Il “male” è il capovolgimento del vero, del bello e del giusto. Ma, anche se invertito, nel male resta pur sempre un’impronta del vero, del giusto e del bello ch’esso ha distorti. Che possono essere restaurati, qualora la scintilla di vero, di giusto e di bello venisse vivificata, così che, nel frammento di male, tornerebbe a prevalere.
Vivificare la scintilla riposta in ogni forma di vita è il senso della: sacralizzazione degli elementi.
Ogni deformazione del vero, del bello e del giusto, nella coscienza fisica può risanarsi assecondando la spinta dell’orientamento interiore, che risponde alla volontà dell’anima. Lo stesso orientamento che spinge all’equilibrio ogni forma e sostanza, anche universali, si manifesta nel microcosmo umano come supremo senso d’equilibrio e giustizia. Una forma d’intelligenza interiore che nasce dal discernimento dell’Ego superiore e che risponde alla coscienza dell’anima. Perciò, quando la coscienza fisica reagisce al loro richiamo silenzioso, si raggiunge il completo allineamento della coscienza, in ogni sua parte. Questo fa insorgere nel percepente, quella tensione psichica che lo stimola a calcare la Via di mezzo (vedi articolo su La Via di Mezzo). La correzione deve riportare l’eccesso entro i limiti del giusto e dell’equo. Con intelligenza e senza ricorrere ad attestazioni catechistiche che, in realtà, sono assai distanti dalla concretezza karmica. Difatti, non è una convenzione morale affermare che nulla è generato senza causa e che nulla appare senza provocare reazioni. Tanto che questa asserzione trova la sua prima applicazione nell’origine stessa della manifestazione, eterna e universale. E precisamente nella Causa prima che ha generato l’Opera cosmica, suggellando il legame tra la più piccola creatura dell’universo e l’Unità d’origine. Un rapporto che attraverso il principio karmico, accomuna la Causa generante ad ogni espressione della propria universalità vivente. Ma l’universalità è davvero limitata solo a questo universo? Si è sempre pensato ch’esistessero delle corrispondenze tra simili maggiori e simili minori. Sviluppando questo metro, si è giunti a considerare la possibilità di una molteplicità di universi. Grandi corrispondenze uniscono «l’alto al basso» collegando tra loro le entità maggiori che si riflettono, sostenendoli, nei più minuscoli fenomeni dell’esistenza materiale. Una sorta di anello vitale, appartenente ad un unico progetto, frutto del movente di una stessa Causa. Una comunione geometrica sintetizza le correlazioni tra sistemi universali ed entità siderali, le nebulose alle galassie e queste alle proprie stelle ed ai loro sistemi planetari: sino alla più piccola particella delle sfere d’esistenza minori, come quella della dimensione (spazio-tempo) umana e tutto ciò che d’infinitesimale viva in essa e nelle sue dimensioni sottostanti. Ogni cosmogonia arcaica ed antica, seppur con simbolismi diversi, vela il senso di queste tesi. Che non nascevano dal nulla ma da un ragionamento e da una constatazione. Se “questo” universo finito è in continua espansione, significa che all’esterno esiste uno spazio maggiore che gli permette di espandersi. E se il “contenitore” che “contiene” questo universo è tanto più grande, perché non accettare la tesi che il suo spazio (energetico) possa contenere più universi? Nel suo procedere, questo grande complesso di relazioni tra simili maggiori (entità macrocosmiche) e simili minori (entità microcosmiche) elabora sempre nuovi e più sofisticati equilibri per sostenerne la crescita. Sì, perché l’universo cresce con il moto delle grandi configurazioni energetiche e modifica incessantemente l’assetto dei suoi complessi equilibri energetici, per stabilizzare le forme gassose e materiali. Allora, per garantire la stabilità indispensabile al sostegno di ogni struttura e forma, occorre spostare da un punto all’altro gli squilibri degli assetti strutturali, che altrimenti non sosterrebbero la continua trasformazione a cui debbono sottostare. Ogni dislocazione energetica comporta scompensi nelle strutture e nelle forme che, però, vengono sistematicamente compensati e risolti. Squilibrio e riassetto caratterizzano le fasi di transizione del fenomeno, che si trasforma adattandosi al proprio percorso vitale. Anche nell’essere umano le trasformazioni avvengono per assecondare le qualità delle sue sostanze vitali. Infatti è l’essenza energetica, la potenza che l’aspetto fenomenico riveste, a determinare le dimensioni dello spazio che occuperà e la durata dalla sua comparsa. La regola vale per ogni genere di forma, e dalle combinazioni di forma-spazio e tempo-persistenza nascono combinazioni strutturali che sono pressoché infinite. Ma per quanto diverse, tutte le combinazioni hanno dei denominatori comuni. Il più appariscente dei quali è certamente la ciclicità.
