o devoluto, sia in denaro che in feudi e territori per l’ottenimento delle investiture imperiali, l’Imperatore aveva praticamente in mano il Governo della Chiesa e i Regnanti dell’Europa occidentale. Questo è, in breve, il riassunto della complessa vicenda che, attraverso i 12 anni del papato di S. Gregorio ha scombinato i poteri civili e religiosi del XI secolo. Dimostrando anche, quanto importante sia divenuto e fosse in quell’epoca il Castrum de Sepulchro: Sovranità con diritto di investitura confermati da un Papa non certo facile e accondiscendente e sopratutto non ignorante del valore e del significato che avevano i privilegi concessi. Una titolarità di Principato Imperiale con Mero et Libero et Mixto Imperio cum Gladiis Potestate, riconosciuta da un Imperatore che mai ha conferito, dai documenti storici, senza imporre ed assoggettare; ma che in questo caso ha investito l’Abate Principe del potere Imperiale, un potere assoluto normalmente spettante al solo Imperatore. Ildebrando muore nel 1085. Odone di Lagery diviene Papa Urbano II e convoca il Concilio di Clairmont. Al grido di “Dio lo vuole” i crociati partono per la Palestina e ciò che in seguito avviene è stato da più parti, più o meno correttamente descritto. 4. Papa Pasquale IIAvviamoci al Papato di Raniero di Bieda, Pasquale II, che segue quello di Odone nel 1099. L’Imperatore Arrigo IV, nel frattempo, nomina i suoi Papi. Dopo Guiberto e cioè Clemente III, tramite tre sinodi vescovili fa consacrare altrettanti Papi, o Antipapi: Alberto, Teodorico e Magninulfo. Raniero di Bieda, detto anche Ranieri di Toscana, viene invece scelto da Cardinali e occupa la Cattedrale di S. Pietro. Cardinale Presbitero ed avvezzo agli affari, in una certa misura ponendosi nel solco tracciato da Gregorio VII e nel Concilio Lateranense del 1102, conferma scomunica contro le investiture e quindi contro Arrigo IV che ha continuato e continua a compierle, e contro il Re di Inghilterra, Enrico I, che segue la strada dell’Imperatore Arrigo IV. In sostanza sentenzia che la Chiesa di Roma deve essere: ” Chiusa, aristocratica, riservata ai monaci e preti”. Scomunica inoltre i papi eletti dall’imperatore, i vescovi che li hanno votati e tutti i Principi seguaci dell’Imperatore e dei suoi Papi. Morto Arrigo IV gli succede al trono di Germania il Figlio, Arrigo V il quale, dopo aver promesso a Papa Pasquale di non seguire le orme paterne, viene da questi nominato Imperatore. Le investiture hanno, però, un grande peso e venendo a mancare finiscono con il diminuire la stessa impalcatura Imperiale e, specialmente quando Arrigo V, in Germania, decide di concedere onorificenze a quei feudatari e Principi che si sono distinti in battaglia nella I Crociata. Pasquale II, che nel frattempo ha deciso di sbarrare la Pataria Milanese e l’apertura al laicismo ricercata dai suoi predecessori e chiude ad entrambi le porte della Chiesa riservandone l’accesso ai soli nobili, ai preti ed ai monaci, fa sapere all’Imperatore che in alcun modo intende ritornare sui propri passi. Arrigo V si infuria, scende a Roma, entra nella Basilica vaticana e arresta il Papa con tutti gli alti prelati presenti. Nel 1111, Pasquale II, che è prigioniero, riconcede le investiture, ma a condizione che siano esclusivamente riservate all’Imperatore e a nessun altro. Il Papa viene liberato. Nel 1112, il Papa ci ripensa e si rimangia quanto aveva promesso alla Potestà dell’Impero e convoca a Roma un Concilio generale in cui abolisce la concessione fatta all’Imperatore l’anno precedente. Altro concilio, questa volta condotto dal Legato Pontificio Guidone, e ancora conferma della secca scomunica inferta ad Arrigo V e viene, all’unanimità dei presenti, abolito il privilegio delle investiture e di ogni privilegio Ecclesiastico; eccezion fatta per quei Privilegi direttamente concessi dal Papa eletto nella e dalla Santa Sede Apostolica, per Diritto Apostolico. 