Ripley Scrowle – Parte 3.2

Alchimia(3.2 / L’ermafrodito come privatio boni)

Seconda parabola: del diluvio delle acque e della morte che la donna ha introdotto e cacciato.

Ripley Scrowle – Parte 3.2

a cura di Giuseppe Barbone

(3.2 / L’ermafrodito come privatio boni)

Seconda parabola: del diluvio delle acque e della morte che la donna ha introdotto e cacciato.

Quando l’abbondanza del mare si sarà diretta verso me ed i torrenti avranno inondato il mio viso, le frecce della mia faretra si saranno ubriacate di sangue, le mie dispense si saranno imbalsamate di un vino eccellente ed i miei granai saranno pieni di frumento, quando lo sposo sarà entrato nella mia camera con le dieci vergini sagge e poi il mio ventre si sarà gonfiato al contatto del mio amato, ed il catenaccio della mia porta si sarà aperto al mio amato, dopo che Erode in collera avrà ucciso un gran numero di bambini in Betlemme di Juda e che Rachele avrà pianto tutti suoi figli, che la luce si sarà alzata nelle tenebre e che il sole di giustizia si sarà alzato nel cielo, verrà allora la pienezza dei tempi dove Dio, secondo la sua parola, manderà suo figlio che ha stabilito come erede di ogni cosa e per il quale ha fatto anche i secoli di cui un giorno ha parlato: Sei mio figlio; oggi ti ho generato, sei colui al quale i maghi venuti dall’Oriente hanno offerto tre doni preziosi. In questo giorno che il Signore ha fatto, esultiamo e rallegriamoci in lui, perché oggi il Signore ha guardato la mia afflizione ed ha mandato il riscatto, colui che deve regnare in Israele. Oggi la morte, che la donna aveva portato, la donna stessa l’ha cacciata e le porte dell’inferno sono state rotte, perché la morte non eserciterà più il suo dominio e le porte dell’inferno non prevarranno più contro di lei, poiché la decima dracma che era stata persa è stata ritrovata ed anche la centesima pecora nel deserto è stata riportata, ed il numero dei nostri fratelli, diminuiti, per la caduta degli angeli è stato restaurato pienamente. Oggi, figlio mio rallegrati perché non ci saranno più grida di sofferenza, perché le cose anteriori sono passate. Quindi chi ha orecchie per sentire ascolti ciò che lo spirito dell’insegnamento dice ai bambini della scienza sulla donna che ha introdotto e cacciato la morte, quello a cui fanno allusione con queste parole dei filosofi: Togligli l’anima e rendigli l’anima, perché la corruzione di un essere è la generazione dell’altro. Questo è come dire: Privalo della sua umidità corruttrice ed aumentalo della sua umidità connaturale con la quale apparirà la sua perfezione e la sua vita.

Marie Louise Von Franz: «Aurora Consurgens».

