La teosofia nella cultura europea

Storia Nascosta

Capita sempre più spesso, specialmente su Internet, di leggere articoli che erroneamente riducono la corrente teosofica alla sola dottrina divulgata dalla Società Teosofica (S. T.), fondata nel 1875 a New York da Madame Helena P. Blavatsky e dal colonnello Henry Steel Olcott. 

La teosofia nella cultura europea

di Antonio D’Alonzo

Genesi ed evoluzione della corrente teosofica all’interno della cultura europea 

1 – Introduzione. Periodizzazione e cronologia della corrente teosofica. 

Capita sempre più spesso, specialmente su Internet, di leggere articoli che erroneamente riducono la corrente teosofica alla sola dottrina divulgata dalla Società Teosofica (S. T.), fondata nel 1875 a New York da Madame Helena P. Blavatsky e dal colonnello Henry Steel Olcott. 

Al contrario, la corrente teosofica presenta, al suo interno, almeno sei successive stratificazioni storiche ed è profondamente radicata nella cultura europea, in particolare germanica. Nel sostrato culturale tedesco della teosofia deve essere ricercato il motivo del pregiudizio guénoniano, che diventa addirittura ostilità feroce nei confronti della S. T., in particolare della Blavatsky. Il pensiero di Guénon focalizzato, dopo il periodo giovanile, sulle tradizioni medio/estremo-orientali – in particolare sull’esoterismo islamico – avalla così la sua repulsione per tutto ciò che è d’origine germanica: il silenzio è esteso anche al paracelsismo ed alla Naturphilosophie. Per Guénon, la teosofia prima della Blavatsky coinvolge pochi nomi [1]; ma la realtà effettiva è diversa, e la corrente teosofica è, al contrario, una delle più importanti nella storia dell’esoterismo occidentale. 

Sommariamente, possiamo distinguere nella storia della teosofia occidentale:

Un periodo “proto-teosofico” (prima metà ed inizio seconda metà del XVI secolo) che comprende le opere di Gérard Dorn (1530-1584), Valentin Weigel (1533-1588), Johann Arndt (1555-1621), Heinrich Kunrath (1560-1605). 
Una prima “età dell’oro” della teosofia (seconda metà del XVI- XVII secolo): Jacob Boheme (1575-1624), Jane Leade (1623-1704), John Pordage (1608-1681), Quirinus Kuhlmann (1651-1689), Johann Georg Gichtel (1638-1710). 
Una fase intermedia interrotta dall’opera di Emmanuel Swedenborg (1688-1772).
Una seconda età dell’oro (fine XVIII secolo): Martinez de Pasqually (1727-1774), Friedrich Cristoph Oetinger (1702-1782), Louis-Claude de Saint-Martin (1743-1803).
Un periodo (XIX secolo) che va da Franz von Baader (1765-1841) alla Naturphilosophie (1815-1847).
Un rapporto di discontinuità oggettiva, la comparsa della già citata Società Teosofica nel 1875 a New York.

Dobbiamo includere in questa sommaria periodizzazione altri nomi illustri: Gottfried Arnold (1666-1714), Aegidius Gutmann, Julius Sperber (morto nel 1616) Karl von Eckartshausen (1752-1803), J. Heinrich Jung-Stilling (1740-1817), Frédéric Rodolphe Salzmann (1749-1821), Michael Hahn (1758-1819), Franz Hoffmann (1804-1881), Julius Hamburger (1801-1884). 

In Olanda: J. B. Van Helmont (1577-1664), F. M. Van Helmont (1577-1664). 

In Inghilterra: Robert Fludd (1574-1637), Henri More (1614-1687), William Law (1686-1761), D. Andreas Freher (1649-1728). 

In Francia: Pierre Poiret (1646- 1719), Antoinette Bourignon (1616-1680), J.P. D. Membrini (1721-1793). Sono da ricordare, oltre alla Leade, due altre teosofe, che pur non raggiunsero la profondità speculativa della prima: Bathilde d’Orléans (1750-1822), Julie de Krüdener (1764-1824). 

2 – caratteristiche e fondamenti dottrinali della teosofia. 

Ovviamente, tutti questi autori presentano dottrine e speculazioni variegate; tuttavia, i teosofi europei sembrano sempre fare riferimento a tre capisaldi teoretici, in grado di discriminare la teosofia dalle altre correnti esoteriche occidentali: il triangolo Dio-Uomo-Natura, il primato del mito biblico della Creazione, l’accesso diretto dell’uomo al Mondo Superiore. [2]

a. Il triangolo Dio-Uomo-Natura caratteristico della speculazione teosofica, rimanda ad una delle classiche triadi dell’esoterismo occidentale. Dio occupa sovente il vertice superiore, mentre alle altre due polarità sono riservati i vertici inferiori. La collocazione dell’Uomo sullo stesso piano (inferiore) della Natura indica la Caduta originaria, la catabasi; ma implica anche che l’esperienza umana non sia un mero essere-nel-mondo, una heideggeriana “gettatezza” nell’inautenticità della dimensione esistenziale: perché l’uomo è paritetico rispetto alla Natura e di-scende direttamente da Dio. In altre parole, in ogni momento, da qualunque condizione, l’uomo può trascendere il suo destino e ritornare (anabasi) al Principio, senza dover necessariamente patire i limiti ontologici imposti alle altre creature.

b. Il mito biblico della Creazione indica il recupero dell’Immaginario, dell’elemento narrativo della Genesi e di tutti quei fattori fantastici disconosciuti dalla teologia ufficiale. Mentre quest’ultima si affina sempre più alle raffinate speculazioni logocentriche, la teosofia si appropria del rimosso teologico, della valenza allegorica del mito cosmogonico e libera il simbolo – ridotto ormai a mera superstizione – dalla gogna della metafisica scolastica. La teosofia è dunque una sorta di “teologia dell’immagine” [3]

c. L’accesso diretto ai mondi superiori è garantito, essenzialmente, dal potere dell’Immaginazione creatrice. Questa facoltà d’origine divina e presente in maniera latente nell’uomo, assicura:

  1. La possibilità di esplorare i diversi livelli della realtà; 
  2. Di realizzare l’anabasi, la fusione estatica e provvisoria con il piano divino;
  3. Di rigenerarsi all’interno di un “corpo di luce” in grado di garantire una “seconda nascita” ed assicurare così la salvezza personale.

Quest’ultima possibilità è prestata alla teosofia dal paracelsismo – da cui in fondo la teosofia discende – ma anche da alcuni passi dei trattati ermetici presenti all’interno del Codice VI di Nag Hammadi, ritrovato nel 1945. La seconda, realizzazione della vis imaginativa rimanda invece, in una prospettiva affine, alla questione classica del “luogo mistico”, del punto d’incontro dell’umano con il divino denominato, di volta in volta, syntéresis (egemonikón), principale mentis, apex mentis, principale cordis, scintilla anima [4], ecc. Tuttavia tra mistica ed esoterismo esiste uno iato invalicabile. L’esoterista vive di teofanie, di simbologie mediatrici della manifestazione del Sacro; il mistico scavalca tutti i gradini della scala di Giacobbe e realizza l’Unità del suo spirito con quello divino. L’esoterista si sofferma a contemplare le “figurine” del mistero; il mistico dopo aver annichilito l’Io, annienta anche Dio stesso. 

La teosofia nascendo all’interno di una cultura dominata dalla predicazione luterana, si pone fin dall’inizio in una prospettiva alternativa tesa al recupero del simbolismo mitico del corpus bilico. All’inizio del XVII, la teologia protestante era inevitabilmente inaridita dal sospetto luterano sulla filosofia, considerata una disciplina arrogante ed empia, tesa a sostituire la predicazione di Cristo con la ratio umanistica. Sospetto che dovette presto estendersi alla stessa teologia razionale. La teosofia sorge così per colmare un vuoto, per rispondere ad una duplice esigenza spirituale: recuperare il Mito espulso dalla speculazione scolastica alla fine del medioevo, e riproporre una metafisica alta, incentrata sul primato dell’interiorità, enfatizzato da Lutero. Se il principale discrimine dei rapporti tra l’uomo e Dio è la Scrittura, allora l’esperienza soggettiva della Lettura diventa prioritaria, alternativa ad ogni mediazione ecclesiastica percepita, adesso, come arbitraria, vessilatrice e superstiziosa. Naturalmente tutto questo avviene all’interno di un piano strettamente teoretico, perché storicamente i pastori protestanti si rivelano fortemente ostili verso quel profetismo, che il loro maestro ha in qualche modo contribuito a forgiare e diffondere. In altre parole l’enfatizzazione dell’interiorità teorizzata da Lutero, inizia a spaventare i suoi stessi accoliti. A Görlitz, nella Slesia, Boehme fu a lungo perseguitato dal pastore luterano Gregor Richter; le sue opere ostracizzate, la famiglia e la sua persona diffamate anche dopo la morte [5] del teosofo, avvenuta nel novembre del 1624. 

