I Riti Agrari – parte1

Miti e SimboliNei riti della vegetazione possiamo rinvenire il tentativo strutturale di umanizzare una Natura originariamente esperita come ostile nella sua inalienabile alterità.
Il “primitivo” proietta nell’ambiente circostante – nelle rocce, nelle piante e negli animali – il senso riposto della propria esperienza e del proprio destino, alla stregua di un’autentica tecnica primordiale per fronteggiare quella stessa “ansia di disintegrazione” che De Martino ribattezza come “crisi della presenza”.

I Riti Agrari

di Antonio D’Alonzo

Nei riti della vegetazione possiamo rinvenire il tentativo strutturale di umanizzare una Natura originariamente esperita come ostile nella sua inalienabile alterità.

Il “primitivo” proietta nell’ambiente circostante – nelle rocce, nelle piante e negli animali – il senso riposto della propria esperienza e del proprio destino, alla stregua di un’autentica tecnica primordiale per fronteggiare quella stessa “ansia di disintegrazione” che De Martino ribattezza come “crisi della presenza”.

Cercando di conferire un ordine ed un significato al proprio humus, l’uomo si salva dall’angoscia lacerante di essere estraneo a se stesso: in fondo la letteratura, la filosofia e l’arte che altro sono, se non dei tentativi di rintracciare il senso dell’Io di fronte al Mondo?

Kafka salvò il suo traballante equilibrio mentale attraverso la descrizione dei suoi universi allucinati; in maniera non troppo difforme anche il “primitivo” costruisce senso antropomorfizzando la Natura. La Madre Terra non soltanto abbandona la sua intangibile alterità per assumere comportamenti aperti all’offerta di significato, ma consente anche di cosmicizzare le stesse attitudini umane, elaborando – dall’interno di una dimensione feroce ed arcaica – il gioco delle corrispondenze macro-microcosmiche tramandate successivamente dall’ermetismo neoalessandrino.

Per gli indios Warao del Delta dell’Orinoco nel Nord America, la produzione di cesti ha avuto origine, in illo tempore, da un atto primordiale. La pianta usata per la fabbricazione dei canestri deriva dal sacrificio originario di un Dema, il quale, immolandosi, ha trasformato il suo corpo nella pianta ittiriti. In Indocina, il riso in fiore è equiparato al corpo incinta di una giovane donna, mentre a Giava nei campi di riso, una coppia si unisce in un rito della fertilità. Secondo la medesima costellazione simbolica incentrata sulla fertilità dei campi e la sessualità umana, la vita e la morte, l’immolazione e la rigenerazione, gli Ewe dell’Africa consacrano le loro giovinette al dio Pitone.

La Natura antropomorfica pretende che gli uomini coordino le loro attività con il suo ritmo ciclico, per questo i riti agrari terminavano sovente in sacrifici cruenti, dove la vittima prescelta poteva essere un animale o un essere umano. La morte fisica simboleggia la fine di una stagione, così come il nascituro l’avvento di quella nuova: riti di passaggio che devono essere suggellati con il sangue delle vittime e la fecondità dei giovani amanti.

Questo radicamento della Terra nel sangue e nello sperma, in eros e thanatos, segna anche la distanza dal Cielo. Mentre quest’ultimo diventa sempre più trascendente rispetto al tempo ed alla materia, acquistando connotazioni simboliche che richiamano la distanza, l’altezza, l’elevazione spirituale e la sovranità assoluta, la Terra non può prescindere dal ritmo che contrassegna l’alternarsi delle stagioni. La Terra segna il trionfo del tempo e della materia: non a caso la Caduta dall’Eden segna la mortalità dell’uomo e la sua condanna al lavoro fisico.

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