Questa Seconda Parabola ci dà la chiave del processo di espansione per il quale l’Io và alla ricerca dell’altro, questo vuol dire tutto sommato, verso il suo proprio essere. È lo stato di nigredo   che è descritto nella prima parte di questo testo che supera largamente, del resto, i limiti dell’alchimia [l’Aurora consurgens è affine al Cantico dei Cantici, cf. AC, I]. Per ciò che riguarda il campo riservato dell’arte sacra, basterà insistere sul senso da dare alle ultime frasi della parabola, in particolare: “Privalo della sua umidità corruttrice ed aumentalo della sua umidità naturale con la quale apparirà la sua perfezione e la sua vita.” L’umidità corruttrice è l’equivalente del primo Adamo [spiritus corruptus] che si vede uscire dal sepolcro nella figura 8 del Ros. Phil. L’umidità naturale aumentata è qui dotata dei caratteri che rendono possibile la nascita del secondo Adamo o fenice [figura 17 del Ros. Phil.] tenendo presente che la bara ed il letto nuziale designano lo stesso oggetto. Parimenti, notiamo che la bocca dell’athanor, nel RS, sulla cima dell’arbor vitae, si è trasformato – in alto in due leoni – nell’apertura di un pozzo chiaro che mette così, letteralmente in luce, lo spostamento dell’Io rispetto al Sé, provocato dal desiderio. [vedere san Tommaso d’Aquino, Summa, I-II, q. 28, arte. 5: “Così l’uomo è al più alto grado rifinito e migliorato dall’amore di Dio, ma è ferito e deteriorato dall’amore del peccato… la liquefazione provoca un rammollimento del cuore dove il cuore si mostra, pronto a ricevere la cosa amata che penetra in lui. “]. Ecco spiegato il découplement che interviene tra il Sé, considerato come lo strumento del trasferimento [sotto la specie della coppia {,}] e l’Io, compreso come l’immanenza della proiezione [la coppia {,}], cf. Mysterium conjunctionis, I, Luna, p. 231. Jung aggiunge che per Dorneus, il Mercurio costituisce il vero Adamo ermafrodita [De Genealogia mineralium, Theat. Chem, I, p. 568-592] e Kunrath precisa che è generato senza Caos, peccato della materia. Gli si presta ancora una forma di quadratum   aumentato della quinta essentia chiamata cielo firmamentale, questo contribuisce a spiegare il simbolismo dell’arbor vitae. Lo si designa ancora come l’uomo estratto dal fiume [allusione al Diluvio rievocato nella Seconda Parabola dell’Aurora consurgens, vedere l’immagine 8 dello Splendor Solis]. Abram Eleazar ne parla come l’Adamo Cadmon [Uraltes Chymisches Werk].

È particolarmente istruttivo vedere la coincidenza tra questi concetti dell’anthropos o l’Io ed il Sé, ragguardevole la dualità irriducibile – sebbene labile – che divide la coppia {, }. sembra che si possa abbozzare una soluzione a questo problema di dualità se si considera lo schema proposto da Jung [Simbologia dello spirito, il dogma della Trinità, p. 163] dove, con l’intromissione di una sostanza [l’arcano], al tempo stesso qualificato di essere divisibile ed indivisibile [dualità essenziale dove si può vedere un piccolo risonatore], introduce il trasferimento dello Stesso [Io] nell’altro [che comprendiamo come una singolarità che spunta ex nihilo dal Sé]; precisamente, và bene il concetto dell’altro che dà accesso a questa idea del secondo Adamo. Jung estrae questo passaggio dal Timéo, il quale abbonda di riflessioni in questo senso:

“Formò, il Démiurgo, combinando dai due una terza specie di sostanza intermedia che partecipa al tempo stesso della natura dello Stesso ed a quella dell’altro, ed egli la pose nel mezzo della sostanza indivisibile e della sostanza corporale divisibile,…” [in Simbologia dello spirito, il dogma della Trinità, p. 163]

È facile vedere in questa sostanza indivisibile il segno del . Non è tutto: si intuisce ancora una coppia di oppositori formati dal corpo del Lunaria [il Sale   o corpo] e del Mercurio [cf. sopra]. Un figura “trina” si libera [dove si potrebbe aggiungere un punto centrale nel cerchio luciférino] dove la sostanza indivisibile prende la forma della   e costituisce il mezzo o medio, permettendo di congiungere {, } allo stato principiato. Jung prosegue:

“Una X posta in un cerchio designa, secondo Porfirio, l’anima del mondo degli egiziani. In realtà, si tratta del geroglifico che simboleggia la città. Presumo che Platone ha provato già a creare il mandala che riappare poi per indicare la capitale di Atlantide.” [idem, p. 165]


Chute des anges déchus, BNF Richelieu Manuscrits occidentaux, Français 21, Fol. 17 Saint Augustin, Cité de Dieu (traduction Raoul de Presles), France, Paris, XVe

Non è più necessario insistere sull’importanza del lettera X che bisogna leggere (…) in quanto iniziale di Cristo). Si può vedere in questa citazione, segnalata da Jung, l’analogo della Gerusalemme celeste; notiamo che la descrizione dell’Atlantide [vedere Critias, 115 – 116d, trad. Luca Brisson, GF, 1992] ha una forte similitudine con quella dell’athanor dei Saggi ma non possiamo svilupparlo in questa sezione.