Certamente nel milieu latino, le cose non andavano meglio per i liberi pensatori, ed il rogo di Giordano Bruno nel febbraio del 1600 n’è testimone. Tuttavia, la Chiesa romana, fin dall’inizio, si era schierata contro la libertà dell’interpretazione soggettiva, assurgendo al ruolo di mediatrice spirituale e detentrice della dottrina. Il protestantesimo, al contrario, si pone solo successivamente contro quella “Libertà del cristiano”, rivendicata dal titolo stesso dell’opera principale di Lutero e che era stato il cavallo di battaglia del Riformatore. 

A tutte queste problematiche, la seconda età della corrente teosofica aggiunge una peculiarità. In modo ancor più marcato rispetto alla prima epoca boehmiana e poi alla fase intermedia di Swedenborg, la teosofia tardo-settecentesca acquista una connotazione eclettica, globalizzante. I teosofi successivi a Swedenborg cercano di elaborare un sistema unitario di pensiero, una scienza universale, capace d’integrare armonicamente le correnti esoteriche del Rinascimento e la scienza moderna. Si ricercano le fondamenta di un sapere totale. Emblematico è il caso di Friedrich Cristoph Oetinger, probabilmente il più grande erudito dell’esoterismo occidentale. Tuttavia, la vastissima conoscenza di Oetinger presenta una caratteristica inedita ed assente negli altri sapienti. Il “mago del Sud” riusciva a padroneggiare – oltre alla pluralità delle tradizioni esoteriche – anche la filosofia e la scienza del suo tempo. In altre parole, la (quasi) totalità dello scibile umano: dalla cabbala alla fisiognomica, dal neoplatonismo alla dialettica, dall’elettrologia al magnetismo. 

3 – Il periodo “prototeosofico” (prima/seconda metà del XVI secolo). 

Come abbiamo detto, la corrente teosofica si forma per colmare un vuoto, per recuperare la dimensione mitica dell’Immaginario religioso occidentale strutturato all’interno dei mitologemi biblici. Se da un lato la continuità oggettiva può essere rintracciata nella scuola di Chartres, o, per restare in ambito germanico, nelle sapienti visioni di Hildegarde di Bingen (1098-1179), dall’altro – per quanto riguarda la vera e propria filiazione esoterica – si deve guardare all’eredità paracelsiana. 

Nel primo caso si deve ricordare come prima dell’avvento della Scolastica, la teologia fosse una forma di pensiero molto vicina a quella esoterica. La scuola di Chartres, ad esempio, possedeva una metafisica intrisa di suggestioni simboliche e mitiche. Le stesse visioni di Hildegarde di Bingen sono pervase di richiami gnostici e manichei: in ogni caso, ermetici. 

Del resto, è Paracelso (1493-1541) a fornire i capisaldi dottrinali, più propriamente qualificabili come “esoterici”, alla speculazione teosofica. La ricerca paracelsiana si esplica nell’elaborazione di una Filosofia della Natura (ancora una volta, rimossa dalla Scolastica), strutturata sulla medicina, sulla cosmologia, sulla corrispondenza simbolica dei piani del Cosmo. È soprattutto quest’ultimo aspetto a diventare prioritario all’interno dell’impianto teoretico teosofico. 

Mentre l’Antico Testamento presenta il Mondo come effetto della Caduta, dell’incolmabile distanza/separazione assiologica tra la Natura e Dio, tra il Creato ed il Creatore, tra il Padrone ed i servi, Paracelso restituisce platonicamente dignità ontologica al regno della Materia, facendola assurgere a copia, specchio del Cielo. Se la Natura è un riflesso, seppur imperfetto, del Mondo intelligibile, allora essa non può essere considerata soltanto come radicale frattura ontologica generata dal peccato edenico. Il Creato, quantomeno, diventa una mappa per ritrovare il volto nascosto del Creatore-che-giudica.

L’eredità paracelsiana è quindi confluita nella speculazione teosofica, che tuttavia non deve essere pensata come una vera e propria dottrina unitaria, ma, piuttosto, come un complesso d’elaborazioni soggettive condivise nel richiamo ai tre postulati sopra descritti (il triangolo Dio-Uomo-Natura, il primato del mito, l’accesso diretto al Mondo Superiore). 

Come abbiamo visto, è usuale far coincidere l’avvento della corrente teosofica vera e propria con l’inizio della speculazione boehmiana; quindi ciò che precede la comparsa del “Ciabattino di Görlitz” è solitamente indicato come periodo “proteosofico”, senza che questo possa significare la svalutazione intellettuale dei suoi esponenti. Semplicemente, Gérard Dorn, Valentin Weigel, Johann Arndt, Heinrich Kunrath sono più lontani dalla teosofia di Boehme e più vicini a Paracelso, di quanto lo sia, ad esempio, Swedenborg. 

Gérard Dorn (1530-1584), infatti, può essere considerato come il vero e proprio epigono e continuatore di Paracelso. Oltre a commentare e promuovere gli scritti paracelsiani, Dorn elaborò una Filosofia della Natura molto raffinata, attenta ai vari postulati alchemici. 

Nell’opera di Valentin Weigel (1533-1588), possiamo rintracciare – oltre alla solita influenza paracelsiana – anche l’eredità della mistica renano-fiamminga. [6] Fu soprattutto Meister Eckhart, tra i mistici medioevali tedeschi, ad influenzare il pastore protestante, autore di un trattato intitolato Gnóthi seautón (“Conosci te stesso”). Il fulcro della meditazione weigeliana è il rifiuto dell’autorità esteriore, confessionale, dottrinale (egli abbandonò anche le cariche religiose per proseguire le sue meditazioni libere e solitarie). Il principio dello Spirito, la “scintilla divina”, si trova all’interno dell’anima stessa, nell’uomo interiore. Allo stesso modo la chiesa storica e la Scrittura, non hanno importanza per Weigel: la Salvezza non proviene dal Cristo storico, ma dal Cristo interiore, immagine perfetta dell’introiezione illuminata e appartata. L’uomo interiore diventa così il fondamento del macrocosmo, perché contiene in se stesso la generazione del Logos divino. 

Anche John Arndt (1555-1621) fu un pastore protestante tedesco. Redasse diverse opere della mistica medievale; oltre che ad Eckhart s’ispirò ad altre importanti figure religiose, come Angela da Foligno e Bernardo di Chiaravalle. Il capolavoro di Arndt sono i Sei libri del cristianesimo (in un primo tempo i libri erano quattro), in cui tenta di armonizzare e combinare la mistica medievale con il paracelsismo e l’alchimia. Troviamo in Arndt anche la c.d. dottrina della “seconda nascita”, ossia la formazione di un nuovo corpo all’interno dell’anima, in grado di realizzare la salvezza personale. 

Heinrich Kunrath (1560-1605) scrisse l’ Ampitheatrum Sapientiae Aeternae, un trattato alchemico-teosofico che contribuì a diffondere in Germania il termine “teosofia”, soppiantando progressivamente il più datato e sospetto, “magia divina”. [7] L’Ampitheatrum segna anche l’inizio di un nuovo stile, un modo inedito di scrivere e speculare ricco d’immagini ed illustrazioni. Da questo momento, tutti i libri di alchimia si arricchiscono di simboli disegnati all’interno di pagine coloratissime; tuttavia, la ricerca iconografica subisce presto una battuta di arresto ed è soltanto nel secolo successivo che s’impone definitivamente. 

4 – La prima “età dell’oro” della teosofia (seconda metà del XVI- XVII secolo). 

Solo con Jacob Boehme, però, la corrente teosofica acquista la sua connotazione definitiva. Il vero fondatore della teosofia nasce nel 1575 ad Alt-Seidenberg (Slesia). Nel 1599 si spostò nella vicina Görlitz dove esercitò per tutta la vita il mestiere di calzolaio. Sposa Caterina Kuntzschmann, figlia di un macellaio. Lo stesso Boehme, era nato in una famiglia molto povera, studiando da autodidatta. Alla nascita del primo figlio, Boehme inizia ad avere le sue illuminazioni. 

Il primo testo, l’ Aurora che sorge è del 1612, ma il manoscritto circola prima clandestinamente, diffondendo la fama di Boehme ed attirando su di lui, l’ira di Gregor Richter, pastore protestante a Görlitz. Nel 1613, Richter fa arrestare Boehme con l’accusa di eresia. Boheme viene rilasciato con la condizione di smettere di scrivere. 

