Cronaca di una tappa di un viaggio in Grecia, ad Eleusi che ben 3500 anni fa aveva visto venire alla luce la prima religione misterica, le prime iniziazioni che si conoscano in epoca storica ad un culto segreto, indicibile, il culto della Madre e della Figlia, di Demetra e Kore-Persefone.
Cronaca di una tappa di un viaggio in GreciaDopo tentennamenti e qualche ragionevole esitazione, rompendo gli ultimi indugi mi sono finalmente deciso di raccontarvi una storia molto particolare capitatami questa estate, nella speranza di riuscire a comunicarvi accadimenti, immagini, immaginario e impressioni ricevute. Come ultima tappa del nostro soggiorno in Attica decidiamo di andare ad Eleusi, la città collegata ad Atene dallo Ieros Odos, la Via Sacra, lunga 21 chilometri (i famosi “cento stadi” di allora), che iniziava ad Atene proprio vicino all’Accademia di Platone. Eleusi che ben 3500 anni fa aveva visto venire alla luce la prima religione misterica, le prime iniziazioni che si conoscano in epoca storica ad un culto segreto, indicibile, il culto della Madre e della Figlia, di Demetra e Kore-Persefone. I Grandi Misteri, la teletè come veniva chiamata dagli antichi, venivano celebrati appunto in questa piccola cittadina degli immediati sobborghi della odierna immensa capitale della Grecia. Una gran pena nel vedere che all’ingresso del sito archeologico eravamo solo noi quattro: io, mia moglie e i miei due piccoli bambini. Uno strano silenzio all’interno dell’area sacra; percorriamo la via che costeggia quelle che furono le alte mura che escludevano lo sguardo da chi, indiscreto, anelava dissacrare ciò che non poteva essere rivelato. Ricordo di aver letto da qualche parte che, nel secolo di Pisistrato o giù di lì, un curioso e maldestro ragazzo si arrampicò di sottecchi su quelle alte mura per cercare di carpire i celebrati segreti iniziatici delle due Dee, ma la Grande Dea lo volle punire istantaneamente facendolo cadere e morire all’impatto. Il solo rumore che udiamo è quello dei nostri passi nel caldo secco e implacabile del sole agostano che tutto brucia, inesorabilmente. Niente verde, solo qualche albero di eucalipto e qualche cipresso qua e là nella desolazione di un silenzio triste e penetrante sommerso sempre più dalle tonnellate di cemento dei palazzi dormitorio della città nuova. Ci avviciniamo dopo una breve salita al temenos, lo spazio sacro, varcata la grande porta che conduceva al Tempio, al telesterion, con le gradinate ove si assiepavano i greci, i Mystai (i cosiddetti recipiendari), che sembra di vederli ancora, di notte al chiarore tenue e palpitante delle fiaccole in attesa dell’ epopteia, della Grande Visione; potevano parteciparvi i greci (ma successivamente anche i non greci) che non avevano commesso delitti, empietà, sacrilegi, non fossero proprio indigenti, sapessero parlare la lingua del luogo, senza preclusione di sesso o di condizione civile (anche i servi e gli schiavi potevano ricevere l’iniziazione) e che soprattutto avessero preventivamente ricevuto la proto-iniziazione in una città vicina, l’anno precedente, sacrificando il porcellino: nei piccoli misteri di Agrai. Il telesterion oggi è in buona parte conservato senza naturalmente la copertura né le colonne che lo incorniciavano. Ci sediamo per un attimo tutti e quattro insieme sui gradini e… rimaniamo in sospensione: ascoltiamo, percepiamo odori, osserviamo attentamente… nell’attesa che qualcosa si compia… Nulla però accade. Nessun essere vivente si affaccia nel sito archeologico assordato da un silenzio irreale, che riempie di ambascia e di mestizia l’anima; gli unici presenti nel luogo continuiamo ad essere noi quattro e il custode-bigliettaio dell’ingresso. Mi guardo attorno e cerco di individuare allora dov’era il famoso pozzo di Callìcore che dodici anni prima non ero riuscito a trovare. Era il pozzo ove la Vecchia di nero vestita, piangente e triste per la perdita della Figlia si era fermata e si era seduta senza sapere in quale luogo del mondo fosse andata a capitare nella lunga peregrinazione alla ricerca vana della figlia rapita e dove aveva incontrato le quattro figlie di Celeo, il re di Eleusi, che la avrebbero introdotta nella casa del piccolo Demofonte che diventerà quindi oggetto di speciali attenzioni da parte della Dea-balia in incognito, come ci narra Omero nel suo celeberrimo Inno. Demofonte doveva essere reso immortale se non fosse accaduto che la madre si fosse accorta che la strana balia ogni sera, al calar del sole, lo adagiava sul fuoco del camino, un fuoco che non brucia, il fuoco che rende immortali. Stiamo per uscire quando il custode-bigliettaio, vedendomi alla ricerca di qualcosa, mi chiede cosa cercassi di tanto importante; poiché non ricordavo come si dicesse in greco (né in inglese) la parola pozzo, mi sovvenne la buona idea di mimare, nel linguaggio universale (ma molto italiano) dei gesti, l’atto di tirare una corda dal fondo di un pozzo; il custode questa volta comprende e mi