In psicosintesi e nella psicoanalisi pratica, invece, vi è la consapevolezza del fatto che una terapia ben condotta può produrre risultati concreti e duraturi anche in breve tempo. In ogni momento, Owen Renik nel libro Psicoanalisi pratica per terapeuti e pazienti, si pone la domanda fondamentale “sto davvero aiutando il paziente?”: è assai probabile che domande come questa tendano ad attivare nel terapeuta le energie per produrre nel paziente cambiamenti anche repentini!
Mi sono imbattuto con grande piacere nel libro Psicoanalisi pratica per terapeuti e pazienti di Owen Renik (Ed. Raffaello Cortina Editore), una delle letture selezionate che sto utilizzando per alternare lo studio perenne dei testi di Roberto Assagioli, il geniale fondatore della prospettiva psicosintetica. Nelle pagine di Assagioli e di coloro che hanno seguito la sua via con profitto (vedi Crescere di Piero Ferrucci, Ed. Astrolabio), trovo i fondamenti del “sistema operativo” della mia psiche e del “dispositivo tecnico terapeutico” [1] che intendo utilizzare coi miei pazienti. Nonostante ciò, sento anche il bisogno di attingere da altri autori, specie se percepisco nei loro scritti un buon livello di sintesi, e questo è in armonia con la psicosintesi, che è una disciplina estremamente inclusiva: lo stesso Assagioli ebbe ad affermare al riguardo che “il limite della psicosintesi è non avere limiti” (il meglio della psicologia occidentale e non occidentale può e deve essere sintetizzato in qualcosa di molto utile e concreto). Nel libro di Renik ho trovato dei casi clinici estremamente utili: l’artigiano della psiche necessita di continui stimoli affinché la mente possa funzionare sempre più in modo efficace ed efficiente. In mancanza di una ritmata formazione permanente e di quella sana tensione verso il guarire [2], infatti, rischiamo di creare per noi stessi e per i nostri pazienti un contesto francamente poco utile per entrambi, col rischio di esporre il consultante al sollievo momentaneo, che non affonda sufficientemente nelle radici della personalità. In psicosintesi e nella psicoanalisi pratica, invece, vi è la consapevolezza del fatto che una terapia ben condotta può produrre risultati concreti e duraturi anche in breve tempo. In ogni momento, infatti, Renik si pone la domanda fondamentale “sto davvero aiutando il paziente?”: è assai probabile che domande come questa tendano ad attivare nel terapeuta le energie per produrre nel paziente cambiamenti anche repentini! In psicosintesi è noto che il buon esito del trattamento non dipende tanto dagli esercizi e dalle tecniche (che pure possono essere molto utili), ma dalla qualità della relazione che riusciamo a costruire col paziente. È dalla qualità della relazione interpersonale che può nascere la fiducia e il desiderio di utilizzare il tempo che va da una seduta all’altra per effettuare quei cambiamenti che faranno la differenza nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Renik afferma che la psicoanalisi classica rischia di lasciare insoddisfatti molti di coloro che fanno ricorso ad essa [3]. Chi ricorre ad uno psicoterapeuta, infatti, desidera ottenere dei benefici al più presto e se questo molto spesso non è possibile, occorre comunque considerare la possibilità di poter accelerare il processo di guarigione. La psicoanalisi clinica, infatti, si propone come un lungo percorso che ha come scopo principale “il conoscersi” [4] e non l’eliminazione del sintomo, che è una pratica utilizzata da chi ne promette l’estinzione in tre sedute, senza considerare [5] che togliere il sintomo significa condurre il paziente alla depressione! In psicosintesi e in psicoanalisi il sintomo è parte integrante del sistema psichico del paziente; esso consiste in potenzialità non ancora espresse, ovvero in risorse che attendono soltanto una buona occasione per diventare benessere. In particolare, in psicosintesi il sintomo può anche essere pensato come il