Jacob, tuttavia, ricomincia presto a divulgare il suo pensiero anche fuori della Slesia. Tra il1619 ed il 1623 scrive: Descrizione dei tre principi dell’essenza divina, la triplice vita dell’uomo, Quaranta questioni sulle anime, L’incarnazione di Cristo, Sei punti teosofici, L’elezione di grazia, De signature rerum, Mysterium magnum. Ma è la via a Cristo, stampata nel 1624, a risvegliare l’ira, mai sopita per la verità, di Richter. 

Il “ciabattino di Görlitz” è sottoposto ad un nuovo processo: invano cerca di ottenere la protezione del principe. Nel maggio del 1624, Richter scatena le compulsioni delle masse contro la famiglia di Jacob. Il 17 novembre Boehme muore; qualche mese prima, era scomparso anche Richter. Il funerale religioso viene concesso a Boehme con grosse difficoltà e tramite la mediazione del consiglio comunale, interpellato da un amico del teosofo. A funerale avvenuto, come ricordato, la sua tomba viene profanata dalla folla inferocita. 

Nel 1610 mentre sta contemplando un vaso di stagno, avviene la prima “visione”, che svela a Boehme come la realtà sia costituita da diversi corrispondenti piani ontologici, ordinati gerarchicamente da livelli assiologici. Nella storia della filosofia occidentale, l’idea che l’essere sia strutturato da differenti piani di manifestazione, appare per la prima volta nelle c.d. “dottrine non scritte” di Platone. Successivamente, la teoria è rielaborata da Plotino e poi dallo Pseudo-Dionigi. Nella cultura indiana, la ritroviamo, nelle Upanishad. 

Per quanto riguarda il “visionarismo” esiste un filo rosso che riallaccia Boehme a Hildegarde di Bingen. La fenomenologia di queste visioni “divine” – che niente impedisce di equiparare a “semplici allucinazioni” psichiche – rimanda ad un flusso di emozioni e proiezioni inconsce disordinate da parte del soggetto, che disperatamente anela all’unione con il Dio. Unione, tuttavia, destinata allo scacco, perché legata alle dinamiche del sentimento d’amore, all’ineffabile dicotomia tra l’amante/Io e l’amato/Dio: contrapposizione insolubile, perché l’amante ha sempre bisogno della dualità per continuare, appunto, ad amare. [8

Con Boehme si ha, tuttavia, una ripresa del “visionarismo” innescata su di una percezione meno “sentimentale” e più “esoterica” della realtà. Successivamente, Swedenborg, pur mantenendosi sostanzialmente indipendente da Boehme, continuerà la tradizione del “visionarismo”, ispirando a sua volta intere generazioni di poeti, letterati ed artisti, tra cui Blake, Goethe, Balzac, Baudelaire, Emerson, Yeats, Strindberg. [9]

“Aurora” può essere considerata come l’atto di nascita della teosofia. Scritta in tedesco, essa ripresenta una Naturphilosophie di tipo paracelsiano armonizzata dall’influsso della mistica medievale tedesca. Nella teosofia boehmiana si trovano scarse tracce dell’ermetismo alessandrino e della cabbala ebraica. L’impianto dottrinale è imperniato principalmente sul paracelsismo, con qualche riferimento alchemico e timidi accenni alla cabbala ebraica. Importante è anche il richiamo all’interiorità che trasforma l’esteriorità della Scrittura, attraverso una lenta rilettura dell’anima, in essenza dello spirito. La Redenzione, per Boehme, è il passaggio “dalla storia all’essenza”. Il processo di progressiva introiezione dello spirito conduce al di là del fondamento (Grund), verso l’abisso senza fondo (Ungrund). L’ Ungrund, è per Boheme, Dio stesso [10], “volere senza fondo”; mentre il “Figlio” è concepito come “volere generato” dall’abisso infinito; lo “Spirito” come “esito del volere dell’abisso”. 

La contemplazione di questo “Nulla eterno” è la vera Sapienza divina, che dà piacere a Colui che la persegue. Trattandosi di contemplazione pura ed eterna, la Sapienza è identificata da Boehme con lo stesso Logos giovanneo. La Creazione è frutto dell’“ira e dello sdegno” dell’abisso: dalla volontà divina scaturisce il Mondo, ma anche il Male, che trova così la sua giustificazione all’interno del processo d’attivazione del “volere senza fondo”. Processo che porterà, tuttavia, all’estinzione stessa del Male e al Ritorno nell’Unità del Tutto. Uomo, Natura e Dio non sono, infatti, nell’essenza, eterogenei: il mito dell’Androgino testimonia, per Boehme, proprio la possibilità della Reintegrazione finale nell’Uno. 

Jane Ward, nacque nel 1623 a Norfolk. Fino all’adolescenza visse nell’agiatezza economica, poi si convertì repentinamente. Si sposò a Londra all’età di ventuno anni con William Leade: ebbe quattro figlie. L’incontro con Pordage (1608-1681; autore di Teologia Mystica, or the Mystic Divinitie of the Eternal Invisibles) la avvicinò alla teosofia di Boehme, di cui tradusse in inglese le opere. 

Ritiratasi definitivamente dalla vita attiva e mondana, scrisse diverse opere (tra le quali si può ricordare, The Laws of Paradise, given forth by Wisdom to a Translated Spirit, 1695), successivamente tradotte in tedesco, a testimonianza del successo del suo pensiero. Morì nel 1704. La sua opera ispirò le idee dei “Filadelfi”, una società segreta del XVIII secolo, composta principalmente da avversari politici di Napoleone. Il pensiero della Leade è tutto incentrato sulle tematiche neotestamentarie della Salvezza dell’uomo mediante l’opera del Redentore. Satana è destinato alla dannazione eterna; al contrario Adamo, mediante l’amore di Cristo, si salverà assieme a tutto il genere umano. 

Quirinus Kuhlmann (1651-1689) scrisse ben sessantotto opere. Viaggiatore infaticabile, attraversò tutta l’Europa dalla penisola iberica alla Russia zarista, soggiornando a Costantinopoli. Proprio a Mosca fu mandato al rogo dai difensori dell’ortodossia, preoccupati dal suo tentativo di convertire lo zar. Spirito eclettico, coltivò i suoi interessi adattandoli alla cultura dei paesi nei quali soggiornava. A Breslavia studiò gli epigrammi alessandrini; a Iena scrisse i suoi diari di viaggio, componendo sonetti spirituali. 

Kuhlmann, dopo Raimondo Lullo, e prima di Oetinger, cercò di elaborare una scienza universale, combinatoria, che avrebbe dovuto comprendere l’intero scibile umano, la cultura scientifica del tempo come quella umanistica. Impresa tentata nella stessa epoca anche da Leibniz e Athanase Kircher. Nella sua opera più conosciuta, Kühlpsalter, Kuhlmann mette insieme dei salmi disponendoli secondo una particolare aritmologia, mescolando richiami biblici e postulati boehmiani. 

La descrizione dettagliata dei simboli (“sette spiriti”, “tre principi”, “sette sorgenti”, ecc.) è propedeutica all’identificazione di un Centrum spirituale, responsabile dell’azione creatrice. Conoscere questo Centro è compito della disciplina enciclopedica che Kuhlmann sta ideando, Scienza delle scienze. Dio è pensato come il Centro di una ruota che gira: le creature ruotano attorno a lui, come le parole attorno al poeta. Ma è un Dio che non emana pacificamente la sua essenza nel creato; ma – come per Boehme – furiosamente crea il mondo, estendendo la sua azione con la forza di un vulcano in eruzione. 

Per Kuhlmann l’essenza umana è di natura ignea, il fondo dell’anima è forgiato nel fuoco. Sophia ha abbandonato il mondo visibile e la Natura è destinata alla catastrofe. Le pagine di Kühlpsalter sono dense di dolore e angoscia: soltanto alla fine del tempo è possibile il matrimonio spirituale dell’anima con Dio. [11] L’uomo che voglia salvarsi, sempre secondo Kuhlmann, deve sviluppare la Saggezza divina nell’anima, che sola permette di sfuggire al dolore ed all’autodistruzione; Kuhlmann identifica la Saggezza con la sapienza umana: la sola forma di Sophia realizzabile dall’uomo decaduto è la Saggezza divina nell’anima. È evidente che, per Kuhlmann, la “vera” Saggezza è quella che Dio stesso ha trasmesso all’uomo tramite il Lógos. [12] La crescita spirituale dell’uomo è paragonata a quella di un albero: si tratta, per il teosofo tedesco, di usare la Saggezza per bruciare il fogliame selvatico e irrorare i rami più prosperosi. 