indica tosto (“elà, prosokè, ekei kato!” Vieni, attenzione è lì sotto!) uno spazio angusto ove il piano della pavimentazione dell’ingresso è totalmente infossato: è là che si occultava l’antico piccolo pozzo quasi a volersi sottrarre alla vista dagli occhi profani dei malcapitati turisti mordi e fuggi della domenica e delle gite scolastiche, quasi a volersi celare da chi non conoscesse a fondo gli avvenimenti della Vecchia Dea e della Figlia, e da chi non fosse col cuore partecipe a ritrovare i luoghi delle vicende del mito. Un pellegrinaggio improbabile nel mondo degli dei e degli eroi. Alla vista del pozzo in pietra serena il cuore finalmente si delizia, la tristezza ci abbandona e usciamo via appagati per la strada del ritorno. Mi sovvenne allora alla mente quell’episodio di cronaca riportato da Mircea Eliade nel secondo volume delle sue Storie delle Credenze e delle Idee Religiose, episodio realmente accaduto nell’inverno del 1940 (era Febbraio, la stagione morta…) e ricavato da un articolo apparso sul quotidiano ateniese Hestia: a una fermata dell’autobus Atene-Corinto salì una vecchia, “magra e rinsecchita, ma con grandi occhi molto vivaci”; poiché non aveva denaro per pagare il biglietto, il controllore la fece scendere subito alla stazione seguente – quella di Eleusi, appunto. Ma, una volta scesa, l’autobus si spense improvvisamente e il conducente non riuscì più a rimetterlo in moto; nel frattempo i viaggiatori si decisero a fare una colletta per pagare il biglietto alla povera vecchia. Questa risalì sull’autobus, che “magicamente” poté ripartire. Allora la vecchia disse: “Avreste dovuto farlo subito, ma siete stati degli egoisti; e già che sono qui, vi voglio dire ancora una cosa: sarete castigati per il modo in cui vivete; vi saranno tolte persino l’erba, e l’acqua!“. Non aveva ancora finito la sua minaccia che era scomparsa… Nessuno l’aveva vista più scendere. E si andò a riguardare il blocchetto dei biglietti per convincersi che era veramente stato staccato un biglietto per lei. Charles Picard che tradusse e commentò la cosa per un importante testata giornalistica inglese chiosò l’articolo così “Credo che, dinanzi a questo aneddoto, gli ellenisti non potranno fare a meno di ritornare con la memoria a certi passi del celebre Inno omerico, dove la madre di Kore, tramutatasi in vecchia nel palazzo del re eleusino Celeo, profetizzava anche in quell’occasione e – rimproverando agli uomini la loro empietà – annunciava, in un impeto di collera, terribili catastrofi in tutta la regione”. Ebbene prima vi ho annunciato che Vi avrei raccontato una storia a margine di tutto ciò: eravamo appena rientrati ad Atene che in vicinanza del Partenone decidiamo di andare in un piccolo supermercato per comprare dolci e bevande; all’uscita si para di fronte a noi una Vecchia Vestita di Nero, simpatica, con occhi vivacissimi e dolcissimi, né zingara, né migrante, ma greca doc che ci chiede qualche monetina; mia moglie mi fa subito cenno di darle qualcosa, non si sa mai…; questa si avvicina mi sorride e riceve da me alcune monete da un euro; si accorge che vicino a me è la mia piccola bambina che, guarda caso quel giorno aveva delle lunghe e sottili trecce nere che gli scendevano dalla testa, proprio come Kore-Persefone… si appressa ad essa allora e incomincia a baciarla sulla testa dolcemente farfugliandoci qualcosa che naturalmente non riusciamo a comprendere. Da dietro quindi improvvisamente appare un signore molto alto e biondo, sulla quarantina che uscendo dal piccolo supermercato ci dice in un inglese stentato: “voi avete dato qualcosa a questa vecchia ma non sapete cosa si nasconde in realtà sotto le sue vesti!”. Un dono a Doos (Dwj) , a ‘Dono’ (questo era il nome col quale Demetra si era presentata alle figlie del re Celeo), e mi riecheggiò subito alla mente le parole dell’Inno: “Beato fra gli uomini che vivono sulla terra quegli cui esse concedono benevolenza : subito alla sua vasta casa mandano, nume tutelare, Pluto, che dispensa ricchezza agli uomini mortali . (…) Felice tra gli uomini che vivono sulla terra colui ch’è stato ammesso al rito ! Ma chi non è iniziato ai Sacri Misteri, chi ne è escluso, giammai avrà simile destino, nemmeno dopo la morte, laggiù, nella squallida tenebra.” A noi, aspiranti iniziati, figli poveri dei misteri eleusini, piace pensare per un istante che la Vecchia del supermercato fosse la stessa della fermata dell’autobus di Eleusi di 70 anni fa. Forse saremo dei visionari, poetucoli, minuscoli cultori dell’anima, ma è dolce pensare che possa esistere ancora negli anfratti della mente degli uomini la Grande Dea dalla Bella Corona e che la sua ierofania sia apportatrice di Prosperità e Abbondanza. Orsù, – conclude Omero – o voi che regnate sulla terra di Eleusi, odorosa d’incenso, o Demetra, Dea Veneranda, apportatrice di messi, dai magnifici doni, tu con tua figlia, la stupenda Persefone, benigne premiate il mio canto con la prosperità che rallegra il cuore. |