Morte: la grande avventura – Parte VI

Letture d'Esoterismo OrientaleNon si scorge il nesso tra sonno e morte. Ma questa, dopo tutto, non è che un interludio maggiore fra due operazioni fisiche: si è “via” per un periodo più lungo.

Morte: la grande avventura – Parte VI

a cura di Adriano Nardi

Dagli scritti di Alice A. Bailey e del Maestro D. K.

Non si scorge il nesso tra sonno e morte. Ma questa, dopo tutto, non è che un interludio maggiore fra due operazioni fisiche: si è “via” per un periodo più lungo.

Per gli uomini di scarsa evoluzione, la morte è letteralmente un sonno, un oblio, poiché la mente non è desta quanto basta per reagire, e la memoria è praticamente vuota di ricordi.

Per l’uomo di medio livello, buon cittadino, dopo la morte il processo vitale, gli interessi e le tendenze proseguono nella sua coscienza. Questa, e la consapevolezza, restano uguali e inalterate.

… … …

Tenete presente che la coscienza permane la stessa, sia nella vita fisica che in quella incorporea, e che lo sviluppo può essere perseguito in questa con tranquillità maggiore, poiché non più limitato e condizionato dalla coscienza cerebrale.

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Per la massa comune dell’umanità, focalizzata in tutte le sue attività ed i suoi pensieri sul piano fisico, il periodo dopo la morte è di semicoscienza, di incapacità di riconoscere il luogo e di disorientamento emotivo e mentale. Per quanto riguarda i discepoli, si mantiene il contatto con le persone (generalmente con quelle alle quali erano associati) durante le ore di sonno; permane la ricezione delle impressioni provenienti dall’ambiente e dai collaboratori, e continua ad esserci il riconoscimento del rapporto (come sulla terra) incluso il senso di responsabilità.

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Per l’uomo ordinario, quali sono dunque le prime reazioni e attività, dopo che ha restituito il corpo fisico alla riserva generale della sostanza? Elenchiamone alcune:

1.

Prende coscienza di sé, con una chiarezza di percezione sconosciuta a chi vive nel mondo fisico.

2.

Il tempo (cioè la successione degli eventi registrata dal cervello fisico) non esiste più nel senso usuale; l’uomo volge l’attenzione al proprio sé, più nettamente emotivo, e, in ogni caso, ciò provoca un istante di diretto contatto con l’anima. Infatti, l’ora della completa restituzione non passa inosservata per quest’ultima, anche se si trattasse dell’individuo più rozzo e ignorante. È un po’come un forte strappo impresso alla corda di una campana: per breve istante l’anima risponde, in modo tale che l’uomo, nel suo corpo astrale–mentale, rivede la vita appena trascorsa, come su uno schermo. Egli registra il senso dell’eternità.

3.

Come risultato di queste esperienze, egli isola i tre fattori principali che ne hanno governato la vita appena conclusa e che saranno la nota fondamentale di quella, futura, che lo attende. Ogni altra cosa viene scordata e sfugge alla sua memoria: egli ha coscienza solo di quei tre sensi che esotericamente sono chiamati «semi del futuro». Questi sono peculiarmente connessi agli atomi permanenti fisico e astrale, insieme ai quali compongono la forza quintupla che creerà la forma futura. Si può asserire che:

a.

Dal primo seme dipenderà la natura dell’ambiente fisico in cui l’uomo dovrà tornare a vivere. Esso è dunque connesso alle qualità delle future circostanze, e alle condizioni dell’opportuna sfera di rapporti.

b.

Dal secondo dipenderà la qualità del veicolo eterico, per il cui tramite le forze di raggio agiranno sul corpo denso. Esso delimita la struttura vitale in cui circoleranno le energie, ed è connesso in particolare a quello dei sette centri che nella prossima incarnazione sarà più desto e attivo.

c.