Johann Georg Gichtel nasce a Ratisbonne in Bavaria nel 1638, studia teologia e diritto a Strasburgo. Ad Amsterdam fonda la “Comunità dei Fratelli della Via Angelica” (Engelsbrüder). Gichtel, molto influenzato da Boehme, fu anch’egli un grande visionario; ritroviamo nei suoi scritti, la tematica delle “nozze spirituali” con Sophia, la Saggezza divina. 

Nella via amoris è l’anima dell’uomo ad assumere valenza femminile in rapporto alla mascolinizzazione di Sophia; mentre, al contrario, nello gnosticismo antico quest’ultima si presenta come teofania lunare, passiva. Nella mistica del sentimento, l’anima che incontra il Lógos o che riconosce Sophia, non può non farsi penetrare dalla Luce divina, indipendentemente dalla polarità originaria della Sapienza di Dio prima della Caduta terrestre (teofania maschile o, al contrario, femminile). 

Un punto fondamentale della teoria gichteliana è la svalutazione, o perlomeno il ridimensionamento, della Scrittura. Questa ha assunto un’importanza capitale in un particolare periodo della storia d’Israele, funzionale al superamento del travaglio spirituale del popolo ebraico. La Bibbia, secondo Gichtel, raccolse e richiamò gli ebrei ai loro doveri religiosi: ebbe quindi una funzione protettrice, preservando il popolo eletto da ricadute “paganeggianti”. 

Gichtel crede che la sua epoca possa fare a meno della Scrittura e dei sacramenti: essi non sono indispensabili all’anima che voglia realizzare le “nozze mistiche” con Dio. È evidente l’influenza su Gichtel della “sinistra” della Riforma, influenzata a sua volta dal “maestro dell’interiorità”, Meister Eckhart. [13]

L’anima deve trovare in se stessa la strada per arrivare a Dio: l’essere profondo che abita l’uomo, è chiamato da Gichtel, “ Gemüth”, fondo dell’anima e organismo spirituale allo stesso tempo, Dio elargisce la grazia tramite un processo simile all’emanazione plotiniana. Ma mentre per Eckhart la luce divina nasce dolcemente nell’anima umana, lo stesso processo assume toni molto drammatici nella meditazione gichteliana. Il lume divino si rivela nell’anima umana con la violenza di un cataclisma, di un’esplosione. È evidente come Gichtel, da buon cristiano, dovendo ammettere la “personificazione” divina, sia costretto a ricorrere a tutte quelle manifestazioni esteriori, antropomorfiche, roboanti, per descrivere la nascita del Lógos nell’anima. 

In altri termini, mentre i greci pensavano Dio come sostanza assolutamente impersonale, gli ebrei e, successivamente, i cristiani, trasformano il Principio in persona reale. Nel Nuovo Testamento compare un dio antropomorfo che soppesa le singole azioni umane e decide delle sorti individuali; laddove, Platone ancora pensava Dio come Bene in sé, Aristotele come “Pensiero di Pensiero” e Plotino come Uno. Gichtel quindi, sconfessa in questo senso la lezione eckhartiana della quieta luce, e decide di contrassegnare platealmente con l’immagine del “mare di fuoco”, la nascita del Lógos nell’uomo. Come per Boehme, anche per Gichtel il processo escatologico è dialettico: l’ira divina è destinata ad essere superata nella sintesi finale. Rimane tuttavia la distinzione boehmiana tra il “fuoco centrale della Trinità”, frutto dell’amore divino e la Natura generata dall’ira. 

Non possiamo concludere senza ricordare la particolare interpretazione gichteliana dell’Androgino, tema ricorrente nelle opere di Boehme. Per Gichtel, Adamo racchiudeva nella sua natura, le due opposte polarità del maschile e del femminile. Il principio maschile era designato con il nome dello stesso “Adamo” e corrispondeva alla forza dello spirito; il femminile con il nome di “Sophia” ed indicava il corpo. Ma nel contesto gichteliano non è presente la svalutazione orfico-pitagorica del corpo, perché è proprio Sophia a temprare ed illuminare lo spirito rivelandogli i segreti della saggezza divina. Addirittura è Sophia stessa ad assicurare l’unione tra Dio e l’Androgino, perché essa è insieme il corpo di Dio e quello di Adamo. La Caduta nel mondo della materia, provoca la perdita di Sophia e quindi la frattura ontologica dell’uomo, ormai irrimediabilmente scisso dal corpo divino del Creatore. È evidente, in questa concezione, l’influenza del mito gnostico della Caduta. 

5 – L’intermezzo swedenborghiano (1688-1772). 

Emanuel Swedenborg nasce a Stoccolma nel 1688, da una famiglia molto colta. Fin dall’infanzia mostra una spiccata propensione allo studio della matematica, della fisica, delle scienze naturali. Compì viaggi frequenti in Inghilterra, Francia, Olanda. Negli anni della formazione s’interessa alla paleontologia, all’ingegneria mineraria, alla filosofia. Solitamente si usa suddividere il pensiero di Swedenborg in tre fasi. 

Nella prima, rientra l’iniziale propensione di Swedenborg per lo scientismo ed il razionalismo. Tuttavia, questa fase deve essere accomunata da forte conflittualità speculativa o, quantomeno, da ambivalenti slanci verso l’Immaginario. A questo periodo risalgono, infatti, le sue opere più marcatamente irrazionalistiche: Oeconomia Regni Animalis; Clavis Hierogliphyca arcanorum naturalium e spritualium per viam Repraesentationum et Corrispondentiarum. 

La seconda fase è caratterizzata invece da una spiccata tensione verso l’ascetismo platonizzante e dallo sviluppo delle capacità visionarie. In questo periodo scrive De Cultu et Amore Dei; opera in cui Swedenborg richiama una concezione platonizzante dell’eros [14], mutuata dal Simposio, innestata, tuttavia, all’interno di un impianto teoretico strettamente dualista. [15] Il dualismo tipico è quello biblico-gnostico tra bene e male; dicotomia, tuttavia, esteriorizzata ed incarnata dall’interno di una sorta di “animismo psichico”. Esistono angeli del “bene” e del “male”, entità reali – non semplicemente nominali – che abitano l’uomo e sono responsabili delle sue compulsioni. Allo stesso tempo, ogni idiosincrasia o predisposizione del soggetto è riconducibile all’azione benefica o perturbante di queste entità. Ci troviamo di fronte, quindi, ad una concezione “animistica” dell’etica e della psiche. Le torve degli angeli sono infine ricondotte alla contrapposizione fondamentale tra Dio e Satana, rispettivamente principi degli spiriti del bene e di quelli del male. 

Ogni fenomeno naturale o intellettuale è per Swedenborg riconducibile alle entità spirituali dell’Universo; la realtà terrena è quindi la risultante delle influenze delle entità soprannaturali; la vera sapienza umana è la conoscenza di queste stesse entità. 

L’ultimo periodo della vita di Swedenborg è quello più propriamente “teosofico”. Le sue visioni, infatti, iniziano dopo i cinquanta anni. La sua opera principale di questo periodo è gli Arcana Coelestia. Il dualismo psico-animistico è adesso superato all’interno di una prospettiva escatologica e soteriologica. Il teosofo e visionario svedese fonda addirittura una chiesa (a lui stesso intitolata) in grado di preparare gli uomini all’era finale celeste. Il peccato originale, per Swedenborg, genera la coscienza razionale da quella semplicemente intuitiva. La temporalità diventa così lo spazio diacronico che separa la caduta della prima chiesa originale dalla progressiva ascensione dell’umanità, che si riunisce con Dio. Il millenarismo swedenborghiano fu oggetto di molte critiche, da Kant a Blake. 

6 – La renaissance teosofica alla fine del XVIII secolo. 

Abbiamo visto come l’opera di Swedenborg oltrepassi i confini della teosofia propriamente detta, per attingere trasversalmente ai più svariati ambiti della cultura del tempo. In questo senso Swedenborg può essere considerato qualcosa di più di un “semplice” teosofo. O, forse, da un’altra angolatura, si potrebbe rovesciare il giudizio e considerare il visionario svedese come un teosofo “incompiuto”, giunto alla teosofia in età ormai avanzata. 

In entrambi i casi, l’opera dello svedese funge da collante tra l’era boehmiana e la renaissance del XVIII secolo. Anche se quest’ultima fase non può certamente essere completamente equiparata alla prima. Mentre l’epoca boehmiana e pre-boehmiana è costituita da grandi visionari – ricordiamo, per esempio, oltre a Boehme, anche Gichtel, Kuhlmann, Jane Leade – la seconda è formata per lo più da commentatori delle Scritture, in cui il pensiero teorico prevale sullo sguardo profetico. 