5. Cosa fanno i nostri giovani monaci?Facendo un passo indietro, vediamo adesso ciò che nel 1112 è successo in Cistercium (Citeaux), piccolo centro poco abitato, posto nelle vicinanze di Digione. A Cistercium, dal 1108, un avvilito frate della Comunità di Molesmes, Comunità che segue la Regola di S. Benedetto (NB: la Regola e non l’Ordine di S. Benedetto), cerca di reclutare qualche confratello che si fermi stabilmente, o almeno quanto basta per formare un Monastero di cui essere Abate. È Stafano Harding, uomo di grande cultura, profondo conoscitore delle Sacre Scritture e profondissimo conoscitore della Kabbala Ebraica. Il complesso in cui vive è formato da quattro stanze con Chiesa a lato ed è stato costruito nel 1098 dall’Abate di Molesmes, Roberto, che colà è rimasto sino al 1104, quando è stato sostituito dall’Abate Alberico. Prima di tornarsene a Molesmes, l’abate Roberto, aveva fondato nel 1102 una, in realtà mai esistita, Comunità di Cistercium con l’intento di prendere alla lettera la Regola di S. Benedetto riportando, in tal modo, alle origini il nuovo Ordinamento Benedettino, ma in maniera concettualmente diversa da come lo stavano conducendo i riformisti di Cluny. Nel 1112, comunque, tutto naviga in alto mare. I Cavalieri di Sion (o del Tempio di Gerusalemme), Borgognoni, aderenti all’Ordine riformato da Godefroy de Bouillon (ordine in realtà mai costituito sovranamente e mai consacrato), si trovano praticamente disciolti con l’abolizione delle investiture definitivamente decretata in quell’anno (1112) da Pasquale II nel Concilio, venendo a cadere per l’Ordine la possibilità di un legale riconoscimento religioso e civile. Il Papa aveva inoltre sbarrato la Chiesa ai laici e quindi alla possibilità, in quanto tali, di ricevere l’investitura da qualche Vescovo amico o da un Abate riconoscente. Alcuni Cavalieri che possedendo feudi non lontani da Roma si erano mossi in tal senso, avevano fatto sapere l’irremovibile posizione assunta dal Papa, il quale ha rispose che per gli uomini di fede dovrebbe bastare la benedizione di Dio. Qualche confratello, pur di mantenere il corporativismo, suggerisce di adottare una strategia simile a quella escogitata dal Monaco Provenzale, Gerardo di Tenque, che ha formato un Ordine Laico-Religioso di Ospitalità. Si sentono troppo orgogliosi (sono soldati, a conti fatti) per accogliere simili ripieghi impersonali. Ma il percorso, anche se non preordinato, si sta dischiudendo agli occhi di chi vuol vedere. Una trentina di giovani rampolli estratti dai Famigli dei Cavalieri Borgognoni, prima Cavalieri di Sion poi del Tempio di Gerusalemme, vengono accompagnati nel minuscolo convento di Citeaux e posto sotto la tutela monacale di Stefano Harding. Ricordando questa storia tutta monacale, nata come tante altre per l’impellente necessità di risolvere gli inconvenienti del momento, perchè, a chi lo accusava di essere stato e di essere molto più faccendiere che umile fraticello, S. Bernardo rispondeva: “Gli affari di Dio sono anche i miei e niente di ciò che Lo riguarda può essermi estraneo”. Dopo il primo passo che di fatto ha permesso ai Cavalieri di entrare nella Chiesa e porsi in attesa, in un terreno situato a Clairvaux e donato dal Conte Ugo I di Champagne, viene costruito un nuovo convento: il terzo sponsorizzato da quei Cavalieri. Il giovane Bernardo di Fontaine ne diventa l’Abate, e li ufficialmente quali “Benefattori della Chiesa”. L’idea di S. Bernardo ha un doppio risvolto: che l’Ordine sia riconosciuto dalla Chiesa e dall’Impero per dare all’Ordinamento un aspetto nuovo, religiosamente, moralmente e civilmente. Con tendenza ambivalente e in un certo qual modo ambigua, che caratterizzò il suo comportamento nel trattare questioni delicate e difficili [comportamento che gli meriterà il titolo di “Dottor Mellifluo”], S. Bernardo cerca di compattare Cavalieri e Frati in un insieme tale che diventi impossibile tentarne