Teologia degli antichi sacerdoti Catari – Parte 11

Storia NascostaLa condanna perenne inflitta a Giuda dopo il suo pentimento, diventa la negazione del principio della salvazione cristica

Il IV Vangelo fa intendere come Gesù abbia perdonato tutti quelli che lo avevano abbandonato, anche chi lo aveva condannato destinandolo ad una morte ignominiosa e terribile.

Teologia degli antichi sacerdoti Catari – Parte 11

di Luigi G. Navigatore
a cura di Athos A. Altomonte

La condanna perenne inflitta a Giuda dopo il suo pentimento, diventa la negazione del principio della salvazione cristica

Il IV Vangelo fa intendere come Gesù abbia perdonato tutti quelli che lo avevano abbandonato, anche chi lo aveva condannato destinandolo ad una morte ignominiosa e terribile.

Il tema del “restauro”, cioè del peccato e della remissione diventò subito attuale in Palestina essendo il pilastro su cui poggiava il principio della salvezza universale, proposto da Gesù. E si propagò con forza, quando i seguaci del cristianesimo divennero oggetto di violente persecuzioni. Ma per sostenersi, il crisma della salvazione aveva bisogno di una figura che ne fosse la causa e ne rappresentasse l’antitesi, e la figura di maggior spicco era Giuda lo zelota. L’apostolo Giuda divenne il simbolo dell’orrore e della colpa, e per definizione, assieme lui lo divennero tutti i Giudei.

Il nome “Giuda” divenne un termine spregiativo, che dall’apostolo si estese ai crocifissori di Gesù, e a tutti quanti in qualche modo presero parte al dramma del suo martirio.

Per estensione, rimanevano colpevoli anche i giudei convertiti alle comunità dei gentili (così erano chiamati i cristiani non ebrei). Per cui nacque la questione di come comportarsi con loro. Tenerli lontano, oppure perdonarli di essere stati coautori dell’uccisione del Figlio di Dio, e, cosa più importante, se considerarli ancora titolari delle promesse divine.

Com’è facile immaginare, ogni interrogativo finiva per ricondursi all’archetipo storico di Giuda l’apostata, che i Vangeli presentavano come un malfattore, ladro e traditore, con una vita conclusa nel suicidio e precipitata nell’annientamento.

Così delineata, però, la sua figura non poteva essere utilizzata in nessuna prassi ecclesiale, mentre riabilitarlo avrebbe smentito la Parola evangelica annunciata pubblicamente.

Ma negarne il perdono, negava anche la funzione che il discepolo aveva ricoperto in nome di Gesù, e che avrebbe dovuto mantenere anche all’interno della Chiesa nascente.

Nonostante che gli fosse stata attribuita dallo stesso Gesù e quindi, come quella di Pietro, destinata a permanere nei tempi, la funzione di tesoriere dei Dodici, che Giuda ricopriva, non poteva essere ufficializzata all’interno della Chiesa. Anche se questo avrebbe finito per dare una diversa importanza alla designazione che Gesù dette a Pietro, rispetto a quella data a Giuda.

L’agiografia evangelica

Gli evangelisti si mossero in due direzioni parallele tra loro, affidando alle loro scritture due distinti messaggi. Alla narrazione storica affidarono la cronaca degli eventi mentre, seguendo la tradizione dell’Antico Testamento, al più nascosto discorso affidarono le verità teologiche, destinate a chiunque avesse la volontà di cercarli . Nella seconda dimensione si servirono di strumenti sottili come la metafora, i simboli, la gematria, l’isopsefia, l’allusione, d’immagini parlate variamente ricompitabili.

Gli evangelisti tracciarono due percorsi l’uno sovrapposto all’altro: quello della narrazione superficiale e quello del sotterraneo discorso teologico.

Attraverso sagome letterarie, indipendenti ma non contraddittorie col dato storico, dal quale venivano tratte, gli agiografi tracciarono un discorso teologico sottostante la trama narrativa. Dando agio, a chi poteva coglierlo, di avvertire l’esistenza di un significato più profondo.

Nella narrazione superficiale, e quindi dell’esperienza storica, accreditarono l’idea di un generalizzato rifiuto alla figura del Cristo. Un che di negativo che rimane ancora nel racconto tradizionale della Chiesa. Questo rifiuto lo indirizzarono a tutti, discepoli, apostoli e romani. Ma principalmente a Giuda e Simone, rendendoli in tal modo due personaggi inscindibili. Con il risultato che gli evangelisti redassero una storia di Gesù, nella quale nessuno dei partecipanti si salva dall’onta di una piccola ed infima umanità.

La condanna senza perdono inflitta a Giuda

Ad una prima lettura, tra due malfattori, Giuda e Simone, sembrò che gli evangelisti avessero scelto Giuda per disegnare il tipo dell’impenitente, del perduto: e che si servissero di Simone per esemplificare la dinamica di peccato-perdono , di tradimento e chiamata al ministero pastorale. Raffigurato come un pubblico negatore e poi, come un addolorato che perdonato viene chiamato all’ufficio di Pastore Universale. Considerazione bizzarra, visto che viene ampiamente attestato il pentimento di Giuda, ma si fa credito a Pietro di un “pianto” che tuttavia non lo indusse mai a schierarsi con Gesù fino alla sua crocifissione. Per cui, abbandonarono Giuda al suo destino di dannazione, ma lasciarono aperto uno spiraglio inserendo l’anonima figura del discepolo amato, facendo in modo da tenerlo collegato anche se distinto da lui.

Sul piano del sottinteso, gli evangelisti dovettero precedere in maniera articolata per affrontare la difficile linea teologica della salvezza universale, caposaldo della fede nascente nei confronti di Giuda. Il personaggio fu dipinto in maniera tanto scabrosa da renderlo inaccettabile alla redenzione universale.

Ma la sua condanna perenne causò un contraccolpo al principio della salvazione cristica, perchè, forse ci si accorse troppo tardi, che la sua dannazione perenne nonostante il pentimento che precedette la sua morte, diventava allora la negazione del principio di salvazione basato su pentimento e sul perdono.

Gli evangelisti compresero che, seppure in maniera sottintesa, bisognava chiarire che anche Giuda avrebbe goduto di un riscatto per rientrare nella Comunione del Cristo, quale eletto, recuperando così la primitiva funzione sacerdotale. Perciò, lasciarono un punto fermo : Giuda si pentì.

Se il pentimento di Giuda, attestato seppure fuggevolmente da Matteo (27,3.4) fosse stato sviluppato anche a livello di cronaca, sarebbe saltata la tesi del rifiuto di Cristo che conduce alla dannazione eterna, in più, con il pentimento, sarebbe stato necessario conferire a Giuda una precisa connotazione nella prassi ecclesiale. Di cui, in vero, si trova traccia in Atti (diaconia, episcopato), nel discorso di Pietro in occasione proprio della sostituzione di Giuda.

L’evangelista Giovanni, da parte sua, risolse il problema sostituendo Giuda con quell’innominato che chiama il “discepolo che Gesù amava”. Così, Giuda continua ad essere presente sotto il velo del silenzio, facendo sì che nei Vangeli poterono coesistere due impostazioni, quella letterale del suo peccato e dannazione, e quella segreta della remissione del suo peccato.

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