Possiamo cercare l’inizio di questo nuovo modo di fare teosofia nel primo libro di Saint-Martin, Des erreurs et de la vérité del 1775; ma non si deve dimenticare che Saint-Martin fu a sua volta allievo di Martinez de Pasqually, iniziato da quest’ultimo allo stesso Ordine, da lui fondato, gli Eletti Cohen (“Preti Eletti”) [16]. “ Cohen ” è un termine ebraico e significa “sacerdoti”. I Cohen erano una classe sacerdotale fondata da Aronne ed in grado di trasmettere e conservare gli insegnamenti segreti della Thorà. 

La vita di Martinez de Pasqually (1727-1774) è circondata da una spessa coltre di mistero, alimentata dalle stesse leggende di cui l’autore amava circondarsi. Jacques de Livron de la Tour de la Case Martinez de Pasqually nasce nel 1727 a Grenoble, da una famiglia portoghese o spagnola. Esistono dubbi sulla sua eventuale origine ebraica [17]: in ogni caso, in età molto avanzata sposa Marguerite Anglique de Callos con rito cattolico. 

Il padre di Martinez aveva avuto da Carlo Eduardo Stuart, nel 1738, una patente massonica che, ereditata dal figlio, consentiva d’iniziare “a vista” massoni e di fondare Logge. Nel 1760, la patente di Martinez ottenne il riconoscimento ufficiale del Grande Oriente di Francia. Martinez godette fama di mago e teurgo: reputazione che rese possibile la fondazione di numerosi ordini iniziatici d’impronta massonica. 

Il più celebre di tutti, rimane, il già citato Ordine degli Eletti Cohen fondato nel 1750. L’Ordine degli Eletti Cohen era strutturato esteriormente secondo l’ordinamento massonico, ma l’impianto dottrinale s’ispirava al grande lascito della magia cerimoniale e teurgica. L’ordinamento gerarchico degli esseri, paragonabile a quello presentato dallo Pseudo-Dionigi nel suo Corpus dionysianum: 2400 angeli ed arcangeli, pronti per essere invocati ed associati a segni e geroglifici. [18]

Il sistema di Cohen era modellato su quello creato da Swedenborg nel 1720 [19]. Brevemente, riportiamo in maniera sintetica la struttura gerarchica in vigore nell’Ordine dei Preti Eletti: 

1° classe: Apprendista, Compagno, Maestro (Massoneria c.d. “azzurra”). 

2° classe: Apprendista Cohen, Compagno, Maestro Eletto Cohen, Maestro Particolare (classificazione c.d. “del Portico”). 

3° classe: Gran Maestro Eletto Cohen o Grande Architetto, Cavaliere d’Oriente (classificazione c.d. “del Tempio”).

4° classeReaux Croix (“segreta”) [20]. 

Nella prima classe erano impartiti i normali insegnamenti massonici della Massoneria c.d. “azzurra”. Nella seconda, erano trasmesse più specificatamente le dottrine Cohen; nella terza, i riti di passaggio iniziatici erano sospesi e l’adepto era direttamente ordinato alla ricezione dei poteri sacerdotali. Nel grado di Grande Architetto erano insegnati gli esorcismi. Nel grado supremo di Reaux Croix, l’adepto praticava la teurgia e completava il processo anabatico di reintegrazione nell’archetipo dell’Uomo Universale, l’Adam Qadmon cabalistico. 

La teurgia consisteva nella materializzazione di un glifo luminoso o nella manifestazione di un suono: solitamente la ierofania era interpretata come un segnale positivo, attestante la rettitudine del cammino iniziatico. I Reaux Croix, durante le loro pratiche teurgiche, erano sottoposti a due gravi pericoli. Il primo concerneva i contatti occasionali con le entità angeliche, che potevano apportare gravi conseguenze al corpo fisico dell’operatore. Nel secondo caso, il pericolo veniva direttamente dalle potenze demoniache, in grado di ingannare il teurgo con un falso corpo di gloria. 

L’Ordine degli Eletti Cohen fu legato alla fama di Martinez. Nel 1774 – in seguito alla scomparsa di Martinez avvenuta a Santo Domingo – l’Ordine inizia la sua parabola discendente, sfiorando la definitiva estinzione. Logge degli Eletti Cohen sono ancora oggi presenti in Francia ed in Italia. 

Louis-Claude de Saint-Martin (1743-1803), nasce ad Ambroise, da una famiglia nobile. Rimasto orfano della madre, è allevato dalla seconda moglie del padre. Studia giurisprudenza a Parigi, ma successivamente preferisce la carriera militare. A Bordeaux conosce nel 1769 Martinez de Pasqually. Due anni dopo abbandona la vita militare e si ritira a vita contemplativa. Nel 1773 a Lione, conosce J. Baptiste Willermoz, altro allievo martinezista. Nello stesso anno scrive la sua prima opera, Des erreurs e de la verité, pubblicata soltanto nel 1775. 

In quest’opera, Saint-Martin cerca di far risalire tutto l’elaborato intellettuale, morale e religioso dell’uomo ad una causa attiva presente nell’anima [21], combattendo l’ateismo e gli eccessi meccanicistici e materialistici della giovane scienza moderna. Saint-Martin, diventato ormai Reaux Cohen, abbandona tuttavia l’ordine fondato da de Pasqually, ritenendo quest’ultimo eccessivamente sbilanciato verso l’esteriorità, a detrimento della via interiore, la sola, a suo avviso, che merita di essere percorsa. [22]

Saint-Martin, uomo elegante e raffinato, inizia a frequentare i salotti aristocratici di Parigi, mantenendosi però rigorosamente casto. In questo periodo scrive Tableau Naturel des rapports entre Dieu l’homme et l’univers, opera ideata nel segno del martinezismo. Per Saint-Martin nell’uomo è presente una facoltà superiore responsabile delle idee archetipe, in grado di guidare verso il retto agire e sottrarre l’essere umano al determinismo naturale. Le compulsioni e le sensazioni empiriche sono da Saint-Martin attribuite alla Caduta originaria. Se l’uomo non si fosse macchiato del peccato originale, non avrebbe conosciuto il male e non sarebbe stato soggetto al turbinio dei sensi che determina le azioni empie e malvagie. Soltanto con il processo di reintegrazione finale nel principio divino, l’uomo riacquisterà la padronanza perduta del retto agire e pensare, divenendo in grado di annullare completamente il pathos sensoriale. 

Nel 1778, a Strasburgo l’incontro con madame de Boeclin, che gli fa scoprire l’opera di Boehme. Nel 1802, pubblica L’Homme de Désir, opera che costituisce il pilastro teoretico del martinismo, successivamente fondato da Papus nel 1891. L’opera è formata da 301 cantici, inneggianti al desiderio umano di reintegrazione divina: ritorno nell’Unità reso possibile soltanto dalla perfezione della vita spirituale. Alla stessa maniera dell’ermetismo alessandrino, l’anabasi è resa possibile dalla discesa catabasica della Luce divina; la risalita verso il Principio è consequenziale all’Illuminazione spirituale, conseguita attraverso due tipi di preghiera, esteriore ed interiore. La prima racchiude tutte le azioni quotidiane orientate alla gloria del Regno dei Cieli, la seconda è riconducibile all’alchimia spirituale. 

Nel 1789, Saint-Martin scrive Ritratto storico e filosofico. La Rivoluzione lo costringe alla fuga. 

Il 4 luglio del 1790, Saint-Martin si dichiara in “sonno” nei riguardi della Massoneria francese ed inizia ad accentrare, intorno a sé, gruppi di amici e discepoli, dando vita ad una conventicola denominata, appunto, Intimi di Saint-Martin. Nel 1792 pubblica Le nouvelle homme, in cui teorizza la possibilità di uniformare il flusso dei pensieri al pensiero di Dio, mediante un “deposito” divino insito nell’uomo; dottrina, questa, che chiaramente rimanda sempre alla problematica medievale della “sinderesi” e del “luogo mistico” nell’anima umana. 

Sempre nello stesso anno pubblica Ecce homo, pamphlet indirizzato verso il basso spiritualismo dell’epoca che favorisce il diffondersi della moda della parapsicologia e del channeling. Con il poema in prosa ed in versi Le crocodile ou la guerre du bien contre du bien contre le mal, Saint-Martin controbatte le teorie materialistiche di Joseph Dominique Garat, professore di “analisi dell’intendimento umano”. Garat sosteneva il primato della sensazione sull’intellezione: tesi – ovviamente – respinta dal “filosofo incognito”. Saint-Martin insiste piuttosto sull’emanazione diretta dell’Uomo Primordiale dal Principio divino; proiezione metafisica provvisoriamente interrotta a causa della Caduta terrestre. Per Saint-Martin la sola maniera per ripercorrere il cammino anabatico della Reintegrazione nell’archetipo è il potenziamento del Desiderio, inteso platonicamente come trascendentalismo erotico volto all’affinamento progressivo dello spirito nel distacco dai beni sensibili; o anche come riconoscimento agostiniano della Verità interiore dell’anima: Verità, che altro non è, che Dio stesso. 