Per ora, andiamo a studiare alcuni punti che si riferiscono al mistero della caduta degli angeli ed ai loro rapporti col complesso {secondo Adamo – Eva} da una parte e l’ermafrodito dall’altra parte. L’immagine sopra ai due angeli, uno con le ali rosse, l’altro verdi: la prima caduta seguita dall’unzione della spada [SOLVE]; il secondo, sotto l’influenza della croce [Coagula]. L’operazione è diretta dallo spiritus sanctus e consiste nell’incarnazione o corruzione. Abbiamo qui un processo che si svolge dopo la sublimazione [scioglimento delle materie] di cui l’equivalente psicologico equivale all’Io che riesce a sormontare il Sé ed a rompere questa opposizione tra lo spirituale [animò] ed il terrestre. La parabola della caduta degli angeli si riferisce forse a ciò che gli alchimisti considerano che nove parti su dieci delle loro materie sono interamente sublimabili [vedere M.L von Franz, Aurora consurgens, commento alla Seconda Parabola, op. cit., p. 259 e sq.], il resto forma una specie di feccia dove si nasconde il Sale che forma il corpo del lapis e per estensione la parte terrestre del filius philosophorum. Ci sembra che il punto fondamentale da sottolineare sia che il Mercurio privato del suo Sale   [Mercurio filosofico] domini lo Zolfo e ne determina la sua proiezione. È forse in questo che si può tentare l’accostamento tra Eva e Maria per il quale tende M.L von Franz, alla fine del suo commento della Parabola:

“Oggi, la morte che la donna aveva portato, la donna l’ha cacciata, e le porte dell’inferno sono state rotte.”

Questa incrinatura è anch’essa contrassegnata da un X. Per illustrare il nostro proposito, è utile ritornare al Dogma dalla Trinità [Jung, Simbologia dello spirito, p. 164] dove lo psicanalista dispone una figura inconscia che offre delle similitudini col concetto della caduta dell’angelo.

In questo schema vanno distinti tre livelli di realtà: il primo livello corrisponde al cielo firmamentale di Philalèthe e, se si riprende l’immagine degli angeli caduti, si tratta della sfera dove si distingue lo spiritus sanctus; nel RS, si tratta del démiurgo [vedere capitolo 1]. La sostanza divisibile è l’Io [anima ] mentre la sostanza indivisibile è il Sé [animus ]. Il secondo livello è questo spazio dove gli angeli cadono [sostanza intermedia, mezzo che permette di congiungere gli opposti] e designato   come tritone: è là dove si esprimono i principi alchemici, alimentati dallo strumento di scioglimento [la spada] e di fissaggio [croce] ammettendo delle relazioni tra i due, secondo la formula Solve e Coagula ed il processo dinamico [assimilazione di René Guénon, individuazione di Jung]. Il terzo livello è chthonien [incarnazione]. A questi tre livelli si sovrappongono i colori corrispondenti: nigredo, albedo e rubedo. Si arriva con questo a questa nozione capitale dove il luogo della totalità   – costituzione dell’essere – è anche quella del privatio boni. Jung scritto al riguardo:

“Di fronte ad un male apparente può esistere solamente un molto apparente, ed un male senza sostanza saprebbe distinguersi solamente di un molto tutto tanto privo di susbtance… mai ha un molto esistente di fronte ad un male non esistente, perché questo ultimo è un contradictio in adjecto senza comune misura con un molto esistente…” [Simbolico dello spirito, il dogma della Trinidad, p. 207]

È un campo al quale il Male non ha accesso e di cui Jung non parla esplicitamente: la trascendenza. Forma tuttavia l’esatta replica della quintessenza alchemica e si rivela affine al Bene. Non è suscettibile, neanche, di corruzione per il fatto che necessita di una proiezione spirituale. Questa proiezione non può essere il fatto della Ragione [mediata dallo spirito o animus] ma il fatto del Senso [mediato dall’anima o animò]. Veniamo rinviati paradossalmente alla X poiché c’è contraddizione interna – ciò che Jung chiama proprio contradictio in adjecto – per il fatto di attributi dove oggetto ed argomento sono sfumati. Per trarci dall’imbarazzo, vediamo questo altro passaggio di Jung:

“La connessione di fattori coincidenti legati dal senso, può dunque, necessariamente, essere pensata come acausale. Ora siamo tentati certamente, giunti a questo punto, di supporre, in mancanza di una causa empiricamente constatabile, una causa trascendentale. Ma una ‘causa’ può essere solamente una grandezza constatabile. Una causa ‘trascendentale’ è un ‘contradictio in adjectio’ difatti, dato che quanto è trascendentale sfugge per definizione ad ogni constatazione possibile.” [Synchronicité e Paracelsica, trad. Albin Michel, 1988, la sincronicità, principio di relazioni acausale, p. 47]

È chiaro che solo l’anima – i.e. animò =   – costituisce questo termine medio che permette lo schizzo di un contatto, verso questa Gerusalemme celeste che è la trascendenza, “Altrove radicale” che porta lo stesso nome in tutte le lingue: l’assoluto. Osserviamo dunque che la contraddizione inerente al concetto del privatio boni [che si trova in alchimia in due riprese, inizialmente nello scioglimento – sricto sensu, assomption dello spiritus corruptus – poi nel réincrudation, momento della caduta dell’angelo – animò consurgens ] consiste in questa dualità animus – animò dove si esprime in ogni virtualità l’oppositore {divisibile – indivisibile}. Questa dinamica propria della psyché implica un vero stato ondulatorio dove è fatale che il principio di proiezione – – passi il limite del “pozzo di potenziale” che si oppone al trasferimento . In questo straripamento, i vettori psichici simboleggiati dalla spada e dalla croce rivelano delle immagini facili da manipolare, per percepire delle analogie tangibili. Apriamo Psicologia ed Alchimia ora:

Il concetto di imaginatio è una delle chiavi più importanti, se non la più importante, della comprensione dell’opus. L’autore del trattato “Di sulphure” parla della facoltà immaginativa dell’anima, in questo passaggio dove tenta di fare proprio questo concetto da cui gli Antichi si erano astenuti: dare un’indicazione chiara del segreto dell’arte. L’anima, dice, si trova al posto di Dio, ed ha il suo posto, in qualche modo regna al suo posto, rimanendo nello spirito di vita e nel sangue puro. Governa il pensiero (illa gubernat mentem) e questo governa il corpo. L’anima funziona, opera, nel corpo, ma la parte più grande della sua funzione (operatio) si esercita fuori dal corpo (o, potremmo aggiungere, per maggior chiarezza: nella proiezione. Questa particolarità è divina, perché la saggezza divina è chiusa solo parzialmente nel corpo del mondo: per la sua più parte più grande è all’esterno ed immagina molto delle cose più elevate di quelle che il corpo del mondo può concepire (concipere). E queste cose sono all’infuori della natura: sono i propositi segreti di Dio.

L’anima ne è un esempio, essa immagina anche tante cose molto profonde, profondissime, all’infuori del corpo, esattamente come Dio. È vero che ciò che l’anima immagina si svolge solamente nel pensiero (non exequitur nisi in menta) mentre ciò che Dio immagina si svolge nella realtà.

«L’anima ha il potere assoluto ed indipendente [absolutam e separatam potestatem] di fare altre cose [alia facere] di quelle che il corpo può concepire. Ma, quando vuole, ha il più grande potere sul corpo [potestatem in corpus]; perché diversamente la nostra filosofia sarebbe vana…. puoi concepire il più grande, perché ti abbiamo aperto le porte.»