Ciclicamente tutto cambia e si trasforma. Nuove forme-temporali compaiono, si evolvono, si esauriscono e scompaiono, per poi riapparire ancora sotto forma diversa. La ciclicità regola ogni struttura vivente, da quelle universali a quelle temporanee necessarie ai processi di metamorfosi d’ogni essere vivente. In questo scenario, la vita della coscienza umana si pone in relazione con strutture fisiche mobili e sostanzialmente instabili. Anche la coscienza umana, come ogn’altra forma, tende a persistere e ad espandersi. Riproducendo il modello dell’Unità (nucleo di riferimento), che è la sua origine e fonte della sua vita. Ma per seguire il proprio modello, una coscienza deve superare parecchi ostacoli, tutti di natura materiale. Per cui il concetto di merito e demerito karmico rispecchia l’altalenare di una coscienza frapposta tra due forze. Una è quella dell’identità originaria, la seconda quella della natura fisica che, per istinto di sopravvivenza, vorrebbe prevalere e mantenere integre tutte le sue caratteristiche materiali. Il conflitto genera fasi oscillanti che tendono, però, a ritrovare un nuovo equilibrio e rientrare nella stabilità. L’immagine più prossima a rappresentare queste oscillazioni è quella di un tono. Un tipo d’onda sonora chiamata sinusoide. Nonostante il moto ascendente (paragonabile al merito) e discendente (paragonabile al demerito) il sinusoide mantiene la stessa direzione sia nell’avanzamento orizzontale che nella crescita v erticale. Per questo il sinusoide è il modello adottato per rappresentare l’avanzamento oscillante della coscienza, sia di quella individuale che di massa, senza cadere in risvolti pietistici e in idee di peccato (vedi nell’articolo: Uomo notturno e Uomo diurno il concetto diDis-orientamento e Ri-orientamento della coscienza fisica). Peccato ed espiazione, merito e premio, sono nozioni troppo umane per trovare applicazione fuori dagli attributi materiali degli inventori, che soli possono temere e desiderare. Timori e desideri non possono raggiungere una struttura straordinaria come quella dell’anima. Perciò, sensazioni come “colpa o purezza” possono essere solo complementi della ragione fisica, perché, unico aspetto ad essere strutturato attraverso consuetudini mentali che formano codici e canoni sempre parziali e relativi. Una visione più dappresso, rivela che le oscillazioni di una coscienza senziente, sono la conseguenza di innesti con l’istinto e la passionalità della natura inferiore. Che finiscono per essere rafforzati dalla sordità intellettuale e dalla cecità spirituale di menti non ancora evolutesi. Le “cadute” di coscienza sono l’effetto di sragionamenti della mente che, seppur senziente, è ancora frammischiata agli aspetti animaleschi della propria corporalità. Questa mescolanza intensifica gli impulsi e le passioni della natura inferiore che si tenta di giustificare con elaborate congetture. Tentando l’impossibile, la mente così soggiogata, cerca di ragionare anche contro l’evidenza per rendere credibile anche il peggiore dei contegni. L’animalità della ragione non è paragonabile alla sana istintualità dell’animale. Infatti l’animale agisce senza dolo, non l’uomo. Per correggere le deformazioni nel comportamento non bastano le censure, ma serve educare la mente a riconoscere l’equilibrio posto a monte dell’errore. L’equilibrio è l’ideale di ogni mente evoluta che pur consapevole della propria imperfezione, tende al perfezionamento. Ma c’è significato nel venerare una perfezione racchiusa in un’icona divina? Aspirare alla perfezione non è di per sé un merito, né può esservi demerito nel non percepirne l’esistenza. Sentire o non sentire, ma anche volere o non volere sono solo sensazioni che, se non vengono realizzate, non producono né merito né demerito. Per acquisire i quali, allora, bisogna seguire un sistema di giudizio che non abbia le sensazioni come metro di misura. Ogni deformazione di una realtà idealmente equilibrata è data dalla mancanza di corresponsione. Il difetto di relazione tra elementi simili ma distanti (come Ego e personalità), sfocia in una sostanziale incomunicabilità e incomprensione. Così che i simili restano separati in una presunta “autosufficienza”. La presunzione, però, non basta. Se chi incorre nell’errore per leggerezza, impulsività o sconsideratezza, avesse la chiara visione del peso, durata e costo ch’esso potrà comportare in termini di difficoltà, danni e dolori, probabilmente, magari per puro calcolo, adotterebbe uno stile di comportamento diverso. Arriviamo, così, a considerare l’errore come effetto dell’incoscienza. Dell’annebbiamento emotivo che stordisce la ragione. Assagioli (psichiatra, fondatore della psicosintesi e autore di numerosa letteratura medica, terapeutica ed educativa – vedi scheda dell’Autore) è del parere che non esista punizione all’errore ma solo le sue conseguenze. I danni che insorgeranno dal delitto sono il suo costo ed il prezzo da scontare sarà proporzionato al debito contratto. Questo significa che in termini di costo e di durata, la misura del debito sarà proporzionato all’intensità del malfatto. E nonostante non vi sia altra pena oltre la risoluzione del debito, i suoi effetti, però, potranno sembrare tanto ostili e ripugnanti da apparire alla stregua di un tormentoso castigo. |