Nel De L’Esprit de le chose, Saint-Martin riprende l’idea classica dell’esoterismo occidentale, che assomma l’uomo ad una sorta di specchio vivente in grado di riprodurre l’immagine divina nel creato. Già la Natura è supporto simbolico, segno e rimando della perfetta e celata disvelatezza del mondo intelligibile: l’uomo – microcosmo ed imago dei – è lo specchio più terso e lucido. Siamo in presenza dunque della concezione platonica classica che garantisce dignità metafisica alla Natura sensibile, proprio in quanto copia – seppur imperfetta – delle entità intelleggibili. Nella tradizione giudaico-cristiana assistiamo invece ad una raffigurazione assolutamente negativa e discriminante della ph ỳ sis, concepita come irriducibile frattura ontologica e regno della forza bruta e del male. 

Nessuna salvezza è possibile per le creature non umane e per il mondo sensibile: la redenzione è solo per gli uomini giusti e mai per gli altri esseri viventi appartenenti alla natura animale o vegetale. L’esoterismo occidentale rovescia questa lugubre concezione cristiana d’impronta antropocentrica: anche le piante e gli animali, seppur ridimensionati nella scala assiologica, sono proiezioni imperfette e rimandi al mondo divino. Copie inferiori di enti soprannaturali, o comunque, in ogni caso, tracce del disegno intelleggibile. La dignità ontologica è conquistata anche dall’essere, mera ombra e riflesso della perfezione del Cielo. 

In Le ministre de l’Homme-Esprit, Saint-Martin continua nell’elaborazione teoretica della sua gnosi dell’introiezione. La Rivelazione divina, abita nell’uomo spirituale, nell’individuo convertito alla via della conoscenza e dell’ascesi. Cammino spirituale carico d’angoscia per l’uomo della Caduta terrestre, costretto a rincorrere la Verità divina, un tempo appannaggio dell’uomo edenico. Costretto a ritrovare la propria essenza nella reintegrazione archetipa, il proprio volto soprasensibile nell’identità primordiale. 

Il 13 ottobre del 1803, Saint-Martin scompare. 

Dell’eccezionale erudizione di Friedrich Cristoph Oetinger (1702-1782), abbiamo già parlato. È forse il caso di aggiungere soltanto, che in lui l’eclettismo assume la forma coerente e coordinata di un progetto sistematico, volto ad integrare i campi del sapere all’interno di una conoscenza sintetica ed universale. Un sapere del sapere, quindi, una scienza della scienza, tesa ad armonizzare le conclusioni divergenti della filosofia moderna e della teologia, della fisica e dell’esegesi biblica. L’assunto di un sapere unitario che raccolga all’interno dei suoi postulati, in nuce, la sommaria contrazione sintetica dei principi delle c.d. scienze “seconde”, costituisce forse l’idea “esoterica” per eccellenza, coltivata anche da R. Lullo e da Leibniz. 

In pieno Ottocento, Fichte ribattezzò “metafisica”, la dottrina “prima” che racchiude nelle sue proposizioni i principi fondanti delle scienze derivate o “seconde”. Enunciati declamatori sull’andamento conflittuale della dialettica Io/Non-Io (Mondo), a loro volta sviluppabili consequenzialmente nei fondamenti teorici delle discipline applicative. Evoluzione e sviluppo senza superamento della metafisica nelle scienze dedite alle cause seconde: fisica, chimica, economia politica, ecc. 

Attraverso questo sistema unitario del sapere, Oetinger si proponeva di oltrepassare la conoscenza intellettualistica fondata sulla dicotomia soggetto-oggetto, fenomeno-noumeno. Esoterico o mistico è lo sguardo che ritrova nel Tu la cifra identificativa dell’Io, mettendo fine all’inganno fenomenico sotteso al Mondo della Caduta terrestre, o, in ambito indiano, all’illusione samsarica della molteplicità del manifestato. Oetinger, membro attivo della Chiesa Evangelica non poteva e non voleva oltrepassare la Scrittura: la dicotomia del transeunte è conseguenza del peccato originale. Adamo era perfettamente in grado di tramutarsi nell’ente, realizzando così la fusione conoscitiva con l’oggetto della conoscenza. 

7 – La teosofia nel XIX secolo: Franz von Baader. 

Franz von Baader (1765-1841), rientra nella categoria dei teosofi alla Martinez de Pasqually e Saint-Martin, cattolici e massoni allo stesso tempo. [23] Nato a Monaco di Baviera, si dedica in un primo tempo allo studio della medicina. Successivamente studia anche mineralogia a Freiberg. Durante il suo soggiorno in Sassonia si avvicina alla mistica medievale: sicuramente legge Meister Eckhart e Teodorico di Freiberg. Soprattutto è influenzato da Boehme. Nel 1797 diventa consigliere delle miniere in Baviera, cercando il fondamento della fisica nella speculazione metafisica. Muovendosi all’interno di questa prospettiva, non ci si deve stupire più di tanto che Baader riesca ad armonizzare senza difficoltà l’interesse per il mondo degli effetti con quello per il “regno dei fini”. La completa e finale trasformazione del pensiero metafisico nel totalitarismo tecnocentrico, avverrà soltanto nel Novecento. Nell’era di Baader è ancora possibile l’approccio rinascimentale ed aristotelico alla conoscenza, in grado di risalire induttivamente o sistematicamente dalle cause seconde alle cause prime. Baader può così continuare ad essere, senza sofferenza, fisico e metafisico. Proprio la sua cultura scientifica lo porta alla corte dello zar Alessandro I. 

Nel 1786, Baader, come abbiamo visto, poco più che ventenne, inizia a studiare mineralogia a Friburgo. La sua prima opera, del 1792, è: Du calorique, de sa répartition, de son association e de sa dissolution, particulièrement dan la combustion des corps. La peculiarità del trattato è nel tratto stilistico estremamente lirico di Baader, e nel tentativo di coniugare la concezione herderiana e schellinghiana della Natura come Spirito vivente con le acquisizioni della scienza moderna. Non si deve dimenticare, che il secolo che sta per finire schiuderà le porte a quel positivismo che cerca nel dominio della Natura il compito assegnato da Dio all’uomo. Baader, quindi, persegue – come a suo tempo Oetinger – un progetto olistico e sistematico volto ad integrare i dati della Naturphilosophie con il moderno metodo scientifico. In Fermenta Cognitionis, Baader paragona lo Spiritus Mundi all’oceano cosmico, punto di partenza e d’arrivo dell’esistenza individuale. In Cours de Philosophie, Baader teorizza il collegamento dei sensi di tutti gli esseri viventi con un’unica visione centrale ed universale [24]: lo “Spirito Animale del Mondo”. Questo spirito astrale non va confuso con lo Spirito del Mondo, d’ordine celeste. Lo Spirito Animale del Mondo funge da catalizzatore di tutte le coscienze individuali: la percezione di sé di ogni vivente dipende da quest’unica matrice universale. 

Baader si serve qui di una metafora di Tommaso d’Aquino per spiegare il complesso rapporto tra Spirito super-individuale e soggettività. Due uomini che possedessero un occhio comune, percepirebbero una sola visione, pur essendo due osservatori distinti. [25] Baader aggiunge anche l’esempio di due sorelle siamesi, unite dal corpo, che percepiscono gli stessi stimoli sensoriali del piacere e del dolore. [26]

Esistono quindi, sempre per Baader, due tipi di Spirito del mondo, astrale e celeste. Quest’ultimo è identificato dal teosofo tedesco con la stessa Sophia, intesa come istanza superiore ed universale. Il significato etimologico della parola “filosofia” non va tanto cercato nel classico ’“amore per la sapienza”, quanto nella sottomissione alla Sophia, pensata come un’entità super-umana o – che è lo stesso – come la matrice di tutti gli archetipi, in grado di dirigere le azioni umane. L’uomo può accettare o rifiutare i “suggerimenti” di questa Ragione universale, ma in ogni caso non può essere identificato completamente con essa. Baader chiama questa Sapienza universale con sinonimi diversi: Saggezza, Sophia, Idea, Idea formatrice, Vergine. [27] Essa, denominata anche spiritus mundi divini, è eterna e deve essere distinta dall’Anima del Mondo, collocata al livello inferiore della manifestazione. Soltanto la religione cristiana, per il teosofo tedesco, può stabilire un contatto diretto – inorganico ed intellettuale – con il Principio primo. Sophia, o Saggezza, è appunto la mediatrice universale in grado di realizzare il contatto tra creatura ed il Principio e la scienza che se n’occupa è detta Sophiologia.