Il terzo predetermina l’involucro astrale, ove l’uomo sarà allora polarizzato. Parlo dell’uomo comune, non di quello progredito, del discepolo o dell’iniziato. Questo seme – con le forze che attira – lo rimette in rapporto con coloro che ha amato, o con cui ha lavorato e vissuto. È verità di fatto che qualsiasi incarnazione è governata, in senso soggettivo, dall’idea di gruppo in quanto si ritorna nella vita fisica non solo per il desiderio individuale di quelle particolari esperienze, ma anche per impulso e karma di gruppo. È bene insistere su questa verità. Compresa che sia, buona parte del terrore generato dal pensiero della morte svanirà. I familiari, le persone amate, restano gli stessi, proprio perché quel rapporto è stato saldamente affermato per molte vite. Ecco cosa ne dice il Vecchio Commentario:

«I semi del riconoscimento non sono pertinenti all’individuo soltanto, ma anche al gruppo, nel cui ambito legano l’uno all’altro nel tempo e nello spazio. Coloro che stanno in tale rapporto trovano la vera esistenza solo nei tre inferiori. Quando l’anima conosce l’anima, nel luogo d’incontro entro il richiamo del Maestro, questi semi spariscono».

È quindi evidente quanto sia necessario educare i fanciulli a trarre profitto dall’esperienza, e a riconoscerla, poiché ciò agevola di molto questa terza attività astrale dopo la morte.

4.

«Isolate» queste esperienze, l’uomo crea e trova coloro che l’influsso del terzo seme gli indica aver parte continua nella vita del gruppo di cui fa parte, in modo conscio o no. Ristabiliti i contatti (se si tratta di individui che hanno eliminato il corpo fisico), si comporta con loro come avrebbe fatto nel mondo con gli intimi, secondo il suo carattere e il grado evolutivo. Se invece le persone che più ama – o odia – sono ancora viventi fisicamente, resterà accanto a loro – proprio come prima – consapevole delle loro attività, anche se queste (se non molto evolute) non ne hanno coscienza. Non posso illustrare in dettaglio quali sono gli scambi reciproci, né le modalità di questi rapporti. Ogni uomo è un essere diverso; ogni carattere è unico. Basti aver chiarito le linee fondamentali della condotta prima del processo di eliminazione.

Queste quattro attività hanno durata variabile – per chi «vive in basso», beninteso, perché chi vive nell’astrale non è consapevole del tempo. A poco a poco le illusioni (di qualsiasi natura) cadono, e l’uomo perviene a sapere – poiché la mente è ora più incisiva e dominante – di essere pronto alla seconda morte e a eliminare del tutto il veicolo astrale–mentale (kama–manas).

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Subito dopo la morte, specie dopo la cremazione, l’uomo, entro il guscio astrale–mentale, è desto e conscio dell’ambiente come lo era quando viveva nel fisico. La consapevolezza e la capacità d’osservazione variano, così come differiscono da uomo a uomo le facoltà di registrare le circostanze o di acquisire esperienza. Ma essendo la gran parte degli uomini più reattivi alle emozioni che al mondo fisico, e accentrati soprattutto nel veicolo astrale, di solito avviene che il deceduto si ritrova in uno stato di coscienza che gli è ben familiare. Ricordate, a questo proposito, che un «piano» è uno stato di coscienza, non un luogo, come sembrano credere molti esoteristi. Esso viene riconosciuto dalla stessa reazione dell’individualità che – nettamente e sempre conscia di sé – percepisce la qualità dell’ambiente e dei desideri che essa prova nei suoi confronti, o sente (se si tratta di entità progredita, accentrata sui livelli astrali superiori) l’amore e l’aspirazione che da essa emanano; l’uomo, insomma, s’interessa a ciò che attirava la sua attenzione e provocava il suo desiderio durante l’esistenza incarnata. Ricordate che al punto attuale d’evoluzione, dopo la morte non c’è più un livello fisico in grado di reagire agli impulsi dell’uomo interiore, e neppure il sesso esiste più, dal punto di vista fisico. Gli spiritisti farebbero bene a ricordarlo: capirebbero quanto sono stolti, oltre che impossibili, quei matrimoni spiritici che alcuni fra loro insegnano e praticano. Quando dimora nel corpo astrale, l’uomo non prova più quegli impulsi di natura animale che sono normali e giusti nel mondo fisico, ma privi di senso nella nuova condizione.