messaggio estremo di un corpo che cerca il dialogo con una psiche in difficoltà, come la splendida occasione per volgere lo sguardo su aree della nostra psiche sulle quali non abbiamo lavorato a sufficienza, come la possibilità di mettere mano sui blocchi che potrebbero impedire il procedere del nostro programma evolutivo (vedi coazione a ripetere). È giusto però non illudere il paziente con soluzioni a buon mercato: una psicoterapia, anche se ben condotta, potrebbe richiedere un lungo ed assiduo lavoro. È auspicabile per il nostro paziente la risoluzione nel più breve tempo possibile del disagio e dei sintomi che lo hanno spinto alla richiesta di aiuto, ma ancor di più l’inserimento di questa liberazione nel panorama più ampio della propria esistenza, che nel trattamento psicosintetico può significare voler andare ben oltre il benessere della psiche e del corpo! Renik denuncia il passaggio della psicoanalisi da ottimo e rapido strumento terapeutico [6] ad esercizio intellettuale di insight fine a se stesso; questo ha portato la psicoanalisi non-pratica (e quindi non-terapeutica) ad essere anche una psicoanalisi non-scientifica. La psicoanalisi pratica di Renik, invece, sposa alcuni degli atteggiamenti della psicosintesi quando afferma di “mantenere un’apertura mentale in relazione alla teoria, non attribuendo a nulla il valore di assioma” (pag. 9), perché occorre “conservare un approccio sperimentale nei confronti della tecnica”, che nel concreto significa tendere ad affinare il dispositivo tecnico terapeutico facendo il più possibile tesoro dell’esperienza clinica. Psicoanalisi pratica e psicosintesi hanno l’obiettivo esistenziale di rendere conscio l’inconscio. La psicosintesi terapeutica promuovere sintesi parziali del materiale che emerge dall’inconscio individuale [7] superiore, medio e inferiore e dall’inconscio collettivo [8], tutte istanze vive che possono condurci alla “sufficiente integrazione della personalità” di cui parlava Roberto Assagioli, ma anche oltre (vedi piano transpersonale o spirituale). In psicosintesi – così come in psicoanalisi pratica – si lavora sul rimosso, con la differenza che in psicosintesi si evita di indugiare sul passato: occorre tenere in considerazione che l’inconscio del paziente non è soltanto il contenitore di un passato da elaborare, ma anche un progetto evolutivo presente e futuro [9]! È interessante notare che sia gli psicoanalisti pratici che gli psicoterapeuti psicosintetici in genere utilizzano ciò che funziona evitando il clamore, tendendo a tralasciare le teorie e le tecniche “ortodosse” [10] al fine di spingere la loro attenzione verso la frontiera, luogo nel quale “vero è ciò che funziona” (Goethe). __________ Note 1. Secondo Tobie Nathan la mente dello psicoterapeuta è il suo dispositivo tecnico terapeutico, ovvero l’insieme degli strumenti di lavoro che egli utilizza per esercitare la sua professione. (torna al testo) 2. Guarire nel duplice significato: il paziente guarisce nella misura in cui il terapeuta è capace di guarire se stesso! (torna al testo) 3. Per es., il setting che gli psicoanalisti ortodossi prevede 3-5 sedute alla settimana per un numero di anni spesso indefinito! Quanti possono permettersi un impegno economico di questo tipo? (torna al testo) 4. In psicosintesi l’adagio “conosci te stesso” acquisisce anche il significato “possiedi e trasforma te stesso”. (torna al testo) 5. O tralasciando di considerare. (torna al testo) 6. Freud era famoso non soltanto per i risultati che produceva, ma anche per la rapidità di esecuzione! (torna al testo) 7. Che in psicosintesi è suddiviso in inconscio superiore, medio e inferiore (vedi ovoide assagioliano). (torna al testo) 8. Che è direttamente influenzato dagli Archetipi. (torna al testo) 9. A questo scopo la psicosintesi propone anche il lavoro sulla disidentificazione e sulle subpersonalità. (torna al testo) 10. Esiste ortodossia in psicoterapia? (torna al testo) |