8 – La Società Teosofica è assimilabile alla grande corrente teosofica europea? 

La Società Teosofica è stata fondata nel 1875 a New York, dall’incontro tra Madame H. P. Blavatsky ed il colonnello H. Steel Olcott. Helena von Hahn nasce il 12 agosto 1831 in Ucraina, discendente di una famiglia in parte russa, in parte francese e tedesca. Il padre era un colonnello e la madre, una scrittrice di novelle. Helena inizia a interessarsi di esoterismo, venuta a contatto con la biblioteca dei nonni. È assodato, peraltro, che Helena era in possesso di una personalità magnetica, e, probabilmente, anche di poteri medianici. A diciotto anni si sposa con Nikofor Blavatsky, ma dopo tre mesi rompe il matrimonio. Inizia un tour spirituale per l’Europa, l’Africa e l’Asia, finché non decide di soggiornare a New York (la leggenda vuole sotto la direzione di una misteriosa organizzazione). Henry Steel Olcott (1832-1907), nasce nel New Jersey e si arruola presto nell’esercito, esercitando in seguito anche come avvocato. Fin dall’adolescenza Olcott mostra uno spiccato interesse per Swedenborg e per le tradizioni religiose. A vent’anni inizia a frequentare i circoli spiritistici, fino all’incontro con Madame Blavatsky nel 1874. Un richiamo particolare merita anche William Q. Judge (1851-1896), che nella S.T. rivestì la carica di legale interno fino alla morte della Blavatsky nel 1891, quando divenne presidente della “Scuola Orientale di Teosofia”, sezione americana. È d’importanza centrale anche la figura della presidentessa della “Scuola Orientale di Teosofia”, per il resto del mondo: Annie Besant. 

Ella nasce a Londra nel 1847 da una famiglia colta e benestante. Si sposa precocemente con il reverendo Frank Besant, ma il matrimonio dura poco, anche se nascono due figli. Annie inizia ad interessarsi alla politica ed alle idee socialiste, ma anche all’occultismo e al soprannaturale, finché nel 1889 legge Secret Doctrine della Blavatsky. Dalla lettura del libro all’incontro con la fondatrice della S.T., il passo è breve. Rapidamente, Annie Besant brucia le tappe e sale nella scala gerarchica della S.T. Se Madame Blavatsky emana un magnetismo animale capace di affascinare e conquistare gli scettici, la Besant possiede doni intellettuali differenti, ma altrettanto importanti. La Besant ha doti non comuni, per le donne dell’epoca. Ella è una straordinaria oratrice e la sua eloquenza riesce ad ammaliare e convincere qualsiasi platea. Sovente vestita con abiti orientali, alle sue conferenze attira un pubblico numeroso, che resta stupito di fronte alla facilità con la quale questa donna coltissima riesce a spaziare dalla religione, alla politica, alla scienza. Se la Blavatsky ha poteri medianici e magnetismo animale, la Besant, dal canto suo, possiede esperienza politica, grandi capacità oratorie ed intellettuali, e cultura scientifica. In altre parole, è nata per essere leader. 

Il grande errore della Besant fu, probabilmente, nell’aver accordato la sua totale fiducia ad un giovane ragazzo indiano adottato, Krihnamurti. La Besant vedeva in questo giovane il probabile maestro spirituale della nuova era, un novello Gesù o Buddha. Creò, appositamente per lui, l’Ordine della Stella d’Oriente, sciolto nel 1929 dallo stesso Krishnamurti, diventato maggiorenne, e poco persuaso del progetto. Krishnamurti diede inizio ad una serie di scismi interni, fondando ulteriori ordini, a suo avviso, maggiormente in grado di trasmettere i suoi insegnamenti. 

Sotto il profilo teoretico, la S.T. si presenta come erede di quell’universalismo religioso d’impronta romantica, che guarda con interesse alle religioni indiane ed estremo-orientali. La S.T. non si limita più come la teosofia europea a recuperare l’Immaginario testamentario, ma si apre a tutte le religioni ed a tutte le tradizioni del mondo. Alla fine del settecento cominciano a circolare in Europa le prime traduzioni dal corpus vedico, gli eruditi iniziano a studiare le filosofie e le religioni dell’India e dell’Oriente. Nell’ottocento, l’idea di una “religione universale”, le cui vestigia sono rintracciabili in tutte le religioni della terra, inizia a farsi largo. Anche la Massoneria ricorre alle genealogie mitiche per acquisire prestigio e blasone iniziatico; nei loro libri, i due eruditi massonici, J. P. Ragon e J. Yarker, incedono sovente in un sincretismo appassionato, nel tentativo di accreditare le presunte radici egizie della Libera Muratoria moderna. Anche negli Stati Uniti, con il Trascendentalismo si diffonde il sincretismo dottrinale: si attende una “nuova era” in cui tutte le religioni del mondo saranno fuse in un’unica “Religione dell’Umanità”. [28]

In questo clima culturale la S.T. ricerca nell’India le radici di tutte le religioni e tradizioni: « Un giorno dovremo apprendere che tutte le antiche tradizioni sfigurate dall’emigrazione e dalla leggenda appartenevano alla storia dell’India» (Isis Unveiled). 

Sincretismo, quindi. E sostituzione dell’impianto mitologico della Genesi con la letteratura vedica. In altre parole, la S.T. rovescia il primato bibliocentrico, relegando e subordinando il cristianesimo, pur nella continuità oggettiva, alle sue radici indiane. Al contrario la corrente teosofica europea era stata eminentemente cristiana, nelle sue ramificazioni cattoliche o protestanti. 

Inoltre, uno dei capisaldi dottrinali della S.T. è la teoria della reincarnazione. L’individuo è pensato come composto da una coscienza immortale che si evolve attraverso innumerevoli vite: la reincarnazione è il passaggio del Sé in un nuovo corpo ed in nuovo destino. Il Karma è la “legge della Causa e dell’Effetto”. Il comportamento genera degli effetti che determinano gli eventi della vita presente e di quella futura, nel caso che l’individuo non riesca ad esaurire il “debito karmico” prima della morte fisica. Nel suo complesso, l’umanità si evolve attraverso sette periodi, o Razze Radici, a loro volta divise in sette sotto-razze. Al vertice della piramide iniziatica, l’universo, ed il destino degli uomini, sono guidati da una Gerarchia Cosmica. Il tempo non è più lineare come nel corpus biblico (e nell’annalistica romana), ma è ciclico: l’Universo è destinato a dissolversi e rigenerarsi infinitamente. L’evoluzione spirituale dell’anima trova il punto d’arrivo nell’identificazione con l’Anima Superiore Universale, al termine del ciclo delle rinascite. 

Come si può notare, l’impianto concettuale della S.T. è indiano, non giudeo-cristiano. Si può perciò concludere, con un certo margine di sicurezza, che la S.T. ha ben poco in comune con la grande corrente teosofica europea. Ovviamente, questo non significa disconoscerne la dignità culturale e filosofica. Al contrario, la S.T., soprattutto con le figure della Blavatsky e della Besant, è molto importante ed innovativa nel panorama dell’esoterismo occidentale. Si tratta soltanto di riconoscere la “frattura epistemica”, o la discontinuità oggettiva, rispetto al pensiero di Boheme, Saint-Martin, Oetinger, Baader, ecc. In altre parole – almeno su questo punto – la pretesa di ricondurre qualunque fenomeno culturale alla filiazione da un unico Centro, si rivela errata. La S.T. e la corrente teosofica europea – proprio in quanto fenomeni culturali eterogenei – contribuiscono a smantellare il postulato della grande Tradizione, da cui tutto deriva ed a cui tutto deve fare ritorno. 