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Nell’esaminare la coscienza dell’anima che si ritrae (notate la frase) allorché compie la restituzione, vi ripeto che su questo argomento non sussistono prove fisiche tangibili. È accaduto, talora, che qualcuno ritornasse alla vita quando già era nell’istante preciso della restituzione. Ciò è possibile fin tanto che l’entità cosciente è nel suo involucro eterico, anche se il corpo denso fosse ormai abbandonato a tutti gli effetti. Quello compenetra questo, ma è un poco più esteso, e il corpo astrale e mentale restano ancora accentrati nell’eterico anche se è già intervenuta la morte fisica, cioè se il cuore si è arrestato e tutte le energie eteriche sono già concentrate nella regione della testa, del cuore, o del plesso solare, e l’astrazione già iniziata.

… … …

Separato che sia dai veicoli fisico ed eterico, l’uomo è consapevole del passato e del presente ; al termine dell’eliminazione, nell’istante del contatto con l’anima, quando il corpo mentale sta disintegrandosi, è repentinamente conscio anche del futuro, poiché la prescienza è dote dell’anima, cui egli allora partecipa. Vede quindi passato, presente e futuro come una cosa sola; di vita in vita, durante il continuo ripetersi delle rinascite, si sviluppa in lui il senso dell’eterno Presente. È appunto questo stato di coscienza (caratteristica normale dell’uomo molto evoluto) che è detto «devachan».

… … …

Per l’aspirante, la morte segna l’ingresso immediato in una sfera di servizio e di espressione cui è assuefatto, e che subito riconosce.

… … …

Non intendo descrivere le tecniche dell’eliminazione. Non è possibile farlo, perché gli uomini in realtà sono ciascuno in fasi diverse, intermedie fra le tre prima abbozzate.

È relativamente facile capire l’eliminazione per logoramento: il corpo astrale si dissolve perché, senza sostanza fisica che ne stimoli il desiderio, non ha alimento. Esso si forma per il reciproco rapporto fra il piano fisico – che non è un principio – e il principio del desiderio; nel processo della rinascita, l’anima nel corpo mentale impiega il desiderio con intento dinamico per il suo richiamo, cui la materia risponde. L’uomo prettamente astrale, dopo lungo periodo di logoramento, resta in un corpo mentale embrionale, ma la sua vita semi–mentale è brevissima: l’anima infatti le pone termine allorché, improvvisa, «guarda colui che attende», e con il suo potere diretto lo riorienta all’istante sulla via discendente della rinascita. L’uomo astrale–mentale segue un processo di astrazione, in risposta alla spinta esercitata dal corpo mentale in rapido sviluppo. Questo ritirarsi si fa sempre più rapido e dinamico fino a che, quando egli è discepolo in prova, per via del contatto sempre più stabile con l’anima, frantuma il corpo astrale–mentale, quale unità, con un atto di volontà mentale promosso dall’anima. Osservate che lo stato di « devachan », per questi casi, che sono la maggioranza, è necessariamente di minor durata che nel caso precedente, perché la tecnica sua propria, di riconsiderare e riconoscere il contenuto delle esperienze, va a poco a poco affermandosi nell’uomo anche quando vive fisicamente, sì che questi scopre l’importanza del significato e impara continuamente dalle esperienze della vita. In tal modo sviluppa per gradi anche la continuità di coscienza, e la sua consapevolezza interiore comincia a imporsi anche all’esterno, dapprima mediante il cervello fisico, poi in modo indipendente da esso. Questi due concetti alludono ad una questione che sarà oggetto di indagine nei prossimi due secoli.

L’uomo mentale, la personalità integrata, opera, come si è visto, in due maniere, che naturalmente dipendono dal grado di integrazione conseguita, che è di due specie:

1.