Le concezioni del saluto nell’alchimia, III. Meditazione ed Immaginazione, trad. Buchet Chastel, 1970, p. 361-362

Il trattato di cui Jung cita un brano è stato compilato probabilmente da Michel Sendivogius su note di Alexandre Sethon [l’autore della Nuova Luce Chimica o Dodici trattati; ricordiamo che questi trattati appaiono nel Musaeum hermeticum, pp. 545-600 e 601-646]. L’immaginazione, nel processo creativo, è solamente l’organizzazione di un delirio e le opere d’arte più belle sono quelle dove l’immaginario e la tecnica hanno trovato la loro giusta proporzione di cui l’artista ignora il peso. La facoltà immaginativa dell’anima non ci sembra essere quella di cui parla Jung, ma piuttosto quella del grado di libertà che lo spirito [animus rector ] ha giudicato a proposito dell’anima [anima dissoluta ] di assegnargli nel suo recinto, luogo della sua orbita. Il punto di rottura che segnaliamo sopra, si trova all’istante dove l’anima riesce ad immaginare all’infuori del pensiero; ha allora accesso ad un campo che, in principio, è riservato a Dio: la realtà che chiamiamo il Sé. La strada verso il Male si trova forse da questo lato: la trasgressione che l’anima commette per proiezione nel Sé… situazione dove l’uomo è la scimmia di Dio [non si saprebbe trovare tuttavia in ciò un peccato: difatti, l’energia dell’anima – dove l’Io cosciente trova il suo appoggio – procede allora dall’espansione stessa del Sé   – l’ombra dell’Io – che è diviso da quello che qualcuno chiama il “transconsciente” che permette il collocamento in opera di questo vero “effetto galleria” schizogèno da dove risulta il Mysterium conjunctionis degli opposti {,}].

Giove e Diana, francese 137, Pag. 58 Ovidius, Metamorphoseon libri XV

Belgio, Fiandre, XV° secolo

Dire di più su questo vorrebbe dire rifare un capitolo della sezione dell’Aurora consurgens II, alla quale rinviamo il lettore. Aggiungiamo che l’anima non potrebbe corrispondere, come la considera Jung, nell’inconscio [spiritus assimilato al Mercurius ]. Almeno nel periodo della rinescita [della proiezione]; perché Pallas Atena, che esce armata dal cranio di Zeus rotto da Héphaistos. È per questa ragione che Jung cita questo passaggio di Sendivogius:

“L’aria è un elemento puro, non alterato, nella sua specie il più degno, particolarmente leggera ed invisibile, ma internamente pesante, visibile e solida. In lei è incluso (inclusus) lo spirito dell’Altissimo che, prima della creazione, aleggiava sopra le acque, secondo la testimonianza delle sante Scritture: «Planò sulle ali del vento». Ogni cosa è integrata (integrae) in questo elemento con l’immaginazione del fuoco.” [Sendivogius, Trattato dello Zolfo in Musaeum Hermticum, p. 612 – chap. III dell’elemento dell’acqua – cit. in Psicologia ed Alchimia, § 397]

Il fuoco degli alchimisti è speciale: scioglie senza bruciare ed è un’acqua. Bisogna comprendere che qui conserva in lui le materie che sono sotto il suo potere, materie promesse allo scioglimento o, per lo meno, ad una forma speciale di sublimazione liquida, con un mezzo che gli Adepti chiamano: l’aria dei Saggi, per riprendere il titolo del capitolo VI dell’Introïtus di Philalèthe. Il riferimento al vento mostra del resto, che certamente, quello che l’anonimo della Tavola Smeraldina deve al Vulgate [Ps 17: 11]. Comunque sia, la cosa importante è che la materia disposta nell’aria, lo è in effetti nel fuoco, ragione per la quale, in ogni logica, è   “internamente pesante, visibile e solido.” Allo steso modo bisogna essere prudenti, sul commento che Jung attribuisce a Sendivogius, di non prenderlo alla lettera quando assicura:

“Appare chiaramente che, con questa attività dell’anima fuori dal corpo, extra corpus, si intravede l’opus alchemico, nell’osservazione secondo la quale l’anima ha il più grande potere sul corpo, e che, se non fosse così, l’arte reale, o filosofia, sarebbe vana.” [idem, a partire da citazioni del Trattato del Fuoco, chap. V dell’elemento del Fuoco]