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Note

1. R. Guénon, Le Théosophisme, histoire d’une pseudo-religion, Parigi 1921: “Tali sono, per esempio, delle dottrine come quelle di Jacob Boehme, di Gichtel, di William Law, di Jane Leade, di Swedenborg, di Louis-Claude de Saint-Martin, d’Eckarthausen: noi non pretendiamo di dare una lista completa, ci accontentiamo di citare qualche nome fra I più conosciuti”. (^

2. A. Faivre, Accès de l’ésotérisme occidental, II vol, Gallimard, Parigi. (^)

3. A. Faivre, Accès de l’ésotérisme occidental II, pag. 53, Gallimard, Parigi. (^)

4. M. Vannini, Il volto del Dio nascosto, Mondadori 1999. (^)

5. Indicativo è l’episodio finale della devastazione della sua tomba, da parte delle plebi inferocite, aizzate dagli anatemi di Richter. (^)

6. Solitamente si tende a ricondurre la mistica renano-fiamminga (XIII-XIV) a Ruusbroec, a Meister Eckhart, a Suso, a Taulero, all’“Anonimo Fracofortese”, a Cusano. (^)

7. A. Faivre, Accès de l’ésotérisme occidental II, Gallimard, Parigi. (^)

8. Sulla questione della via amoris, rimandiamo a M. Vannini, l volto del Dio nascosto, p.160-168,Mondadori 1999. (^)

9. Oltre che Yeats, il quale fu direttamente impegnato in diverse organizzazioni magico-iniziatiche, non si può dimenticare la prossimità dell’opera di William Blake all’esoterismo occidentale. Per approfondire mi permetto di rinviare al mio La poesia hermetica di William Blake, Hiram 1/03. (^)

10. Si noti come questa concezione rimanda alla tradizione della teologia mistica: dallo Pseudo-Dionigi a Margherita Porete, a Meister Eckhart, “Dio” viene sempre pensato con attributi negativi, come “Tenebra luminosissima” o “Nulla”, in quanto superiore ad ogni determinazione positiva che finirebbe per limitarne l’essere. (^)

11. La simbologia delle “nozze mistiche” è stata elaborata per la prima volta da Origene; successivamente la ritroviamo nella spiritualità di Bernardo di Chiaravalle e nel primo francescanesimo. In tutti questi casi, l’anima è sempre equiparata ad una sposa che penetra nella camera nuziale del Lógos divino, lo Sposo celeste. Si noti come questa interpretazione, tendente a effeminare l’anima dell’uomo in rapporto alla vis penetrativa dello Spirito divino, abbia portato a quell’erronea concezione che attribuisce alla mistica un carattere “passivo”, in raffronto al carattere ben più “virile”, “attivo”, “maschile”, dell’esoterismo. Tuttavia, basta leggere le pagine dello Specchio delle anime semplici di Margherita Porete, o il corpus di Meister Eckart, o ancora l’opera di Simone Weil, per rendersi conto di come questa concezione sia molto approssimativa. (^)

12. La generazione del Lógos nell’anima umana che rende qualunque uomo simile a Dio e quindi identico a Cristo, è un punto fondamentale del pensiero giovanneo. (^)

13. Analogo ripudio della Scrittura, si era avuto, in ambito latino, con Margherita Porete. (^)

14. Platone nel Simposio (o Convito) identifica nella scala amoris uno strumento per percorrere un progressivo cammino di perfezionamento e distacco dalle cose terrene; percorso che conduce fino alla conoscenza del “Bello in sé”, riconducibile, mediante un passaggio successivo, all’amore per l’idea del “Bene in sé”. Ipostasi identificabile con il concetto stesso di Dio. Il neoplatonismo vide nell’eros uno dei tre mezzi – gli altri sono l’arte e la dialettica – per pervenire al ricongiungimento con l’Uno. Vale la pena di ricordare che l’enfatizzazione platonica e neoplatonica dell’amore ha avuto un importante seguito nelle dottrine dei “Fedeli d’Amore”; dove, tuttavia, più che di anabasi erotica, si deve parlare di allegorie iniziatiche incentrate sul linguaggio dell’amore sotteso ad indicare la gnosi segreta, al riparo dalle persecuzioni ecclesiastiche. Si deve ricordare anche che il più interessante tentativo di trasformare il neoplatonismo in una religione, si ebbe con Giamblico (251- 270 d. C.).  (^)

15. La concezione dualistica della realtà contrasta nettamente con il monismo emanazionistico di Plotino, ma non del tutto con il pensiero di Platone. La lettura del filosofo ateniese, deve risolvere per ciascun lettore un problema decisivo. Considerare il mondo visibile formato da copie imperfette come frattura ontologica, scissione irriducibile del mondo intelleggibile. O, in alternativa, vedere nella copia un segnavia per raggiungere l’originale. Il primo atteggiamento è caratteristico della devozione religiosa, il secondo delle dottrine esoteriche. (^)

16. Di solito si usa distinguere il sistema iniziatico di Martinez de Pasqually con il termine “martinezismo”, da quello ispirato a Saint-Martin – denominato invece “martinismo” – e fondato da Papus nel 1891 a Parigi. Semplificando, in questo senso, il “martinezismo” è la dottrina esoterica dell’Ordine degli Eletti Cohen; così come, per fare un esempio, la scolastica è la teologia ufficiale della Chiesa cristiana medievale post-Chartres. Sulla stessa falsariga, il “martinismo” è la filosofia iniziatica dell’Ordine Martinista. Ma al di fuori di queste considerazioni teoriche, è ovvio che un sistema di pensiero non si forma dal nulla o per mano di un singolo pensatore, ma deve necessariamente dialettizzare al suo interno le tendenze dell’epoca e la filiazione intellettuale del suo autore. È evidente, quindi, che nel sistema martinista è ben presente, oltre all’eredità speculativa di Saint-Martin, anche l’influenza martinezista e quella di Jean-Baptiste Willermoz (1730-1824). (^)

17. Robert Amadou, il più grande specialista del martinezismo-martinismo, è incline a negare la discendenza ebraica di Martinez. (^)

18. L’evocazione teurgica praticata dagli Eletti Cohen si basava su un complesso gioco di corrispondenze semiologiche tra l’uomo e l’entità. Disegnando un segno sopra un tappeto di lino, il teurgo si preparava ad assistere all’apparizione del geroglifico inviato dall’entità corrispettiva. Se il geroglifico apparso non corrispondeva a quello atteso dal teurgo, era necessario ridisegnare il segno corrispondente all’entità che si era manifestata. Per approfondimenti, consultare A. Faivre, Accès de l’ésotérisme occidental II, pag. 255-256 Gallimard, Parigi. (^)

19. Il teosofo svedese, a sua volta si proponeva d’integrare i gradi della Massoneria Operativa con quelli delle “Logge di Perfezione” e con quelli istituiti nel Venerando Ordine dell’Aurea Rosa+Croce. Il sistema era denominato “Massonico-Illuministico”. (^)

20. Pietro Turchetti, Il Filosofo Incognito, Arktos, 1995. (^)

21. Si tratta, probabilmente, della stessa risoluzione medievale che colloca il “luogo mistico” nell’interiorità dell’uomo, facoltà chiamata anche “sinderesi”. (^)

22. Pietro Turchetti, Il Filosofo Incognito, Arktos, 1995. (^)

23. In realtà nei paesi anglosassoni, l’anticlericalismo massonico è sempre stato marginale, al contrario di quanto è avvenuto nei paesi latini, dove la polemica con la Chiesa romana ha prodotto sovente reazioni esasperate e toni infervorati. (^)

24. A. Faivre, Philisopie de la Nature, Albin Michel Idées. (^)

25. A. Faivre, ibid. (^)

26. A. Faivre, ibid. (^)

27. A. Faivre, ibid. (^)

28. A. Faivre, Symboles et Mythes dans les mouvements initiatiques et esotériques (XVII-XIX siècles: Filiations et emprunts, Edidit – La Table d’Emeraude, collection Aries, Parigi 1999. (^)

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Bibliografia essenziale

A. Faivre, Accès de l’ésotérisme occidental, I-II voll. Gallimard, Parigi.

A. Faivre, Philisopie de la Nature, Albin Michel Idées  

A. Faivre, Symboles et Mythes dans les mouvements initiatiques et esotériques (XVII-XIX siècles: Filiations et emprunts, Edidit – La Table d’Emeraude, collection Aries, Parigi 1999.

A. Faivre, L’esoterismo, SugarCo, Carnago (Varese)

M. Vannini, Il volto del Dio nascosto, Mondadori, 1999.

Pietro Turchetti, Il Filosofo Incognito, Arktos, 1995.

J. Cantucci, La Società Teosofica, Elledici.

C. Simonetti, Annie Besant, autobiografia. Una mistica femminista fra ‘800 è900, Le Lettere

H. P. Blavatsky, Iside Svelata. Chiave dei misteri antichi e moderni della scienza e della teologia, Sirio, Trieste, 1958.

H. P. Blavatsky, La Dottrina Segreta. Sintesi della scienza, della religione e della filosofia, Bocca, Milano 1947

M. Gomes, Theosophy in the Nineteenth Century: An Annotated Bibliography, Garland Publishing Inc.