lo sgretolamento. Conosce, infatti, S. Bernardo, il potere Cluniacense che non intende avere ostacoli sulla propria strada; immagina solidale, dopo la Riforma ecclesiastica, la Curia Romana; e prevede guardingo, o comunque reticente, dopo le secche scomuniche ingoiate, l’operato del futuro Imperatore che dovrà bilanciare l’impero fra le sovranità temporali, quelle religiose regolari e quelle monastiche controllate da Cluny. Senza rendere troppo palesi le sue intenzioni, S. Bernardo abbozza la sua Regola Monastico-Cavalleresca. La bozza prevede che i Cavalieri diventino Abati dopo nove anni dall’avvenuta investitura cavalleresca e, per smorzare con la vincolante appartenenza la futura sottomissione del Cavaliere all’Ordinamento monastico, pone l’Ordine monacale sotto la tutela temporale della Gran Maestranza dell’Ordine Cavalleresco. Dopo i primi sondaggi, S. Bernardo si rende conto che lo scottante problema dei poteri e dei personalismi può bloccare quella che chiama “un’idea meravigliosa posta al servizio della grandezza di Dio”. Con la scaltrezza che lo contraddistingue, corregge il tiro puntando lo stesso obiettivo: “Il potere religioso dell’ordinamento spetta all’Abate, il potere esecutivo ed economico spetta al Cavalierato”. I cavalieri debbono diventare Abati e, spettando all’Abate il potere religioso, l’Ordine Cavalleresco può, in veste abbaziale, godere o usufruire di entrambe i privilegi. L’Abate comunque resta sottoposto ad un Capitolo Generale che, essendo conseguentemente composto da Cavalieri Abati, avrà facoltà di bloccare ogni singola, errata velleità sia religiosa che temporale commessa dai e nei Monasteri dell’Ordine. Ben pochi Cavalieri, comunque, promettono l’adesione all’ordinamento concepito da S. Bernardo. Questi vedono sconvolgere dalla nuova concezione, quella genialità e quell’audacia propri dell’Etica Cavalleresca. Lo spirito che li aveva legati, combattivo e sacrale, che dir se ne voglia, di fatto si infrange “strutturalmente” contro le decisioni prese da Papa Pasquale II. Questo l’Abate Bernardo lo sa e, pur comprendendo quanto importante possa essere il cammino intrapreso dalla Chiesa di Roma, cerca di aggirare il problema facendolo nel modo più accettabile per tutti. Le problematiche del riconoscimento dell’Ordine e, parallelamente, le tematiche sollevate dai Cavalieri hanno una soluzione: Castrum de Sepulchro. Ed è questa l’unica strada percorribile, per un uomo intelligente, se si vuole incontrare e, contemporaneamente, se si cerca di ottenere quanto può offrire il Potere Religioso unito a quello Temporale. Da alcuni anni stazionano in C.S. due monaci cistercensi amici di S. Bernardo: Gondemar (Godemaro) e Rossal. Occorre un anno per mettere in chiaro le tematiche di un Abate con le problematiche di un altro Abate e finalmente, nel 1118, l’Ordine Monastico Cavalleresco, voluto dall’Abate Bernardo, viene Investito e Consacrato dal Principe di C.S., Edoard. L’Ordine Cavalleresco porta il nome di “Paupera Militia Christi”. Il 13 Gennaio del 1128, durante il Concilio di Troyes, capitale della contea di Champagne, Papa Onorio II riconosce ufficialmente l’Ordine dei Pauperes Milites Christi: unico ordine Religioso-Cavalleresco riconosciuto da un Concilio Vaticano. Sul Baucent, il vessillo a nove strisce bianche e nove strisce nere voluto da S. Bernardo, rimane la croce a spada trifogliata, successivamente divenuta la croce simbolo dei cattolici Occitani. Ed ora la domanda finale: perchè Castrum de Sepulchro? Per ottenere ciò che S. Bernardo ha ottenuto occorreva creare un Ordine Sovrano che dipendesse dal proprio Stato Sovrano sia territorialmente che religiosamente onde avere, dulcis in fundo, la forza per discutere con il Papato, la via migliore per unificare le diverse fedi nella stessa cattolica religione. Lavorare, cioè, perchè Dio sia uno per tutti e che tutti i fedeli possano avvicinasi a Dio in eguale misura. |