Sendivogius ci fa un discorso di come lo   è destinato ad acquistare un potere più grande dello spiritus   e non più sul corpo. Tutto ciò è ancora una volta logico poiché il mercurio è destinato a dissiparsi, in modo che lo Zolfo coaguli, vale a dire che i corpi si possano congiungere. Che lo , poi, prenda il sopravvento sul corpo   è vero, nella misura in cui è questo raggio igneo che orienterà il lapis nel senso indicato nella sezione Zolfo. Ciò che abbiamo appena descritto per l’alchimia operatoria si concepisce comodamente con l’oratorio: il démiurgo del RS contempla la sua opera con l’immaginazione attiva [per proiezione]. Questo Adam kadmon [vedere figura] in quanto precursore dell’ uomo di luce si trova in Zosimo [sembra che si possa trovare l’origine della parola Adech, in Dorneus in Theophrasti Paracelsi libri V Di vita longa, p. 178, – citazione di Jung in Synchronicité e Paracelsica, p. 243, nota 65, : “l’Adech è probabilmente l’invisibilis omosessuale identico all’Aniadus ed all’Edochinum = Enochdianus.”]. Cosa ci ricorda l’Adam kadmon? Certamente il sognatore:

“Nel trattato Di vita longa”, Paracelso chiama i quattro Scaiolae, ma il Sé, Adech di Adamo = il primo uomo. Come lo sottolinea Paracelso, tutti e due, l’anima e la totalità, causano delle difficoltà nell’opera, così che si può parlare quasi di un’ostilità da parte di Adech.” [Jung, Psicologia ed Alchimia, simboli onirici, la simbologia del mandala, § 150, p. 150]

Roland Cahen, in nota, si riferisce ad un lavoro [Jung, Gesammelte Werke, vol. 13, Studien über alchemistisches Vorstellung, Zurigo, pubblicato nel 1978 – notiamo che Paracelsica è apparso a Zurigo nel 1942; il passaggio si trova pp. 163-167, cf. Vol. XIII Alchemical Studies]; il passaggio in oggetto è inserito in Sincronicità e Paracelsica [op. cit. Paracelso, una grande figura spirituale, pp. 199-222]. Qui, con grande dispiacere, non possiamo sviluppare lo studio del “De Vita longa” di Paracelso. Basterà notare questo punto capitale, l’Io deve vincere il Sé per proiettarsi nell’altro; perciò è questo che Jung introduce nella logica della sua analisi dell’Aniadus [Adech] dal titolo di “Mistero naturale della trasformazione”. Il capitolo “L’unificazione delle due nature dell’uomo” si avvicinano molto a quanto da noi descritto qui, in particolare a pp. 215-216. Questo tema dell’adech lo si ritrova nell’iconografia dell’ultima tavola del Mutus Liber, il quale mostra un uomo coricato, nel quale vediamo Ercole che riposa dopo aver compiuto le sue Dodici Fatiche. Questa interpretazione ci aveva lasciato poc’anzi perplessi e possiamo dunque, alla luce del Di Vita longa, correggerla ora vedendoci una variazione sul tema dell’Adam kadmon. Comunque sia, la tematica di questo Adamo primordiale è chiaramente la morte del Sé, che avviene necessariamente per mezzo del   e della   affinché sotto la loro apparenza trasfigurata di   e   [forma principiée o se preferite passata al crogiolo] siano congiunti. La morte del Sé è, in termini psicologici, assimilabile alla morte del padre, vale a dire a   [che condiziona ciò che è nell’ordine del trasferimento, cf. Aurora consurgens, II]. È così possibile esaminare la figura dell’arbor vitae con nuovi occhi, alla luce di questo brano del Brihadaranyaka Upanishad:

“Era grande tanto quanto un uomo e una donna abbracciati. Divise la sua (atman) in due, e marito e moglie nacquero. Si unì a lei e gli uomini nacquero…” [Psicologia ed Alchimia, § 209, pp. 211-212]

Andiamo a studiare da più vicino questo adech, questo ci permetterà di accedere al cartello inferiore del RS.

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