Integrazione della personalità, accentrata nella mente e in rapporto sempre più perfetto con l’anima.

2.

Integrazione del discepolo, la cui personalità integrata rapidamente si unifica con l’anima, che l’assorbe.

In questa fase di sviluppo e continuo controllo mentale (poiché la coscienza è focalizzata nel corpo mentale in modo definito e permanente) la distruzione preliminare del corpo astrale per logoramento e «negazione dinamica» avviene durante l’incarnazione fisica. L’uomo rifiuta di comportarsi secondo il desiderio; quel che resta dell’illusorio corpo astrale è regolato dalla mente, e gli impulsi a soddisfare i desideri sono dominati in modo deliberato e cosciente, sia per le ambizioni egoiste e gli intenti mentali della personalità integrata, sia perché l’anima ispira il suo volere, cui subordina la mente. Conseguito questo livello evolutivo, l’uomo può dissolvere gli ultimi desideri residui mediante illuminazione. Nelle prime fasi della vita puramente mentale, l’ottiene con la luce della conoscenza, e implica soprattutto luce inerente alla sostanza mentale. In seguito è la luce dell’anima che promuove e accelera il processo, quando essa è ormai in intimo rapporto con la mente. Il discepolo allora impiega metodi più occulti, di cui però non parleremo. Il corpo mentale non è più distrutto dal potere dirompente della luce stessa, ma è smantellato dalla vibrazione di certi suoni emessi dal livello della volontà spirituale; il discepolo li riconosce, e ha il permesso di usarli con forma verbale appropriata a lui, comunicata da un iniziato dell’Ashram, o dallo stesso Maestro, quando la vita volge al termine.

… … …

Enuncio ora un’altra Legge, che sostituisce quella della Morte e vale solo per i discepoli ormai alle ultime fasi del loro sentiero, e per gli iniziati.

LEGGE X

Ascolta, o chela, l’appello del Figlio alla Madre, e obbedisci. Esso annuncia che la forma ha assolto il suo compito. Il principio mentale (il quinto) si organizza e ripete la parola. La forma in attesa risponde e si distacca. L’anima è libera.

Rispondi, o Risorgente, all’appello che giunge dalla sfera dell’obbligo; riconosci la voce che viene dall’Ashram o dal Concilio, ove attende il Signore della Vita. Il Suono vibra. Anima e forma devono rinunciare entrambe al principio della vita permettendo così alla Monade di essere libera. L’anima risponde. La forma spezza il legame. La vita è libera, sa di sapere e possiede il frutto di tutte le esperienze. Sono i doni dell’anima e della forma fusa insieme.

Ho voluto chiarire la distinzione fra malattia e morte sperimentate dall’uomo comune, e il corrispondente dissolvimento consapevole che è proprio del discepolo esperto e dell’iniziato. Quest’ultimo implica una tecnica, appresa gradualmente, per cui (all’inizio) il discepolo è ancora vittima delle tendenze alla malattia insite nella sua come in tutte le forme naturali. Passando per stadi mitigati di malattia e quindi per la morte pacifica e serena, egli perviene ad altre fasi in cui questa è provocata da un atto del volere – tempo e modalità essendo stabiliti dall’anima e percepiti coscientemente nel cervello. La sofferenza si fa sentire in entrambi i casi, ma sul Sentiero dell’Iniziazione è ridotta a poca cosa, non perché l’iniziato cerchi di evitarla, ma perché la forma non è più reattiva a certi contatti dolorosi, e pertanto non li percepisce. Il dolore, in effetti, è il custode della forma e ne protegge la sostanza; avverte del pericolo; segna certe fasi del processo evolutivo; dipende dal fatto che l’anima è identificata con la sostanza. Ma quando non è più così, dolore, malattia e morte allentano la presa sul discepolo; l’anima non è più loro sottoposta e l’uomo è libero, perché malattia e morte sono qualità della forma, di cui seguono le vicende vitali.

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